La società del contagio

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Che fare

Fino a quando non accetteremo di mettere in discussione ciò che il virus mette in discussione, non ne usciremo.

Ciò che il virus mette in discussione con la sua azione virale è proprio il cervello e il motore – cioè il sistema operativo – della  nostra organizzazione di vita: la circolazione contagiosa di merci, persone e messaggi.

Colpire, contagiare: per anni, per decenni è stato questo l’obiettivo di ogni messaggio, merce e impresa. Intere generazioni, le nuove generazioni, nate nell’era digitale, cresciute nei social, non hanno avuto altro input che questo: essere virali, diventare influencer, oppure non esistere, nemmeno come persona.

Finché resteremo sotto il dominio di questa dinamica e questa struttura mondiale basata sulla predisposizione personale e collettiva al contagio, saremo esposti a ogni tipo di virus informatico, ambientale e biologico.

La società  del contagio

Noi pensiamo di fare delle scelte sulla base di convinzioni personali, ideologiche o morali e che da queste scelte, dall’insieme di queste scelte, dipenda poi l’orientamento dei sistemi sociali, delle strutture produttive e delle reti commerciali. In realtà la catena gira in direzione esattamente contraria.

Nella società del contagio, come è logico che sia, la funzione dominante è la distribuzione. Quella che un tempo si chiamava GDO, grande distribuzione organizzata, è oggi una formidabile integrazione di reti e mezzi di comunicazione/connessione materiale e immateriale. Da un lato navi, aerei, ferrovie, strade, interporti, centri di stoccaggio, centri commerciali, outlet, distributori automatici; dall’altro reti commerciali, informatiche, telefoniche, televisive, server, satelliti, social network, piattaforme di e.commerce, applicazioni digitali.

Questa macchina mondiale della diffusione pervasiva supera ogni barriera, neutralizza ogni resistenza, annulla ogni identità, arriva ovunque, comunque, a chiunque. Veicola idee, immagini, prodotti, servizi, programmi, mode, medicine e malattie, indifferentemente. Diffonde il contagio, quale che sia, con un’efficacia automaticamente crescente.

La logistica della grande distribuzione è il vero sistema di controllo che determina il nostro sistema produttivo e di consumo, il nostro stile di vita e il suo senso.

Noi siamo il terminale della filiera. Noi non facciamo scelte, non abbiamo alcun controllo. Nell’inconscio, in fondo in fondo, lo sappiamo. Per questo ci sentiamo così impotenti.

Il software élite

Questa super-logistica mondiale è governata da semplici automatismi finanziari programmati per eseguire il software “concentrazione del profitto”.

D’altra parte, il software “condivisione del benessere”, insieme agli altri programmi similari, come le 17 mete dell’ONU, è limitato ad agire nella logistica sussidiaria del consenso, del governo delle coscienze, rispondendo così alla funzione di mitigare, smussare, puntellare e di fatto sostenere il programma/profitto della logistica globale integrata.

Il potere supremo, invisibile e senza nome delle élites finanziarie e tecnologiche ci sta portando senza esitazioni alla catastrofe ambientale, sociale e sanitaria, forse immaginando con perversa lungimiranza una tecno-ecologia terrestre per pochi eletti, e non saranno certo i sub-governi burocratici nazionali o gli organismi internazionali ad alta visibilità a riuscire nell’impresa, che pure è possibile, di fermare tutto questo.

Abbiamo ridotto la politica alla piccola amministrazione trasparente e i politici a brillanti icone di comunicazione: ed ora vorremmo grandi statisti capaci di grandi scelte. Ma non si può chiedere alle anatre di volare come aquile. Non serve prendersela con ministri, governatori e sindaci. Servono gli Olivetti, i Mattei, i Pasolini. Abbiamo bisogno di grandi maestri, grandi leader, non di amministratori condominiali.

