messaggio di fine anno di papa Leone XIV

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Un anno intensissimo, volato via.

Ringrazio prima di tutti il Signore, per avermi rotto un ginocchio: l’esperienza della disabilità mi ha dato umiltà, pazienza, mi ha costretto a chiedere aiuto, mi ha fatto capire che abbiamo sempre bisogno di stampelle, e che noi stessi siamo stampelle.

Dico grazie agli editori che quest’anno hanno pubblicato miei lavori e agli imprenditori e ai manager che mi hanno “dato lavoro”: Andrea, Angelo, Antonio, Bob, Corinna, Fausto, Filippo, Giovanna, Giovanni, Matteo, Tullio.

E grazie a collaboratori, colleghi, creativi, commerciali con i quali ho lavorato per avermi sopportato e stimolato (e a volte scarrozzato!): Alice, Benedetto, Consuelo, Daniela, Elisa, Emmanuela, Federica, Federico, Faustino, Francesca, Gianni, Guido, Iris, Luigi, Nicola, Valeria, Tiziana.

Chiedo scusa a coloro che ho deluso (Gloria, Marco, più quelli che non so) per non aver saputo rispondere pienamente alla richiesta creativa.

Chiedo perdono a chi ho trascurato, dimenticato o ignorato; a chi ho offeso, insultato o ferito con le mie parole e i miei post.

Grazie infine a tutti gli amici, ai familiari, alle persone incontrate un giorno e a quelle frequentate ogni giorno; grazie ai lettori di questo blog, grazie a chi mi parla, a chi mi vede, a chi mi sorride e a chi mi sfotte.

Per il nuovo anno, l’invito che rivolgo agli operatori della comunicazione è questo:

salviamo la piccola, nobile e meschina città di Bergamo dalla sua secolare tendenza alla chiusura, tiriamo fuori e offriamo il calore nascosto sotto la cenere!

Un augurio, un abbraccio, mille baci!

Leone

 

montelungo fiato corto

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montelungo

Se questa è la riqualificazione urbana, dalla caserma al casermone, no grazie, mi tengo le aree dismesse.

Parliamo di un’area strategica completamente travisata, di un’opportunità che ha generato un mostro.

La Montelungo doveva essere il cuore del “passante verde”, ne parliamo da anni, un vero progetto urbanistico, non edilizio, per dare volto e funzione nuova alla città, in grado di unire città alta e bassa, Carrara e Sentierone, borghi orientali e occidentali, realizzabile aprendo porte, recinzioni, abbattendo muri…

Gori parlava di “rammendo” urbano, ed effettivamente qui si trattava di “cucire” e confezionare il parco-passante verde (S.Agostino/Carrara > orti S.Tomaso > parco Suardi > parco/cascina urbana Montelungo > parco Marenzi e Caprotti > Sentierone) per cui tu cittadino o turista potresti attraversare e vivere Bergamo Bassa a piedi seguendo un vero percorso-giardino d’arte, dalla Carrara al Sentierone, facendo tappa in S.Spirito e S.Bartolomeo ad ammirare i capolavori del Lotto (e non solo);

Il punto nevralgico, la ex-Montelungo, come tutti ripetiamo da anni, è da aprire, abbattere, piantumare, riqualificare come cascina urbana, non ri-edificare in mega-volumetria “casermone” ex Germania Est;

il progetto doveva essere un progetto di apertura, con soluzioni esemplari, bio-architettura, sostenibilità, mercato agricolo urbano, e invece qui abbiamo un progetto chiuso, una colata di cemento circondariale, del tutto fuori luogo e fuori tempo;

l’unico vero intervento – se proprio si vuole aprire un cantiere – sarebbe interrare il tratto di strada che oggi separa il Parco Suardi dall’area Montelungo (o in alternativa by passarla con strutture aeree pedonali);

doveva essere il polmone verde di città bassa, il tratto d’unione in grado di connettere e rivitalizzare l’area Carrara e il centro Piacentiniano,  e di unire i borghi s.caterina – palazzo – pignolo  con i borghi s.alessandro-leonardo, e non solo,

doveva essere il ring cultura/città bassa connesso al ring mura/città alta, il percorso sopra e sotto le mura venete,

insieme, dovevano essere i due polmoni della città d’arte sostenibile;

invece, nel polmone verde di città bassa si vuole costruire un ecomostro,

mentre il polmone verde di città alta, il parco fara-rocca, l’acropoli della città, è stato devastato, contaminato e poi abbandonato come una discarica da 8 anni (e a spese dei cittadini!).

