troika erotica sovietica

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zukzukzuk

il compagno commissario Zuko aveva un problema, anzi due,

il problema del compagno commissario Zuko era una donna, anzi due,

le compagne gemelle Zuka e Zuki, che frequentava separatamente:

nei giorni pari subiva la compagna dominatrice sadica Zuka,

rossa di capelli, in abito di latex verde, labbra blu oltremare su fondotinta lillà;

nei giorni dispari sottometteva la compagna masochista schiava Zuki,

frangia d’argento su viso ceruleo,  bocca verde pistacchio e tubino fuxia.

Per non darti imbarazzo, gli avevano detto entrambe, non ci vedrai mai insieme,

ma il compagno Zuko, psico-ingegnere alla direzione strategica del kgb,

sospettava si trattasse di un’unica compagna con personalità sdoppiata,

e sagacemente organizzò un piano per smascherare l’inganno.

Dovendo partire per una missione di tre mesi a Cuba, avendo l’aereo all’una del mattino e l’agenda fittissima, e volendo dare un ultimo bacio alle sue amanti, diede appuntamento

a Zuka alle 23.55 alla Porta Est di Glasnost Kastle e a Zuki alle 00.05 alla Porta Ovest.

Karim Sketch_4

Astutamente fece disporre gli specchi mobili di Glasnost Kastle come fossero telecamere in modo che potesse osservare le immagini riflesse di entrambi gli ingressi.

Ma disgraziatamente le compagne Zuka e Zuki invece di presentarsi all’appuntamento mandarono una staffetta con un messaggio congiunto:

al compagno commissario Zuko:

la tua statura morale non è degna della tua statura politica.

La staffetta chiese se c’era risposta. No, non c’era. Mestamente il compagno commissario Zuko salì sul grande Antonov militare.

Poco dopo il decollo, dalla cabina radio l’assistente marconista gli portò un messaggio proveniente da una Casa del Popolo di Mosca:

le compagne del popolo Zuka e Zuki augurano buon viaggio al compagno commissario Zuko e si augurano che il compagno Fidel Castro possa rimettergli la Zuko a posto!

Il marconista gli chiese se volesse mandare risposta. Il commissario scosse il capo.

Dentro di sé il compagno commissario Zuko pensava:

dovranno faticare lacrime e sangue per riconquistare i miei favori.

Dopo un lungo e movimentato volo senza riuscire a dormire, e un trasferimento in jeep sotto un caldo torrido, appena sistematosi nell’appartamento destinatogli, il caporale di guardia gli consegnò un telegramma proveniente dalla Segreteria del Soviet Supremo:

Buona permanenza a Cuba! Le compagne Zuka e Zuki annunciano con gioia al compagno commissario Zuko di essere state onorate dell’incarico di alleviare insieme

le notti insonni del compagno padre della patria e del popolo Josif Vissarionovic Stalin lungo tutto il rigido inverno russo!

(la “fabula erotica sovietica” è stata trovata  dall’impresa di sgombero nell’archivio del dismesso consolato sovietico di Milano, databile primi anni Cinquanta, e tradotta dal russo dal compagno Bartolomeo Terracini.  I disegni di Zuko, Zuka e Zuki e del Glasnost Kastle sono di Karim Rashid per Purho: https://www.facebook.com/purhodesign)

mia figlia in abiti succinti per 30 denari

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inabitsuccinti

(storia di Pietro M. raccolta da Nicola Fennino)

La cosa importante è che mia figlia sia felice. Che faccia il lavoro che le piace.

Forse se mia moglie fosse ancora viva le cose sarebbero andate per un altro verso.

Non ho mai sentito nessuno parlare d’amore come mia figlia. Dice che l’amore è una forza che ti strappa la pelle di dosso, che t’incendia gli occhi.

Una forza sovversiva: per questo i preti non si sposano. Una società fondata sull’amore non può esistere, sarebbe anarchia.

“Capisci, babbo, per questo la puttana è il mestiere più antico del mondo! Serve per coprire la mancanza d’amore, capisci? È il contratto sociale”.

Ecco, mia figlia è convinta che il suo lavoro sia una sorta di sacrificio.

Lei si spoglia, la si vede perfettamente in faccia – con quegli occhi verdi di sua madre – e degli sconosciuti la baciano, la schiaffeggiano come padri preoccupati con una bambina cattiva (lei dice che fanno piano, che è tutto doppiaggio), penetrano la sua carne senza pietà, senza passione.

La sua pelle bianca si chiazza di rosso: non è finta la sua pelle, la sua pelle non ragiona come il suo cervello, soltanto si fa rossa.

Al mare, da piccola, io e mia moglie la cospargevamo di crema, ogni ora bisognava rimetterne un nuovo strato, perché i bambini giocano, entrano in acqua, si rotolano sulla sabbia, mica si può pretendere che la crema gli resti incollata addosso.

Quando le spalmavo la crema sul faccino chiudeva gli occhi, storceva un poco le labbra; le baciavo i capelli, poi lei scappava verso il bagnasciuga: c’erano i suoi amichetti che l’aspettavano.

Ieri sera è tornata più tardi del solito; deve aver bevuto un paio di bicchierini, non sa nasconderlo. Ha iniziato con la solita solfa dei greci e dei romani e che anche loro avevano i loro spazi di follia, i loro riti sessuali assurdi eppure avevano creato delle società così ordinate… l’ho interrotta perché ero stanco e non riuscivo a seguirla.

Lei mi ha guardato.

“Pensavo a Giuda, babbo. Sì, quello degli apostoli. Pensa se non ci fosse stato Giuda. Come facevano a mettere in croce Gesù Cristo? E la resurrezione? E tutto il cristianesimo?

Pensa babbo, sono tutti intorno al tavolo: Gesù non è ancora risorto, è solo una persona molto convincente, è solo un paio di occhi che splendono più della media, a volte non si capisce neanche quello che dice;

Ma è toccato a Giuda, capisci? Doveva toccare a qualcuno per il bene di tutti”.


