the male code cap 3

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The male code (il maschio digitale) by Leone Belotti  

3 – la periferica di controllo  – Detroit, 1978.

«Ciao Mary Ann»

«Ciao Chri»

Nessun altro, adulto o coetaneo, maschio o femmina, lo può chiamare così senza irritarlo, ma lei sì, Mary Ann l’ha sempre chiamato così, fin da quando avevano tre anni.

Tutti li hanno sempre presi per fratelli. Anche Mary Ann ha un viso di lineamenti delicati, ed è una ragazzina sottile, silenziosa e dagli occhi intelligenti.

Qualche volta, da bambini, “giocando a dottori”, Mary Ann gli ha fatto vedere “la passerina” e lui le ha fatto vedere “il pistolino”.

Sono cresciuti ripetendosi “da grandi sposiamo”, ma ora da qualche anno non se lo dicono più.

«C’è Jenny?» chiede Christian.

«Si, entrate»

Spalanca la porta, e chiama “mamma!”.

Jenny Mc Bride sbuca dalla cucina con indosso un grembiule.

Al vedere Christian come sempre ha un grido di gioia, si pulisce le mani, lo abbraccia, lo bacia. Christian fa finta di essere imbarazzato.

«Sai Jenny, io e il mio amico qui, Paky…»

«Giorno, signora McBride!»

«Caio Paky! A casa tutto bene?»

«Si, signora, grazie»

«Allora, Christian, avete sete? Una coca?»

«Grazie, signora Mc Bride» dice Paky, e Christian gli rifila un’occhiataccia.

Jenny lo vede, sorride, gli chiede: «Tu non la vuoi Christian una bella coca cola fredda, con la cannuccia?»

La seguono in cucina. Sopra il frigorifero è accesa una piccola Tv nella quale si agitano i faccioni allegri dei Robinson.

Quando lei porge loro le due bibite, Christian dice: «Ecco, noi veramente siamo venuti a chiederti un piacere»

Jenny lo guarda incuriosita.

Ricorda ancora, e certo la ricorda anche lui, quella volta, molti anni prima, lui aveva non più di sette o otto anni, quando le chiese “un piacere”:

se poteva prestargli dieci dollari per dieci giorni.

Lei gli aveva risposto: mai prestare soldi agli amici, perdi i soldi e perdi l’amico. Te li regalo, i dieci dollari che ti servono.

«Basta che non mi chiediate soldi, ragazzi, perché questo mese sono in bolletta»

«Si tratta di fare una telefonata» dice Christian.

«Una telefonata? Ti serve il telefono?  E hai bisogno di chiedere?»

Paky fa un passo avanti: «Il nostro problema, signora Mc Bride, è che ci prendono per ragazzini e non ci dicono niente. Abbiamo fatto delle prove. Poi Christian ha detto: so io chi potrebbe fare per noi questa telefonata! E così eccoci qui!»

«Spiegatemi»

Christian tira fuori una rivista specializzata in videogiochi, la apre a una certa pagina e inizia a spiegare.

Dopo pochi minuti Jenny Mc Bride dice: «Ho capito».

Ci pensa due secondi. Le stanno chiedendo di mentire, fingere di essere un’altra persona.

«Ok» dice.

Si toglie il grembiule, scalcia le ciabatte, va nel ripostiglio-lavanderia-guardaroba,  quasi subito torna con in mano delle scarpe coi tacchi, se le infila in un istante, si ravviva i capelli,  spegne la tv e prepara un taccuino con la penna sul tavolo.

Quindi afferra la cornetta del telefono a muro dotato di cavo chilometrico.

Compone il numero stampato sulla rivista che Christian le regge, e inizia a camminare avanti e indietro.

Appena sente rispondere, si siede al tavolo davanti al taccuino, e accavalla le gambe.

