al volante della macchina da scrivere

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vechciopat4

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si, d’accordo, ero distratto, ho bruciato lo stop,

e il tizio ha dovuto fare un’inchiodata al limite,

l’ho visto fremere, agitarsi, infuriarsi, bestemmiare,

così mi sono scusato con la mano, ma lui mi si è affiancato con rabbia,

urlandomi testa di, vai a fare in, vai a prenderlo in, poi mi ha superato,

e allora ho visto l’adesivo sul lunotto: vettura di cortesia;

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gli occhi delle macchine una volta erano enormi, rotondi, spesso tristi,

poi rettangolari, inespressivi, e quindi trapezoidali, ammiccanti,

oggi potrebbero essere piccolissimi, quasi invisibili, ma poi l’auto

sembrerebbe cieca, e allora si sono rimessi a farli grandi, come occhi;

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lo psicanalista junghiano al bar mi parlava di regressus ad uterum,

l’abitacolo dell’auto come bozzolo, cuccia, cocoon, ventre materno,

io intanto pensavo alle tette da balia, che non si vedono più, le tette da latte;

poi lui ha finito parlando di “uomini avvinghiati ore e ore dentro gusci di latta”

e io, serio: “ha ragione, dottore, abbiamo sempre bisogno di essere allattati”;

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usare la BMW cabrio della fidanzata Bergamo Bene come fosse mia,

potevo anche accettarlo, ma indossare quelle ridicole Car Shoe suole puntinate che quell’anno erano un must, questo no, e mentre discutevamo, ed eravamo

a un tavolino della Marianna, ecco arrivare rombando una Ferrari cabrio,

e un biondo al volante che balza fuori atletico: è Claudio Caniggia, a piedi nudi!

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da decenni il vecchio parroco non si muoveva dal paesino, quel giorno

lo accompagnai a Milano in macchina, e sulla A4, vedendo un furgone di edili superare furiosamente a destra un’auto blu, mi disse: magut non è dialetto,

Mag-Ut è latino, è “magister ut” abbreviato, colui che sa e fa di più, un maestro,

mentre il ministro, “minister ut”, è quello che sa e fa il minimo, cioè un Min-Ut;

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a volte fanno swish swish, a volte flap flap, a volte scretch scretch, i tergicristalli

sembrano tutti uguali, ma sono tutti impercettibilmente diversi, e costosi,

cambiarli è facilissimo, una mollettina e una forcina, un lavoro da un minuto,

ma dopo mezz’ora di bestemmie torni là, e il benzinaio sorride, ti aspettava;

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correre nel corridoio del treno in partenza, in direzione contraria alla marcia,

e salutare una persona attraverso i finestrini, che diventano fotogrammi, e così uscire da una stazione e da una città come da un film, e iniziarne un altro;

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in accelerazione ti senti leggero, lasci tutto alle spalle, l’origine, il passato,

ma è soltanto in certe frenate al limite che fai il pieno di adrenalina

e percepisci la concretezza drammatica della relazione tra te e il mondo;

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vogliamo cantare la velocità, inneggiare all’uomo che tiene il volante,

disprezzare la donna, esaltare l’insonnia, distruggere i musei e le biblioteche:

zitto zitto il Manifesto di Marinetti, e non quello di Marx, è diventato realtà.

(tratto da “Breviario di un vecchio patentato”, fotoromanzo d’autore, testi by Leone Belotti foto by Virgilio Fidanza, edito da Lubrina a margine della mostra “Mezzo corpo immagine” in corso a Brescia, Wavegallery. Prezzo di copertina €20, alcune copie autografate ancora  disponibili in Calepio Press, contact info@calepiopress.it) 

i Leoni e la Morla

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bergamo_da_torre_galgario_1840

Settimana scorsa un cane fifone di nome Leone che stava annegando nella Morla è stato salvato da due vigili veramente tali:

il cane Leone, meticcio anziano, sfuggito al padroncino, in cerca di refrigerio per la gran calura, saltava nella Morla e non riuscendo più a risalire l’argine, andava in affanno.