È rimasta qualche secondo in silenzio. Ci siamo guardati. I suoi occhi erano rossi, gonfi.

Ho abbracciato la mia bambina, non ho avuto parole, e ho bestemmiato Dio, perché mia moglie è morta, e non era lì, con me e con la nostra bambina.

(titolo orginale “Pietro”, riduzione 33% – da 1200 parole a 400 – by Leone Belotti editor 

versione originale by Nicola Fennino writer, pubblicata in

http://scrittoriprecari.wordpress.com/2012/04/26/confessioni-qualunque-1/#comment-2961

imago: “in abiti succinti”, immagine di copertina dell’omonimo blog  https://www.facebook.com/pages/In-abiti-succinti/191256350930780)

fumus in oculis et focus in anima

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iconaOK

simulacra sive imagines sive medicinae

sive proiectiones extra corporea

simul aditus avernii et iter caeleste versus sunt

le sostanze psicotrope, che siano immagini o medicine o proiezioni psichiche possono condurre allo stesso tempo all’ingresso degli inferi e alle vie del cielo

vestitus sive gemmae sive signa

sive statuae sive picturae sive spectacula

misera simulacra sunt acta alios versus

l’abbigliamento, i gioielli, i sigilli, le statue, i dipinti, gli spettacoli sono povere apparenze ostentate in funzione degli altri,

majorana sive sabatius sive psilocybes

sive setanion sive vinum sive oppium

divina simulacra sunt acta te ipsum versus

la maggiorana, il sabazio, le psilocibe, il setanion, il vino, l’oppio sono sostanze divine attive su te stesso,

ergo

causa tumultorum pavor et  civum conscientia livellanda

mancipia municipia leges sumptuarias

et leges prohibitionistas promulgant

emancipatae civitates autem nulla timendo

et misera et divina simulacra tollerant

perciò le municipalità sottomesse per la paura di insurrezioni e per appiattire la coscienza civica promulgano leggi suntuarie (contro l’esibizione del lusso)  e proibizioniste; mentre le comunità evolute senza alcun timore tollerano sia l’esibizione delle apparenze che l’uso di sostanze divine,

corrupta societas est illa in qua tota simulacra externata sunt

pro coactione plebis et ipso modo interiora simulacra prohibita sunt

et perniciosa vitia appelata

è corrotta quella società nella quale ogni simbolo è in funzione della sudditanza di massa e le sostanze psicotrope vengono etichettate come vizi nocivi, 

vestitus ornatus misera forma est

et fumus in oculis

oppium fumatum divina substantia est

et focus in anima

l’abito elegante è povera forma e fumo negli occhi, l’oppio fumato è sostanza divina e fuoco nell’anima,

solida natio corporis simulacra sobrietate producit

dum animae simulacra bene et libere inducit

la nazione compatta esterna in sobrietà le apparenze corporali e assume in libertà le buone sostanze dell’anima

ergo

bonis catholicis apostolicis romanis

regula ethica prima sobrietas in vestito est

et secunda profusio in oppio

pertanto per i cattolici apostolici romani la prima regola etica è la sobrietà dell’abito e la seconda l’uso dell’oppio a profusione.

 > il frammento”Fumus in oculis et focus in anima”, noto anche come  “argomento teologico per la conformità ecumenica di oppiacei e allucinogeni”,

attualmente oggetto di studio del Sant’Uffizio su indicazione del Santo PAdre in vista della della pubblicazione apostolica,

è tratto dall’enciclica Rerum Novissimarum di LeoneXIV – Archivi Vaticani – LXIV-RNSS-19

Imago: Icona “Gesù con Maria”, dalla raccolta “ars sacra novissima”, by Athos Mazzoleni – http://www.foodforeyes.com/

 

 

 

che razza di Colleoni

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ColleoniCTRL

(tutte le folli imprese di Bartolomeo Colleoni in meno di 500 parole by Leone Belotti per CTRL-magazine Agosto 2013- imago by Studio Tempt)

Hai 9 anni. Tuo padre ti dice: stanotte vieni con noi.

Con gli zii e i cugini in favor di tenebra arrivate al castello di Trezzo. Mentre i grandi trucidano la guarnigione, tu ti arrampichi free climbing a strapiombo sull’Adda per taggare il mastio col vessillo dei 3 Collioni. Bravo!

Tutto suo padre!  Sbagliato. A quindici anni sei già più grosso e più intelligente di lui. Vorresti ammazzarlo.

Ci pensa lo zio, che lo sgozza davanti a te. Libero!  Come in un film, afferri le redini di un cavallo, e quelle  del tuo destino (Il destino di un cavaliere).

Mercenario e gigolò, trafiggi cuori a raffica, ai tuoi piedi cadono nemici uccisi e donne innamorate. A Napoli il colpo grosso: la regina Giovanna è pazza d’amore. Le rubi i gioielli, e via.

Sulla tua strada trovi l’invincibile Braccio di Montone, un gigante sanguinario. Lo stendi al primo assalto (Indiana Jones).

Torni a casa,  e sposi Tisbe Martinengo, nobildonna fascino e cultura. Non ricca: di più. Hai tre castelli e decine di servitori. Ti annoi (Barry Lyndon).

I milanesi ti sono antipatici. Hanno occupato Bergamo, Brescia, il Garda e il Po con navi da guerra. Ma tu hai un’idea.

All’Arsenale di Venezia fai smontare 30 navi, le fai caricare su 2000 buoi e trasportare via terra (Fitzcarraldo) a Torbole, dove le fai rimontare, e all’alba sorprendi, sbaragli e affondi la flotta ducale.

A una festa a Mantova, riferendosi ai 100.000 ducati d’oro del tuo ingaggio con Venezia, un Visconti ti dà del venduto. E tu, alludendo al ducato di Milano: sarebbe più onorevole vendersi per un ducato di latta?