Fermare la macchina

Liberarsi totalmente da élites oppressive, passive e irresponsabili: prima della rivoluzione francese era inimmaginabile. Se oggi pare di nuovo tale, significa che siamo nuovamente nell’antico regime. E dunque non ci resta che abbatterlo. Non ci sono altre possibilità. Da anni ogni genere di appello viene sostanzialmente ignorato. Il papa stesso lo ha ricordato nell’ultima enciclica. Eppure al momento ci si limita a voler fermare il virus, non volendo riconoscere la gravità del problema di cui il virus è solo la spia: il punto di non ritorno, la catastrofe irreversibile, globale, ambientale, sociale e sanitaria verso la quale la macchina mondiale ci sta conducendo.

Stiamo correndo verso lo strapiombo su una macchina senza pilota e senza freni. Possiamo bloccarne il motore interrompendo l’alimentazione della filiera logistica globale, e cioè chiudere Amazon, Mac Donald e Deliveroo e tutte le grandi compagnie.

E invece chiudiamo il piccolo negozio, il piccolo bar, isoliamo il produttore diretto, l’artigiano, l’esercente e gli consigliamo di andare a lavorare in un capannone automatico, come servo della macchina. Dovremmo ricostituire le reti di prossimità, e invece le smantelliamo.

Dovremmo imparare a vivere senza le grandi reti globali, e invece le facciamo diventare indispensabili. L’emergenza si autoalimenta e impedisce di attivare quei cambiamenti che permetterebbero di superarla.

Ci serve uno scenario diverso dall’emergenza continua. Quello che ci manca sono le visioni potenti, lucide. Le idee, i progetti, le alternative. Quello che ci serve in realtà è più libertà.

Non saranno i numeri o i pareri degli esperti, e nemmeno le garanzie bancarie, a darci un futuro, perché è questo che ci manca davvero, un futuro, un’idea di futuro.

(Sean Blazer in esclusiva per Calepio Press, testo raccolto da Sophie Rosti)

Balilla incipit

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starace Seduto dietro una scrivania che pareva un tempio romano in miniatura, l’uomo era piccolo e all’apparenza molle, ma aveva un potere enorme e muscoli d’acciaio.

«Voglio una bambina di nove, dieci anni»

Alle sue spalle, accanto alla bandiera italiana, una grande aquila reale impagliata su un trespolo sembrava spiccare il volo ad ogni sua parola.

«Deve avere la pelle bianca, bianchissima, gli occhi verdi, e i capelli rossi»

Di fronte a lui, in piedi davanti alla scrivania come militi a rapporto, stavano una donna brutta, di una certa età, e una giovane e bella. Lo ascoltavano rigide, a capo chino, senza osare interromperlo. Prendevano ordini.

«La piccola italiana perfetta sarà di mente vivace, e di carattere docile»

L’uomo si alzò e andò a guardare fuori dalla finestra. Il sole aveva dissolto le nubi che per tutta la mattinata avevano minacciato pioggia.

Il suo sguardo cadde su una famigliola di aristocratici sicuramente inglesi che invece di prendere posto sui nuovi vaporetti pubblici attraversava il Canal Grande a bordo di una gondoletta abusiva.

«Meglio se viene dal popolo, meno problemi, più carattere»

(Incipit de “Il Balilla innamorato”, romanzo di Leone Belotti, edizioni Bolis. Immagine: Achille Starace, vecchia foto tratta dalle Domeniche del Corriere della nonna dell’autore. Il romanzo nasce così, guardando vecchie fotografie di vecchie riviste illustrate, e immaginando storie, come facevo da bambino in solaio. “Anche la creatività è una carenza che ci tiriamo dietro dall’infanzia”.)

donne sul piedistallo

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z-suffraggette

L’invito-evento fb dal titolo “Muti… e rassegnati. Il silenzio degli uomini” parlava di “uno spettacolo teatrale seguito da una conferenza esperienziale” con psicologa e regista (donna).

Nella presentazione si dice: “Gli uomini di oggi sono muti” “Persino i più colti sono poco inclini all’interrogazione su di Sé e incapaci di avere un pensiero sulle relazioni e una visione del proprio mondo interiore” “Questo silenzio degli uomini è spesso l’anticamera di una sessualità che può essere compulsiva, estranea a se stessa, separata dai legami, ignara dell’altrui desiderio.” “L’afasia del maschio contemporaneo sembra essere alla base di moltissime problematiche nella relazioni affettive, con i partner e i figli, ed in particolare nelle situazioni più drammatiche di violenza domestica.”