«Buon giorno, mi chiamo Helena Pickwick, chiamo da Detroit per quel vostro annuncio sul Joystick Atari riservato ai distributori…»

«Si, ho un negozio di giocattoli e modellismo, cioè, mio padre, Jerome Pickwick, che però di videogiochi non capisce niente ma mi ha dato carta bianca, quindi mi interessano le condizioni che proponete, il materiale che fornite e…»

Per cinque minuti Jenny ascolta prendendo nota, scrivendo rapidamente nomi e numeri, limitandosi a dire dei «si» «chiarissmo» fino a chiudere con  un «è stato gentilissimo Dr.Necker, mi dia un paio di giorni per fare le mie valutazioni. La richiamerà io».

Quindi strappa dal taccuino il foglio fitto di annotazioni e lo allunga a Christian.

* * *

«Signor Pickwick, io e il mio amico Paky siamo clienti del suo negozio di giocattoli e modellismo da almeno dieci anni»

L’espressione di Christian è molto compita.

Come tutti i ragazzini del quartiere, lui e Paky quando erano più piccoli hanno passato interi pomeriggi a sognare davanti alle quattro vetrine di PW Toys.

«Mi ricordo di voi due!» ribatte subito il vecchio signor Pickwik, scrutandoli arcigno da sopra gli occhiali.

C’è qualcosa di ostile nella sua espressione?

Ora Christian è colto dal dubbio che  il vecchio si ricordi di quella volta che gli hanno rubato due modellini di Harley Davidson.

Erano convinti di averla fatta franca, ma per un bel pezzo non avevano più avuto il coraggio di entrare nel negozio con la solita frase “possiamo guardare?”.

«Noi vorremmo chiederle ….»

«Se avete in mente di chiedermi di farvi credito, ragazzi, ve lo dico subito: capitate al momento sbagliato!»

Da almeno un paio d’anni Jerome Pickwick sta lottando con tre voci che gli risuonano in testa: quella della sua coscienza, quella di sua figlia Helene, e quella del suo commercialista.

“Devi chiudere, Jerome” gli ripetono tutti e tre in coro.

Da quarant’anni manda avanti l’attività iniziata da suo padre nel 1938, con un piccolo laboratorio-negozio dove produceva e vendeva automobiline e soldatini di latta e di legno, a basso costo, per i figli degli operai dell’industria automobilistica che in quegli anni producevano carri armati e cannoni.

Lui a differenza di suo padre non era mai stato un artigiano, ma un commerciante: a partire dal dopoguerra, aveva ingrandito due volte il negozio, e per due decenni il “PW toys”, nell’epoca trionfale dei giocattoli di plastica, aveva reso bene.

Era nata Helene, ma lui avrebbe voluto un maschio, perché non aveva intenzione di trasformare PW Toys in un negozio di bambole.

Quando Helene era ancora  piccola, era rimasto vedovo.

Poi era iniziato il declino.

I grandi centri commerciali potevano permettersi prezzi per lui impensabili.

Per alcuni anni era stato il settore modellismo a tenerlo a galla.

Ora PW Toys era un vecchio negozio di quartiere, in perdita, destinato a chiudere.

«Non abbiamo intenzione di farle perdere soldi, signor Pickwick, ma di farglieli guadagnare»  dice Christian.

Paky gli mette sotto il naso la rivista: «Abbiamo avuto un’idea».

Il sessantaquattrenne Jerome Pickwick butta un occhio all’annuncio che i due ragazzi gli sottopongono, ma appena capisce di cosa si tratta, restituisce la rivista.

«Niente da fare, ragazzi, non tratto questa roba»

«Questa roba è il futuro, signor Pickwick»

«lo so ragazzi, avete ragione, ma io non ci capisco niente di videogiochi, come faccio a vendere qualcosa che non conosco, che non mi piace? Non posso! E non ho alcuna voglia alla mia età…»

«Lo sappiamo. Proprio per questo siamo qui. Lasci che le spieghiamo la nostra idea. Ci impiegheremo sette minuti, se non ci interrompe»

Jerome Pickwick sorride.