Ormai stremato, veniva salvato da due vigili urbani che con prontezza di spirito si calavano nella Morla e utilizzando un telo riuscivano a issarlo in salvo, per la gioia del suo padroncino (e di tutti noi).

Non è la prima volta che la Morla si rivela fatale ai Leoni.

Dalle cronache di Bergamo:

1840 notte d’estate, lo studente d’arte Leone Mazzoleni, solito  arrampicarsi sulla Torre del Galgario per disegnare vedute della città, di ritorno nottetempo al proprio studio, forse alterato dal vino, scivolava nella Morla battendo il capo su una pietra, e annegava in mezzo metro d’acqua.

1932 notte d’estate, l’ardito Leone Palazzi, proveniente dal Galgario, appena superata la Morla, per cause non accertate (forse l’improvviso attraversamento di un cane) perdeva il controllo del mezzo e moriva “per fatale incidente motociclistico” (come recita una lapide tuttora visibile in via Galgario, sul muro di cinta della Questura, all’altezza del bar Oasi)

1973 sera d’estate, il bambino Leone Belotti, addentratosi per dimostrare il proprio coraggio nel tratto sotterraneo della Morla all’altezza di via Bono, perdutosi nei cunicoli, assalito dai ratti, frastornato, veniva infine tratto in salvo in zona Galgario da Don Leone Lussana, oggi parroco di Torre Boldone.

Morale della storia: il tratto Morla-Galgario, nei pressi  dell’ufficio extracomunitari della Questura e del bar Oasi, dovrebbe recare un cartello con la scritta: hic sunt leones.

(imago: la Morla vista dalla torre del Galgario, 1840)

ira madonnae

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Cucchi-638x425

et ego ero eis quasi leaena


sicut pardus iuxta viam insidiabor


occurram eis quasi ursa raptis catulis


et dirumpam claustrum cordis eorum


et consumam eos ibi quasi leo

bestia agri scindet eos

ed io per loro sarò come una leonessa, in agguato come un leopardo,

li affronterò come un’orsa cui hanno rapito i cuccioli, e sbranerò loro il cuore, li divorerò e li farò a pezzi come una cagna rabbiosa.

(Bibbia, Antico testamento, Libro di Osea, 13, 7-8

Imago: Ilaria Cucchi, “tutti assolti i responsabili della morte in carcere del fratello”)

pubblicità ingannevole

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VIAGGIARE GRANDE

ecco una tipica pubblicità apparentemente innocua, che certo non pone alcun problema al garante che vigila sulle pubblicità ingannevoli:

è ritenuta ingannevole una pancera dimagrante che promette di togliere 5 centimetri alla mia pancia, qualora si possa dimostrare che me ne toglie solo 3 o 4,

non è ingannevole un aeroporto che con disinvoltura promette “la libertà” al popolo, nella certezza, tipica di tutti i regimi, che “la libertà” sia un bene astratto, e dunque non misurabile,

in realtà, lo slogan aeroporto-libertà, è cento volte più ingannevole delle pancere dimagranti, perché dice il falso su qualcosa che è cento, mille volte più importante della mia pancia,

che l’aeroporto-libertà sia una falsa promessa lo capiscono tutti, ma non importa a nessuno, tranne agli uomini liberi, che si rivoltano nella tomba,

e sono una folla pronta a testimoniare: la libertà non è un volo a basso costo, dicono, la libertà è un’altra cosa, la libertà è volare alto, e a carissimo prezzo,

mi limito a citarne due indiscutibilmente autorevoli:

la libertà non è il volo di un moscone, libertà è partecipazione (Gaber)

libertà va cercando, ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta (Dante)

a questo punto il garante, e il lettore, sorriderà: è vero, la libertà è qualcosa di più di un aeroporto, ma non per questo possiamo vietare all’aeroporto di vantare la propria libertà, dal momento che c’è… la libertà d’espressione!