Questi due polmoni, cruciali per dare aria, respiro, connessione di percorsi pedonali città alta-bassa, cultura e turismo, sono e saranno soffocati da colate di cemento.

Fiato corto. Manca l’aria.

Prendiamo atto di questo: la giunta degli architetti, la città degli architetti, molti dei quali paesaggisti, a cui si chiedeva di aprire la città con un parco/cascina/percorso, ha indetto un concorso-archistar per costruire un carcere di cemento.

La cui unica evidente utilità potrebbe essere richiuderci dentro tutti quelli che l’hanno concepito, e buttare via la chiave.

 

le parole che fanno sito

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Io non cambio,

non mi adeguo, non condivido, non tradisco,

non mi illudo, non rinuncio, non smetto, non mi arrendo,

non mi fermo, non prometto, non chiedo, non aspetto,

non nascondo quello che ho dentro.

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Quello che ho dentro,

quella forza inespressa, quella tensione che cresce, quella voce che urla,

una voglia esplosiva, uno scatto rabbioso,un mondo che brucia,

un vento di libertà, quello che ho dentro lo sento a pelle.

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 Lo sento a pelle,

l’animale che mi porto dentro, scalpita, suda, spinge,

sui pedali, in sella, su strada, in pista, nei boschi, in montagna,

in scalata, in gruppo, in volata, nella polvere,

in fuga da me, per tornare in me,

perchè io non cambio. ( > da capo) 

Nota: questi 3 mood/poems sono l’anima testo/immagine del nuovo sito Rosti, maglificio sportivo di qualità.

Il tema di questa lezione di web writing è come si scrivono i testi per i nuovi siti web, quelli con grandi immagini e grandi parole che, come la locandina di un film, devono dire tutto, farti sognare ed entrare in sala.

Per ottenere questo, mediamente usiamo non una, ma 3 locandine, perché il nostro cinema-sito è sempre un multisala;

questi 3 film devono dire tutto del marchio, dell’azienda, del prodotto, e il nostro compito è dargli voce, esprimere a parole, essere lo sceneggiatore del film, il paroliere della canzone;

a volte ti chiedono di partire dalle parole, poi si realizzano le immagini; altre volte, come nel caso in esempio, ricevi i 3 mood, le 3 immagini guida già fatte e la richiesta è unicamente di copy writing: head lines, subheadlines e body copy (cioè titoli, sottotitoli e brevi testi).

L’operazione, la concettualizzazione pre-creativa da fare, è: che cosa dobbiamo dire, quali sono i punti di forza del marchio/prodotto?

Nel caso in esempio, il maglificio sportivo Rosti, vogliamo dire 3 cose:

1) che è un marchio connotato da una forte passione/identità;

2) che ha sviluppato una grande qualità/tecnologia;

3) che ha raggiunto una leadership di prodotto/immagine.

Il bravo copy scriverebbe le 3 head più o meno così: la nostra identità nasce dalla passione… la nostra qualità è il risultato della tecnologia… la nostra immagine è immediatamente riconoscibile….

Tutto giusto, Rosti è uno dei marchi di punta del vero made in Italy, di qualità, fatto con passione e creatività: il nostro problema è che tutte queste parole ormai sono vuote, consumate, per l’abuso che ne hanno fatto le grandi griffe.

Il cattivo copy perciò cerca un altro linguaggio, realmente sintonizzato sui 3 mood.  Dobbiamo esprimere le 3 immagini/valori con altre parole, non razionali, ma emotive, dobbiamo dire i 3 stati d’animo costitutivi delle 3 dimensioni dell’universo Rosti:

come claim di identità/passione, scegliamo: io non cambio

come claim qualità/tecnologia, scegliamo: quello che ho dentro

come claim prodotto/immagine, scegliamo:lo sento a pelle

io non cambio / quello che ho dentro /lo sento a pelle

queste 3 head lines (che devono essere in connessione e poter funzionare random) sono sostenute da 3 body copy costituite in realtà da 33 sub-headlines, autonome e modulari (che potranno essere utilizzate in X mesi come altrettanti temi/post per il lancio social marketing di tutta la gamma).

