Fiat 500 viagra

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Fiat-500X-presentazione

Dibattito 5 donne 1 uomo (che non ha la macchina) ieri in ufficio sullo spot del giovanotto alla pompa con la sua Fiat 500 che s’ingrossa col viagra volato casualmente nel serbatoio dalla finestra di due veci porcelli (lei molto laida).

Una comincia chiedendo: avete visto lo spot Fiat500?

Un’altra risponde: si, è carina.

Una terza: ma keazz dici: è un cag pazzesca!

Una quarta: tu non sei carina!

Stagista: è firmato da Fiat ma in realtà è lo spot del viagra. 

Account: no, è proprio lo spot della 500viagra, una macchina per vecchi.

Uomo: no, il target è il ragazzo che fa benzina, il volo del viagra ha lo scopo di sdoganare il viagra preso i giovani vecchi, è una macchina per giovani vecchi, sfigati, porno-dipendenti.

Quella che ha cominciato il dibattito: quindi? La compri?

viva la pubblicità ignorante

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BGbirraIGN

Come sempre, nessuno inventa niente, e tutti contribuiscono a tutto.

Parliamo dell’origine della PIG, la pubblicità ignorante, il nuovo format di advertising/subvertising di CTRL magazine, riconoscibile da un bollino ovale tipo Pubblicità Progresso con la dicitura PIG.

Come si legge nella pubblicità della Pubblicità Ignorante,

PIG è la pubblicità km0, genuina, come una volta,

1 immagine da “cinema” e 3 promesse “strillo”

obiettivo comunicazionale: strappare un sorriso

obiettivo culturale: diffusione delle coltivazioni di pubblicità autoctona km0 e riduzione dell’inquinamento semiotico causato dalla pubblicità mainstream industriale tossica per la psiche.

Da qualche parte si trova anche una  normativa PIGright :

CTRLmag, ADVzero, StudioTEMP sono i  coideatori

corealizzatori condivisori e comproprietari del comarchio PIG

chiunque coltiva condivide e applica i principi PIG

è libero di utilizzare il comarchio PIG in modalità PIGright

cioè gratuitamente, ma con la disclamatura speciosa PIG1  PIG2  PIG3

per la tracciabilità del prodotto e la riconoscibilità dei coltivatori diretti.

CTRL è un magazine free press glocale che sta in piedi senza finanziamenti e con la pubblicità locale produce contenuti internazionali e format inediti. ADVzero è l’agenzia sperimentale di sovversione pubblicitaria del centro ricerche Calepio Press. StudioTemp è lo studio che crea la grafica di CTRL (e altre pubblicazioni sperimentali curate da ADVzero, come l’Osservatore Elaviano del birrificio Elav, un cartaceo di contro-subcultura illeggibile on line).

La pubblicità ignorante nasce esattamente alcuni mesi fa, quando i tre soggetti succitati, disgustati dall’idea di pubblicare in quarta di copertina la pagina pubblicitaria istituzionale dell’Università di Bergamo – una cosa vergognosa, brutta copia di banali adv americane nate vecchie –  in preda a questo profondo disgusto (è la qualità, la creatività delle inserzioni a fare la qualità, la creatività di un magazine!) si ribellavano e con incredibile ardire comunicavano all’inserzionista che non potevano pubblicare quell’annuncio, troppo brutto, e al contempo proponevano una adv fatta al momento, sullo spunto del bello dei Temp, che disse “facciamo qualcosa di ignorante!”, e cioè il logo in grande e una frase/claim: di fatto una copy compaign.

Con quella scelta, raggiungevamo una nuova consapevolezza, dovevamo occuparci di qualità, autenticità, appeal della pubblicità locale, spesso un adattamento di format nazionali, o vere e proprie brutture fatte dal tipografo o dal cliente stesso.

