liberi tutti

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mondilainascondino

a 10 anni

da bambini si giocava a nascondino,

il nostro campo di gioco era un isolato suburbano

con due grandi condomini, un piccolo parco mezzo abbandonato,

una fabbrica-laboratorio abbandonata, un parcheggio di camion,

e un tratto di seriola, che divideva il territorio in due nazioni,

la svizzera e l’africa.

a 20 anni

poi crescendo i bambini di quei due condomini, quelle due nazioni,

cominciano a nascondersi socialmente, negli anni della formazione,

bambini svizzeri condividono stanze, sogni, economie africane,

e bambini africani frequentano posti, ambienti e svaghi svizzeri,

si sta molto attenti a non farsi stanare, si nasconde l’estrazione sociale,

il figlio del magnate nei centri sociali, il figlio di nessuno nei club chic,

si nasconde l’identità, per cambiarla

a 30 anni

dopo qualche anno, o anche decennio, si scopre con amarezza

che era solo un gioco, un periodo giovanile, finito il quale

si deve accettare la verità nascosta, il predominio della famiglia,

il destino segnato dalla casta di appartenenza, come degli indù,

questo riguarda la grande maggioranza,

i bambini svizzeri tornano in svizzera, e sposano

professioni e donne svizzere, e così i bambini dell’africa.

Ci si relaziona molto sui social ma in realtà non ci si parla più.

a 40 anni

ormai consapevoli dei meccanismi nascosti, dei poteri nascosti,

delle ricchezze nascoste, delle gerarchie nascoste,

succede agli svizzeri di esibire amici, lavori, viaggi,

case, macchine, scarpe, e scoprirsi malinconici;

mentre gli africani diventano cinici, e nascondono

passioni, problemi, ansie, intenzioni, aspettative.

Alla fine si tiene nascosto qualsiasi tipo di sentimento.

a 50 anni

ci si rende conto che lo sport più praticato è il nascondino,

e che ormai da decenni viviamo in una dimensione di realtà nascosta,

economia sommersa, relazioni clandestine, taciti accordi, discariche abusive,

evasione fiscale, ipocrisia sociale, inganni istituzionali, truffe legalizzate,

anche noi diamo il nostro contributo alla visibilità della mediocrità,

anche noi abbiamo tenuto nascosti i nostri i talenti

a 60 anni

doppia vita, doppia morale, doppia identità,

in famiglia, sul lavoro, nella sfera erotica,

ci si nasconde per convenienza, comodità, codardia,

ma anche per sopravvivenza, fuga, ribellione, sovversione intima, oblio.

ci si nasconde anche davanti allo specchio, o guardando un calendario,

e qualcuno a un certo punto getta la maschera.

a 70 anni

si torna a giocare a nascondino, con i nipotini.

e si capisce che il senso del nascondino è diabolico,

doversi nascondere, per potersi poi liberare,

è questo che abbiamo fatto per anni,

per una vita intera.

sono questi i pensieri, le cose che mi vengono in mente

quando il vecchio Postini, all’assemblea degli editori del cetaceo-cartaceo,

mi informa che sabato 30 agosto in località Brembo beach,

nell’isola bergamasca, tra l’adda e il brembo, tra il serio e il faceto,

si svolgerà la quinta edizione del campionato mondiale di nascondino,

lo sport più praticato in Italia dai 10 ai 70 anni, è questo che penso,

è proprio un’idea giusta,

nell’Italia del carnevale permanente,

la vera giornata del ribaltamento è questa,

andare a nascondersi per gioco, semel in anno,

alla ricerca dell’emozione perduta, il tempo del gioco.

Sarebbe bello che poi il gioco contagiasse, ribaltasse la realtà,

e i talenti nascosti saltassero fuori prepotentemente a cambiare il paese

affiancati da  orde di possidenti allucinati che corrono in banca  gridando “liberi tutti”.

 

il vibratore di Heidegger

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VibratoreGigi

circa 30 anni fa, università statale di Milano, esame di filosofia teoretica, il professor Carlo Sini, dopo un’ora serrata su Heidegger, prende il libretto, e vedo che inizia a scrivere 30/trenta, poi si ferma, mi guarda pensieroso e mi chiede: ma infine di che cosa è privata, la vita privata?