“Due donne, una regista e una psicologa, per strade diverse hanno iniziato una ricerca spinte proprio dal desiderio di esplorare l’interiorità maschile, la prima attraverso un progetto teatrale e la seconda attraverso la conduzione di cerchi di parola per soli uomini.”

Decido di rispondere a questo invito con un commento.  Prima sorpresa, appena digito “pubblica”, compare una scritta con “il tuo commento deve essere approvato dall’amministratore”. Non mi piace. Mi inviti a un evento, mi inviti a commentare, mi inviti a prender parte alla discussione, e dopo che mi sono espresso mi dici che serve la tua approvazione? Dopo due ore seconda sorpresa: il mio commento è stato approvato. Dopo tre ore terza sorpresa: il mio commento è sparito.

Sempre molto umiliante, maschio o femmina che sia, essere censurati.

Ad ogni modo il commento col quale rispondevo all’invito, era questo:

“Grazie dell’invito, ma da quello che leggo – a cominciare dal titolo – vedo una concezione superata del maschio, forse stai parlando del maschio antico, non hai visto la rivoluzione (o devoluzione) del maschio debole: il problema non è il silenzio del maschio, il nuovo maschio parla e straparla anche di sentimenti…

il problema è il fallimento del femminismo, che davvero poteva cambiare il mondo, e invece si è adeguato a una specie di maschilismo femminile furbo e consumista…

il tema della questione maschile è molto interessante, ma non con quei presupposti d’altri tempi… la violenza non viene dal maschio antico, ma dalle nuove tecnologie di comunicazione…

c’è bisogno di un nuovo maschilismo con accezione positiva, in grado di promuovere un nuovo maschio con i valori sia del maschio antico (sicurezza) che del maschio debole (capacità di comunicare) senza i difetti dell’uno e dell’altro…

e poi, sorella, sii sincera, quel titolo “muti, rassegnati, il silenzio degli uomini”… come avresti visto una serata dove gli uomini pretendono di parlare dei problemi delle donne con un titolo come: “isteriche, depresse, il rumore delle donne”. Offensivo, no?

 

 

contratto amore 00 – versione amata/amante

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PPOwer

libero contratto d’amore basico a ruoli fissi: 

– in amore si può amare o essere amati

– la reciprocità è la fine dell’amore

ruoli:

– l’amata ha facoltà di rivolgere inviti all’amante per incontri d’amore

– l’amante ha facoltà di accettarli o declinarli

l’invito:

– è rivolto tramite messaggi esclusivamente dall’amata all’amante

– deve sempre proporre due opzioni nell’arco tra le 12 e le 120h successive

– l’amante ha 6h di tempo per rispondere all’invito, trascorse le quali l’invito è da considerarsi declinato

gli incontri:

– si intendono incontri d’amore, nei quali l’amante spenderà le proprie arti allo scopo di sedurre l’amata

– gli incontri avranno durata minima di 2h e massima di 24h

– nel corso degli incontri si possono condividere anche altre esperienze corporali e mentali come cinema, ristorante, mostre, musei, visite luoghi naturali, ma non esperienze social, feste, cene, amici, famiglie

le conversazioni:

– nel corso degli incontri sono escluse tutte le conversazioni attinenti la propria vita emotiva, sessuale, psicologica e le proprie esperienze umane, sociali e relazionali

– sono ammesse le conversazioni su arte, cultura, filosofia, politica

le comunicazioni:

– ad esclusione dell’invio degli inviti e della risposta ai medesimi, tramite messaggi o brevi telefonate, sono vietate tutte le comunicazioni, la messaggistica, le mail, etc.

l’intimità, il rispetto:

a) i rapporti sessuali sono naturali, con l’impegno reciproco che eventuali altri rapporti di ogni tipo con persone terze siano rigorosamente protetti

b) eventuali rapporti con persone terze non potranno riguardare conoscenti, amici/e, colleghi/e, parenti del contraente

la durata, la decadenza:

– il presente contratto ha validità mensile, prevede un tetto massimo di 10 incontri mensili e una soglia minima di 1 incontro

– ad ogni incontro il contratto è automaticamente rinnovato per altri 30 gg

– trascorsi 30 gg senza incontri, il contratto decade

le parole:

– nell’ambito e nella situazione giocoso-erotica, in stato di fantasticheria, sono tollerate le parole d’amore (ti amo, etc) e i piccoli insulti (stupidina, et similia)

in fede:

oggidì . . . . . .   costì . . . . . . .    l’amata   . . . . . .    l’amante . . . . . .