Dopo l’Università di Bergamo, le prime prove di PIG sono con BGbirra, per opera di StudioTemp, che trasforma un bastione delle mura in un boccale di birra, con citazione/claim by ADVzero, prendendo in giro le citazione colte con una citazione “ignorante”, e improbabile: Non c’è birra senza spina – Rosa Luxembourg.

Sempre per BGbirra, nasce quello che poi diventa il format basic, con imago da film e 3 frasi-3 strilli, secondo la scuola degli ambulanti-strilloni. Dopo BGbirra, ecco Skandia, e dal n.55 più della metà delle adv è in format PIG, con tanto di bollo.

Un successo, e anche piuttosto strano, considerato che la prima regola dell’adv è distinguersi, mentre la PIG è un format, una gabbia standard, e dunque in un certo senso tecnico/semiotico “non è pubblicità”, o se è pubblicità, è pubblicità dentro uno schema, cioè roba da DDR, da Minculpop, da pubblicità irregimentata.

Eppure funziona, colpisce, anche rinunciando all’unicità, all’impatto visual, all’unicum grafico, o forse proprio in virtù di questa sottrazione, quest’uniformità, riporta l’attenzione sul messaggio, sull’emittente.

E a quel punto convince per il tono leggero, spiritoso, autoironico, e genuinamente “ignorante”.

La parola “ignoranza”, “ignorante” – parola tabù alle opposte estremità del target socioculturale per opposti motivi –  non mi è nuova. Da bambino mia zia iniziava ogni discorso con “io sono ignorante, ma…” (che retoricamente somiglia al “io non sono razzista, ma…”). Recentemente, ai tempi della capitale della cultura, sempre in combutta con CTRL, si era creato il dominio, anzi l’hastag, #pensacheignoranza, a identificare un’agenzia di sondaggi d’opinione a priori, cioè come quelle di regime…

Ma l’idea, la convinzione  che la pubblicità si basi sull’ignoranza, è nel dna della pubblicità. Diceva il mio primo art director (1986): se tutto il target fosse veramente A+, cultura e consapevolezza, la pubblicità non avrebbe alcuna possibilità di esistere. Dovrebbe sparire. Poco per volta, con l’evoluzione del pubblico. Abbassare le luci, la voce.

Una delle prime agenzie in cui ho messo piede ebbe un momento di gloria con lo spot: “Silenzio, parla Agnesi”.

Più avanti, ebbi il trauma di lavorare per un imprenditore vecchio stampo, che si vantava di non aver mai speso 1 lira in pubblicità (e lavorava e prosperava nel settore moda…): ma se io l’avessi eccitato con un’idea, avrebbe cambiato idea e fatto la sua prima campagna. Cosa che naturalmente avvenne, e la campagna “Eroi del nostro tempo” (con testimonial banali, uomini comuni, vestiti da perfect gentleman Boggi, con la body-eroica tipo: impiegato, due figli all’università) vinse qualche premio e convinse l’uomo a dotare l’impresa di un pay-off (Boggi ha solo clienti fedeli a sé stessi).

Mi diceva il vecchio Boggi:  la vera pubblicità è quella che fanno gli strasciuni (straccivendoli) ti sbattono in faccia il tessuto e ti urlano tre frasi, in modalità sillogismo (tesi, antitesi, sintesi)  che a bene vedere è tuttora il perno razionale di ogni televendita.

Poi con gli anni  80 e il made in Italy e le scuole di design e la notte dei pubblivori prende piede l’idea che la pubblicità sia un linguaggio sofisticato, elitario, intelligentissimo. Per gente che non ha mai decifrato una terzina della Divina Commedia, o un passo del Vangelo, o un’affermazione di Wittgenstein, o un paragrafo del Finnegan’s Wake, uno spot con due o tre rimandi in circolo è già un’opera dell’ingegno.

E così arriviamo ai disastri, alle pubblicità difficili, auto-referenziali, e autolesioniste. Vorrebbero essere adv per gente up. Ma sono senz’anima, e deprimono nonostante la sfavillare di luci e luxury.