Silenzio, suspense, eccitazione di studentesse accaldate e accalcate nell’angusta stanzetta. Di che cosa è privato, il privato?

Della pubblicità, rispondo. Il prof sorride, e aggiunge: cum laude. Momenti di gloria.

Oggi, con i social network, con facebook, quella risposta andrebbe rivista. La vita privata sta diventando sempre più oggetto di pubblicità.

Per esibire autenticità, si finisce fatalmente nell’ipocrisia: ipocrita significa attore, colui che recita una parte, e chi recita pubblicamente sé stesso è a tutti gli effetti un “autentico ipocrita”, che insegue la “pubblicità” come luogo privilegiato di verità.

Viceversa, quando l’ipocrisia era pubblica, dichiarata, riconoscibile, come nel caso dei vecchi regimi mass-mediatici palesemente ipocriti (catto-fascismo, catto-comunismo e catto-capitalismo pre società dello spettacolo) la verità viveva nel privato.

Si osservi oggi questa “pubblicità” totalmente ipocrita dove tutti i plus del prodotto sono perfettamente comunicati pur facendo finta che il prodotto non sia quello che è.

Oggi ci si sforza di esibire ciò che si vorrebbe essere, ieri si nascondeva ciò che si era davvero: e quel tipo di ipocrisia era forse meno impegnativa (in pubblico) e più appagante (in privato).

Ammetterlo non è semplice, perché l’ipocrisia di regime era il nostro nemico pubblico numero uno. Ma il prezzo da pagare per ridurre l’ipocrisia pubblica si è rivelato altissimo: rinunciare all’autenticità del privato.

Oggi probabilmente il prof. Sini chiede agli esaminandi: che cosa viene realmente pubblicato, nella pubblicità?

Facile: la vita privata.

la rivoluzione dei fighetti

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fighettiRev

all’indomani della vittoria elettorale (primo turno) le  cronache interne dal partito democratico segnalano forti attacchi di mal di pancia ai massimi vertici del politique bureau della berghem federation,

temevano la sberla a 5 dita gialline, e invece il ceffone è arrivato arancione, dall’interno, dai fighetti gory,

ancora una volta la rossa primavera si ritrova sbiadita, venata di bianco,

e gli equilibri di potere nella coalizione si spostano dalla grande proletaria alle avanguardie rivoluzionarie (o controrivoluzionarie) dei goryboy e delle goretti girls, dette anche le gorettine, o anche: le medju-gory.

Il partito locomotiva si scopre trascinato (in direzione opposta) dall’ultimo vagone aggiunto, che ha poco a vedere con la base, la struttura, la storia, gli interessi, la burocrazia e l’inerzia centralista, statalista,

e più rivolto alle libere o nuove professioni, a un rinnovamento trasversale, che segna la fine della mitologia penitenziale del lavoro hard in favore dei nuovi lifestyle a base di cazzeggio light, sostenibile,

alla festa in piazza dante la sera prima della chiusura della campagna elettorale, vedevi queste due situazioni che parevano metafore contrapposte, da una parte il modus operandi macchinoso del pd (la preparazione interminabile del mohito, un’ora di attesa in coda) dall’altra il brio blu lista gori, panini e birre al volo (e coca libera!),

la rivoluzione dei fighetti è una rivoluzione bobos (bohemienne-bourgeois) di quarantenni non (o non ancora) disperati ma nemmeno troppo “sistemati”, o del tutto a sistema, per usare un dialettismo,

una compagnia con un suo squilibrio, fatta di giovani orribilmente vecchi, come il carretta, e vecchi orribilmente giovani, come l’amaddeo, e lo stesso gori in jeans e zainetto,

con finti nordafricani, come il superfighetto bergamo-bene omar d’egitto, e finti sudamericani, come il gori-guru sanchez d’italia uno,

tutti assolutamente sottomessi alla finta cougar titina (madre e sposa esemplare)

tutti assolutamente consapevoli di essere il vero nuovo centro destra, in grado di governare la sinistra dall’interno:

per questo mi sbilancio a dire che sarebbero piaciuti molto al padre della politica italiana, il grande giulio.

