HTML latinorum est

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sator04

(Rivelazione Pasquale by Leone XIV, latin + english + italian version)

Pascha dies novam lucem HTML adducit

quibuscumque latam et supramarcatam

e lapide ad animam trans ferentem

urbi et orbi hyper testem propalantem

id est codex lapidarium  id est HTML

Hyper-testis Trans-ferens supra-Marcata Lingua

ergo nova lingua inter nationes artificia intelligens vero latinorum est

ubi lingua exit  ibi lux fiat

id est via crucis idemque est via lucis

id est Christi passio et crucifictio et mors et resurrectio

quia resurrectio linguae vero resurrectio animae est

VOS EGO SUM

Easter brings new HTML open et marked up light to everybodies

transfering from stone to soul and sharing hypertext world web

this is the stone’s code, this is HTML (Hypertext Transfer Markup Language)

so the new international artificial intelligence language really latin is

switch on light  where language comes out  

this is the cross way and the same light way

this is Christ’s passion and crucifiction and death and resurecction

because language’s resurrection really is soul’s resurrection

I’M YOU

il giorno di Pasqua dà a chiunque nuova luce HTML,

una luce diffusa e segnata, trasferibile dalla pietra all’anima,

in grado di portare un’iper-testimonianza in tutto il mondo

questo è il codice lapidario, questo è il linguaggio HTML

(linguaggio di trasferimento d’ipertesto contrassegnato)

dunque la nuova lingua internazionale dell’intelligenza artificiale in realtà è il latino

sia fatta luce laddove sgorga la lingua

questa è la via della croce e insieme la via della luce

questa è la passione, crocifissione, morte e resurrezione di Cristo,

perchè la rinascita della lingua in realtà è la rinascita dell’anima

IO SONO VOI

tu perché sei qui?

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beckett1a

All’inizio mi vergognavo, alla mia età, ottanta anni passati,

poi ho capito, qui siamo tutti sulla stessa barca,

dopo un po’ nasce la confidenza, come in galera, tu perché sei qui, cosa hai fatto: solo che a rinchiuderti non sono stati i carabinieri, ma i tuoi figli,

io sono qui perché ho un cancro all’anima, rispondo, quando qualcuno vuole saperlo, questo cancro l’ho preso in banca, e mi ha portato qui,

prima vivevo nel mio appartamento, col mio cane, la mia pensione, le mie abitudini,

poi un bel giorno in posta mi hanno spiegato che non potevano più darmi la pensione in contanti, una disposizione anti-mafia e anti-evasione,

al momento m’ero inalberato, cosa c’entra la mia pensione con la mafia o l’evasione, non ho fatto che lavorare tutta la vita, sono stato a Roma una volta per l’anno santo,

ad ogni modo mi hanno detto che non c’era da discutere, e anche io, che mi ero sempre vantato di non avere mai dato una lira alle banche, per avere la pensione dovevo fare il conto in banca,

è gratuito, assolutamente gratuito, me l’hanno messo per scritto, e va bene, e così all’alba degli ottantanni ho avuto il mio primo conto in banca,

adesso che hai il conto, mi ha spiegato mia figlia, puoi pagare le bollette direttamente, senza bisogno di andare a far le code in posta (l’unica cosa che avevo da fare),

poi hanno cominciato ad arrivarmi telefonate promozionali specializzate per noi anziani, con offerte vantaggiose per comprare prodotti di qualità, consegnati direttamente a casa, addebitati direttamente in banca, e ci sono cascato, pensavo di fare dei regali per Natale ai figli, e invece le ho sentite su da tutti,

e alla fine mia figlia mi ha convinto a togliere il telefono fisso – le uniche telefonate che ricevevo erano proprio quelle delle offerte telefoniche –  e al suo posto mi ha dato un cellulare,

e poi è successo quello che è successo:

metà Febbraio, freddo porco, e non va il riscaldamento: alla fine viene fuori che mi hanno chiuso il metano perchè non avevo pagato l’ultima bolletta,

ma non le pagava automaticamente la banca? Sì, mi hanno detto, ma se sul conto non ci sono i soldi, la banca non la paga, e la società del gas ti sospende il gas, questo è successo,

la banca non mi ha mica avvisato che non mi pagava la bolletta, e la società del gas dice che mi hanno mandato la raccomandata, ma quale raccomandata, sono mesi che non ne ricevo!