Ti nominano Capitano Generale della Serenissima, e in un paio di decenni, con la cavalleria e le armi da fuoco, rivoluzioni, velocizzi, l’arte della guerra.

Lanci la moderna carica di cavalleria (“tutta la forza in una sola carica travolgente”) e con 3000 soldatacci fai a pezzi 18.000 francesi, catturi il grasso delfino, e lo restituisci a peso d’oro (Braveheart).

Crei la scuola dei Bombardieri, fai montare bombarde rotanti su carri completamente corazzati, buoi compresi: hai creato un mostro di grande avvenire, il carro armato (Patton).

Nessuno osa più sfidarti.

Con la pace, ti dedichi alla  wellness: costruisci orfanatrofi, terme, aziende agricole, canali navigabili.

Hai potere assoluto, possedimenti enormi e fortune incalcolabili: ma la tua figlia prediletta, Medea, quattordicenne, muore di difterite.

Per lei, per starle vicino, fai costruire una cappella  fantastica.

Poi prendi carta e penna e lasci tutto il tuo patrimonio (la terraferma) alla Repubblica.

Sei l’uomo più duro del mondo, e te ne vai di crepacuore.

Venezia ti dedica la “più impressionante statua equestre mai realizzata”.

Apparentemente scazzato, e profondamente incazzato, sei l’icona immortale di una specie in via d’estinzione: il maschio antico, il maschio dominante.

Gambe larghe, spalle larghe, vedute larghe.

E i collioni  pieni.

 ColleoniDavinci  

> sulla vera storia della statua del Colleoni a Venezia, vedi lo scoop dell’upperdog sulla paternità dell’opera Verrocchio/Leonardo e sul dna Colleoni/Percassi 6palle 2gay 3verità:

https://calepiopress.it/2013/07/08/6-palle-2-gay-3-verita/

 

quasi catula

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neveUD

…apta amori sine timore effusiones petens

quasi catula omnium subito oblita…

… atta all’amore e desiderosa di effusioni senza timore 

come una gattina capace di dimenticare tutto…

(just like a little kitty able to forget everything:

e dimenticatevi questo post, che pubblichiamo in via del tutto eccezionale,

trattandosi della catula Neve, nostra coinquilina, ultravanitosa, iperdispettosa,

molto sanguinaria, capace di fare fuori un pettirosso e poi venire a fare le fusa,

qui fotogratafa da Jennifer Gandossi in qualità di modella (la catula Neve, non la bipede Jennifer) e musa della next publishing “fabula de amore in vitro/pulcherrima puella erat et pura”

una fabula latina scritta da Leonidas Calepinus e scelta come tema della nuova collezione disegnata da Karim Rashid per Purho,

https://www.facebook.com/purhodesign

cioè ciotole di mega lusso in vetro di Murano, che sarebbero per uso bipede, ma il vostro upperdog in qualità di tester le ha usate per papparsi la sbobba originariamente cucinata per la catula Neve, tutta presa a farsi fotografare,

un fantastico mix bio di  fegato, cuore e polmoni,

una ricetta, una ciotola che potremmo a questo punto battezzare “interiora-design”,

ci aggiungerei anche una presa di cervella tagliuzzate, e rognone a volontà.

 

 

il copyright

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letteralmente copyright significa “diritto di copia”, cioè possibilità o meno di produrre una copia da un originale.

va da sé che il concetto nasce come conseguenza della possibilità di riproduzione delle opere, tipica dell’era contemporanea.

il copyright si materializza in molti ambiti diversi. cominciamo trattando il caso dell’opera culturale, tipicamente dell’opera letteraria, musicale, o pittorica che sia.

una volta uno faceva un’opera, e quella era: un unicum.

se la volevi, dovevi comprarti l’originale (troppo costoso), oppure accontentarti che qualcuno te la leggesse direttamente dall’originale, se era un’opera scritta, oppure che qualcuno ti suonasse la canzoncina, se opera musicale, o che qualcun’altro ti desse la possibilità di vedere il quadretto originale, se opera visuale.

allora la chiesa, che era l’unica a poter mantenere uno stuolo di nulla facenti chiusi nei monasteri che prosperavano grazie al lavoro del popolo, comincia l’opera degli amanuensi, dei copisti, insomma, comincia a far fare le prime copie della storia.

allora non c’erano grossi problemi, l’autore originale non si incazzava, anzi, se non era morto da millenni vedeva di buon occhio che la propria opera potesse ottenere maggiore diffusione grazie al lavoro di uno stuolo di fratonzoli chiusi in monasteri ameni in lochi ameni: la sua opera si diffondeva.

e siccome un’opera culturale altro non chiede che di diffondersi (teniamo bene a mente questo concetto), ben venga la chiesa, che tra una crociata e l’altra, tra un massacro e l’altro in nome d’iddio (di un dio o di quell’altro), usava un po’ delle sue energie anche per diffondere il sapere.

purtroppo quali opere fossero da copiare, e quali da bruciare, lo decideva il capoccia (lo stesso che ancora oggi dopo millenni ci teniamo in casa e manteniamo esentasse vestito di tutto punto da prada), in modo sempre utilitaristico e autoreferenziale, quindi probabilmente sono andate bruciate tante opere originali quante sono state copiate e diffuse (o forse più), ma questo è un altro problema (enorme).

il problema invece di cui stiamo trattando ora, il copyright, salta fuori per colpa dei crucchi (sempre loro, quelli della merkel, quelli della volkswagen): un tal gutemberg a un certo punto semina una zizzania pazzesca perché inventa un modo per fare tante, tantissime, virtualmente infinite, copie di un testo.

si badi bene: il problema salta fuori non perché finalmente si potevano fare tante copie, economiche, per tutti, delle opere della conoscenza, insomma del sapere,

ma perché non era più possibile bruciarne una sola per eliminare il sapere che non andava bene al capoccia.