Morale poli-cromatica: la febbre gialla del cambiamento ha perso le elezioni con i 5stelle, ma ha vinto all’interno dello schieramento vincente, con la rivoluzione dei fighetti.

Ora ci si augura che i bravi fighetti siano anche in grado di fare qualche ottima figata per la città, a cominciare dal pensionamento del buon Tentorio, che non chiede altro.

(testo by Sean Blazer, photo: i mohito-gori occupano piazza Dante)

Adv UniBg

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img_servizi_universita_bergamo_2

Le peggiori campagne pubblicitarie non sono quelle brutte, ma quelle banali, insignificanti, che passano totalmente inosservate:

è il caso della pubblicità dell’Università di Bergamo, che presenta slogan iper-banali, buoni per tutti gli usi come “Qui troverai il tuo orizzonte” e “Il nostro presente è il tuo futuro” (a pensarci bene ha un significato terrificante) con immagini da british school di 30 anni fa, su sfondi made in Italy (cielo azzurro, prato verde, fondo bianco e kmrosso) adatti al turismo Ryan Air

queste campagne sono realizzate da Pierrestampa, l’agenzia pubblicitaria romana che lavora per tutti i grandi enti-carrozzoni pubblici-privati a sud di roma (più, misteriosamente, l’Asl, l’Università e il Comune di Bergamo: vedi il post “Tentorio e tentacoli”)

evidentemente Pierrestampa per fare pubblicità all’Università di Bergamo ha vinto il bando facendo il prezzo più basso, ed evidentemente all’Università di Bergamo, dove pure si insegna scienze delle comunicazioni, non capiscono molto di comunicazione,

a cosa ti serve investire in pubblicità (gli spazi costano!)  se per risparmiare sulla creatività mandi in giro un messaggio a impatto nullo? Tipica mossa ignorante da azienda sorpassata destinata a estinzione.

Se volevano risparmiare, quelli dell’Università di Bergamo, potevano fare due cose:

1)    andare dai pubblicitari bravi, emergenti (esistono) e dire loro: voi mi fate una campagna bomba, vi diamo carta bianca, e me la fate gratis per poter esibire Università di Bergamo come vostro cliente

2)    fare quel che è scritto nella pagina istituzionale del corso di scienze della comunicazione: “il corso prepara all’analisi, all’ideazione e alla realizzazione di campagne pubblicitarie…” e cioè farla fare a professori e studenti, come esercitazione didattica interna o anche come concorso creativo aperto a tutti gli  operatori

Potevano fare qualsiasi cosa, tranne un bando al ribasso, per una materia così delicata: mi stai dicendo di venire a studiare comunicazione in un istituto che si presenta con una comunicazione al ribasso?  Ma dici sul serio? Se questi sono i risultati di tutta la scienza di comunicazione che avete, sarà meglio iscriversi in altra facoltà.

Con che coraggio un marchio come Università di Bergamo si presenta al pubblico e compra sulla stampa spazi da occupare con questa roba?

So che ci sono testate che hanno avuto la forza (caratteriale, non contrattuale) di rifiutare l’inserzione istituzionale UniBg, o l’hanno sostituita con una copy campaign realizzata gratis ad hoc… per non compromettere il prestigio e l’estetica della testata.