( by associazione nuovo maschio/maschio alfa/toy old boy – sezione contratti;

immagine da fanzine femminista USA 1970)

Istruzioni per capire Bg – suore, soldi e soldati

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STORIA5 LUOGHI  Allegoria su foglio ufficiale rappresentante la Libertà vittoriosa in Bergamo. - B. Belotti, Storia di Bergamo e dei bergamaschi -

Prendi un libro di storia, vai all’indice. Trovi 98 uomini e 2 donne.

Prova a riscrivere la storia partendo dai personaggi donna. Ti troverai contro gli storici (anche gli storici donna) che ti diranno: e dove sono le fonti? Tu stai facendo narrativa!

Va bene. Resta il fatto che non puoi capire la storia di Bergamo Bassa senza le donne.

Per cominciare: Santa Grata, la fanciulla che prese in grembo la testa mozzata di Sant’Alessandro martire, e se la trascinò seco per mezza città, sanguinolenta. Dalle perdite di sangue della testa del Santo (nel grembo della Santa) su quel prato – poi detto di S.Alessandro – spuntano fiori, piante perenni, le stesse oggi piantate nel sentierino.

Ogni anno, nell’anniversario del martirio, in questo prato presero a ritrovarsi gruppi sempre più numerosi di credenti. Da questi assembramenti devozionali, nasce la Fiera di Sant’Alessandro, che darà anima e storia all’odierno Sentierone.

Poi, un esercito di suore. Tra il 1300 e il 1800, gli unici edifici presenti nell’attuale centro di Bergamo erano conventi e monasteri femminili. Che in seguito divennero caserme, o banche.

Santa Marta, “la nota antica della Bergamo Moderna”, è un convento di suore domenicane del 1335. Ci resta il chiostro, interamente circondato dalla sede della Banca Popolare.

Poi c’era Santa Lucia, proprio a fianco di Santa Marta, dove oggi sorge Palazzo Frizzoni, sede del Comune, anch’esso convento di domenicane. Più antico, sempre di suore domenicane, e tuttora “in esercizio”, il monastero di Matris Domini. Più periferici, scoperta di questi giorni, i conventi femminili nell’area della Caserma Montelungo.

In via Pignolo e in via S. Alessandro, altre suore di clausura, nonché la chiesa della Maddalena, sconsacrata (da fonti non attendibili: tra le mille imprese del Colleoni, l’aver trafugato il corpo della Maddalena da Senigallia, dove l’avevano portato i crociati, e l’averlo traslato a Bergamo).

Unica presenza maschile nell’area oggi centro della città: i frati di San Bartolomeo (domenicani pure loro).

Per centinaia di anni, l’unica possibilità di carriera e di potere, l’unica impresa che una donna poteva dirigere (e con profitto!), era il convento.

Suore, soldati, soldi: conventi che diventano caserme che diventano la city finanziaria.  In mezzo, la fiera, cioè la città commerciale, i cui proventi andavano all’ospedale di San Marco, in linea con la tradizione “ospitaliera” della città della suore. Santa Marta di Betania era la santa “ospitaliera” per definizione. Santa Grata stessa fondò un ospedale.

La più antica istituzione cittadina, la MIA, nasce nel 1265 per “prevenire l’eresia” sostenendo la popolazione bisognosa. Nel 1500 Bergamo ha 20.000 abitanti: ben 7000 sono “mantenuti” dalla MIA. In occasione della Fiera, la popolazione triplica. Commerci internazionali e finanza solidale.