questo era il problema di fondo: la stampa in serie rendeva veramente difficile l’eliminazione del sapere indesiderato, rendeva maledettamente difficile il lavoro della censura.

e qui, come mi si conviene, ci sta il porcone: ostia!!!!!!

il bisogno del copyright nasce perché dava fastidio la diffusione del sapere, NON per agevolarla e garantirla come ancora oggi tutti credono.

nel momento in cui l’umanità trova il modo di diffondere la conoscenza, i capoccia non ci stanno, e mettono il classico palo nel culo a tutti: il copyright.

quello che allibisce è che ancora oggi il copyright sia sbandierato dagli autori come un sacrosanto diritto per proteggere il loro operato.

contraddizione.

paradosso.

mi ripeto prolissamente perché è un passaggio cruciale: il copyright oggi è sentito come quell’insieme di regole che servono all’autore per garantirgli la paternità dell’opera, per tutelarlo dal furto indebito dell’opera.

e invece il copyright nasce (e ancora oggi lo è in pieno) come lo strumento che serve a chi autore non è, per controllare cosa gli autori vogliono divulgare,

in definitiva il copyright nasce per FRENARE la diffusione del sapere, invece che per GARANTIRLA.

dopo gutemberg e la stampa la successiva grande rivoluzione culturale arriva con l’informatica.

mentre la riproduzione delle opere a mezzo stampa richiede che ci vadano di mezzo gli alberi, richiede che il risultato della stampa venga caricato su carri (o autotreni), venga portato nei negozi bruciando benzina e copertoni, e dai negozi, finalmente, nelle case del pubblico, con l’informatica, e con internet nello specifico, tutto questo non serve più:

come un’immensa inondazione di olio il meccanismo di diffusione del sapere non conosce più attriti: chiunque può avere copie di qualunque cosa, pressoché gratuitamente, senza più bisogno di intermediari.

internet è gutemberg all’ennesima potenza: tutto il sapere gratis per tutti.

e invece ancora oggi il 90% della popolazione benpensante considera la copia avulsa dal copyright come un reato.

paragonare la copia di un mp3 ad un atto di pirateria è esattamente quello che vogliono i capoccia, è niente di meno che una perfetta sindrome di abnegazione e sudditanza di un mondo senza cognizione di causa che pedissequamente applica le leggi volute da chi lo vuole controllare.

oggi dire che copiare un mp3 è illegale è come un contemporaneo di gutemberg che si rifiuta di leggere un libro stampato perché opera del demonio (pirati).

oggi prendersela con la pirateria significa essere i sostenitori volontari di un sistema reazionario che lotta contro il sapere e la sua diffusione.

non è una provocazione.

davvero.

pensateci.

a chi giova mettere in galera i pirati digitali?

giova al sapere?!?!

giova alla cultura?!?!?

giova SOLO ED ESCLUSIVAMENTE ai vertici del potere culturale, a coloro che fanno i soldi vendendo il prodotto culturale ma, SOPRATTUTTO, a coloro che controllano quale sapere si può riprodurre e quale no, quale canzone si può ascoltare e quale no, quale testo si può leggere e quale no.

prima di internet e del fenomeno della pirateria, il mondo editoriale era saldamente nelle mani di pochissimi, grandi, editori. (se vi aiuta a inquadrare il problema, berlusconi è uno di questi).

non venite a citarmi gli editori di nicchia che pubblicano 4 libri l’anno venduti in 5 copie ciascuno.

quelli sono slalomisti delle regole del sistema che hanno fatto quello che hanno potuto per contrastare la massificazione del sapere rispettandone le regole.

io parlo di madonna per il rock, di vespa per la saggistica, di follet per la letteratura, io parlo del 99% dei libri venduti, mica dell’1% della nicchia degli editori cosiddetti colti.

io parlo del popolo, parlo dell’equivalente dell’ikea per la cultura.

e il popolo ogni anno poteva leggere solo ed esclusivamente una decina di titoli, che sono i titoli che trovate nelle case degli abitanti di tutta la società occidentale, io parlo del regime culturale che si era venuto a creare per cui qualunque forma di contenuto per le masse era prodotto sempre dai soliti quattro editori, quegli stessi editori miliardari pappa e ciccia con i poteri forti del sistema, quegli stessi che non ti avrebbero mai pubblicato un libro perché “non vendibile”, quegli stessi che non hanno mai voluto problemi con la censura, quegli stessi editori che erano culo e camicia con la censura.

io parlo della massificazione culturale.

e oggi il cartello di quegli editori si inalbera contro la pirateria, muovendo cause legali contro tutto il mondo: l’hanno inventato loro il termine, l’hanno voluto loro il paragone tra chi ruba il sapere per diffonderlo e chi ammazza la gente con coltelli ricurvi per rubargli i dobloni d’oro.

ora sono i pirati dell’informatica.

ora ed allora (ai tempi di gutemberg) sono gli irrispettosi del copyright.

ecco cosa è il copyright.

e quando oggi sento ancora artisti completamente sconosciuti (non ho detto non bravi o non di valore) che si lamentano contro le copie illecite delle opere, mi sale il sangue alla testa, perché capisco che l’opera di indottrinamento e di sterilizzazione intellettuale che la categoria degli autori ha subito è agghiacciane, perché nessuno ha più quel minimo di arguzia per rendersi conto di essere diventati loro stessi portavoce della censura di sistema.

detto questo, affrontiamo le solite e banali giustificazioni che adducono i suddetti autori in favore del copyright:

“senza il rispetto del copyright come può campare un artista?”. ovvero “se tutti copiano gratis un’opera chi paga l’artista per il suo lavoro? la cultura scomparirà senza il copyright!”

grandioso…

fenomenale…

i soldi, visto che solo di soldi sapete parlare quando trattate di copyright, sono sempre e solo stati appannaggio dell’uno per un milione degli autori.