Una testata dovrebbe essere orgogliosa di pubblicizzare l’Università, non vergognarsi. Adesso capisco cosa intendeva il mio maestro, quando mi ripeteva: la peggior pornografia è la cattiva pubblicità.

di europa non si deve parlare a vanvera

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Warsaw_Pact

firmata dalla rai, la serie di spot dal titolo “di europa si deve parlare”, in realtà è una campagna elettorale pro elezioni europee, realizzata in stile eroico-romantico (con toni e luci simil-Enel “guardare avanti”) e sviluppata in modo sinfonico, in crescendo, coinvolgente, quasi toccante,

presenta però alcune stonature e/o falsità nei messaggi veicolati:

tutti insieme siamo 500 milioni, la più grande economia del mondo (evidentemente non si considerano i numeri della Cina)

il suo inno parla di gioia… (ma per lo stesso motivo fu usato da Hitler per invadere gioiosamente la Polonia, e scelto come inno nazionale dal regime più razzista del mondo, la Rhodesia)

l’europa è un esperimento mai tentato prima (e cosa sono stati i 300 anni di Impero Romano, i 30 anni di Impero Napoleonico, i 3 anni di Terzo Reich e infine i 35 anni del Patto di Varsavia, il blocco socialista, l’altra faccia della comunità europea, di fatto entrambe prodotte dalla guerra fredda come “super-stati cuscinetto” tra USA e URSS)

E ripensando alla storia europea, non dimentichiamo i quasi 1000 anni di Sacro Romano Impero tra la fine del mondo antico e la nascita degli stati moderni, il lungo autunno del medioevo: alla luce delle prospettive attuali, quella che sta tornando sembra proprio l’europa feudale dei nobili e dei servi della gleba…

Tutto sommato, invece che un esperimento mai tentato prima sarebbe storicamente più corretto dire che l’europa è un esperimento da sempre fallimentare

(imago: il logo del Patto di Varsavia, 1955-1990)

se gli italiani fischiano l’inno nazionale

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La partita forse più significativa dell’anno, la finale di coppa Italia in eurovisione tra napoli e fiorentina, preceduta da 45 minuti di puro melodramma collettivo, secondo la migliore tradizione operistica italiana, ha dato un’immagine chiarissima dello stato di salute del calcio italiano, e del sistema spettacolo-politica, in procinto di “saltare”;

i fatti: prima della partita, nel corso di un non meglio precisato scontro tra tifosi, si registrano tre feriti da arma da fuoco, di cui uno gravissimo,

per quasi un’ora, con lo stadio gremito e tutte le tv in diretta, abbiamo assistito alla rappresentazione live del melodramma su due linee (cosa fa il potere, come reagisce la massa) in presenza di un evento (o notizia) destabilizzante;

abbiamo visto un capo ultras (nella foto, Genny La Carogna, leader degli ultras del Napoli) con tanto di t-shirt “Speziale libero” (il ragazzo condannato per l’omicidio di un ispettore di polizia avvenuto qualche anno fa negli scontri a margine del derby catania-palermo) che di fatto “riceveva” le delegazioni delle forze dell’ordine per decidere se la partita si poteva giocare o se, come pareva in un primo momento, dovesse essere sospesa;

mentre in tribuna i presidenti di napoli e fiorentina (de laurentis e della valle) si riunivano come ministri attorno a renzi, dalla sua postazione sulla cancellata Genny La Carogna, dopo aver ascoltato il rapporto della digos (il ragazzo ferito era fuori pericolo, e inoltre non era stato ferito da ultras della fiorentina, ma un un ultras della roma) dava il suo consenso allo svolgimento della partita;

Mentre i rappresentati delle forze dell’ordine andavano a parlamentare con il capo ultras, le 60.000 persone nello stadio, e i milioni di telespettatori a casa, erano tenuti all’oscuro delle decisioni prese, nessun comunicato, nessun avviso;

così, con 45 minuti di ritardo, e il consenso di Genny, la partita si è giocata secondo il programma, con il cerimoniale  d’apertura, l’inno di mameli cantato da alessandra amoroso, fischiato in modo assordante (ma forse è i 60.000 dello stadio fischiavano proprio il modo di agire “spettacolare e melodrammatico” delle autorità…)

nemmeno con tutta le opzioni del mixer suono è stato possibile mascherare il fatto: un’intera folla (di napoletani e fiorentini, riunita a roma) che fischia dal vivo l’inno nazionale,

imbarazzo e disagio delle autorità, renzi esce dallo stadio, la povera amoroso riesce a finire l’inno,

risultato: l’europa da oggi è consapevole che uno dei suoi membri fondatori non solo è antieuropeista, ma è anche antiitaliano.

il senso di questo melodramma è risultato chiarissimo: la democrazia italiana è in coma profondo, non esiste autorità istituzionale, non esistono regole, non esiste rispetto per il pubblico, le decisioni sono prese all’ultimo istante, in emergenza, sulla base delle pressioni dei gruppi di potere, seguendo psicodrammi innescati da eventi destabilizzanti, cioè da notizie strumentalizzate, come scene di un brutto reality.