«Come forse saprà, la Atari sta rivoluzionando il settore dei videogiochi. Con l’arrivo della nuova consolle dotata di Joystick il mercato dei videogiochi domestici avrà una crescita esponenziale. Ora stanno lanciando una grande operazione commerciale per entrare in tutti i negozi di giocattoli e modellismo…»

«So già tutto ragazzi, e ho già mandato via almeno tre rappresentanti, oltre a una serie di vostri coetanei che volevano prenotare questo nuovo giò-stick o come diavolo si chiama…»

Christian capisce che è giunto il momento per sparare un’altra delle frasi che si è preparato: «Noi sappiamo qual è il suo problema, e siamo qui per risolverlo».

«Il punto chiave della strategia promozionale Atari è la visibilità. Per questo offrono ai dettaglianti merce in conto vendita, materiale da vetrina, espositori, poster, e soprattutto una postazione di gioco completa, a disposizione del pubblico, per provare il nuovo Joystick»

«L’idea è questa» interviene Paky «ci occuperemo di tutto noi, la vetrina, la vendita, e soprattutto la postazione: uno di noi due, o entrambi, saremo qui ogni pomeriggio, e dal mese prossimo, finita la scuola, tutto il giorno, a disposizione dei clienti che vogliono provare il nuovo sistema, li faremo giocare con la consolle e con i nuovi videogiochi… »

«Ne venderemo una caterva» prosegue Christian «lei devo solo metterci a disposizione la vetrina su Main Road, e una piccola zona del negozio che chiameremo settore videogiochi, dove piazzeremo la postazione di gioco. Senza dover fare niente, e senza rischiare niente, le garantiamo un aumento costante degli incassi…»

Il signor Pickwick vorrebbe scoppiare a ridere, ma si trattiene, e sta al gioco.

Con serietà, chiede: «E cosa vorreste in cambio?»

Christian alza le spalle come se la risposta fosse ovvia: «Il 50% dell’utile sul fatturato del settore “videogiochi”»

«Siete fuori dal mondo, ragazzi. Avete idea delle spese che ho? E le tasse? Ammesso che riusciate a convincermi a fare una pazzia del genere, il massimo che posso riconoscervi è una provvigione sulla vendita, diciamo tra il 10% e il 20%»

«Trenta» dice Christian «consideri tutto il lavoro che faremo per curare la vetrina, allestire la postazione, e promuovere il prodotto nelle scuole, con il passa parola»

«Facciamo il venticinque, allora, non un dollaro in più»

Paky guarda Christian.

«Affare fatto» dice Christian.

Il silenzio cala nel grande negozio.

«C’è un problema, voi siete troppo giovani per incassare delle percentuali sulle vendite»

«Abbiamo fatto i quindici anni, può farci un contratto da apprendisti non pagati»

«E la vostra percentuale?»

«Cash sul venduto ogni sera, quando chiude la cassa»

Jerome Pickwick adesso riflette. Pochi giorni prima al centro commerciale ha visto di persona la folla di ragazzini che assediava il corner promozionale della Atari, e i genitori in coda alla cassa.

«Fra tre mesi, se non sarà soddisfatto, potrà sempre rimandare tutto indietro alla Atari senza aver speso un dollaro»

Per la prima volta da molto tempo, al posto delle voci “devi chiudere!” dentro di lui si leva una voce che non sentiva da decenni.

La voce di suo padre. “Provaci, Jerome!”.

Severo, dice: «Voglio vedere i vostri genitori, e avere la loro autorizzazione»

* * *

Helen Pickwick è la classica ragazza annoiata, insoddisfatta, viziata, con la puzza sotto il naso, che disprezza l’ambiente in cui è cresciuta, ossessionata da frasi come sto buttando via la mia vita e voglio andarmene da questa città di merda.

Ha quasi trent’anni, e diversi tentativi fallimentari alle spalle.

Seguendo questo o quel principe azzurro, ha vissuto a New York, a Los Angeles, è stata tre mesi in Europa, un mese in India, ha provato le droghe, il sesso estremo, l’anoressia, gli psicofarmaci e ha fatto parte di una setta new-age.

E ogni volta, alla fine, è sempre tornata a casa, dove suo padre la chiama ancora “stellina” come quando aveva cinque anni.