da che mondo è mondo gli autori, gli artisti, fanno la fame, la facevano ai tempi della pietra, l’hanno fatta nell’arco di tutta la storia dell’umanità, e la fanno allegramente tutt’oggi, ai tempi di madonna, vespa e follet.

i soldi li fanno solo gli artisti di regime, che sono 3 su un milione, e tutti gli altri nulla, tutti gli altri a passare una vita creando opere che puntualmente vengono rifiutate dagli editori, tutti gli altri non hanno mai ricevuto nulla in cambio dal sistema del copyright.

anzi, assurdo degli assurdi, il popolo degli autori non famosi (chiamiamoli così) viene persino vessato dai balzelli di istituzioni delinquenziali come la siae, sono costretti a pagare per poter eseguire le proprie canzoni in pubblico anche se le proprie canzoni non sono mai state edite (e quindi messe in vendita) da nessuno, sono costretti a pagare per poter pubblicare il proprio libro, il libro della propria vita, sono costretti a pagare la siae per auto prodursi la propria opera che nessun editore vuole distribuire perché infruttifera. e se non pagano sono fuori legge!!!!

e i soldi raccolti dalla siae a chi vanno? ai soliti noti. ai soliti pochissimi unperunmilione che hanno avuto successo.

ma vi rendete conto che siete sempre i soliti poveri cristi di prima, che in più fanno il gioco dei poteri forti? siete i cipputi di altan che si mettono l’ombrello nel culo da soli!

vi rendete conto che a rispettare le regole del copyright non avete mai ottenuto nulla, e mai nulla otterrete?

ma con che coraggio credete ancora alla favola per cui senza copyright l’arte non potrebbe sopravvivere?

l’arte è sempre esistita contro ogni forma di copyright, l’arte è sempre esistita a prescindere da ogni forma di retribuzione da parte del sistema.

sono di gran lunga di più i grandi artisti morti poveri, di quelli che hanno fatto i soldi.

o credete davvero che madonna, vespa, follet, michelangelo e spielberg siano esempi comuni di artisti come chiunque potrebbe essere?

andate e copiate e diffondete.

l’unica cosa che potrete procurare sarà il fallimento dei grandi editori, non di certo dei piccoli e colti editori di nicchia.

i mezzi di replicazione (meccanica o digitale) delle forme di sapere sono e sempre saranno il vero motore della conoscenza umana, contro ogni regime, contro ogni censura, contro ogni forma di controllo culturale.

e giusto per dare un’idea della portata della questione, e per riallacciarmi al distinguo iniziale del post: noi abbiamo parlato di copyright nella cultura, ma vogliamo parlare del copyright nella ricerca scientifica? vogliamo parlare della brevettabilità delle scoperte scientifiche? a chi giova tutto ciò? all’umanità, o alle solite quattro multinazionali? a chi giova brevettare le ricerche sulla genetica? a chi giova brevettare le formule farmaceutiche? a chi giova brevettare gli algoritmi informatici? a chi? a tutti, o ai soliti pochi noti?

le multinazionali vi diranno: noi investiamo miliardi e miliardi in ricerca! non lo faremmo se non avessimo garanzie sulla sfruttabilità economica delle nostre scoperte! la ricerca morirebbe!

palle!

palle grosse come una casa!

e qui introduco un altro punto cruciale: la cedibilità del copyright.

infatti la follia della società contemporanea permette la cedibilità del copyright, e questo è il più subdolo e potente asso nella manica che ha il sistema, la cui portata sui grandi numeri è tanto devastante quanto poco nota.

poter vendere un brevetto, così come poter vendere il copyright su un’opera d’arte, significa dare la possibilità a chi ha più soldi di comprarsi anche ciò che non ha fatto, ma soprattutto rende una mera questione di conti in banca il potere di sfruttabilità della conoscenza.

poter cedere il copyright su un’opera significa rendere alienabile anche la cosa più importante che un’opera porta con se: la paternità.

significa che chi scopre qualcosa, chi crea qualcosa, nel 90% dei casi non ha poi i soldi per metterlo in pratica, per produrlo in serie, per sfruttalo economicamente, ed è costretto a vendere le proprie idee al miglior offerente.

significa che le solite multinazionali non hanno più nessun bisogno di fare alcuna ricerca, che semplicemente controllano quello che viene scoperto in giro, se lo comprano, e poi lo serializzano, diventando ancora più ricche, ancora più potenti, ancora più capaci di acquisire conoscenza che non hanno saputo produrre ma che sapranno sfruttare.

siamo una società che mette in prigione chi cerca di diffondere il sapere.

siamo una società in cui si è venduto il sapere, felici di averlo fatto perché convinti che fosse l’unico mezzo per garantire il sapere.

 

 

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(immagine di CHRISTOPHER DOMBRES)

 

la pubertà in sagrestia dell’intellettuale sovversivo

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Da bambino passavo le estati in mezzo ai vigneti, in valle del Fico,  in una vecchia e grande casa a mezza collina, in via delle Rimembranze, terra battuta, cipressi, destinazione cimitero,

era una casa tetra, buia e silenziosa, che mi faceva paura,

abitata da un orco col bastone, il bisnonno, ex podestà del paese, e da una strega con lo scialle, la zia Tina, la figlia zitella, acida e severa,

ma anche da una fatina con le ali, la nonna Lina, e da un grande mago occhialuto, lo zio Bruno, Don Bruno, il prevosto sovversivo, il mitico Don Bruno,

che durante la guerra, a Schilpario, nascondeva partigiani in sagrestia, e per poco non era stato fucilato dai todesch,

più tardi, negli anni della contestazione, già epurato dalla curia di Bergamo come prete-ribelle,  si era costruito una chiesetta in proprio, in Valle del Fico, la Madonna dei Campi, totalmente abusiva, bellissima, lavorando il sabato  e le domeniche con i muratori-vignaioli-alpini, era una festa continua, il primo acquisto la campana, usata per fare la polenta…

poi al vescovo era toccato venire a benedirla,  col geometra del comune al seguito.