e qui casca l’asino, e anche il jumbo, perchè la libertà d’espressione oggi è questo:

se un’azienda, come ad esempio la Sacbo-aeroporto,  pagando sia chi scrive che chi pubblica, utilizza in maniera “falsa e ingannevole” per motivi volgarmente commerciali parole sacre, di proprietà pubblica, come “libertà”, non compie alcun tipo di reato, non danneggia nessuno, non deve risarcire nessuno;

invece io, che a titolo gratuito e personale, senza altra finalità che quella di esprimere liberamente un’opinione su una questione d’interesse pubblico, scrivo che “Sacbo dice il falso, e fa pubblicità ingannevole”

vengo facilmente denunciato per diffamazione (specie se sono un giornalista!) e facilmente condannato a risarcire il “danno d’immagine” (specie se il loro avvocato vale – e costa! –  100 volte il mio);

è così che funziona, e intanto il vero danno d’immagine, il buco nero prodotto nell’immaginario, nella coscienza collettiva da queste “pubblicità facili”, non viene mai riconosciuto, né risarcito.

la palestinese scomparsa in curia

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…e si meravigliarono che stesse parlando con una donna…” Giovanni 4,27

Va bene, parliamo seriamente di femminicidio.

Il primo femminicidio l’hanno compiuto i Padri della Chiesa  qualche secolo dopo Cristo,

quando hanno stabilito quali fossero i vangeli ufficiali, da divulgare, e quali apocrifi, da censurare: ovvero tutti quelli dove si dava (troppo) risalto alle figure femminili, al libero amore (praticato dalle prime comunità cristiane) e soprattutto a Maddalena, la compagna di Gesù, puttana e santa: da quel momento il destino della donna è  puttana o santa.

Più di mille dopo, parallelamente alla rivoluzione scientifica, la Chiesa compie il grande femminicidio, la caccia alle streghe,

estirpando di fatto non solo tre generazioni di donne “emancipate” (o mai sottomesse) ma una cultura orale femminile che si era tramandata per secoli (alternativa, medicina naturale, non commerciale, non gerarchica, sessualmente libera)

in favore del monopolio maschile della medicina e della tecnica, e di una cultura scritta, gerarchica e sessuofobica.

Quello che fanno le donne è magia, alchimia, astrologia, superstizione.

Quello che fanno gli uomini è tecnologia, chimica, astronomia, scienza.

Le donne fanno l’amore (puttane), gli uomini fanno la guerra (santa).

Gli uomini diventano famosi abbattendo nemici, le donne no.

L’unica possibilità per una donna di passare nei libri di storia è il martirio (o il marito).

Cercando nella storia di Bergamo una donna da mettere in copertina per la capitale della cultura, non si trovano che donne uccise in quanto donne, e fatte sante,

un femminicidio senza fine, le donne vengono “uccise” e poi santificate dalla Chiesa,

a cominciare da Maria Maddalena, la compagna di Gesù, allontanata dai discepoli, censurata nei vangeli, scomparsa dalla storia, le reliquie trafugate, quindi portate dai Templari a Senigallia nel 1200. E poi il mistero.

Ho affrontato questo discorso con un vecchio monsignore.

Gli ho detto: in 2000 anni di storia di Bergamo non abbiamo una donna, e  la colpa è vostra.

Mi ha mandato a consultare i registri pastorali della Diocesi nella biblioteca Angelo Mai. Certe cose sono sfuggite anche a Dan Brown mi ha detto.

La scoperta filologica-scoop era esattamente dove mi ha indicato il monsignore: archivio Colleoni-Martinengo:

papa Sisto V anno Domini 1475, visita pastorale a Romano di Lombardia dove sono custodite le reliquie di S. Maria Maddalena, trafugate in Senigallia da Bartolomeo Colleoni nel 1444, e donate alla comunità bergamasca.

Alla fine l’abbiamo trovata la donna da copertina, il simbolo della femminilità rimossa.

Riposa in pace, Maddy, è bello sapere che sei sempre stata qui, nella capitale della cultura maschile.