L’unica proposta davvero sensata la fece tempo fa, quand’era primo ministro, il prof. Monti: sospendiamo per due anni il campionato di calcio. Ma forse non si era reso conto di aver fatto la più destabilizzante delle proposte.

Spento il calcio, c’è il rischio che la gente si metta a pensare, e ad agire, e a reagire, anche al di fuori di quei 90 minuti di “spettacolo” sportivo che ad oggi “contiene” un fermento sociale esplosivo.

Wojtyla, Cattelan e gli artisti di strada

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crocifissoWojt2

pareri random raccolti al festival degli artisti di strada di Costa di Mezzate, in merito al tragico crollo del crocifisso wojtyla che ha ucciso un ragazzo (residente in via papa giovanni XXIII) 3 gg prima della canonizzazione di entrambi i papi:

un artista di strada, citando un filosofo televisivo: o crediamo al caso o ai miracoli.

uno scettico di passaggio:  il problema è che qui nel giro di tre giorni ci è stato chiesto di credere prima al caso (la tragedia) e poi ai miracoli (la canonizzazione).

l’ateo: adesso verrà fuori il lato oscuro della fede cattolica, le punizioni divine, che ti porta a leggere questi fenomeni come segni dell’ira divina, come la devastante “ira di buoni”: fulmini, flagelli, maledizioni, e quindi a interrogarsi su cosa l’uomo abbia fatto per offendere la divinità, e la lista è chiaramente infinita,

il gay cattolico di destra (fasciogay): l’unica cosa chiara è il senso del gesto, l’incalcolabilità della morte, una rivendicazione divina del potere di uccidere, ma anche un avvertimento, una premonizione: se tu mi metti in croce, e mi santifichi, io ti ucciderò;

ma forse anche una terribile azione dimostrativa contro la condanna a morte: se tu ti arroghi il diritto di condannare a morte i colpevoli, io uccido gli innocenti;

ingegnere: idee poco chiare, dio non c’entra con le leggi della fisica.

ragazza dell’azione cattolica (con atteggiamento provocatorio): il problema dei miscredenti è sempre il solito da 2000 anni, vedono la pagliuzza, e non vedono la trave: vogliono togliere i crocifissi dalle scuole e dagli edifici pubblici, perchè allora non toglierli sulle vette delle montagne?

ragazzo ecologista: guarda che già da un anno Mountain Wilderness si batte per la rimozione dei crocifissi dalle montagna, con l’appoggio di WWF e Italia Nostra…

ragazza az.catto: bravi, l’importante è fare… una crociata!

il critico d’arte: chiaramente questa performance soprannaturale è un’affermazione del primato dell’arte sacra anche in epoca di arte concettuale e di exhibition provocatorie:

dopo quello che è successo, il celebre wojtyla schiacciato da un meteorite, di Cattelan, perde il 90% della sua quotazione.

ragaz.catto: povero Cattelan!

artista di strada: e povero anche il ragazzo!

percassi family 4 in italiano 2 in storia

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Masone15show

Evento berghem vip ieri sera in via masone 15, ex caserma Ghisleni,

dove la neo-iniziativa immobiliare Percassi è stata presentata con una mostra art/arch (De Lucchi)+ una jazz performance (Tino Tracanna).

Partiamo dal buono: catering livello altissimo (voto: 10 cum laude):  bollicine fresche a fiumi, stuzzichini, toast, tramezzini, cruditè, fritti, pasta, piccola pasticceria tutto incredibilmente buonissimo, più che perfetto, veramente ammirevole,

+ servizio d’altri tempi, camerieri onnipresenti ma invisibili, magri, agili, non giovani, non sorridenti, muti, rapidissimi,

e ovunque: veri tovagliolini bianchi di cotone! e senza loghi!