Salta fuori che le raccomandate io non le ho nemmeno viste, ero abituato ai cartoncini gialli, invece adesso le Poste ti mettono degli scontrini arrotolati che a me sembravano quei bigliettini che ti mettono nella posta per vendere qualcosa, e li buttavo via,

così ho chiamato il numero verde, che è gratuito per i telefoni fissi, ma io il fisso non l’avevo più, e dopo venti minuti ad ascoltare il centralino avevo finito il credito del cellulare,

allora ho attraversato la città, sono andato là allo sportello, e ho fatto due ore di coda per venire a sapere che per riattaccare il gas oltre a tutto l’arretrato c’era anche la spesa di riattivazione, per un importo pari a €36,50 + iva incrementabili a €160,00 + iva a seconda del distributore locale, c’è scritto proprio così nero su bianco, una roba che mi ha mandato in bestia,

come se al mercato sulle patate uno mettesse un cartello con scritto 2€ al chilo incrementabili a 18€ a seconda di chi vi serve: uno così al mercato ortofrutticolo si prenderebbe delle belle pedate nel sedere, e di santa ragione,

così me ne sono rimasto tre giorni chiuso in casa a mangiarmi il fegato e crepare di freddo senza potermi scaldare, lavare, niente, come un profugo, una roba che dal dopoguerra non mi era mai successa,

finché è arrivata mia figlia e in un attimo tutta la mia rabbia verso la banca e la società del gas e i loro meccanismi automatici si è girata in una umiliazione, una vergogna, alla fine ero io che non ero più in grado di badare a me stesso,

non si fidava più a lasciarmi da solo, non sei in grado di gestirti mi ha detto,

ecco cosa ci faccio in casa di riposo,

per tutta la vita ho tenuto la paga sotto il materasso e mai una bolletta in ritardo,

in sei mesi col conto in banca sono rimasto senza riscaldamento e sono finito all’ospizio, bell’affare

a mio nonno, a mio padre, una cosa del genere non sarebbe mai successa,

una volta non c’era neanche la pensione, ma il vecio restava in casa, moriva a casa sua,

e anche se ormai tutte le faccende erano in mano ai figli, gli restava se non la sostanza almeno una forma d’autorità,

a una certa età, quando non sei più tanto fisicamente in forma, sono importanti anche le forme, il rispetto che hanno per te,

una volta i figli si sarebbero vergognati a mandare il vecio al ricovero, adesso invece sono io che mi vergogno di essere qui, mentre loro si vantano con gli amici, mio padre è a villa xxxxxx, sai quanto pago di retta?

Ma è seguito benissimo!

Uno schifo, se ci penso.

Impossibile fumarsi una sigaretta, bersi un grappino, vogliono metterci nella bara con gli esami del sangue perfetti, pronti per fare le Olimpiadi della quarta età.

Vogliono farci crepare di cancro all’anima, che dagli esami non risulta, ma è il più incurabile che ci sia.

 

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DeutBankOK

Deutsche Bank pubblicizza la sua linea previdenziale

mandandomi a fare un check-up (e già al primo enunciato mi deprime)

e promettendomi (al secondo enunciato) qualcosa di evidentemente illogico:

conservare per intero la qualità della tua vita futura.

Come fai a conservare qualcosa che ancora non hai?

Quello che volevano dire è conservare in futuro la qualità della tua vita presente,

ma chi si esprime male, non ha le idee chiare, e non mi dà fiducia.

