non parlatemi di birra km0

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BAffoLeo

L’invito lasciava intendere la presentazione della nuova Birra Moretti Km0, la birra ufficiale dell’Expo, allo stabilimento Heineken di Comun Nuovo, il birrificio più grande d’Europa.

Immagina 20 campi da calcio, e ragionamenti in termini di milioni di ettolitri. Per andare dal parcheggio all’ingresso ti danno l’ombrello. Per la visita dello stabilimento  vieni equipaggiato da occhiali, tappi per le orecchie, scarpe antistatiche, e pettorina grande visibilità.

Così marzianizzato già non sei più tu: circondato da alte hostess, vieni pastorizzato anche tu, gettato in una sala conferenze e catechizzato a dovere da simpatici key men;

il classico trio management, col solista del marketing che ricama poesia, il pianista di produzione che martella numeri, e il contrabbassista del cda – quello vestito meglio – che si limita a borbottare qualche nota, ma con sentimento pesante.

Indovina chi  dice le seguenti frasi:

1)    la produzione è 50% Birra Moretti e 50% Heineken, che ha rilevato Birra Moretti 20 anni fa, portandola da 100 a 200 milioni di litri l’anno, non da un giorno all’altro, ma giorno per giorno, con un incremento annuo del…

2)    Per la Bottega Birra Moretti all’Expo non abbiamo chiamato un architetto: ma uno scenografo! Una meraviglia, tutta in legno e rame, molto alta, molto grossa!

3)    L’imbottigliatore meccanico riempie le bottiglie per lacrimazione forzata, il tappatore automatizzato esercita un’esatta forza verticale di 320 kg; alla fine del nastro trasportatore i cartoni vengono pallettizzati al ritmo orario di…

4)    Il packaging non è solo estetica: è sostanza!

5)    Programma Zero Infortuni, in collaborazione con Confindustria Bergamo, siamo passati dagli x infortuni del 2005 agli y del 2015 con un decremento dell’xy% annuo…

6)    Ma adesso vorrei presentarvi un amico che per la prima volta ci viene a trovare…

… e a quel punto si alza una figura che pare uscire direttamente dal fantasy world, dalla tv, dalle etichette: il Baffo D’Oro, il super testimonial Birra Moretti, in carne e ossa, bellissimo, due occhi a perdita dei medesimi, senza età ma probabilmente ottantenne, col suo cappello di scena, e il sorriso sornione da spot, preciso…  

A rovinare la liturgia, ecco il solito giornalista comunista con barba e brown velvet jacket che vuole fare una domanda politica: scusate, ma come fate a parlare di birra km0 se gli ingredienti vengono da ogni parte del mondo?

Risposta del violinista (in purissimo stile mirror climbing): no siccome in pratica la normativa dice che sotto i 70km puoi dire che sei km0, e noi qui siamo a 69km da Milano, ecco che comunque è giusto un messaggio… Come direbbe l’Insostenibile Elaviano: In vino veritas, in birra fabulas!

Finita la predica (queste presentazioni ricalcano sempre la struttura della messa: prima le letture, poi la predica, poi i canti e la comunione, cioè lo show e il catering) comincia lo spettacolo: visita in passerella aerea alla linea di produzione, fiumi di birra a perdita d’occhio, le bottigliette marciano compatte come antichi eserciti che si rincorrono, l’esercito Heineken in divisa verde e l’esercito Moretti in divisa marron.

Col Baffo che si lascia fotografare free, si brinda col management, tutti alegher,  maestranze e giornalisti, e lemme lemme in non scialanza ci si appropinqua ai tavoli food & beverage con le 11 referenze (solo quando le ho viste ho capito che le referenze sono i prodotti, le birre)

In realtà, non esiste nessuna Birra Moretti Km0, le due novità sono:

1) la nuova grafica delle etichette, in stile birra artigianale di qualche anno fa, carta da pacco e lettering monocolore, nell’insieme molto simile alle Lucky Strike natural,

2) le nuove birre regionali,  in 4 versioni, una mezza delusione:  Sicilia e Toscana bevibili,  Piemonte imbarazzante (sa di sciroppo concentrato per granite) e Friulana quasi disgustosa (sa di shampoo Garnier alla mela verde: ma sulla marca dello shampoo potremmo discutere, dice il giornalista guru della birra).

Come sempre, banale la Bionda e dignitosa la Rossa (secondo un amico noto birraio una delle meno peggio tra le industriali).

Impietoso risulta tuttavia l’accostamento con le prelibatezze del catering di Vittorio, risotto, pacheri, lasagne, formaggi, battuta di carne, dolci al cucchiaio, tutto 5 stelle: e ti faceva venire voglia di un buon bicchiere di vino.

Avrebbero fatto meglio a limitarsi a servire patatine, salatini, olive e cipolline, per mascherare l’insipienza della bevanda e valorizzarne quantomeno l’elemento dissetante e alcolico, come ben sapevano i baristi dell’epoca pre happy hours.