Appena appresa la novità del “reparto videogiochi”, ha reagito male, e senza degnare di uno sguardo i due quindicenni che suo padre si è tirato in negozio è andata dritta a fare due chiacchiere con Donald, il commercialista di famiglia, il ritratto dell’americano affidabile, quarantenne, sposato, abbronzato, capelli a spazzola, padre di due figli e profondamente porco, come lei stessa ha sperimentato più volte.

Era sicura di avere il suo appoggio per far cambiare idea a suo padre, ma Donald le ha spiegato chiaramente che nonostante da un anno lui pubblichi, a insaputa del vecchio, un’inserzione per vendere il negozio, ancora nessuno si è fatto avanti seriamente.

E quindi, qualsiasi iniziativa prenda il vecchio per rendere più appetibile il negozio, e magari ridurre le perdite, purché non comporti spese, è da approvare.

Dopo i primi approcci freddi, il ghiaccio si è rotto quando i due ragazzini con le mani dietro la schiena le hanno confessato, supplicando il suo perdono, e spiandole il seno, di aver usato il suo nome per chiamare l’ufficio commerciale della Atari.

Ora lei, come fa svogliatamente un paio di pomeriggi la settimana, è nel piccolo ufficio in fondo negozio, ricavato utilizzando gli scaffali come pareti divisorie.

Mentre controlla e mette in ordine le fatture, ascolta distrattamente le chiacchiere che i due sbarbatelli fanno al di là del divisorio, dove hanno appena finito di allestire la postazione Atari.

Li trova divertenti, e siccome loro non sanno che lei è lì, sta vagamente pensando di metterli in imbarazzo, rivelando la sua presenza al momento opportuno.

* * *

«A me sembra una figata, Christian!»

La voce di  Paky è concitata. Da due anni aspettavano questo momento.

Finalmente, nella postazione promozionale appena montata nel negozio, stanno provando il nuovo joystick.

Alla guida di due Jeep Wrangler identiche stanno affrontando a velocità folle un’impervia mulattiera di montagna che corre a strapiombo su un profondo canyon.

«Sembra una figata, ma è solo una mezza figata» dice Christian.

I suoi  occhi sono incollati ai fanalini di coda della Jeep guidata da Paky. Il  tracciato è accidentato e irto di ostacoli, sorpassare è un azzardo.

Nei brevi rettilinei Paky perfidamente gli lascia spazio sul lato strapiombo sperando che l’amico tenti il sorpasso per poi scaraventarlo di sotto con un colpo di sterzo ben assestato.

Ma lui non ci casca e resta incollato alla scia di Paky in attesa del varco giusto sul versante a monte.

Poi Paky, nell’affrontare una stretta curva a sinistra, quando si trova esattamente a centro curva, con Christian che lo tallona a ruota, invece di aprire il gas, pianta una frenata improvvisa, e all’accendersi inaspettato delle luci di stop, Christian è colto di sorpresa.

D’istinto tira il joystick completamente verso di sé.

Mentre la Jeep di Paky dopo una leggera scodata riprende subito il controllo e la traiettoria, lui perde aderenza, sbanda, urta la parete rocciosa, va in testacoda e nonostante tenti inutilmente di tenere la Jeep in carreggiata controsterzando, precipita nello strapiombo.

La Jepp si schianta con uno splash nelle acque verdi del fiume che scorre in fondo al canyon.

Il pilota-Christian sguscia dall’abitacolo e inizia a nuotare, ma dopo poche bracciate è raggiunto da tre coccodrilli che in tre morsi – gambe, bacino, testa – lo divorano per intero. Una chiazza rossa si allarga sull’acqua fino a occupare tutto lo schermo.

A caratteri cubitali compare la scritta GAME OVER.

Christian molla il joystick.