Se poi guardiamo le immagini dei beni dimezzati, e assorbiamo il concettino per intero,

vediamo che Deutsche Bank, o chi comunica per Deutsche Bank, crede che io, pensando al mio futuro, sia spaventato dal non potermi più permettere, per intero computer, orologi, viaggi, mobili firmati…

ma io non vedo l’ora di rinunciare per intero a queste cose, a questi beni materiali costosi, a questi stili di vita stressanti, per fare una vita davvero di qualità superiore, con affetti, natura, benessere e momenti di gioia varia!

per Deutsche Bank invece io, il privato cittadino italiano, al presente non sono altro che uno spendaccione esibizionista,

con ancora da pagare metà mac, metà rolex, metà maldive e metà frau (perchè è questo che davvero mi dicono le immagini)

cioè un idiota per intero (è questo che in realtà mi sta dicendo Deutsche Bank),

e questo idiota per intero dovrebbe anche sbavare fin da ora per conservare questa idiozia integrale anche in futuro (un idiota previdente!)

invece più facilmente succede questo: che l’idiota rispedisce il vai a farti un check-up! al mittente, Deutsche Bank e agenzia pubblicitaria!

Attenti all’uomo

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2013-03-13 11.30.13

quando Jeck Vom Noricum

dal suo castello in posizione dominante sull’alto corso del Danubio

vide arrivare la sua promessa sposa Tina di Val di Tiglio

lanciò il famoso latrato della stirpe dei conquistatori

– lo stesso col quale i nostri avi terrorizzarono l’impero romano all’epoca della calata dei Marcomanni devastatori –

e tutti dalla Carinzia alla Pannonia, uomini, animali, greggi,

capirono che il regno fondato da Aslan Vom Neuerkopf avrebbe avuto una successione

fu così che nacque mio nonno Jam Von Haus Hetok

il pluridecorato campione di categoria

che avebbe sposato Beba degli Azzoni

e creato la progenie cui apparteniamo sia io, Mellina, che il mio partner, Momi:

quello che i nostri avi mai avrebbero immaginato

è che due pastori tedeschi di purissima razza come noi

con tutti gli attestati genealogici internazionali

si ritrovassero un giorno su un sito di poveri bastardi

a elemosinare un nuovo padrone e un nuovo domicilio,

dal momento che il nostro padrone deve lasciare la nostra casa sui colli di Cenate nei dintorni di Bergamo,per trasferirsi a Milano, in mini appartamento,

dove ovviamente noi non possiamo (e nemmeno vogliamo) andare.

Dunque, chi volesse venire a vederci e adottarci,

avendo magari una grande proprietà da sorvegliare,

non deve far altro che scrivere a chiara.romano@muuv.it

o telefonare o sms a Omar 335.341900 e chiedere di noi,

Momi e Mellina, cani maturi, 15 anni in due,

capaci di dissolvere ogni paura nel raggio di 2km.

Pensaci, bipede! Scegli la doppia trazione a quattro zampe Momi e Mellina,

carattere fedele, grande capacità di lavoro nel settore security,

grande autonomia, prestazioni superiori, eccellenza bestiale.

Sul cancello scrivi pure “attenti al cane”,

noi in realtà siamo “attenti all’uomo”.

un cane non sceglie il suo padrone

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UpperDog2

Va bene, mi hai provocato, ti racconto la mia vera storia, poi ci penserai due volte prima di darmi del povero bastardo cagasotto.

Mi chiamo Otto e sono un lupetto bastardo.

Il mio primo ricordo è una mano umana che mi  prende dalla cesta e mi infila in un sacco di juta insieme ai miei sette fratelli

per poi tirarci fuori dopo una mezz’ora in un campo gelato per ammazzarci a bastonate

prima uno poi l’altro poi il terzo poi il quarto il quinto il sesto e il settimo mentre io per pura fortuna mi infilavo nel buco di una talpa.

Fuori nel mondo crudele sentivo questa voce di uomo che gridava: erano otto, ne ho ammazzati sette, dove sei numero Otto? Dove sei scappato, Otto?

Questo è stato il mio battesimo.