> un grande architetto mi rivela che il catering è fatto dalla medesima azienda che svolgerà i lavori: chapeau!

se i tramezzi saranno curati come i tramezzini, la qualità è indiscutibile.

Una volta nei cantieri, e  Percassi lo sa bene, si faceva la “merenda del tetto”: edificato l’ultimo piano, si festeggiava tra maestranze, a michetta, pancetta e cabernet.

Stasera siamo ancora al piano terra, e già si offre champagne agli investitori e agli opinion leader: nei fatti, il vero senso della serata è stata la presentazione di questo nuova emittenza di cultura d’impresa, The Antonio Percassi Family Foundation,

una denominazione che purtroppo fa subito “little Italy” e suona irrimediabilmente  provincial-fantozziana  (per essere davvero internazionali occorreva il coraggio di essere autentici, e magari chiamarla Fundasiü Percassi).

Ad ogni modo il padrone di casa, the Antonio, bronze skinned + silver hair, è fighissimo, e il pubblico, a inviti, è the best of glocal upper class; (tra gli altri: il notaio dei vip, l’avvocato delle banche, il commercialista della curia, l’assessore technology, gli editori cattolici, i designer di albino, gli ex presidenti della provincia, l’ex sindaco, il next sindaco);

> unici buzzurri evidenti, i calciatori dell’atalanta (jeans strappati, scarpe grosse) e chiaramente il sottoscritto (camicia lisa, giacca lisa, scarpe bucate, calzini bucati, e io stesso imbucato);

> la location, di fatto un edificio sventrato con pachera a vista, è molto underground, perfetta per la mostra di arte/architettura firmata Gamec (“case, casine, casone, casette”, progetto datato 2004 del grande archi-designer De Lucchi, presente in carne e ossa) e per l’exhibition del master jazzman Tino Tracanna in duetto live  con una mega installazione sonora/luminosa (the house wall, con le finestre dell’edificio che suonavano luci, come i led dell’equalizzatore).

> la comunicazione, affidata a Studio Pernice, oltre al brochurone immobiliare heavy luxus, prevede un grazioso librino-cataloghino della mostra, con i testi di De Lucchi, che si legge tutto d’un fiato…

fino all’ultima pagina, dove l’editore riesce a rovinare tutto, inserendo in un testo istituzionale (del resto non necessario) uno strafalgar error terrificante: “un’importante ruolo”, con l’apostrofo!

Inguardabile, come un pelo nero nel bianco dell’uovo (e imperdonabile, a questi livelli di budget).

Oltre a questo, e alla the family foundation (che motivano il 4 in italiano) risulta davvero dissennata (e siamo  al 2 in storia) la scelta di cancellare ogni riferimento, proprio mentre si decanta il pregio del contesto storico,  all’unico “segno” di valore realmente storico che avevano i muri in oggetto,

ossia il nome, l’insegna “Mario Ghisleni”, l’eroico carabiniere bergamasco – medaglia d’oro al valore militare –  cui era dedicato l’edificio/caserma.

Da qualche parte, sul muro di cinta, o in giardino, e anche nella brochure, e nel sito, avrei voluto leggere un accenno alla funzione di “memoria” che l’edificio di via Masone 15, anche quando era abbandonato e in rovina, ha sempre tenuto viva per quasi 80 anni, grazie a quella grande insegna, e alla storia cui rimandava:

“24 aprile 1936, Africa Orientale: le forze dell’Arma, 1000 effettivi a fronte di 30.000 etiopi, si disponevano in quadrato, e solo nel pomeriggio avanzato, dopo nove ore di combattimenti, riuscivano a rompere l’accerchiamento e a lanciare il contrattacco.

Il milite bergamasco Mario Ghisleni, padre di 4 figli, precedeva i compagni all’attacco dando prova di sereno coraggio, sprezzo del pericolo e slancio non comune. Ferito gravemente, continuava a sparare contro l’avversario.