L’anima della pubblicità, se c’è, è ignorante, possibilmente di una sana ignoranza, sincera, infantile: è lo stupore di un bambino che grida alla sua automobilina: ha il motore!

PS: c’è da dire che il merito conclusivo della PIG è del giovane Postini, l’editore/account di CTRLmag: è lui quello che è andato a faccia tosta dai clienti a vendere pubblicità ignorante (e a un prezzo superiore!). Il  mondo adv è pieno di creativi cattivi e innovativi da sempre castrati e cassati da account “con i piedi per terra”. E non succede niente. Ma se accade che il commerciale è più “fuori” del creativo, allora…

(imago: PIG, pubblicità ignorante per BGbirra su CTRL magazine)

via le slot

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viaslot

Via le slot dai locali mettiamole in chiesa negli ospizi negli ospedali a finanziare le opere pie direttamente in circolo dal vizioso al virtuoso.

Via le slot dai locali pubblici, dai bar, dai ristoranti, dalle edicole, dal momento che le società concessionarie sono per la maggior parte multinazionali con sede in Lussemburgo e lo stato incassa solo una minima parte del lucro è interesse della collettività far rifluire il fiume di denaro slot (il gioco d’azzardo nel suo complesso è ormai prima azienda italiana per fatturato) in settori di pubblica utilità

e dunque oltre ogni ipocrisia mettiamo le slot in chiesa, santa slot (sicché le chiese tornerebbero a riempirsi, e con animo più lieto il giocatore perderebbe denari a favore delle attività parrocchiali, mensa dei poveri, etc) e negli ospizi, dove i giocatori e gli anziani si potrebbero dare reciproco conforto e sollazzo, o negli ospedali, e in generale in tutti quei luoghi e strutture onlus, no profit, dediti al sociale, alla tutela ambientale, etc.

così se vuoi giocare se vuoi bruciarti cervello nervi e stipendio ci vai a testa alta con l’animo in pace tu metti il tuo vizio al servizio di chi ha bisogno tu vai a fare del bene e quando ti capita di vincere, in chiesa, quel risuonar di monete prenderà il senso del miracolo: e vincerai con le tre Madonne, e sbancherai con la Trinità Divina (Pater, Filius, Spiritus S.)

Via le slot dai locali di consumo, dagli spazi laici, si alle slot negli spazi religiosi, solidali, il gioco è una forma di preghiera, richiede luoghi sacri, e finalità adeguate, dunque basta regalare il sangue alle elites finanziarie, si alla redenzione km0, si al gioco solidale, si alle slot a sostegno del terzo settore, carità pubblica, mense popolari, dormitori pubblici,  volontariato, tutela patrimonio artistico e beni ambientali: e chi più ne ha, ne metta!

A quel punto la cura della ludopatia è immediata, i costi sociali si tramutano in risorse, l’apatico che riversa il suo capitale emotivo in una slot, un benefattore, un filantropo, uno che disperde e dilapida pro bono, ecco il vero altruismo, il gioco del dare, l’economia del dono.

Ecco cosa significa il miracolo dei pani e dei pesci, ecco il miracolo fatto quel giorno da ns. Signore Gesù Cristo: una lotteria di beneficenza, la pesca di beneficenza, ecco l’appiglio, il precedente, ecco la vera via cattolica per affrontare il peccato della slot: non allontanarla dalla comunità, ma riportarla dentro la chiesa.

(editoriale de L’Osservatore Elaviano n.3, foglio di contro-sub cultura luppolacea del Birrificio Indipendente Elav. Una nota avverte: questo editoriale è stato selezionato da 7 elaborati prodotti sul tema da 7 autori di diversa estrazione culturale dopo aver bevuto diverse 7 birre)

siamo sempre su un ponte

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fiume auto 1 copia

Sono venuta al mondo e cresciuta in un piccolo centro come tanti. I miei nonni erano minatori-contadini, mio padre Gioioso di nome e di fatto, mia madre invece un generale dagli occhi neri, bellissimi.  La valle, la fabbrica, la scuola, la famiglia, il fiume, gli inverni lunghi.  A 15 anni pensavo: tutto qui?