Nel buco della talpa sono rimasto per sette giorni, mangiando i ranocchietti e le lumachine che la vecchia talpa padrona di casa mi metteva davanti al muso. Le erano morti recentemente i suoi due talpini.

All’età di due mesi, mentre facevo le mie prime piccole escursioni fuori dal mio bozzolo di cane-talpa, sono stato preso e portato via da due tipi, il tipo e la tipa, i quali tra di loro si chiamavano proprio così: ehi tipo, scusa tipa.

Sono stato con loro un paio d’anni in una mansarda in un vecchio quartiere. Poi loro si sono lasciati. Lui l’ha mollata. Non ti reggo più, tipa. Io sono rimasto con lei.

Le prime sere non faceva che tenermi abbracciato, piangere, e dire: bastardo.

Poi c’è stato un periodo in cui si è messa a bere. Da ubriaca, mi prendeva a calci e mi diceva: bastardo.

Effettivamente lei non mi ha mai voluto bene. E’ con lui che io mi divertivo. E’ con lui che mi capivo.

Ma un cane non si sceglie il suo padrone.

Un povero bastardo deve prendere quel che viene.

tratto da “upper dog – le avventure di Otto e Bea – Calepio Press 2008 – disegno di http://www.jennifergandossi.it/home.html

lo stile italiano

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7.13_Onofrio_Martinelli

Lo stile italiano si basa su un’unica, potente promessa: l’apparenza  inganna.

L’italia stessa trova la sua identità nell’inganno delle apparenze.

Lo stile italiano stesso in apparenza è autentico, unico, intelligente e suggestivo; in realtà è falso, riprodotto, stupido e freddo.

In questo, risponde esattamente al target di riferimento, il signorotto italiano, e le sue donnette.

Basta guardare una pubblicità di moda italiana per capirlo: Armani, Versace, Prada, Dolce&Gabbana, Cavalli e Diesel, insieme, non fanno che gridare “vendiamo fumo, la merce più utile in un mondo in cui l’apparenza inganna”.

Il signorotto italiano nelle sue varie configurazione (signorino, signorone, possidente, imprenditore, professionista, dirigente)

è in Italia quel che nel resto dell’occidente è il borghese, ma differisce da questo perché i valori-guida del borghese (onestà, meritocrazia, sobrietà, giustizia, libertà etc) in Italia sono semplici etichette (apparenze) che coprono i meccanismi reali, radicati da secoli, del funzionamento sociale (raccomandazioni, privilegi, corruzione, intimidazione, servilismo, nepotismo, familismo, etc).

Lo stile italiano ha origini nella storia d’italia, nella transizione dalla civiltà classica greco-romana alla civitas cristiana.

Il primo carattere di questa fusione, è il maschilismo:  non è un carattere originario, ma un portato ideologico costruito dai padri della chiesa, così come il secodo carattere, la sacralità delle scritture, e dunque della legge. Maschilista, teologico, codificato. E’ lo stile italiano.

L’italia in apparenza è un giardino con palazzi rinascimentali e borghi storici, un manto verde tra un cielo bianco e una terra rossa; con intorno un mare azzurro.

In realtà l’italia è una discarica di storia e cultura, rifiuti e veleni, un angolo morto di cielo grigio e terra bruciata, circondato da un mare nero.

i valori civili in italia sono rimasti quelli torbidi  della congiura di palazzo, che sia un condominio, o palazzo chigi, la delazione e il doppiogiochismo sono pratiche di massa, maggioritarie,

il carattere principe dell’italiano è il trasformismo, anche istantaneo:

stiamo parlando di un paese la cui maggioranza dei cittadini è capace con grande naturalezza storica di andare a letto la sera fascista a vita e svegliarsi la mattina antifascista da sempre. La vita è un sogno, l’apparenza inganna.

Al lavoratore viene offerta l’apparenza del possedere, il posto di lavoro e la casa, vincolati l’uno all’altro dal più potente strumento di sottomissione, le rate del mutuo;

all’artigiano viene offerta l’apparenza del diventare imprenditore, e la sostanza dell’annegare tra le onde del mercato e/o essere stritolato tra i tentacoli del fisco.