(Leone Belotti, editoriale per CTRL magazine Luglio 2013, imago: Studio Temp, prove di copertina )

il caso del prefetto

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Antonio Navagero, l’ex prefetto di Bergamo ritratto dal Moroni

è un chiaro esempio di caso obliquo:

come tutti sanno, il caso è una categoria grammaticale e indica la funzione di una parola in una frase (e quindi di un fatto in un contesto, o di un prefetto in una provincia)

più precisamente, etimologicamente, il caso è una caduta, e indica  il modo in cui una parola (o un fatto, o un prefetto) cade nella frase, se in modo retto rispetto all’azione (come oggetto o soggetto della stessa) o in modo obliquo, storto, trasversale, diversivo, aggiuntivo, nei paraggi, nei dintorni, suppergiù,

i casi retti sono tre: il nominativo (è il caso del prefetto),  l’accusativo (prendi il caso del prefetto), il vocativo (oh che caso il prefetto!);

i casi  obliqui sono tre: il genitivo (parliamo del caso del prefetto)

l’ablativo (nel caso del prefetto) e il dativo (fa al caso del prefetto):

il caso del prefetto,  basta guardarlo, è un caso sicuramente dativo, con un quid in più, dato dall’imprecisione della caduta semiologica, con susseguente ambiguità semiotica, sempre fonte di senso nuovo e duraturo:

non a caso, nel nostro caso, si dà il caso che proprio da questo caso tragga origine l’usanza dei sindaci delle città di indossare di traverso la fascia tricolore, a indicare l’antica obliquità della carica.

(Il caso del prefetto ritratto dal Moroni, attualmente, dovrebbe essere in qualche scantinato  a Brera,

ma si vocifera che possa essere presto ripescato come nuovo logo della città di Albino,

che ha bandito un concorso per Albino – la città dei Moroni,

e in un futuro prossimo acquistato da Palazzo Frizzoni, se, come si dice, il prossimo sindaco di Bergamo, 500 anni dopo Navagero, ricadrà in caso obliquo)

se Telecom ha l’alzheimer

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gandhi

(mentre gli preparo la cena, Il signor Dante A., 93 anni, intende dimostrarmi la sua teoria sui disturbi della memoria come malattie di origine sociale, causate dai mass media e dall’eccesso di informazioni “cretine” che cancellano la memoria personale)

La mia vera solitudine, non è fisica, ma psicologica,

io non mi angoscio per il mio alzheimer, ma per l’alzheimer di massa,

i primi malati di alzheimer in Italia sono le grandi istituzioni e le grandi aziende,

ti ricordi il Gandhi Telecom immagina il mondo di oggi se avesse potuto comunicare così?

oggi Telecom è in crisi, lascia a casa 5000 persone in Italia, paga 2 euro l’ora gli schiavi dei call center nell’est, e per svenderla ai cinesi di vuole la banca SachsmannGold,

io ti dimostrerò che Telecom ha da anni grossi problemi di alzheimer, di memoria e coscienza storica,

già nella Telecom-Gandhi c’erano due evidentissimi sintomi di grave alzheimer mediatico.

Il primo: se oggi viviamo nel più violento dei mondi possibili, è proprio perchè si può comunicare così!  La dittatura globale, le riunioni oceaniche di folla e la loro trasmissione audio e video, come tutti sanno, non le ha inventate nè Gandhi nè la Telecom, ma Mussolini: e questo è pacifico.

Il secondo: invece di immaginare cosa avrebbe detto Gandhi, sarebbe meglio ricordare cosa disse realmente Gandhi, quando ebbe la possibilità di comunicare così, e invece del testo cucito su misura dai pubblicitari Telecom, utilizzare le dichiarazioni ufficiali rese da Gandhi alla stampa internazionale in occasione della sua visita a Roma, nel dicembre 1931,

io allora vivevo a Roma, ed ero un undicenne e fascistissimo Balilla, e quel giorno della visita di Gandhi alla Legione Caio Duilio me lo ricordo come fosse oggi, e ne conservo i ritagli di giornale. Gandhi disse esattamente:

L’attenzione ai poveri, lo sforzo per una coordinazione tra il capitale e il lavoro, l’opposizione alla superurbanizzazione.

Ciò che mi colpisce, dietro l’implacabilità, è il disegno di servire il proprio popolo.

Mussolini è un superuomo. Alla sua presenza si viene storditi.

Capisci? No, non capisci! Occorrerebbe un intero corso di storia per farti capire un solo spot, e ne vedi duecento al giorno!