Provate tutte le referenze, pausa pissyng, e momento di coscienza critica:

aver mangiato a sbafo da Vittorio col Baffo, non ci impedisce, a costo di non essere invitati una seconda volta, di scrivere quello che abbiamo visto, provato e pensato:

Il messaggio Km0, proprio perchè  è giusto un messaggio, non è un messaggio giusto, e quasi nemmeno un messaggio.

Le birre regionali sono una mossa sbagliata, un prodotto sbagliato, un marketing sbagliato: puzzano d’inautentico fin dalla loro immagine coordinata;

Personalmente, l’unica referenza che continuerò a comprare è la Rossa, che vedrei bene in bottiglia da 66cc.

Tirar su la patta e sentirsi la coscienza a posto, una cosa sola.

All’uscita c’è il posto di blocco con le hostess. Con sorriso e muscoli tirati, ci consegnano una pesante shopping bag Moretti. Dentro, un’ampia selezione di  referenze in bottiglia. Nella mia, manca giusto la Rossa.

MorettiLeo Imago: il Multi-Reporter Calepio Press- Osservatore Elaviano – CTRL

 

 

 

Accademia Carrara Outing

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Ora che riapre, e ne siamo tutti molti contenti, io voglio sapere perché è stata chiusa.

Si parlava di un restyling funzionale, vale a dire gli impianti, e la libreria (la bookshop) e il caffè-bistrot, come nei musei europei,

ebbene, giovedi 23 aprile 2015, dopo 7 anni, riapre la Carrara, senza bookshop e senza caffè-bistrot;

pareti imbiancate a nuovo, nuovi impianti elettrici, nuovo allestimento:  e noi che siamo bergamaschi sappiamo bene che questi lavori si potevano fare in due-tre mesi, e anche senza mai chiudere la pinacoteca, ma lavorando “a zone” (come fanno nei musei europei…);

noi che siamo il popolo dei magut, tra l’altro, sappiamo bene che se la Carrara fosse stata rasa al suolo da un terremoto, l’avremmo ricostruita così com’era in cinque-sei mesi.

E dunque perché sette anni, quali sono le veri motivazioni, perché non sono rese pubbliche?

Chi è meno serio, in questa vicenda, le istituzioni, i loro dirigenti, il pubblico, gli organi d’informazione?

Io sono disposto ad accettare qualsiasi verità, ma per favore smettiamo questa ipocrisia dei “lavori” che ci rende ridicoli (avremmo anche una reputazione di città dell’edilizia da difendere);

cosa c’è sotto? Ho solo ipotesi romanzesche:

1)    un esperimento di sociologia: “vediamo quanti anni passano prima che qualcuno chieda notizie della Carrara”

2)    una strategia estrema di valorizzazione: “teniamola chiusa il più a lungo possibile per aumentare l’aspettativa”

3)    una banale consorteria di profitto: “mandiamo i quadri all’estero o nei caveau, e facciamo lavorare e guadagnare le assicurazioni e le banche”

4)    una commedia dell’assurdo senza un vero e proprio piano: “proviamo a vedere cosa succede lasciando che i lavori seguano un’inerzia esistenziale stile Salerno-Reggio Calabria”

5)    un’astutissima manovra per trasformare un patrimonio pubblico in una fondazione privata: “tanto ai cittadini non importa niente dell’arte”.

Effettivamente i risultati sono scoraggianti. Se qualcuno toglie agli italiani il segnale televisivo per una mezza serata, scoppia la rivoluzione, e i responsabili si prendono l’ergastolo; se lasci chiusa una delle più importanti pinacoteche  del paese per sette anni, nessuno ti dice niente.

E quindi è puramente per amore di verità, e non per fare scandalo o polemiche, che chiedo a tutti gli enti coinvolti nella gestione dell’Accademia Carrara, e alle persone che li rappresentano, per quale motivo realmente  l’Accademia Carrara sia stata tenuta chiusa per sette anni;

lo chiedo a nome di molti cittadini, e non stupidi: e sarebbe bello avere una risposta “pubblica”, un vero e proprio “outing” dopo sette anni di mistero, magari il giorno stesso dell’inaugurazione.

(Imago: titolo dedicato da CTRL magazine alla riapertura della Carrara)

 

Mc Donald’s, Expo, la pizza e il bambino scemo

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pubblicita-mcdonalds-happy-meal-2015

Un bambino scemo in pizzeria invece di scegliere la pizza vuole l’happy meal, il papà più scemo di lui lo porta al Mc Donald e sono tutti felici. Slogan: tuo figlio non ha dubbi!

Con arroganza multinazionale, nella sua nuova campagna Mc Donald irride, nell’ordine:

1)    uno dei prodotti simbolo del food made in Italy, la pizza,

2)    il luogo dove questo prodotto viene preparato e servito: la pizzeria

3)    il cameriere italiano, cioè il servizio e la conduzione di tipo familiare

4)    il bambino italiano, che alla pizza in pizzeria preferisce l’happy meal col suo bel packaging

5)    il papà italiano, che si sdraia davanti al bambino succube della pubblicità

6)    la legislazione italiana, che ha un’idea sorpassata di pubblicità scorretta

7)    l’expo, sotto le cui insegne termina la spot, il che ci lascia capire il caro prezzo  pagato dall’Expo a Mc Donald per averlo come main sponsor (insieme a Coca Cola!)

