Baleri non è ieri

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Baleri Ho conosciuto Enrico Baleri un pomeriggio d’estate dei primi anni Ottanta, nella sua cascina bianca di via dell’Allegrezza sui colli di Bergamo: allora, mi dice subito, tu vuoi scrivere, sì, bene, ascolta, Philippe ha disegnato questo tavolo che io produrrò, tu invece adesso mi scrivi un testo su questo tavolo, ti siedi a questo tavolo e scrivi un testo sul tavolo, un testo poetico a proposito del tavolo, se ti piace l’idea, e se vuoi sapere qualcosa sul tavolo chiedi a Philippe, tu lo parli il francese, no?

Il Philippe in questione era Philippe Starck quando ancora non era Philippe Starck. Io ero il direttore, fondatore e redattore unico del giornalino del liceo Bergamo bene. Avevo dieci in italiano, e sedici anni. Una ragazzina nell’intervallo mi aveva detto che suo padre, Enrico Baleri, aveva letto i miei articoli e voleva conoscermi.  Adesso avevo davanti questo re vichingo che mi diceva: dai, scrivi, fammi vedere cosa sai fare, a me serve un copywriter che scriva di design, ma non il solito copywriter, vuoi qualcosa da bere, un caffè?

Baleri fa così, ti chiama e butta lì la palla. Baleri in realtà vuole giocare. Il suo marchio è un gallo rosso, il suo slogan “mobili in festa”. Che tu sia un geometra neo-diplomato di 20 anni o un archistar mondiale di 80 anni per lui non cambia, ti tratta allo stesso modo,  butta lì la palla, e ti mette comunque in moto. Baleri vi chiederà sempre tutto e subito, e vi tratterà, anche duramente, come se voi foste dei geni creativi, e parecchi, in questo modo, lo sono diventati davvero.

Imprenditore, designer, catalizzatore, motivatore, comunicatore, affabulatore, ha fatto ricerca, cultura, impresa, business, ha creato gruppi, società, aziende, fondazioni, ha formato designer, architetti, grafici, critici, imprenditori, ha lavorato con fotografi, musicisti, artisti, intellettuali, accademici, industriali, registi, artigiani, tecnici, informatici, soprintendenti, direttori marketing, stilisti, ricercatori, teologi, chimici, vetrai, filosofi.  Ha creato oggetti, eventi, messaggi, e tutto questo sempre con qualcuno, soci, amici, nemici, grandi maestri, giovani promesse.

Chiunque sia entrato in contatto con Baleri sa che ci sono due Baleri. Uno è il Baleri bianco, giovanile e swing, socratico e affabulatore,  l’altro è il Baleri nero, asperrimo e crudele, ferale e ieratico. Il Baleri bianco lavora sull’amore che l’allievo nutre per il maestro. Il Baleri nero invece si basa sull’odio, sul desiderio che il figlio ha di uccidere il padre, il padrone, il patrigno, l’orco, il tiranno. Il risultato non cambia.

Quando Baleri è tetro, quando Baleri è gelido, in configurazione severità e rigore, è un re shakesperiano, fa davvero paura, ci sono nel mondo decine di segretarie e di designer che hanno superato le loro paure ancestrali superando la paura del Baleri nero. Quando ti ritrovi col Baleri nero in una stanza interamente bianca con i tavoli di vetro e le sedie grigie hai anche il terrore di aver sbagliato il colore delle scarpe.

Sono passati più di 30 anni dal nostro primo incontro. Ha un piede ingessato,  e lo sguardo indignato dell’Achille vulnerato. E’ successo giocando a golf, ammette. Come non pensare a MrBean che inciampa nella buca?

Baleri ti mette di buonumore anche involontariamente. C’è sempre in Baleri una riemersione del comico e del goliardico, anche in pieno registro tragico o drammatico, anche quando recita la parte del demolitore critico o dell’imprenditore furioso, c’è sotto il Baleri bianco, quello che vuole giocare con tutti, che preme e spinge, e fa scherzi.