La pubblicità, soprattutto quella che sembra intelligente,  giorno dopo giorno cancella la memoria storica, e al suo posto impone immagini di fantasia che alla fine ti fanno perdere il senso della realtà! Ecco cosa intendo per alzheimer di massa!  Cosa dice la tabula rasa su Gandhi, Mussolini e la Telecom?

ndr: per tabula rasa il signor Dante intende in genere i tablet, smart, iphone, etc, e considera i risultati delle ricerche web, google, wikipedia con la curiosità di oracoli, cui concedere al massimo tre minuti. 

Da una ricerca on line in 3 minuti troviamo:

1) le dichiarazioni di Gandhi su Mussolini esattamente citate dal signor Dante

2) la notizia che al tempo dello spot Gandhi-Telecom  la nipote di Gandhi sedeva nel consiglio d’amministrazione Telecom

3) una foto come quella che il signor Dante ha in cornice su un tavolino, che ritrae Gandhi insieme a un undicenne signor Dante, in divisa da Balilla

Gandhi_a_Roma

 

eros et veteros

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vaginalis virgo vergam in tergas capebat

et in sodomia bene et longe gaudebat

cum repente turgida capella ab ano exiit

et motu proprio imenem defloravit

ergo puella hominis capitem sibi traxiit in pubem

et furibundo cunnilingo semen a vulva sucatum fuit

quod uterque nolebat filium certo sodomitam generare

(fabula erotica pompeiana reperta in loco termae suburbanae

quam Calepinus Minor trascripsit sicut Eros et Veteros – Antologica Erotica Fragmenta

et vulgare traduxit et ivi publicat sub permissione culturale Leonis XIV pro disseminatione didattica linguae latinae – imago est cunnilingus pictus super muros termae suburbanae Pompei)

una vergine vaginale (lo) prendeva nelle terga

e nella sodomia godeva bene e a lungo

quando repentinamente la turgida cappella fuoriuscì dall’ano

e con moto proprio deflorò l’imene

perciò la fanciulla si attirò nel pube la testa dell’uomo

e il liquido seminale fu risucchiato con un furibondo leccare di vulva

poiché nessuno dei due voleva generare un figlio certamente sodomita!

(favola erotica pompeiana ritrovata presso le terme suburbane, trascritta nell’antologia di frammenti erotici pompeiani “Eros et Veteros” e tradotta in volgare dal Calepino Minore e qui pubblicata su licenza culturale di Leone XIV, per la diffusione didattica della lingua latina – immagine: rappresentazione murale di un vulvaleccaggio, terme suburbane, Pompei) 

 

quel cane morto per salvare un finestrino

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un cane il cui habitat naturale ha temperature di -20 gradi, un Labrador,

dimenticato chiuso in un’auto nera a + 40 gradi, sotto il sole, senz’aria e senz’acqua.

Il cane abbaia, attira l’attenzione, attorno all’auto arroventata le persone lo guardano, si forma un capannello, poi qualcuno dice: bisogna rintracciare il padrone!

Giusto! Allora chiedono al bar, chiedono nei negozi, il padrone non si trova, tutti vedono che il cane è disperato, e allora qualcuno dice: chiamiamo la protezione animali!

Giusto! Arriva la protezione animali, il cane ormai sta annaspando in cerca d’aria, così cominciano a buttare acqua sulla macchina, poi qualcuno dice: qui adesso bisogna chiamare i vigili!

Giusto! Arrivano i vigili, i vigili studiano la situazione, il cane ormai è  agli ultimi guaiti, non si sa cosa fare, intanto il cane sta crepando, e così qualcuno pensa: è uno scandalo, bisogna chiamare i giornali!

Giusto! Arrivano i giornalisti, prendono nota, fanno interviste, e poco alla volta prende piede l’opzione tecnico-sanitaria: chiamare un veterinario!

Giusto! Arriva il veterinario, che conferma quello che tutti vedono, il cane è in fin di vita: ed ecco che si comincia a vagliare una soluzione estrema: rompere un finestrino!

Giusto! Ma chi lo deve fare? Si tratta di danneggiare un bene di proprietà privata! Ci sarà pure qualcuno che se ne potrà incaricare a norma di legge! Ed ecco nascere una nuova voce: bisogna chiamare i pompieri!