«Capisci Paky? Il problema non è il joystick, il joystick è precisissimo. Il problema è il polso»

« A parte il fatto che io ho più polso di te, amico mio, cosa intendi? »

«Intendo dire che il polso umano non è il terminale di comando ideale»

«Può darsi che tu abbia ragione, Christian. Ma non riesco a immaginare cos’altro si possa usare per manovrare tutto  quello che vuoi esattamente come fosse il tuo uccello»

Christian sorride maliziosamente: «Io invece credo che per far funzionare l’uccello ci sia una periferica più performante del polso. Si chiama F-I-G-A»

Paky ride: «Bella battuta, amico mio, però non ti seguo, »

«Ragiona, testa di zenzero. Siamo due scienziati del cazzo, sappiamo tutto sul nostro cazzo-joystick, ma non sappiamo quasi un cazzo sulla periferica di controllo che ci interessa veramente: la figa!»

«Vai avanti professor Darwin, sento che stai per fare un ragionamento scientificamente interessante»

Christian sorride: «è solo un’ipotesi di ricerca, una supposizione priva di verifiche sperimentali. Ma immagino che nella figa delle donne ci siano sensori di controllo molto sofisticati, che dovremmo imparare a manovrare»

Christian pensa alla signorina Lewis.

Paky dice: «Nella figa l’unica manovra da fare è dentro-fuori, su-giù, anche un joystick senza connessione andrebbe bene, se abbastanza grosso  e duro»

Christian lo degna di uno sguardo di commiserazione: «Sbagli completamente approccio, Paky. Lascia perdere il tuo divino micro-uccello salsiccia alla cannella. Pensa a quello che fanno le donne per i cazzi loro, quando non hanno un uccello a disposizione. Hai presente la copertina di Hustler del mese scorso?»

«Ce l’ho stampata in testa, amico mio. Intendi quella specie di massaggiarsi la figa bagnata col polpastrello del dito?»

«Se fai bene attenzione ai particolari, Paky, vedi che non si massaggia la figa vera e propria, ma qualcosa appena sopra»

«Uhm, e allora?»

«E allora vorrei capire il tipo di controllo digitale che hanno le donne nel farsi una sega »

«Si chiama ditalino»

«Chiamalo come vuoi Paky, ma vorrei sapere come funziona. Il cazzo funziona come un joystick, si manovra di polso, zum-zum, ma la passerina? Ci dev’essere un sistema di controllo là sotto, altrimenti, se bastasse un qualsiasi contatto, non potrebbero andare in bicicletta senza entrare in orgasmo multiplo!»

«E chi ti dice che non sia così? Hai mai notato come pedalano a volte, a gambe strette, strusciandosi le cosce e sedute in punta sulla sella?»

Paky ha appena finito di parlare quando dall’altro capo del negozio il vecchio lancia una voce:

«Stellina! Fai tu la chiusura?»

I due amici ammutoliscono. Da dietro lo scaffale vedono comparire la figura di Helena.

* * *

«Si, papà, vai pure, ci penso io»

Il signor Pickwick esce di fretta, e li saluta con un cenno dalla vetrina prima di tirare giù le saracinesche.

Helene attraversa il negozio, chiude la porta a chiave, quindi torna verso di loro.

«E così vorreste sapere come funziona la passerina?»

Il primo a reagire è Christian. Senza parlare, annuisce muovendo rapidamente la testa su e giù.

Helene fa un passo avanti, e si siede gambe penzoloni sull’alto bancone davanti a loro.

«Avvicinate i vostri sgabelli» dice, e Christian e Paky trascinano rumorosamente i loro bassi sgabelli in avanti fino a ritrovarsi seduti a mezzo metro dalle sue ginocchia.

«Ascoltate, e guardate, ma non provate ad allungare le mani per nessun motivo, ok ragazzi?»

Ricevuto l’ok, lei dapprima solleva le ginocchia puntellando i talloni delle sue Reebok bianche sulle maniglie dei cassetti.

Poi alza l’ampia gonna estiva, e lentamente spalanca le gambe.

Indossa mutandine bianche.

Semplicemente scostandole con la mano, mostra loro qualcosa che non hanno mai visto né immaginato.

La sua “passerina” è totalmente depilata, come quella di una bambina.

Christian con movimento impercettibile avvicina la testa. Nel vederla toccarsi Paky inizia a sudare.