Se guardi bene, Baleri ha sempre un piede ingessato, la pancia che gorgoglia, qualcosa di suo che non gli va giù, un problema, un’ansia, un handicap di cui lui è consapevole, e per il quale ti chiede con forza d’intervenire. In questo domandare Baleri rivela la sua umanità. Baleri chiede idee, chiede il nuovo e chiede l’eterno.  Con la forza, la caratura di queste richieste, gli è un poi gioco chiedere soldi per realizzarle.

Baleri è un uomo capace di infiammare insieme chi progetta e chi produce, soggetti che solitamente non comunicano, e riesce a fare questo perché ha una visione integrata delle due fasi, e questa visione gli viene dall’aver vissuto in ogni modo la terza fase, quella di chi vende. E dopo che il Baleri bianco ti ha fecondato, arriva il Baleri nero, quello che sa trovare i difetti, e ti costringe a rimediare, a ricreare, per passare dal progetto perfetto sulla carta al prodotto perfetto nei negozi.

Collaborazioni, incontri e scontri con Baleri a proposito di idee, progetti, diritti o soldi, sono sempre e comunque inquadrati dalla legge unica Baleri, e la legge Baleri è questa: nessuno ha rapporti sereni e continuativi con Baleri, ma tutti con Baleri hanno prima o poi innamoramenti intensi. Non si escludono separazioni brusche, né innamoramenti successivi, questo anche ripetutamente, nel tempo, come certi amori, certe attrazioni/repulsioni tecnicamente sporadiche, in realtà eterne.

(photo, al centro, Enrico Baleri) 

is this Domus?

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domusBG

Bergamo Experience: ieri, in piazza Dante, una signora inglese, utrasettantenne, una specie di Maggie Thatcher, me la trovo davanti rigida e formale, un depliant in mano, indica la Domus, e mi pone la domanda: is this Domus?

Segue una three minutes absurd conversation, tutto un is this Domus e this is Domus. In sintesi mi chiede: è questa la Domus? Rispondo: sì, è questa la Domus.

Scusandosi, mi chiede di nuovo: ma dov’è la Domus? E io indico la struttura: è qui, è questa la Domus. Lei la osserva, la sua mente è al lavoro. Sospettosa, conclude: dunque non c’è la Domus?

Come sempre, dinanzi ai casi umani, mi scatta la pietas. Così cerco di capire, sorridere, rassicurare.

Faticosamente, riesco a dipanare la questione: la Thatcher, appassionata di rovine romane, avendo visto su un depliant un’immagine della Domus, dava per certo che la struttura suddetta fosse l’ingresso, o la copertura, di un’area archeologica, di una  Domus romana sotterranea.

Non ho il coraggio di dirle che sotto la Domus c’è l’ex Diurno, cioè un rifugio antiaereo riciclato come bagno diurno, uno spazio che ha avuto 30-40 anni di vita, e non 2000.

D’altra parte, sullo stesso depliant si parla di rovine romane nel sottosuolo della città, alludendo evidentemente alle Domus romane più o meno nascoste o non segnalate in città alta (dietro la Mai, sotto il S.Lorenzo, in via Solata).

Le spiego il “qui pro quo” (yes, we have Domus, but not marked as Domus. This one is marked as Domus, but is not a Domus, is a wine bar) e la indirizzo in città alta.

Morale della Domus: per vedere una parola fuori luogo, serve qualcuno che non sia del luogo.

 

Gori veranda Domus

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goridomus1

Il sindaco Giorgio Gori complici due calicini di cabernet svela: “la Domus vetrina della città? Uno scherzo! La verità è che avevo in giardino una veranda che ho dovuto smontare da solo  – che tra l’altro mi occupava spazio in garage – e ho pensato di donarla alla città e farla montare a una squadra di architetti. Tutto qui”.

“Ma ci deve far riflettere il fatto che l’opinione pubblica si sia bevuta come un calice di merlot la favola della vetrina della città: come se nella città dei costruttori per metter giù un box temporaneo servissero 4 studi di architettura, con più di 20 architetti, 52 aziende sponsor  e 15 partner culturali! Scherziamo? ”

“Sarebbe veramente autolesionista, una vetrina del genere, sia per i costruttori, che per i comunicatori! Basta andare sul sito dedicato ( http://www.alta-qualita.it/bergamo-wine-2015/sponsor-patrocini/ ) per vedere che metà dei link non portano in nessun sito!”