Scrivere i testi di un sito, come si vede, significa scrivere una canzone, nel senso rinascimentale del termine, in 3 o più stanze/accordi, con meccanismi di ripresa, versi d’attacco, di chiusura, e di modulazione.

Con questa “canzone”, tagliata e intonata sul mood immagini/prodotto, il marchio potrà fare la campagna, il sito, il social marketing.

Per arrivare alla “canzone”, alla narrazione che associata alle immagini diventa l’anima del brand,  abbiamo dunque svolte 2 lavorazioni:

1 di razionalizzazione, isolando i temi/valori di comunicazione, studiando prodotto, target, mercato, parlando con l’imprenditore, mettendosi dalla parte del marchio;

2 di liberazione emozionale, ricercando&sviluppando un linguaggio/tono e una narrazione concreta, diretta, in grado di far sentire/vivere i temi/valori, mettendosi dalla parte del fruitore, dell’utilizzatore, e dunque occorre usare il prodotto, farlo proprio, pedalare. Anche il pubblicitario, come l’attore o lo scrittore deve immedesimarsi nel personaggio, nel prodotto realmente adoperato, e dunque non esitare su questo punto, farsi dare prodotti e tempo per testarli, per entrare davvero nella psiche e nella tribù del marchio;

Il caso in esempio, bisogna dire, è il tipico lavoro ideale: un marchio in ascesa, un prodotto di qualità, un’immagine aggressiva, che rompe gli schemi.

Chi avrebbe il coraggio di usare come modelliuna ragazzo e una ragazza iper-tatuati, e questo per mostrare prodotti di maglieria? Qualsiasi art o fotografo sano di mente ti direbbe: questi sono pazzi (e parliamo di Giovanni Alborghetti, ad Rosti, sia nel senso di “titolare” che di art director e designer, e di Benedetto Zonca, che cura la comunicazione, il sito, gli shoot).

E non solo i modelli sono tatuati, ma addirittura esibiscono i tatuaggi, più che la maglieria: ma è proprio questo quello che colpisce e attira. Questa compresenza di segni grafici, skin tatoo + knitwear graphic design, in realtà ti sta dicendo che il prodotto è la tua seconda pelle, è come un tatuaggio, epidermico + autentico, come le sensazioni a pelle. E così arriviamo allo slogan “lo sento a pelle”.

Allo stesso modo, il testo “io non cambio”, non solo trasgredisce la prima regola del copy writing (mai usare la parola “non” e le negazioni in genere)  ma addirittura la “ribalta” (sempre e solo negazioni).

La “sovversione” tocca e dissacra anche una delle parole-culto di questi anni, quando insieme a non cambio e non mi adeguo dice non condivido,  

che suona come una bestemmia, nell’epoca del dominio della “condivisione”.

Oggi negli uffici, nelle riunioni, in politica – dagli assessori agli educatori ai manager – è tutto un “condividere”.

Dire non condivido è un segnale di controtendenza rivolto alle nuove generazioni, indottrinate alla condivisione, ma anche un richiamo vintage alla memoria collettiva delle generazioni precedenti,  quando si proclamava l’immaginazione al potere, e nelle assemblee l’espressione “non condivido”, oggi in disuso, era una delle più usate: “non condivido la posizione della compagna del collettivo…”

Questo per dire, cari ragazzi, che la generazione oggi al  potere, ci è arrivata a forza di “non condivido”.

Allo stesso modo, un marchio che vuole connotarsi, dopo aver ascoltato tutti i dossier psico-socio-statistico-marketing relativi a prodotto, target e mercato, deve avere la forza di dire “non condivido”, e dire qualcosa di diverso, ma realmente autentico…

Ph. by www.marchesi.net ; https://www.facebook.com/giovanni.marchesi.9

vedi il sito in oggetto qui: http://www.rosti.it/new/