«Queste si chiamano grandi labbra, e queste sono le piccole labbra».

Lascia andare le mutandine. Quindi se le abbassa da sopra.

«E questo è il clitoride»

Christian e Paky osservano quello che pare a tutti gli effetti un pene in miniatura di cui non si sarebbero mai sognati l’esistenza.

«La cosa più importante, per fare un ditalino, è la condizione psicologica ed emotiva. Dovete imparare prima di tutto a fare in modo che la vostra compagna si rilassi, mostrandovi sicuri, fluidi, e non impazienti,  con carezze, baci, con calma, prima al viso, poi, alle spalle, alla schiena, alle cosce, ma non troppo in alto. Non dovete mostrare di avere fretta… anche se c’è qualcosa che vi scoppia nei jeans»

Compiaciuta, nota il rigonfiamento sulla patta dei suoi due spettatori.

«Quando sentite che lei si sta rilassando, e non reagisce irrigidendosi ad ogni vostro tocco, ma assecondandolo, inizierà la seconda fase, l’eccitazione: comincerete a sfiorarle il seno, continuando a baciarla,  prima sotto, poi intorno ai capezzoli, che diventeranno duri e sporgenti.

A quel punto porterete una mano sotto, le farete una carezza molto leggera sopra le mutandine, mi raccomando, mai infilare la mano subito sulla “passerina”.

Ci arriverete poco per volta, passando delicatamente il dito sulle grandi labbra come sto facendo io. A questo punto potete trovarvi davanti a due scenari diversi.

Se la passerina è secca come il lago salato, non insistete con sgrillettamenti furiosi che sarebbero solo fastidiosi.

Piuttosto, infilatevi il dito in bocca – così –  insalivatelo bene, e riprovate.

Quando la passerina è umida, potrete cominciare a massaggiarle il clitoride, molto delicatamente, con movimento rotatorio, in questo modo»

«Lei inizierà ad avere il respiro affannato, eccitata. E’ il momento per la terza fase, il ditalino vero e proprio.

Porterete il pollice sul clitoride, col palmo della mano rivolto verso la passerina, e le infilerete dentro il medio, assicurandovi in precedenza di non avere le unghie troppo lunghe, o spezzate, o sporche.

Una volta inserito, inizierete a muoverlo fino a quando sentite la vagina sempre più morbida e umida.

Quindi inserirete un secondo dito, l’anulare, e quando entrambi saranno dentro, li intreccerete tra loro, muovendoli, non verso il collo dell’utero, ma cercando di raggiungere un punto dietro il clitoride, che nel frattempo continuerete a sfiorare col pollice, così»

«Ora sentite che le vostre dita toccano qualcosa di vivo, della consistenza di una caramella gommosa. Non vi spaventate: è il punto g, siete arrivati a destinazione»

Allibiti, Christian e Paky osservano Helena infilarsi tra le gambe tutte e quattro le dita, mentre il pollice, da fuori, continua a muoversi sul clitoride.

Ora ha gli occhi chiusi, il suo bacino sussulta sul bancone, e in rapida sequenza emette tre brevi grida acute.

Quindi toglie le mani, e la mutandina torna al suo posto.

Si appoggia indietro ed espira.

Le gambe sono sempre spalancate, le apre e chiude quasi come dovesse ventilarle.

«Mi raccomando, quando sentite che lei sta venendo o è appena venuta, resistete alla tentazione di saltarle addosso e infilarle il pistolino. Lei ha raggiunto l’orgasmo, e ha bisogno di relax. La sega che vi farete a casa sarà molto più appagante»

Christian osserva la mutandina, adesso c’è una chiazza umida.

«Posso annusare?» dice.

* * *

Alla fine  del primo mese, quando ha visto gli incassi, Helena dice  loro: «Sedetevi sul bancone. Vi meritate un bel pompino».

Tre mesi dopo, il “reparto videogiochi” realizza da solo il 70% degli incassi totali di PW Toys, che sono triplicati, e in aumento costante.