Secoli dopo, con motivazioni moderne, ma assimilabili, nasce la Banca Popolare di Bergamo, che stabilirà la sua sede proprio dove sorgeva l’ex convento di Santa Marta (e assumendosi il compito di conservare e ristrutturare quel che ne restava: il chiostro).

Oggi le donne a Bergamo “hanno in mano” la cultura, e l’8 marzo l’Eco di Bergamo le intervista in coro. Ma io credo che per cambiare le cose, cioè per costruire una nuova cultura a partire dalle donne – cosa di cui c’è un gran bisogno – le donne dovrebbero prendere l’economia, il potere vero, la politica, la finanza.

E poi affidare la cultura agli uomini.

(Immagine: Allegoria della Libertà vittoriosa a Bergamo, da Storia di Bg e dei Bg di Bortolo Belotti)

 

Il consiglio del maschio antico

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MschioAntico

Corpo di ninfa, pelle di seta, bocca d’amore, occhi di brace.

Può ucciderti con uno sguardo, resuscitarti con un cenno.

Toglitela dalla testa. Portala nel cuore.

(consiglio del maschio antico, dal retro di una vecchia fotografia anni quaranta) 

 

Dark Lady 1370-1420

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pisanello_514_the_luxury

aspro core e selvaggio e cruda voglia

in dolce, umile, angelica figura

(Francesco Petrarca, Canzoniere, 1370)

A proposito di erotismo nella poesia medievale.

Aspro core. E selvaggio. E cruda voglia. Cruda voglia! Nascosta in dolce, umile e angelica figura. Forse la Beatrice di Dante sarà stata una donna angelo, ma la Laura del Petrarca certamente no.

Laura è stata la prima dark lady, la prima femme fatale, la prima donna irrisolta. Siamo all’attacco del sonetto 265 del Canzoniere. Che viene subito dopo la chiusa della canzone 264, che gli fa da apripista: e veggio il meglio et al peggior m’appiglio.

Donna Dark Lady, e maschio bipolare. Modernità del Petrarca, la vedi, la senti?

E come fai a dirmi che nel Medioevo gli artisti non “vedevano” l’erotismo come lo vediamo noi? Guarda questo disegno! (Pisanello, Trionfo della Lussuria, 1420).

Le ultime frasi degli ultimi maschi alfa

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300-Rise-of-an-Empire7

caso 1/ Da bambino avevo questa zia nubile, formosa, buona, dolce, faceva la segretaria, l’amante, ha sempre avuto relazioni con uomini bellissimi, o di rango, ma sempre come clandestina dell’amore, e le domeniche le passava quasi sempre da sola, nel suo monolocale. Al suo funerale, il mese scorso, mi sono reso conto che io, “il palestrato dagli occhi dolci”, l’idolo di tutti i miei amici sposati, con la tipa che viene a prendermi con la Porsche, faccio la stessa vita e ho la stessa  solitudine di mia zia.

caso 2 / La terapia ha funzionato ma sinceramente preferivo tenermi la malattia, almeno avevo qualche cosa di umano, adesso mi sembra di avere la centralina elettronica.

caso 3 / La cosa che più mi disturba sono le fidanzate dei miei amici che ci provano con me. Più di una. E devi stare molto attento. Se le offendi, la paghi molto cara. Se ci stai, quando vedi il tuo amico ti senti una merda. L’unica è abbozzare, lasciarle credere che ti piacerebbe, ma per una cosa o per l’altra non si trova mai l’occasione. Poi esci con il tuo amico, e lui vuole che gli presenti le tue amiche allegre, vuole fare la serata matta, e poi vuole che tu  sostenga una marea di palle con la sua fidanzata, perché sei un amico.

caso 4 / Si, è vero, ho risolto tutte le mie menate, sto bene, ho amici veri, guadagno bene, le donne, donne belle, donne capaci di amare, non mi mancano. Ma c’è un ma. Mi sono reso conto di non essere più in grado di stare con qualcuno. Anche un week end mi sembra una prigione. Alla fine mi limito a portarle a cena, e cerco di evitare il dopo cena, appena possibile.

caso 5 / Tre settimane fa una domenica sera lei ha preso su la macchina, il bambino, due borse, ed è andata a vivere a casa di sua madre.  Ma sua madre non è mica morta il mese scorso?  Appunto.