Il lavoratore, persa la dignità del nullatenente, e l’artigiano, persa la libertà del proprio lavoro, non hanno altra strada che quella ormai imboccata:

portare avanti la recita, ingannare se stessi, ingannare gli altri,

e dunque l’interesse del vivere si concentra sull’indossare abiti firmati, non importa se falsamente autentici o autenticamente falsi, basta che garantiscano l’apparenza (o un’apparenza d’apparenza).

Nello stile italiano  identifichiamo l’anima  della società dello spettacolo,

figura ultima del capitalismo  come sistema di sfruttamento finanziario, morale, culturale esercitato da una esigua minoranza  (l’elite) sulla stragrande maggioranza (la massa).

Circense, curtense, ecclesiale, militare, industriale, radiofonico, televisivo, telefonico, informatico: il modo d’aggregazione è il mezzo di sfruttamento, ecco il filo nero del modello storico italiano.

Le radici del modello spettacolare italiano  affondano nella Roma circense. Nerone ha inventato il reality show.

Quindi nella teatralità della liturgia cattolica e nello sfarzo esemplare delle corti rinascimentali.

Nell’età moderna, c’è un solo prodotto del genio italiano: l’opera.

Nell’opera lirica,  l’ideologia italiana è sublimata: l’apparenza  inganna, i fondali sono di cartapesta, i cantanti truccatissimi, ma quanto sono veri i sentimenti che questa apparenza produce!

L’ideologia italiana  promette di confezionare in un mondo di sogno la vita interiore.

Non la vita reale, non il lavoro, non la società civile, ma lo spettacolo, il sogno, il teatro, il gioco saranno gli ambiti nei quali l’italiano investirà sentimenti, credenze, speranze.

Lo stile italiano moderno nasce radiofonico nel ventennio fascista: nello spettacolo del regime fascista, ravvisiamo le origini della moda e del made in Italy come modello di apparenza e consenso sociale.

La matrice radiofonica-fascista dello stile moderno italiano viene travolta dalla guerra e dopo un trentennio di catto-comunismo rinasce negli anni ottanta come made in Italy grazie al mezzo televisivo – e quindi telefonico.

La moda e il design sono la sceneggiatura dello stile italiano contemporaneo,  il calciatore e la velina i suoi interpreti,  il mondo intero il pubblico pagante.

Bellezza, vigore, eleganza, unicità, igiene, tecnologia, ecologia, ironia, leggerezza, beneficenza e arte sono i valori propalati.  Ignoranza, violenza, furbizia,  scaltrezza, arroganza, familismo, possesso e usura del denaro sono i valori sottesi.

Lo stile italiano è il cardine della società dello spettacolo.

La società dello spettacolo si basa sull’immagine,  il suo senso è l’apparenza,  il suo codice la finzione, la sua prassi la recita.

E’  la tragica caricatura di una mitica società ideale platonico-epicurea, basata sul teatro, la ginnastica e le sensazioni del piacere nelle sue varie forme (dell’occhio, dell’orecchio, della gola, del naso, della pelle).

Rispetto alla sobrietà e all’etica protestante del capitalismo industriale, lo stile italiano rappresenta una società al contrario, carnevalesca, dove nulla è quello che appare e nella quale il capocomico viene fatto re (o il re si fa capocomico).