Con le loro “percentuali” Christian e Paky stanno mettendo da parte un piccolo gruzzoletto.

«Signor Pickwick, abbiamo avuto un’altra idea»

«Ci sono delle cose che vorremmo fare»

«Quella parte di magazzino che non usa, quello che una volta era il negozio di suo padre, pensavamo di farci un laboratorio dove produrre roba nostra»

«Versioni customizzate dei giochi, periferiche sperimentali, modificate, prototipi, piccole produzioni artigianali da vendere col marchio PW Toys»

«Ormai Helena  sa tutto dei prodotti standard ed è meglio di noi nell’accalappiare i clienti in negozio e pare che le piaccia»

«In questo modo Paky potrebbe dedicarsi alle cose che sa fare meglio, è un vero talento nel trasformare le mie idee in cose che funzionano»

«io invece andrò in giro a cercare di piazzare i brevetti PW Toys alle grandi compagnie»

«un buon brevetto può essere pagato anche 2 o 300.000 dollari. L’idea sarebbe dividere in tre parti ogni introito, io, lei e Paky»

«Sono nelle vostre mani, ragazzi! E sappiate che vi perdonato»

«Ci ha perdonato?»

«Per quella volta che avete rubato due modellini di Harley-Davidson»

* * *

Christian è spazientito. Gli hanno ingessato il polso. Si è rotto lo scafoide scivolando banalmente e mettendo male la mano a terra.

L’ingessatura del polso gli lascia liberi giusto i polpastrelli delle dita. Impossibile afferrare, e usare il joystick.

«Cazzo, Paky, ci vorrebbe un Joystick speciale, che funzioni usando solo il polpastrello del pollice, come il clitoride di Helene!»

Paky ride, poi alza gli occhi dal circuito stampato su cui sta lavorando e fissa l’amico: «Cos’hai detto Christian?»

«Che mi servirebbe una periferica di controllo manovrabile usando solo i polpastrelli, senza bisogno di stringere la mano o ruotare il polso»

Paky lo guarda impassibile, ma Christian sa che il suo cervello sta lavorando a mille. E improvvisamente capisce.

«La figa di Helen!» esclama, e comincia a muovere i polpastrelli di pollice, indice e medio.

Paky sorride. Dice: «Esatto! Il pollice può comandare il movimento del cursore-clitoride, mentre il medio e l’anulare comandano i pulsanti-punto g. Si tratta di inventare un joystick-figa che stia nel palmo della mano esattamente come la figa di Helene»

«Cazzo, cazzo, anzi, figa, sei un genio Paky! Anzi, no, io sono un genio!»

«Non sarà facile»

Senza saperlo, hanno appena avuto l’intuizione alla base della tecnologia dalla quale sarebbe derivata la nuova periferica di controllo digitale, destinata non solo a sostituire il joystick e ad equipaggiare le consolle videogiochi del futuro, tipo PlayStation, ma a dare vita all’innovazione decisiva del personal computer: il mouse.

«Ha ragione Helene! E’ la figa che comanda il mondo oggi, non il cazzo! Il joystick è nato vecchio, te l’ho sempre detto, Paky! Devi mollare tutte le altre stronzate, e buttarti su questo»

«Non so, Christian. Probabilmente in questo momento ci sono intere equipe di ingegneri che stanno lavorando su un’idea del genere, nei centri di sviluppo della Atari o della Nintendo. Magari passerò i prossimi sei mesi rinchiuso qui dentro a sviluppare il prototipo, e quando ormai siamo in dirittura d’arrivo ecco che in televisione danno un servizio sul nuovo controller Atari»

«Può darsi, ma noi li fotteremo, Paky. Fotteremo sia Atari che Nintendo, oltre che intere legioni di belle fighe!»

* * *

FINE CAP3 . PROXIMA PUBLICATIO MAR23 APRILE

2 thoughts on “the male code cap 3

  1. Avete un gran bel blog qui! Sareste disponibili per uno scambio di post? parlo di guest blogging… ho un blog che tratta di argomenti simili, vi ho inviato una mail per scambiarci i dati. Grazie ancora!

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