“In realtà la veranda-domus è una puntata di scherzi a parte!”

dillo in italiano, bergamo

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erroriItaliano

A proposito della petizione “Dillo in Italiano!” lanciata da Anna Maria Testa, contro l’abuso di terminologia anglo nella comunicazione pubblica, istituzionale, ieri sera ho guardato per 2 minuti il tg-orobie su berghem tv:

1 minuto di immagini di Gori e architetti in piazza Dante, dove ci sarà un inf-point sul Palma e lo show-cooking del territorio, poi 1 minuto di intervista a Piazzoni, ma il fuoco dell’immagine è sulla nitida scritta alle sue spalle, come fosse l’azienda per cui sta parlando: roof-garden.

Poi si parla della Bergamo Experience e mi viene in mente l’orridicolo marchio University of Bergamo.

Ah, il problema della lingua!

Vorrebbero valorizzare città, territorio, architettura, arte, cultura: ma il primo valore di un territorio è la lingua! Noi abbiamo una lingua autentica, nobile, e la buttiamo via come carta straccia per usare la lingua internazionale, cioè la lingua dei luoghi privi di identità e di storia, la lingua dei non luoghi.

Se il mezzo è il messaggio, tanto più la lingua è il messaggio.

Allora, come la mettiamo con il Campanone? The Big Bell?

E il Viale delle Mura? Wall Street?

 

Fiat 500 viagra

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Fiat-500X-presentazione

Dibattito 5 donne 1 uomo (che non ha la macchina) ieri in ufficio sullo spot del giovanotto alla pompa con la sua Fiat 500 che s’ingrossa col viagra volato casualmente nel serbatoio dalla finestra di due veci porcelli (lei molto laida).

Una comincia chiedendo: avete visto lo spot Fiat500?

Un’altra risponde: si, è carina.

Una terza: ma keazz dici: è un cag pazzesca!

Una quarta: tu non sei carina!

Stagista: è firmato da Fiat ma in realtà è lo spot del viagra. 

Account: no, è proprio lo spot della 500viagra, una macchina per vecchi.

Uomo: no, il target è il ragazzo che fa benzina, il volo del viagra ha lo scopo di sdoganare il viagra preso i giovani vecchi, è una macchina per giovani vecchi, sfigati, porno-dipendenti.

Quella che ha cominciato il dibattito: quindi? La compri?

non parlatemi di giornalismo

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NNparlatemiGiorn

L’ordine dei giornalisti mi scrive per comunicarmi che dopo aver “effettuato un controllo” si trova “obbligato” a cancellarmi dall’albo professionale, e con la più disonorevole delle motivazioni: “il mancato pagamento” della quota associativa, 100 euro, che “deve essere interpretato come un’evidente manifestazione di cessazione della professione giornalistica e quindi di inattività professionale”.

La verità è che oggi moltissimi giornalisti lavorano con compensi da fame, non arrivano a fine mese, e a fine anno non hanno nemmeno i soldi per pagare la quota. In realtà è l’ordine dei giornalisti quello che ha cessato di svolgere la sua funzione di tutela della professione e dell’etica del giornalismo, e dunque è l’ordine dei giornalisti, e chi lo dirige,  che deve darsi una regolata, o essere cancellato, e non i suoi associati, i giornalisti che continuano a lavorare anche sotto le bombe dell’inps e di equitalia.

Oggi abbiamo una minoranza, una casta di giornalisti con stipendi, contratti e garanzie da top manager, e che per lo più non scrivono niente, ma dirigono,

e una massa di free-lance che “fanno tutto il lavoro”, senza alcuna garanzia, che spesso  lavorano a proprie spese, con la propria macchina, il proprio computer, il proprio telefono, e sono pagati 30€ ad articolo, quando sono pagati.

Bene, se vuoi sapere perchè non ho pagato la quota, guarda il mio reddito, e capirai.