Tutti questi soggetti irrisi, ma specialmente i pizzaioli, e i titolari di pizzerie, vedendo questo spot, si renderanno conto di vivere e lavorare in uno stato di sudditanza.

In 30 secondo riescono a demolire agli occhi dei bambini l’andare in pizzeria e a convincere i genitori che da Mc Donald è tutto più facile.

Nei fatti, si scontrano due modi concorrenti di produzione/nutrizione/consumo: da una parte la catena fast-food della grande multinazionale, industrializzata,  standardizzata, gestione manageriale; dall’altra il mondo delle ristorazione parcellizzata, di cui le pizzerie sono cardine, con prodotto artigianale fatto sul posto, piccoli proprietari, gestione familiare.

Questi due mondi sono in guerra, ma non combattono ad armi pari.

L’associazione pizzaioli/pizzerie non può fare uno spot dove dileggia Mc Donald e i suoi clienti come bambini scemi, succubi e capricciosi. Mc Donald lo può fare.

La pizza italiana, il gelato italiano, non hanno brevetti. Hanno ricette. Le ricette sono come i free software: mettono a disposizione di tutti una conoscenza.

La coca cola invece è una ricetta segreta. Siamo nel mondo del copyright, del prodotto brevettato, dove identifichi il prodotto con il marchio, e  quindi essendo di tua proprietà il nome stesso del prodotto, io non ne posso nemmeno parlare!

Se invece hai un prodotto che non ha un marchio, ha solo un nome comune, pizza, lasagne, gelato, e tradizioni secolari, e ingredienti autentici, allora io lo posso denigrare tranquillamente e danneggiare tutta la filiera. Questo è quello che vedo nello spot Mc Donald.

Noi popolo di pizzaioli, gelatai, vignaioli, pasticceri non possiamo dire che Mc Donald è merda, che la Coca Cola è merda; loro invece possono dire che la pizza è merda, che le pizzerie sono merda, e quindi domani potranno anche dire che la pasta italiana, o il vino, o le gelaterie artigianali sono merda.

E lo possono fare in Italia, all’Expo italiana, dove noi si pensava di lanciare il cibo come nuovo made in Italy, esempio per l’umanità. Per ora, purtroppo, esempio di sottomissione.

Viene da pensare che quel bambino scemo che invece di scegliere una pizza subisce il menu preconfezionato, siamo noi, è l’Italia.

Bergamough

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c’è qualcosa che non funziona nella Bergamo Experience, e rende poco credibili eventi come il Donizetti Pride e il Palma Shopping Tour,

si tratta di una parola fuori luogo, ricorrente, che troviamo nello slogan ufficiale – Bergamo Italian Masterpiece – ma anche nel forum Bergamo Pubblic Space, nell’iniziativa Bergamo Cashless City, nel progetto Bergamo 2035 Smart City e perfino nell’ente promotore, la University of Bergamo;

questa parola fuori luogo, stonata, è la parola Bergamo: tutti gli slogan citati vengono ridicolizzati da questa parola italianizzante, provincializzante;

per cui, a parere degli esperti, il problema potrebbe essere risolto solo con una scelta coraggiosa, una mutazione grafologica, da Bergamo a Bergamough,

una grafia più importante, per un risultato linguisticamente coerente;

la pronuncia non si discosterebbe dall’attuale, se non per un finale più corposo e rotondo, in grado di dare alla città una suggestione e un sound nobile, internazionale, simile a Marlboro, contrazione moderna dell’originario Marlborough,

sicché tra 20 o 30 anni, quando tutti avranno imparato a dire Bergamough, potremo fare come la Marlboro, e lanciare la versione alleggerita, Bergamo Light, la città che si è fumata il cervello.

 

Gori veranda Domus

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goridomus1

Il sindaco Giorgio Gori complici due calicini di cabernet svela: “la Domus vetrina della città? Uno scherzo! La verità è che avevo in giardino una veranda che ho dovuto smontare da solo  – che tra l’altro mi occupava spazio in garage – e ho pensato di donarla alla città e farla montare a una squadra di architetti. Tutto qui”.

“Ma ci deve far riflettere il fatto che l’opinione pubblica si sia bevuta come un calice di merlot la favola della vetrina della città: come se nella città dei costruttori per metter giù un box temporaneo servissero 4 studi di architettura, con più di 20 architetti, 52 aziende sponsor  e 15 partner culturali! Scherziamo? ”

“Sarebbe veramente autolesionista, una vetrina del genere, sia per i costruttori, che per i comunicatori! Basta andare sul sito dedicato ( http://www.alta-qualita.it/bergamo-wine-2015/sponsor-patrocini/ ) per vedere che metà dei link non portano in nessun sito!”

“In realtà la veranda-domus è una puntata di scherzi a parte!”