Questo succedeva nel 1972, io avevo 6 anni, e nel cantiere della chiesa ho avuto le mie prime sbornie da merlot della bergamasca.

Lo zio Bruno per me bambino era come i supereroi dei cartoni animati.

Aveva il potere di rendere fantastico il mondo.

Era riuscito a trasformare questa comunità di contadini-manovali taciturni e “semper all’ostia” in un collettivo gaudente di catto-buontemponi “sempre alegher”.

Quando andavo al mercato con la nonna Lina, dal momento che l’unica parola che dicevo dai 3 ai 6 anni era “roia”, c’era sempre qualcuno che chiedeva: ma è figlio di chi, quel bambino qui?  Io dicevo: so lo scet del preost, sono il figlio del prevosto, dello zio Bruno.

Così per prima cosa lui mi prendeva a pedate nel sedere, chiamandomi “Sennacherib”,

poi mi metteva addosso una tuta da astronauta, andiamo a trovare le api, mi diceva.

Con addosso quella palandra di juta e rete, venivo ricoperto da milioni di api. Era per insegnarmi “il sangue freddo”, e anche a pregare.

D’estate mi portava in valle di Scalve, guidando pericolosamente lungo la via Mala una vecchissima Topolino senza freni, carica di bottiglioni di valcalepio rosso e grappa di foresto,

zaino in spalla, e schioppettone, ci inerpicavamo nella fitta boscaglia sopra Schilpario, la mia missione erano more e mirtilli, la sua lepri e volatili,

se ti perdi, Sennacherib, mi diceva, ci ritroviamo al passo del Vivione.

L’ultima vacanza con lui in Sardegna, in camper, avevo già quindici anni, ci presentavamo nei villaggi turistici, sacerdote con nipote chierichetto, contrattava, barattava la piazzola e il vitto con il servizio messe, due al giorno, mattina e sera, lui diceva messa, e io servivo.

Avevamo una scorta gigante di vino e ostie per la comunione, che consacrava e sconsacrava a seconda del bisogno, buonissime le ostie col patè di fegato, ma anche col gelato.

In certi orari mi diceva di sparire. Aveva da fare le confessioni. In camper.

Quando gli avevo chiesto come mai fossero sempre donne ad andare a confessarsi in camper, mi aveva risposto:

perché gli uomini, quando vogliono confessarsi, vanno a donne;

invece le donne, quando hanno pensieri peccaminosi, vengono a confessarsi.

(in memoriam di Don Bruno Belotti, pronunciata da Leone Belotti alla messa a 25 anni dalla morte, Madonna dei Campi, Valle del Fico, 22 Luglio 2013)

nulla dies sine linea

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ApelleTepolo

Nulla dies sine linea

Apelles picturae graecus magister dixit

hac sententia intelligenda est sicut monitus

ad  cotidie non interrupta esse  artis opera in fieri

usque perfecta est

Nessun giorno senza (aggiungere) un tratto,

disse il grande pittore greco Apelle;

questa frase è da intendersi come un monito quotidiano

a non interrompere l’opera d’arte in lavorazione

fino a quando non sia “perfetta” (compiuta, finita).

(la frase di Apelle, il più grande pittore greco, autore del ritratto di Alessandro,

è riferita da Plinio il Vecchio in Naturalis Historia, Liber XXXV.

“Nulla dies sine linea”, per estensione “ogni giorno un passo avanti”,  è diventata il motto dell’impegno quotidiano nella realizzazione di un’impresa destinata a durare.

Per ironia della storia, e della sorte, nessuna delle opere di Apelle è giunta a noi.

Imago: G.B Tiepolo, Alessandro e Campaspe nello studio di Apelle, 1725,

Museum of Fine Arts, Montreal)

la giornata dello scrittore sovversivo

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la telefonata mi arriva alle dieci di sera, mentre come al solito pensavo di suicidarmi per mancanza di soldi, lavoro, identità, etc

ciao sovversivo, io sono un uomo di potere, ho appena letto il tuo blog, sei bravo, ti voglio conoscere, ho fatto due ricerche, ho visto che abbiamo una conoscenza in comune, l’editore leninista, mi è venuta l’idea di fare un libro, vieni domani a roma, pranziamo insieme, c’è anche l’editore, gli ho appena detto di farti un bonifico per le spese di viaggio, ti aspetto al bolognese all’una e mezza, hai un posto prenotato sul frecciarossa, mi senti?

si

allora ci vediamo domani, ciao

nello stesso istante la mia casella di posta mi segnala due messaggi, uno è il biglietto pagato per il frecciarossa, l’altro della banca che mi dice una cosa che non mi diceva da mesi: bonifico avvenuto

passo la notte a bere e fumare e giocare a playstation

alla mattina alle sette mi arriva un sms che dice che il mio taxi è pronto sotto casa

alle otto sono sul frecciarossa in business, davanti a me è seduta una strafiga freschissima,

la guardo, mi guarda, le sorrido, mi sorride,  scusa dove ti ho già visto, le chiedo

probabilmente in televisione, mi dice, o al cinema, io sono Sonia Fedelbaum, il nuovo sogno erotico degli italiani,

alle dieci a bologna sale l’editore leninista ci mettiamo a parlare di quanto siano bastardi quelli di amazon e mondadori con questa presa per il culo del self publishing,

poi parliamo di cosa scriverebbe oggi Gramsci, certamente oggi Gramsci scriverebbe di social network,

poi parliamo di quanto l’abbia presa nel culo la classe operaia e di quanto siano rottinculo gli intellettuali italiani,

a mezzogiorno alla stazione termini l’editore leninista mi dice io vado all’eur a parlare con un architetto tedesco per fare un libro pagato dai cinesi, tu vai al bolognese a mangiare con l’uomo di potere, vedrai è simpatico ,

davanti al bolognese in piazza del popolo c’è ressa, paparazzi, polizia, teenager, macchine da presa, carri funebri con cavalli,