Se invece vuoi controllare davvero la mia attività professionale, ti basta digitare il mio nome in rete per trovare centinaia di miei lavori giornalistici,

controlla bene il mio lavoro, la quantità, qualità e l’efficacia del mio lavoro e poi fatti delle domande.

La credibilità di un giornalista non è nel suo conto corrente, ma nel suo lavoro, nei suoi articoli, reportage, inchieste, denunce.

Io su questo sfido l’ordine a dichiararmi indegno della qualifica di giornalista.

Immagino che una similettera con similfirma “cordiali saluti” (avrei preferito “distinti”) sia arrivata a migliaia di colleghi, con la nota finale “per qualsiasi chiarimento inviare una mail a: informatica@odg.mi.it

Invito tutti i colleghi che si riconoscono nella mia situazione a rispondere a questo indirizzo kafkiano, già per sé rivelatore, copiando questo mio appello,

nel quale chiedo all’ordine di togliere la tessera di giornalista non già a chi non ha i soldi per pagare la quota, ma a tutti quei giornalisti leccapiedi servi del potere che tradiscono l’etica professionale scrivendo scientemente falsità o non scrivendo verità: sono ovunque,  e anche un bambino è in grado di smascherarli.

E contestualmente suggerisco all’ordine di tornare alla realtà, scrivendo lettere d’altro tipo, magari offrendo l’opportunità al “caro collega in difficoltà” di pagare 10€ al mese, on line

(e non pretendendo l’intero importo più mora entro 15 gg da pagarsi su C/C postale)

o meglio ancora istituendo uno speciale albo dei “giornalisti meritevoli e privi di mezzi”, che siano esentati dal pagamento della quota, dimostrando  la qualità e la quantità del lavoro giornalistico svolto, con redditi sotto i 10.000 o 15.000 euro,

e queste quote siano invece versate dai più fortunati con redditi sopra i 100.000 euro, i quali potrebbero senza sforzo e anzi con piacere pagare una quota di 1000 euro l’anno, anziché 100, e così provvedere a 10 “meritevoli”.

A questo dovrebbe servire un vero organismo di categoria, a tutelare la professione, con i più elementari meccanismi di mutuo soccorso.

E poi, invece di scrivere a me, a noi giornalisti, una lettera chiusa, da recupero crediti, scrivere una vera lettera aperta a tutti i giornali: “il fatto che in questo paese i veri giornalisti nonostante lavorino giorno e notte  abbiano redditi  da fame, che non gli permettono di arrivare a fine mese,  è un’evidente manifestazione della crisi della professione giornalistica…”

E a quel punto l’ordine dovrebbe porsi anche delle domande sul proprio senso.

Sappiamo tutti cosa è successo in Italia negli ultimi 30 anni, e quale sia la causa madre dell’asservimento mediatico.

Il punto chiave è il rapporto tra pubblicità e lettori. Una testata che sta in piedi grazie ai lettori (copie vendute, abbonamenti) risponde ai lettori. Una testata  che sta in piedi (4/5 degli introiti, o anche più) grazie agli inserzionisti, risponde agli inserzionisti. Molto semplicemente, se tu vivi con la pubblicità di Armani, della Fiat e del Comune, difficilmente potrai denunciare le malefatte di Armani, della Fiat e del Comune, o anche solo informare in modo imparziale.

La deriva, la sclerosi verso l’irregimentazione viene da qui, e parte dall’alto.

I grandi sponsor non sostengono le testate più vivaci, indipendenti e capaci, ma le più affidabili e istituzionali, cioè le grandi testate. Allo stesso modo le grandi testate non chiamano i writer più acuti, ma i più malleabili. E possibilmente parenti di qualcuno, unico vero requisito di carriera in questo come in ogni settore chiave.

Una casta di pasciuti yesmen normalizzati, contornati da figli di papà e signorine di buona famiglia che fanno i giornalisti per motivi di status, con verve e intelligenza statuaria.

In questo contesto di asservimento, se c’è un soggetto collettivo che può contribuire al risveglio dell’informazione, non è certo l’elite dei grandi media, ma il popolo degli indipendenti, dei blogger, delle migliaia di professionisti che ogni giorno sputano lacrime e sangue per riuscire a far passare barlumi di verità nella marmellata di regime.