caso 6 / Venerdì notte la biondina giovane, il sabato in pausa pranzo la mammina elettrica e nel pomeriggio la giunonica bisex. Tre donne e sei coiti in dodici ore, tutto molto bello. Ma la sera poi una disperazione pazzesca, mai sentito così solo in vita mia.

caso 7 / La mia compagna negli ultimi due anni è diventata un cadavere. Controvoglia, totalmente passiva. Non facciamo sesso da sei mesi. Non ricordo quando è stato l’ultimo bacio.  Provato andare qualche volta con delle prostitute, con risultati davvero poco gratificanti. Settimana scorsa in trasferta sono finito a letto con una collega, ubriachi, la prima vera scopata liberatoria da anni, mentre stavo per venire ho cominciato a dirle ti amo, ma io ti amo, ti amo, ti amo, lei diceva smettila, smettila, smettila! Io non ho capito subito, stavo per venire, pensavo che anche lei fosse lì lì, invece era in crisi isterica, mi ha allontanato, si è appallottolata, piangeva disperata mordendo la federa del cuscino, non mi toccare, vai via, per favore vai via, mi diceva.

caso 8 / Si, sono venti giorni oggi. No, non dormo. No, non mangio. No, non lavoro. Cosa faccio tutto il giorno? Sto sul divano a guardare la tele. E cosa guardo? Niente, non l’ho ancora accesa da quando se n’è andata.

caso 9 / Alla fine mi sono inventato questo giochino: sul più bello, mentre lei sta per venire, rallento, lei è infoiata, adesiva, dimmi che mi ami, le dico, no, non ti amo, voglio solo scopare con te, allora lo tiro quasi fuori, mi fermo, dimmi che mi ami, no, bastardo, e spinge col pube, ma io la tengo a distanza di forza, dimmi che mi ami, brutta troia, e a quel punto finalmente cede, e mi soffia in faccia rabbiosa, si, ti amo, e allora la penetro a fondo, la stringo, me la stringo, le vengo dentro mentre le lecco la gola, o l’ascella, e intanto le sussurro anche io ti amo, a bassa voce, tanto non mi sente, tutta presa dal suo urlare di piacere.

caso 10 / La strategia prevede di non mandare messaggi, non fare telefonate, ma io a un certo punto della sera avrei proprio voglia di mandarle un messaggio. Così, senza bisogno di avere risposta, un mio bisogno di comunicare, di darmi. Parlando in pausa pranzo con due mie colleghe, scopro che hanno lo stesso mio problema: anche loro, come me, si trattengono dal mandare messaggi “romantici” per non risultare asfissianti. Decidiamo di creare un trio what’s up IL MESSAGGIO CHE TI MANDEREI, e quando ci viene la voglia di scrivere il messaggino patetico e strategicamente sbagliato ce lo mandiamo tra di noi. Così ieri sera ho mandato alle mie colleghe: Ciao amore mio ti amo tanto ti abbraccio ti bacio il collo le orecchie i capelli le tempie i capelli gli zigomi il mento la gola lo sterno l’ombelico ti accarezzo la nuca le ginocchia ti lecco le dita ti sussurro dormi bene sei una persona speciale domani sarai ancora più bella! 

oggi nasce Gesù birrino

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turner

Il birraio innamorato (The brewer in love1)

Era una bella giornata d’inizio maggio2, e dal poggio panoramico sopra l’ansa del fiume3 a monte del villaggio, dopo le piogge d’aprile, la piccola valle si apriva in tutta la sua floridezza di odori e colori di primavera.

Mel Godwin aveva dodici anni, ma ne dimostrava quindici, e aveva già una certa esperienza della vita e degli uomini. Aveva conosciuto le privazioni, l’abbandono, la paura, la violenza, la schiavitù e infine la libertà. Ma non l’amore.

La sua storia, come quella di tanti orfani, era scritta nel suo nome: quando le suore del convento di Tipperary4, una fredda mattina d’inverno, avevano trovato quell’infante depositato in foresteria, gli avevano dato il nome del santo del giorno, e l’avevano iscritto all’anagrafe col cognome Godwin, “volontà di Dio”.