Un giorno attraverso il fiume, entro nella grande fabbrica, chiedo di parlare con la titolare, che era, ed è, una donna. Le chiedo di sponsorizzare la squadra di pallavolo femminile in cui giocavo. Mi dice di si. La mia prima azione marketing.

Tornando a casa, sul vecchio ponte pedonale, mi sento più grande di cinque anni. Quindici anni dopo, tenendo corsi di specializzazione ai neolaureati, parlo del marketing come di un ponte tra le imprese e il mercato.

Momenti nei quali si prende una strada. Dopo gli anni di “studio forsennato”, tornata da Harvard avevo due scelte: la strada maestra, cioè lavorare per una grande società di consulenza internazionale, oppure la “porta stretta”, cioè aprire una mia piccola società di consulenza, con grandi ambizioni, nella mia città.

Perchè qualcuno mi aveva detto:  la vera impresa è tornare a casa, realizzare la propria idea d’impresa nel tuo territorio, nella tua città. Multiconsult nasce a Bergamo, nel 1994 da questa sfida, con questo obiettivo: portare il mondo a Bergamo, e Bergamo nel mondo.

Quando parliamo di import-export, di marketing e comunicazione, parliamo di dentro e fuori, di cose che abbiamo dentro da sempre, di cose che prendiamo/apprendiamo da fuori e di cose che vogliamo o non vogliamo portare fuori, condividere.

L’integrità, il valore, la capacità, e anche la tradizione, da un lato, e dall’altro l’apertura, la malleabilità, la disponibilità al nuovo, al diverso, all’altro: perchè ogni nuovo cliente è sempre diverso dall’altro.

Questa sfida riguarda ognuno come persona, riguarda le aziende, riguarda un’intera comunità. Siamo sistemi complessi, che convivono all’interno di eco-sistemi più ampi, e tutta la complessità è nel trovare l’equilbrio con semplicità, e nel mantenerlo.  In questi 20 anni non ho fatto altro che lavorare su questo tema, anche le iniziative, i progetti speciali inseguono questo concept.

Il progetto “dimore e design”, una provocazion ai designer – che effetto fa la tua leggerissima sedia design in policarbonato in un salone marmi, stucchi arazzi e ori barocchi –  per offrire al pubblico uno stimolo, un input sul tema dentro/fuori, tradizione/innovazione.

Potrei parlare ore di reti d’impresa, in teoria un’idea fantastica, che fino ad oggi non funziona. Potrei parlare di marketing urbano, della capitale della cultura, dell’Expo, dell’Accademia Carrara, del Donizetti. Della città d’arte e della città vera, ostica, chiusa, bellissima, la nostra non è una città per turisti qualsiasi.

Il marketing è il passatore,  il traghettatore. Siamo sempre su un ponte, e io mi vedo, mi rispecchio sia negli occhi allegri delle mie figlie, che nello sguardo fermo di mia madre.

Oggi la mia società di consulenza marketing compie 20 anni: costellati di grandi successi, qualche sconfitta importante, e alcune perdite dolorose. Non intendo finanziarie, ma umane. Viene la voglia, il desiderio di seguire un richiamo all’origine (al futuro?) del marketing: la realtà.

“Tu non fai marketing” mi ha detto un giorno un funzionario di un’associazione di categoria: “c’è qualcosa nell’aria, e tu lo fai diventare un progetto”

Ma il complimento più bello, mi è stato fatto dall grande avvocato delle grandi aziende:  “ho visto tanti business plan delle grandi società di consulenza, però è la prima volta che trovo un business plan che è piacevole da leggere, e si capisce cose c’è scritto!”.