Nonostante le cure mediche apprestategli, sentendosi prossimo alla fine, in pieno possesso delle sue facoltà mentali, rivolgeva il suo pensiero alla famiglia, esprimendo la speranza che i suoi figli conservassero un ricordo degno di lui”.

La scelta di strappare l’insegna, e cancellare ogni riferimento a Mario Ghisleni, può significare solo due cose, e non saprei quale sia peggio:

se fatta “in buona fede”, significa ignoranza storica dei responsabili marketing/comunicazione (e/o dei loro superiori);

se fatta consapevolmente, significa volere scientemente l’ignoranza storica dei lettori (e/o dei futuri residenti).

L’ho già scritto tempo fa, e speravo si fosse rimediato, e invece no.

Se nella brochure mi parli di “abitare nella storia” vuol dire che tu per primo devi conoscerla, e rispettarla, la storia, altrimenti sono solo parole vuote.

Fare una fondazione ha esattamente questa mission: preservare la memoria, la storia, lo spirito di una comunità.

Ieri sera, con la foundation, Mario Ghisleni è morto definitively.

Come la mettiamo?

(photo by reuters-postini) 

frau heineken dolens in Italy

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heineken-champions-league-arrival-large-7

nello spot dell’heineken, trasmesso prima, durante e dopo le partite di calcio in tv, vediamo un giovane uomo che arriva di corsa alla stadio last minute, salta le transenne, entra sparato, si siede vicino alla bella donna che gli tiene il posto, e insieme si sbevazzano una heineken:

nella realtà oggi in italia bere alcolici allo stadio è ultra-vietato,

perfino tutti i pubblici esercizi, gli alimentari e i supermercati nel raggio di tot km dallo stadio non possono vendere alcolici il giorno della partita,

e se anche solo osi immaginare di entrare allo stadio con una bevanda alcolica (con una bottiglietta di vetro addirittura!) ti blindano seduta stante, ti portano in questura, ti affibbiano un provvedimento di nome “DASPO”, acronimo di Divieto Accesso Spettacoli Sportivi (versione urban contemporary delll’antico ostracismo ateniese) per cui allo stadio non ci vai più per anni,

e allora, cosa mi sta dicendo la heineken, e cosa mi sta dicendo la tv, e lo stato, quale di questi soggetti è più ipocrita, quale più autorevole, a chi devo obbedire, ai divieti di legge nazionale o agli imperativi di una multinazionale?

(… il messaggio vero è uno solo, e piuttosto deprimente: non andare allo stadio, stai a casa, guarda le partite in tv, telecomando in una mano, birra nell’altra. 

E immagina di essere allo stadio, in buona compagnia, con una buona birra.

Vietano cose che poi ci chiedono di immaginare, per venderci feticci.  

Il calcio, come ogni spettacolo di regime, in realtà teme il proprio stesso pubblico.

tratto da Sean Blazer, “Lo stile italiano”, cap.VII  “La società dello spettacolo nella sua fase ultima, l’ipocrisia conclamata”, Calepio Press 2015) 

#guardiamoavanti enel energia sporca

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Enel_guardiamo_avanti_nuovo_spot_Marzo_2014

> in tv, la nuova campagna, il nuovo spot dell’enel, #guardiamoavanti,

quasi poetico e coinvolgente, una scossa rivolta ai giovani, una carica di passione civile e orgoglio personale, con un messaggio chiarissimo: non serve la nostalgia, serve l’energia,

> nel mondo reale, in concomitanza a questo spot, enel energia sta di fatto accalappiando la meglio gioventù d’italia con lavori sporchi di porta a porta (svolti da società terze)

lavori in apparenza energetici (con musica disco la mattina in ufficio prima di partire per il giro)

e una serie di metodi truffa prima per irretire i collaboratori (sul tipo di lavoro e sul modo del compenso)

e poi per far firmare col metodo astuzia&arroganza contratti alla povera gente (pensionati in primis)

> In questo modo l’energia dei giovani viene inquinata, soffocata, perduta. E viene la nostalgia (e il desiderio) di un paese con un’energia più pulita.