una specie di Liam Neeson invecchiato mi prende sottobraccio, mi dice ciao sovversivo andiamo a magnare,

entrando al bolognese lo pseudo Neeson dice ciao a un simpatico ottantenne rotondetto e abbronzatissimo, è un senatore a vita, ha la lacrima all’occhio, indica la chiesa a pochi metri dalla gente che beve champagne ai tavolini all’aperto, è il funerale di Cerami, dice, l’autore di un borghese piccolo piccolo,

no, interviene un altro, abbronzatissimo, phonato, sorridente, quarantenne, è un onorevole missino, che dice: è il nuovo film di Pupi Avati, sta girando la scena del funerale,

ah, dice il senatore, du piccioni co una fava,

ci sediamo, ci portano di tutto senza chiedere niente,

ciao Nicola, è Pietrangeli, il grande tennista, abbronzatissimo,

ciao ministro, com’è andato iersera il concerto di Andrea dal papa, bene, benissimo, piangevano tutti, co Bocelli la lacrima è garantita,

oh, ciao Sharon, sei bellissima (è Sharon Stone, che sta girando il film di Avati)

maronna quanta ggente che ce rompe i coioni, annamo in saletta,

allora sovversivo cosa fai tutto agosto non ti piacerebbe scrivere un libro per l’editore leninista, c’è già pronto un anticipo per buttare giù il primo capitolo, che ddici ci stai, me basta che fai si cor capoccione,

essendomi nel frattempo scolato da solo una boccia di kruger, rispondo: pota ostia certo che ci sto, ma che genere di libro?

Liam Neeson mi guarda  con affetto e compassione: un bel libro, dice con dolcezza,

ah ecco il compagno editore, sei contenta sharon, guarda che bel quadretto, editore leninista con scrittore sovversivo, due rompicoioni che ar paese tuo starebbero al gabbio, e in Italia invece me tocca  ordinargli champagne…

il marketing

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preambolo: twitter è un’idea geniale rovinata dalla scelta dei 140 caratteri e dal concetto infausto del micro-writing. tutto quanto segue è la dimostrazione che niente si può scrivere in soli 140 caratteri. ma questo era solo un preambolo. andiamo oltre e affrontiamo l’argomento…

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c’è gente che studia anni di università per diventare esperta di marketing.

“marketing” significa letteralmente qualcosa tipo “mercataggio”, “mercantaggio”, insomma, un verbo mutuato dal concetto di mercato.

eppure da piccolo ho assorbito il detto “il furto è l’anima del commercio”.

e con questo preambolo ho già detto tutto.

siamo la società del libero mercato, con al governo da lustri i più grandi e sfegatati sostenitori del libero mercato, in una società che non è che abbia sposato il libero mercato, ci si è proprio messa a scopare dalla mattina alla sera col libero mercato, facendo figli a sdràpana col libero mercato,

il libero mercato è entrato dentro al midollo di ogni cristo appeso in croce nelle chiese, in ogni cristo nelle scuole pubbliche e private, in ogni lettore di qualunque giornale,

il libero mercato è diventato più importante della fotosintesi clorofilliana, il libero mercato è lo spermatozoo che feconda l’ovulo, il libero mercato è l’ossigeno quando vede il carbonio, è un virus che incontra windows,

il libero mercato è l’amore e il tradimento, il libero mercato oggi, in questa società, nella nostra società, nella società occidentale contemporanea, e visto dove stanno andando a parare i cinesi direi in tutto il mondo, è tutto.

tutto.

oggi l’umanità intera ha sposato il libero mercato.

bravi stronzi che siamo.

non ci voleva il mio amico alcolizzato del bar di piazza oberdan per spiegarci che sposarsi è una cazzata già di per sé.

ma sposarsi col libero mercato…

con tutte le belle teorie, con tutte le possibilità che avevamo noi virgulti singoli lavoratori automuniti… proprio col libero mercato dovevamo legarci un cordone ombelicale…

ma tant’è, così è, faccioilsegnodellacroce, mitoccoicoglioni, ora è lui nostra moglie.

lo spirito del marketing è questo:

ti scrivi su un dito “tranne questa che costa 1000”,

e poi indichi la luna dicendo “è gratis!”.

oppure, per fare un esempio più concreto (banca popolare di bergamo):

“è consigliabile un mutuo a tasso fisso perché non può crescere!”… nell’unico momento storico in cui i tassi sono allo 0,5% e continuano a scendere, contro un tasso fisso del 6% offerto dalla banca, per 20 o 30 anni, ça va sans dire.

oppure:

(vodafone e tanti altri): telefonate illimitate con chiunque! ottimo! chi ci lavora col telefono non poteva chiedere altro!

salvo poi scoprire, leggendo i papiri scritti in corpo 4 nel contratto di adesione, che l’offerta vale solo se le telefonate non sono a scopo di lucro (giuro!).

diciamo pure che alla base del marketing c’è la menzogna.

e nel mio gergo mentire si dice anche “inculare” la gente.

il marketing è l’arte (insegnata nelle università) di inculare la gente.

ho usato volutamente questo termine, perché mi piace figurarmi che sia lo stesso termine che usano i grandi teorici del marketing quando parlano della gente di fronte ai propri discepoli, quando parlano delle persone con cui avranno a che fare quando metteranno in pratica tutta la loro “scienza” per guadagnarsi uno stipendio.

fare marketing oggi significa imparare a “inculare” la gente. e il marketing, con tutte le società di marketing che spopolano e che si beano del proprio successo economico in un periodo in cui il mondo va a culo, è veramente una gran moda.