Giusto! Così arrivano i pompieri, e con l’avallo del veterinario, coadiuvati dai vigili, supportati dal pubblico, e sotto gli occhi della stampa rompono il finestrino.

Il veterinario dichiara: il cane è ancora vivo.

La giornalista del Corriere manda in stampa il titolo “Labrador salvato dai pompieri” con tanto di lieto fine fantastico: “il cane è provato, ma è forte, e si riprenderà”.

Su L’Eco di Bergamo l’amara verità: “Il labrador non ce l’ha fatta”.

Dopo ore di agonia, è morto. Onesti cittadini, insieme a onesti vigili urbani, insieme a onesti vigili del fuoco, insieme a onesti veterinari e onesti animalisti e bravi giornalisti, messi insieme, non sono riusciti a salvare un cane, per paura di rompere un finestrino, è questo che è successo, è questo che fa rabbia.

Questa storia poteva finire in un altro modo, e io lo so bene:

sempre a Bergamo Bene, più di dieci anni fa,  il mio amico P. sentiva  un labrador abbaiare disperato chiuso in una station wagon sotto il solleone:

dopo meno di venti minuti il mio amico P. con un pugno sfondava il finestrino e salvava il cane,

dopo più di due ore di attesa, quando finalmente arrivava il padrone del cane, dal momento che invece di ringraziarlo per avergli salvato il cane, averlo dissetato e sfamato, pretendeva i danni per il vetro rotto, il mio amico P. –  che non è uno che chiami i vigili –   sferrava un secondo pugno, al padrone della macchina (e del cane)

cosa che in seguito gli sarebbe costata una denuncia e una causa,

alla fine il mio amico P. decideva di indebitarsi per risarcire “il cretino”, pretendendo di avere in cambio il cane,  cosa che “il cretino” accettò subito, amando evidentemente più i soldi del cane,

in tutto questo, la cosa bella, è che in seguito il mio amico P. e il cane per più di dieci anni sono rimasti sempre insieme,

poi il cane, diventato vecchio, non era più in grado di alzarsi sulle zampe, era ammalato, non c’era più niente da fare: così un giorno, come tutti gli ripetevano di fare,  il mio amico P. “l’ha portato a farlo sopprimere” dal veterinario, come d’obbligo di legge, ma io so che non è mai andato da nessun veterinario:

tenendolo in braccio, l’ha portato invece in certi boschi, dove insieme cane e padrone avevano trascorso innumerevoli giornate, e credo che l’abbia “soppresso” con quel coraggio che la vera pietà esige, per poi seppellirlo sotto un grande albero,

tutte procedure assolutamente illegali,

capisci il retroscena della storia: il mio amico P. – sia quando c’è stato da salvargli la vita che quando si è trattato di dargli la morte – non ha esitato ad agire in base a criteri morali e virili superiori (ma diciamo anche più semplicemente: con amore e umanità)

e per questo ha avuto una serie di guai giudiziari e finanziari;

invece, quelle cinquanta brave persone, metà delle quali in divisa, che dovendo scegliere tra sacrificare un finestrino o un cane, sono riuscite nell’impresa di sacrificare entrambi, oggi non hanno niente da rimproverarsi: come recita un comunicato riportato dalla stampa: “non c’è stata alcuna anomalia nelle procedure adottate”,

capisci, siamo a questi livelli, la iper-legalità è diventata la più orribile forma di barbarie, come scrive un lettore de L’Eco: “la gente ormai ha paura anche a fare del bene”,

e per lo più si limita a “pensare bene”, capisci la perversa im-moralità del “benpensante”, che non si sporca mai le mani, e delega sempre tutto “a chi di dovere”:

il cane morto non è solo un cane morto, è un lampo di verità che mette a nudo la falsa coscienza di cittadini e autorità benpensanti, e anche dei media a lieto fine,

e infine il “cane morto” è anche un modo di dire che forse i benpensanti non conoscono,

essere un “cane morto” significa non poter più accedere ai privilegi del benessere e della legalità, non avere più la casa, o il lavoro, o la famiglia, e non avere futuro, ma soltanto debiti, condanne, ingiunzioni, e diventare inutili, impotenti e invisibili come “un cane morto”, da sopprimere,

ultimamente anche il mio amico P, che faceva il corriere, il padroncino, era diventato “un cane morto”, che “non ci stava più dentro con Equitalia e tutto il resto”,

dopo che gli era morto il cane non sembrava più lui, non parlava più, non s’incazzava più,

sei mesi dopo l’hanno trovato chiuso nel cassone del suo furgone, il decesso da ascrivere come “infarto” in seguito all’assunzione di un “cocktail di farmaci”.