Parlavo di perdite importanti, e mi riferisco a persone, persone con le quali ho condiviso tratti importanti di strada, e che a un certo punto – è la realtà! – prendono un’altra strada, un altro cammino. Penso soprattutto a Francesco, la persona che negli ultimi dieci anni è stata al mio fianco ogni giorno seguendo la nascita e la crescita (nella realtà!) dell’area comunicazione.

Franz ha creato uno stile, un metodo, uno standard di qualità nella comunicazione, con l’attenzione quotidiana, a volte maniacale, al dettaglio, al millimetro.  Dieci anni ogni giorno con me, poi te ne sei andato dopo un mese d’ospedale, senza nemmeno avere quarant’anni.

Non so se è una bestemmia, o una preghiera, ma spero tanto valga anche per te, Franz, la nostra reputazione, tu lo sai, è la cosa che mi ha sempre più gratificato, per cui chi ha lavorato in Multiconsult è molto ben considerato quando entra in una nuova realtà.

(tratto da “Nata prima la gallina”, di Giovanna Ricuperati, “libretto da visita” pubblicato da Multi-Consult in occasione dei 20 anni di attività. Immagine: foto di Virgilio Fidanza, fiume Serio.)

il guerriero della luce

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lampada_frontale

(per la rubrica PORNO satiro/maschilista di CTRL magazine “il mondo di Onan”, tema del mese “La Luce”) 

Amano apparire, essere al centro dei riflettori, adorano prendere il sole ma quando si arriva al dunque, alla caverna, vogliono spegnere la luce: non è strano?

Una donna serve proprio a questo, a spegnerti la luce.

Quando hai la testa tra le gambe di una donna, e sei sotto le coperte di una stanza immersa nell’oscurità più totale, sei come un minatore nelle viscere della montagna rocciosa, e come un minatore, oltre alla piccozza, dovresti avere una luce sulla fronte: ti basta montare il faretto della mountain bike su un cerchietto o una fascetta da tennis (brevetto LeccaLux) e avrai risolto metà dei tuoi problemi di roccia e piccozza.

Al contrario di quel che dicono loro, con la luce la libido aumenta, un po’ di luce, non abbagliante, e lo sa bene  la cultura cattolica, a lume di candela. Le nostre nonne lo volevano fare al buio per non lasciarsi prendere dalla libidine, per non essere troppo peccaminose (da una ricerca BaDante Alighieri).

Loro invece, le donne di oggi, credono (sono state indotte a credere) che con la luce tu noteresti le smagliature, la cellulite, i peli sulle gambe.

Stronzate. Le poverette non considerano che al buio gli altri sensi si acuiscono: e percepisci fetori, odori, sudori che, in assenza di una forma femminile visibile, ti sembrano molto simili a quelli di un uomo, ai tuoi, e la cosa è francamente deprimente.

Cose che alla luce del sole ti infiammano, nelle tenebre ti spaventano. Al buio l’ascella della Hunziker ha lo stesso odore di quella di Ibrahimovic. E non parliamo del latoB.

Secondo altri – ipotesi evoluzionista, che pubblichiamo con riserva  – loro vogliono spegnere la luce perchè sono vittime di un retaggio ancestrale, cavernicolo. Stiamo parlando delle donne, specie di scimpanzè che si è evoluta in bipede solo 400.000 anni dopo il maschio, non dimentichiamolo (e con 400g di cervello in meno). Per tutto questo tempo la donna seguiva a quattro zampe il bipede maschio, e lui le gettava qualche avanzo. In seguito questo ruolo fu occupato dal cane.

E con questo rispondiamo anche all’annosa questione: può esistere l’amicizia tra l’uomo e la donna? Sì, ma uno dei due deve fare il cane, e l’altro tenere il guinzaglio.

La donna a quattro zampe, succube del bipede maschio alla luce del sole, nelle tenebre della notte in posizione orizzontale ristabilisce la supremazia della bestia inondando il bipede di libidine con energia inesauribile. A queste condizioni, puoi darle il permesso di spegnere la luce.