Togliere il tesserino di giornalista a chi è in trincea, significa togliergli la baionetta, e perdere la guerra.

(imago: redazione Calepio Press)

Bergamo chiama Bergoglio

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01 Bergamo Alta tar le mura venete

All’epoca in cui si è “rinchiusa” nelle mura, nel 1550, Bergamo Alta aveva 40.000 abitanti. Nel 1950 ne aveva 8000. Oggi ne ha 2000. Come città, è praticamente morta. Come città d’arte, non sta benissimo.

Le città d’arte che pensano di poter vivere facilmente di turismo, molto facilmente poi ne muoiono, vuoi per eccesso, o per carenza:

la bulimia turistica è conclamata quando in un dato luogo esistono solo attività turistiche e di fatto l’unica cosa autentica da vedere è la massa stessa dei turisti;

ne sono colpiti i grandi centri storici come Roma o Venezia, ma anche cittadine d’arte come San Gimignano, Gubbio, Orvieto, Volterra,

l’anoressia turistica, all’opposto, uccide tutti quei centri pur ricchissimi di arte, storia, architettura, e autenticità, ma poverissimi di notorietà, spirito e strutture d’accoglienza.

Bergamo Alta è sia bulimica che anoressica, a zone,

soffre di bulimia la nervatura urbana centrale, l’asse “corsarola” via colleoni/via gombito che collega la cittadella a piazza vecchia e al mercato delle scarpe, ingozzata di turisti, negozi, bar, boutique;

soffrono invece di anoressia, spopolate, totalmente prive di negozi, bar, persone, le direttrici laterali: sia la “dorsale” via boccola, vagine, tassis, solata, rocca, che la “ventrale” via arena, donizetti, s.giacomo; con le piazze angelini, lavatoio, rosate ridotte a parcheggi, cioè dormitori per mezzi meccanici;

ma anche il settore occidentale, che è zona preti (seminario, curia) e il quartiere orientale, presidiato dalle suore (conventi in zona rocca, fara, arena e donizetti) è città morta, chiusa, piena di case vuote, di spazi chiusi, di edifici e stanze disabitate.

Questo a causa di proprietari seconde case assenteisti, come a venezia, ma in gran parte per la presenza del grande immobiliarista, la curia:

parliamo tanto di città alta come di una questione civica, ci si scontra tra destra e sinistra, tra residenti e non residenti, tra commercianti e intellettuali, e così facendo facciamo finta tutti insieme di non vedere, di non sapere, che il senso, la crisi di città alta è una questione cattolica, di civiltà cattolica, di proprietà cattolica,

evidentemente ogni apertura e rinnovamento di Bergamo Alta deve coinvolgere riguardare sovvertire in primo luogo queste aree, questi soggetti (preti, suore, curia) queste strutture (seminari, conventi) che per numero, estensione, qualità e potenzialità ricettiva valgono nell’insieme 10 volte le strutture d’accoglienza laiche (alberghi, pensioni e b&b).

Occorre un grande terremoto dello spirito per riportare alla vita le risorse della città morta, del cattolicesimo possidente, bigotto, tetro,

c’è un solo soggetto, un solo uomo che oggi con un solo gesto può fare il miracolo di liberare la città dalla cappa cattolica e aprirla ai nuovi fermenti, ed è il papa,

questo gesto esemplare chiaramente sarà quello di aprire per sempre, abbattere, il cancello del Seminario in via Arena,

e riaprire la pubblica via e restituire alla comunità tutta l’enorme area della città proibita, e le sue connessioni su colle aperto, cittadella, mascheroni e salvecchio.

La zona più elevata della città tornerà ad essere il quartiere pubblico per eccellenza, come era in origine, quando via arena portava all’arena romana, distrutta nell’800 proprio dalla curia per costruirci sopra il seminario,

e questo mastodontico seminario, oggi vuoto e sterile, se aperto e convertito in ostello internazionale, potrà accogliere studenti, artisti, musicisti, viaggiatori, ed essere l’avamposto della riqualificazione della città come vera città d’arte e cultura,

in questo modo, aprendosi, condividendo e ospitando, la chiesa, la curia potrà dire di svolgere il suo vero ruolo, ecumenico, d’accoglienza,

e la parola “cattolico” riprenderà il suo significato autentico, originario, di “universale, aperto a tutti, accogliente”.