«E poi?»

La piccola Evelyn, undicenne, occhi blu, capelli d’oro, lo ascoltava raccontare le sue avventure. Se c’era una cosa che a Mel non era mai mancata, era la facilità di parola.

«E poi sono scappato!»

Come due piccoli innamorati, se ne stavano a sussurrare rintanati sotto un cespuglio di mirto, sorseggiando una bottiglia di birra che Evelyn aveva rubato dalle cantine della taverna del padre, su precisa indicazione di Mel.  Si erano conosciuti pochi giorni prima, quando Mel, che lavorava come apprendista bottaio, era stato incaricato di consegnare due vecchie botti rimesse a nuovo  alla taverna del villaggio, gestita dal padre di Evelyn.

Mel aveva saputo da un vecchio birraio ormai infermo, che trascorreva le giornate sulla pubblica via sproloquiando con i fanciulli, che alla taverna del villaggio capitava a volte di poter bere la birra forte e speziata destinata alle colonie. Così, quando aveva incontrato gli occhi di Evelyn le aveva sorriso e subito le aveva fatto un complimento. Evelyn, che aveva molti difetti ma non la timidezza,  era subito rimasta ammaliata da quel ragazzo così ben fatto, di costituzione e carnagione più robusta e più scura della media, con occhi e capelli neri, parimenti vivaci. Era abituata ai ragazzi che le facevano complimenti per avere una birra sottobanco.

«E perché tu saresti diverso? »

«Io voglio diventare un birraio!» era scattato Mel alzando il mento.

(anteprima da “Il birraio innamorato”, tit. orig. “The brewer in love”, Calepio Press. Immagine: J.M.W. Turner, Cityscape. Note:

1 Il manoscritto autografo, inedito, anonimo, originariamente intitolato “The true story of the young brewer who trademarked the Indian Pale Ale”, ritrovato da Sean Blazer nell’archivio storico della Compagnia delle Indie in Calcutta,  qui tradotto in italiano da Iole Belnotte su iniziativa del Centro Ricerche Birrificio Elav, riporta una breve nota introduttiva, datata 1866, a firma del sesto conte di Cardigan, nella quale l’estensore dichiara di aver dettato al proprio attendente questa “cronaca veritiera” (truth cronichle) relativa alla vita e alle avventure del “brewer in love” cui si deve il merito di aver introdotto e diffuso nel Regno Unito le birre di tipo IPA (Indian Pale Ale) originariamente prodotte  per essere esportate nelle colonie. In questa edizione italiana, si è scelto di adottare la predetta espressione, “the brewer in love”, come titolo dell’opera (it: Il birraio innamorato)

2 Trattasi del mese di maggio dell’anno 1835, come risulta da riscontri filologici scaturiti da successivi riferimenti testuali. L’anno 1835, allo stato attuale delle ricerche, segna l’inizio dell’epopea delle birre IPA, sulla base di un annuncio commerciale comparso il 30 gennaio del 1835 sul Liverpool Mercury nel quale per la prima volta si fa menzione della denominazione IPA per identificare le birre destinate alle Indie Orientali.

3 Si riferisce al fiume Trent, nella contea dello Staffordshire, nell’Inghilterra centrale, la cui acqua ad oggi è considerata lo standard internazionale per la produzione delle birre IPA.

4  La cittadina di Tipperary, situata nell’Irlanda meridionale, al centro dell’omonima contea, nota per il motivo musicale “It’s a long, long way to Tipperary” che i soldati di origine irlandese cantavano nel corso della prima guerra mondiale.)

 

esci da facebook, e guardami in faccia

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rocco_et_ses_freres-1

“Su facebook non passa giorno senza che tu metta mi piace alla tua ex, qualsiasi pisciata lei faccia,

e a me, che sono la tua donna, e vengo a letto con te tutti i giorni, non hai il coraggio di dirmi che mi vuoi bene guardandomi in faccia”

(tratto da “Le ballerine di WhatsApp”, spettacolo teatrale – balletto, testo by Leone Belotti, prox on stage)