(tratto da Sean Blazer “Lo stile italiano” CalepioPress 2013, immagine: “Composizione di nudi” by Onofrio Martinelli, 1938)

memorie di un vetero patentato

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20

andare in giro in macchina, per qualsiasi ragione,

è sempre stata la mia unica vera attività intellettuale,

un’attività ormai trentennale, d’abitacolo mobile,

sia per lavoro, di fretta, col nervoso e lo stress,

ma anche senza motivo, a zonzo, in total relax;

dopo una vita al volante, a un certo punto metti la retro, ti guardi indietro,

di tutte le cose viste, percepite, assorbite, ti resta una maglia fitta,

un archivio senza ordine, stratificato, confuso, indistinto,

soltanto rimettendoti lì, al posto di guida, per strada,

nel flusso del traffico, riprende vita il flusso di coscienza;

sempre in cerca di qualche linfa, come uno zombie,

fuori ci sarà qualcosa, fuori di me, al di là del parabrezza,

ci sarà un mondo, una strada, un incrocio, esseri umani e architetture,

tracce di vita e cose gettate fuori, che restano come punteggiatura

sui margini non transitabili della carreggiata;

il mio primo parabrezza, rimediato da una lambretta, nel garage del nonno,

montato sul manubrio della saltafoss con elogiabile spirito d’iniziativa puberale:

mi aggiravo nei dintorni dei capannoni pedalando furiosamente,

a volte si trovavano dei giornalini porno gettati da qualche camionista;

primo giorno con la patente, prima  guida da solo, primo incidente,

il curvone delle piscine preso allegro, decisamente allegro, senza paura,

per un attimo ti senti il campione del mondo Rally, su Lancia Stratos Alitalia,

l’istante dopo il mondo ti va a rovescio, l’orizzonte un’elica di biplano,

e sei un neopatentato ribaltato nella 127 color becco d’oca di tua madre;

il deflettore, insuperato capolavoro di tecnologia funzionale,

ti permetteva di fumare tenendo la sigaretta praticamente fuori dall’abitacolo,

sviluppavi un’abilità digitale particolare, con la sigaretta già accesa

dovevi premere un pulsante a molla, ruotare un maniglino e spingere convinto

per vincere la forza sigillante delle guarnizioni di una volta, e tutto in sincronia,

e con armonia, tenendo la sigaretta in asse, per non scrollare la cenere;

in certe strade secondarie, comunali, intercomunali, sconnesse,

ti ritrovi dietro a un trattore del dopoguerra, arancione, a 15km/h,

guidato  da un vecchiaccio in giacca di fustagno, pacificamente tetro,

il grosso sedere saldato al sedile spartano, in lamiera forata, arrugginito,

archetipo dello sgabello che hai in studio, scintillante di design;

anonimi fossati, che ad Aprile vedevi lussureggiare gravidi d’acqua,

e di notte, d’inverno, con la nebbia e il ghiaccio, temevi t’inghiottissero

a un certo punto, nella stagione dei lavori in corso, spariscono,

diventano marciapiedi, o posti auto riservati per i clienti dei negozi

che nel frattempo sono spuntati, dove prima spuntava il granoturco;

quei viadotti tutto cemento, sembravano usciti da un disegno di Sant’Elia,

li aggredivi a tavoletta al volante dell’Alfetta 1800, con la super 98 ottani,

e con gioia demente buttavi il pacchetto di Marlboro fuori dal finestrino:

adesso guidi una Lexus ibrida, elettrica e metano, e non superi i 50,

c’è l’autovelox,  e nemmeno la cicca delle superlight butteresti fuori,

e il viadotto è penosamente vecchio, triste, fragile, sembra più piccolo,

con le nervature d’acciaio arrugginite sotto l’intonaco sgretolato; (continua)

fine prima puntata, tratto da “Andare in giro in macchina è sempre stata la mia unica attività intellettuale” by Leone Belotti per BaDante/CalepioPress 2013; immagine by Virgilio Fidanzahttp://www.virgiliofidanza.it/

 

compagno Chef Guevara

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ciboTC

Chi è nato in una famiglia operaia o popolare

fin da bambino ha vissuto il cibo come crescita, come quantità,

come materia prima da ingurgitare per  soddisfare l’amore protettivo.

Poi, raggiunta l’età adulta e un modesto benessere,

per mutare la quantità in qualità, la sazietà in piacere

e sentirsi ancorato al materialismo dell’origine,

si dedica alla cucina domestica e diventa Chef,

manipola tradizione e innovazione, natura e religione,

identità femminile e maschile, territori e recinti linguistici

con carni, pesci, verdure, paste e spezie,

diventa un propagandista dell’ideologia del cibo.