“la nostra tariffa per il gas è del 20% inferiore a quella che lei paga ora!”…

…ma solo per un anno o due, poi, grazie al fantomatico “libero mercato” (è proprio questo il concetto che ti citano al telefono, o di persona, quando parli con questi individui) la alzeremo in modo arbitrario senza possibilità di replica, perché sarà la libertà del libero mercato ad imporlo, mica una scelta nostra! e poi tanto ormai lei è nostro cliente vincolato per anni X. insomma cornuto e mazziato.

viviamo in un mondo in cui le grandi società puntano tutte le proprie energie nell’inculare la gente.

davvero, non era così prima.

la deontologia del lavoro è stata spazzata via negli ultimi venti o trent’anni.

prima un assicuratore, un bancario, un venditore in generale doveva misurarsi col proprio prodotto, e doveva trovare il giusto acquirente (domanda) per il giusto prodotto (offerta).

prima i cittadini avevano bisogno di una banca e di una assicurazione, e credevano a quello che i propri bancari e assicuratori dicevano, così come i propri bancari e i propri assicuratori li ascoltavano.

insomma: prima i bancari e gli assicuratori facevano il proprio lavoro.

poi, “colpa del libero mercato!”, hanno dovuto iniziare ad aumentare i clienti di anno in anno, per non essere assorbiti dalla concorrenza, poi hanno dovuto iniziare ad aumentare i profitti per ogni cliente, “legge del libero mercato!”, fino ad arrivare al punto che per non fallire devono fare a gara a chi incula, sempre quel verbo, più gente possibile, e chi non lo fa è fuori, non ha prodotto abbastanza, la sua azienda non ha bisogno di lui, meglio un giovane sciacallo cresciuto a TV e videogames di un vecchio incapace di buttare alle ortiche la sua morale.

oggi ci sono solo sciacalli che mentono spudoratamente, che mentono sui propri amici, sui propri parenti, pur di portare a casa un contratto.

per un periodo ho lavorato in via paglia, una via centrale di bergamo, e il nostro ufficio era al piano sopra ad una assicurazione (non ricordo il nome, se no lo direi): siccome ci eravamo imposti di non fumare in ufficio, fumavamo sul balcone, e così facevano i giovani adepti della compagnia di assicurazioni del piano di sotto. ebbene, durante quelle sigarette sul balcone ascoltavo le telefonate che facevano questi poveracci (e un po’ stronzi) ragazzini usciti dalle scuole superiori, tutti imbellettati nella loro tenuta da “assicuratore”, con le scarpette lucide, il gessato stirato di fresco dalla mamma, fumando anche loro sigarette sul balcone, mentre chiudevano contratti assicurativi:

“pronto!, ciao!, lo so che non ti ricordi di me! sono il tuo vecchio compagno delle scuole medie!… ecco, sono io!… stai bene? tutto ok a casa?… ascolta, ti chiamavo perché ho fra le mani un’offertona, una cosa irripetibile… tu che lavoro fai adesso? ah, ok, ecco, lo sai vero che lo Stato ti lascerà da solo e che non riceverai mai la pensione vero? ecco, bene, io lavoro per un’agenzia di assicurazioni e potrei venire a casa tua a offrirti un’occasione irripetibile… quanto guadagni tu al mese? ok! perfetto, guarda, con solo due o tremila euro l’anno noi possiamo garantirti una pensione, perché lo sai vero che non riceverai mai una pensione dallo Stato?!?… come? non ti ricordi di me? guarda, se giovedì sera c’hai un attimo, anche dopo le 22, posso passare a casa tua, e ti spiego tutto!”

poi le assicurazioni falliscono.

le banche falliscono.

e lo Stato, quello Stato tanto vituperato dai maestri del marketing, deve intervenire per tappare i buchi di bilancio, per non far fallire queste società di sciacalli, usando ovviamente i soldi dei contribuenti, per non lasciare a casa migliaia di giovani (e meno giovani) che lavorano per loro.

loro fregano i vecchi compagni di classe pur di portare a casa un contratto, sputtanando lo Stato (e la cosa più cara che hanno: le amicizie) per vendere un prodotto che spesso si rivelerà fallimentare, e poi l’assicurazione, la loro società madre, ricorre allo Stato per non fallire, perché se fallisce “troppa gente rimarrebbe sulla strada”….

comodo.

figo.

ma che schifo.

ma che presa per il culo.

un mondo di markettari che si sputtanano tutto, la dignità, le amicizie, la credibilità, spesso pure la fedina penale, e in cambio di niente, mentre a parare il culo a tutti ci sono sempre i soliti poveracci, i lavoratori veri, quelli che si occupano di produrre invece che di vendere, quelli che nello Stato ci credono ancora, quelli che aspettano una pensione che probabilmente, davvero, non arriverà mai, per colpa del libero mercato…

ma è l’onestà che conta.

a tutti quegli individui che tirano sempre fuori la stessa tracotante giustificazione “ma sei solo tu che non vuoi capire come funziona il mondo”, oppure “ma il mondo funziona da sempre così” vorrei dire che, non solo sono loro che non hanno mai capito niente, ma vorrei anche che un giorno mi risarcissero di tutta la loro ignoranza e di tutti i loro errori che poi, puntualmente, sono gli idealisti come me a dover pagare.

è troppo facile fare i “gli sciacalli” con il culo degli altri.

e sono sicuro, sono davvero sicuro, che un giorno il marketing sarà studiato a scuola come uno dei cancri del mondo.

la scienza, la conoscenza, il sapere, sono ben altro, sono il progresso dell’umanità. voi siete solo dei parassiti, e come tutti i parassiti, prima o poi sparirete con una botta di spazzola, con una scrollata di china di una società che sta arrivando alla saturazione delle vostre benemerite fregnacce.

noi saremo sempre qui.

poveri (per colpa vostra), ma sempre qui.

il mondo avrà sempre bisogno di qualcuno che produce.

ma mica per sempre potrà permettersi qualcuno che fa della menzogna una professione.

andate a lavorare (o imparate a lavorare) invece di inculare la gente valah!

il prossimo giro affronto i professionisti del copyright, i peggiori parassiti della cultura… ma quella è un’altra storia…