Nell’Italia Bene, non solo un Labrador, ma anche molti uomini di razza possono crepare come un cane, per mancanza d’ossigeno, in tutta legalità.

photo by http://web.stagram.com/n/bzonca/

un tot al totem

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500 anni fa Bartolomeo Colleoni, essendo ogni via d’acqua saldamente occupata dai milanesi, fece smontare nell’Arsenale di Venezia 30 grandi navi da guerra,

quindi, utilizzando 2000 buoi, le fece trasportare via terra (passando per Rovereto) fino al Lago di Garda, dove, rimontate e rimesse in acqua le navi, sorprese e sbaragliò con un attacco simultaneo la flotta e la cavalleria nemica.

Però! Che follia! Che idea! E che Colleoni!

Ecco cosa significa “Il cuore di un leader è la sua testa”

(calco da “il cuore di un artista è la sua testa”, Oscar Wilde, Il milionario modello):

l’idea più pazza, l’impresa più folle, se ha successo,

diventa un modello di razionalità superiore, basata su creatività e coraggio.

Quella che serve anche a fare un totem:

impossibile non notare come questo totem “Colleoni commerciale” ad uso fieristico (pubblicizza un marchio di caschi per l’equitazione)

abbia molta più efficacia di comunicazione e dignità “culturale” dei totem “istituzionali” pro-cultura disseminati a Bergamo un tot al totem.

Nei totem Bergamo2019, il testimonial (figure di santi, personaggi storici, bambini e persone comuni) pronuncia la poco significativa frase “sono pincopallino, Bergamo è la mia città”,

e nel migliore dei casi ha la tipica espressione di chi sta pubblicizzando lassativi o analgesici,

ma nel peggiore, e purtroppo parliamo del patrono della città, S.Alessandro martire,

piazzato a porta s.Giacomo, nell’aiuola dei cani, tra un lampione e una pensilina,

ha tutte le sembianze e la postura inequivocabile, specie la sera, spiace dirlo, di un trans che fa le avances:

scendendo in macchina la sera da città alta, quando i fari lo illuminano, è veramente spaventoso, e ripugnante.

Per amore della città, e rispetto verso il patrono, evitiamo di postare la foto,

pubblicando invece il più dignitoso “Colleoni commerciale” per dare l’esempio di come si possa fare un totem “didattico”, seguendo semplici regole:

un totem deve essere autorevole, avere posa “totemica”, essere dotato di un messaggio autentico e unico (se ripetono tutti la stessa cosa, santi, eroi e bambini sembrano tanti pappagallini!) e soprattutto deve stare in un punto focale, non ai bordi delle strade.

Come ha spiegato qualche secolo fa il grande esploratore  – bergamasco! – Giacomo Costantino Beltrami (che è stato il primo uomo bianco a incontrare un totem autentico, dopo aver risalito da solo in canoa il Mississipi-Missuouri per 4000 km),

per dare senso a un totem, e dotarlo dello spirito giusto, in grado di riunire la tribù,

non basta un bravo marengone, ci vuole anche un bravo stregone.

Cosa che qualsiasi guru della pubblicità sottoscriverebbe con entusiasmo,

salvo poi raffreddarsi leggendo la “clausola cherokee”:

se totem non porta pioggia, tribù scotennare stregone.

(per la storia del ribelle Beltrami, che partendo da città alta, inseguito da mandati di cattura pontifici, ha scoperto “il nord-america” ed è stato autore del primo  vocabolario sioux/inglese e coautore del primo romanzo-epopea americano, “L’ultimo dei mohicani”https://calepiopress.it/2013/03/14/bel-trami/ )