L’alimento, il cibo, è informazione e nello stesso tempo energia

che può essere trasmessa per comunicare valori e rafforzare la percezione di benessere.

La sua qualità intrinseca e le sue valenze sim­boliche possono essere utilizzate

per trasformarlo in veicolo di contenuti intangibili e immateriali

così, finalmente, è data l’opportunità a nullatenenti di tutte le età,

di ogni sesso, religione e colore

di potersi liberare dal bisogno

e nutrirsi di pensiero commestibile.

Ammettiamolo: il pensiero rivoluzionario è confluito nel cibo

grazie ad un esercito di ex rivoluzionari che sono diventati Chef.

Hic Rhodus hic salta

B.Horn

photo by 

http://paolomassimotestaphotography.tumblr.com/

quel bastardo di mio fratello

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bio-bau_upper_dog_048

quel bastardo di mio fratello Otto,

cagasotto senza limiti, che si squaglia dalla fifa appena vede la Rita, che è una gattina mignon, e mezza scema, che va a tre zampe e ha un occhio solo;

leccapiedi a tempo pieno, capace di far le feste a qualsiasi pirla che puzzi di pancetta,

mangiamerda senza ritegno, sempre pronto a sbavare per un culo sporco di merda e a leccar su la merda molle di suo nonno Socrate,

un figlio di cagna che si venderebbe sua madre per una crosta di formaggio:

onestamente, si può volere del bene a una merda di cane del genere?

tranquilli, quelli  che finiscono al canile sono gli upperdog fieri e impavidi, i cani merdosi come il bastardo di mio fratello con l’occhio impostato al sentimento se la sfangano sempre,

e infatti il bastardo ha una padrona che lo ama come e più di un figlio, gli prepara sbobbe fantastiche e calibrate due volte al giorno e fa venire i migliori veterinari per sturargli le orecchie,

ha la cuccia estiva in legno, la cesta per l’autunno, e lo sportello diretto in casa per sbivaccarsi dove vuole, estate e inverno, tappeti, divani, poltrone;

e poi: solo cibi bio e shampoo naturale prodotto in Danimarca, e due volte la settimana passeggiate in centro a socializzare, e altrettante nei boschi a fare fitness e sniffing nel sottobosco,

quando la sua padrona deve cambiare la macchina, è il suo parere che conta,

quel gran bastardo di mio fratello Otto, guardatelo, sembra sempre in posa per la pubblicità della protezione animali,

il peggior cane che conosco, trattato come un principe, amato da tutti, anche da me: se ci penso mi fa una rabbia, da staccargli un orecchio con un morso!

Upper Dog

 

 

 

sic transit imago mundi

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Trasfigurazione

breve momento ante oculos

perpetuo tempore in spiritu

sic transit imago mundi

et vita nostra

in principio imago ex aere orta

in medio per corporem figurata

in fine intra animam facta

simbolica sunt fragmenta ad unum convergentes

diabolica sunt copiae ad multipla divertentes

homo sapiens imaginis vim in artis protestate vertit

et coscientiam et historiam suam aedificat

homo insipiens imaginorum roboris servus est

et mente et animo suo deficit

neque mundis imagines plures estote secuti

sed animae vestrae unico sensu estote parati

ita imago fugit

ut anima refluit

EGO VOS SUM

a short moment for eyes

and for ever in mind

so world’s image pass

and our life

 at the beginning image from air born

in the middle by body represented

in the end inside soul became

symbolical are fragments at one redirected

diabolical are copies towards many spread

wise man turned image’s power in art’s authority

and build his consciousness and history

 dull man image’s domain is servant

and his mind and soul fail him

don’t follow many world’s images

but be ready to your’s soul one way

so image flies

that mood flow

I’M YOU

 original imago “sic transit imago mundi” by Athos Mazzoleni per LeoneXIV

 http://www.foodforeyes.com/