A quel punto non sarebbe più così vergognosa l’etichetta di città cattolica.

Se il clero apre le sue case, esce dal suo isolamento, tutta la città si apre ed esce dal suo isolamento. Una rivoluzione, uno scenario impensabile per la curia bergamasca.

Ma non per quella romana.

chi è Lele Mosina

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Badante4occhi

Lele Mosina è il nuovo found raising manager del project group calepio press. Appena nominato, ha dichiarato:  “sono molto fiero alla mia età, l’età della Maresana, di essere stato scelto a rappresentare il gruppo  calepio press, tra i più importanti centri d’eccellenza nella produzione di cultura d’avanguardia made in Italy”

“c.press è la dimostrazione di come  un uomo solo, totalmente disorganizzato e inaffidabile, dedicandovi un’ora al giorno e alcuni pseudonimi, senza un euro di budget, e senza nemmeno avere la linea web, caricando i post al bar o da amici, possa essere non solo più influente di vere e proprie testate giornalistiche di regime con decine di collaboratori, redazioni, e centinaia di migliaia di euro di budget,

ma anche più produttivo in termini di idee e progetti innovativi  dei  grandi centri ricerca o incubatori d’impresa, finanziati dal regime per ragioni di facciata”

“quest’uomo non è un genio o un individuo eccezionale, ma semplicemente un uomo libero, preparato e dotato di senso critico, che ha il coraggio di scrivere le verità più lampanti taciute o mistificate dai gruppi di potere che controllano l’opinione pubblica”

“sostenere quest’uomo, questo nullatenente, significa sostenere la possibilità di superare l’ipocrisia mediatica ma soprattutto significa sostenere progetti reali d’innovazione culturale come:

> Adv zero, agenzia anti pubblicitaria (già Malomodo Communications) per la riduzione dell’inquinamento semiotico da pubblicità.

> FMKTG, fantamarketing, creata nel 2010 con Pierluigi Lubrina e BambooStudio, contaminazioni paraletterarie tra fantascienza e innovazione d’impresa.

> gentedimerda.it,  da un’idea di Federico Carrara, asocial network;

> BaDante, care&writing agency, sviluppata con Isabella Gentili e Athos Mazzoleni, casa editrice di riposo, nuova letteratura senile.

> Leone XIV, antipapa latinista, nato rivoluzionario vs PapaRazzinger, divenuto reazionario vs PapaFrancisco

> Upper Dog (con Jennifer Gandossi e Benedetto Zonca): idee e ricette per produrre cibo per animali con scarti macellaio fruttivendolo e fornaio di quartiere (nomi delle ricette: porco cane, popolo bue, trota padana, pota coniglio, master polaster, interiora design)

> #pensacheignoranza, dal 2013, con Anna Bonaccorsi e Athos Mazzoleni, web institute ricerche di mercato e sondaggi d’opinione

> PWS, pub writing session, est 2014 con CTRL magazine e ELAV brewery, lo show della scrittura, storie da pub ascoltate, trascritte e pubblicate al pub

> Mensa te!, est 2014, con Matteo Cremaschi, Athos Mazzoleni, Daniele Lussana e Virginia Coletta, mensa popolare / fabbrica delle idee, 1pasto 1idea.

“cliccando sul tasto LeleMosina potrete donare qualsivoglia cifra per sostenere questi progetti, lo trovate in home page, in alto al centro con la dicitura LeleMosina/donazione”

“se cercate la home, cliccate su domus”

C.press, è l’unico sito al mondo ad avere la domus invece della home.

a volte ritornano

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N70

La notizia circola da tre mesi, ad alcuni pare comica (a volte ritornano) e ad altri tragica (come si uccide l’informazione)

a Bergamo aprirà una nuova testata web di nome Bergamo Post, gravemente finanziata da Percassi Group (“il nostro successo è frutto dell’osservazione della realtà, unito al desiderio e all’ambizione di fare qualcosa di nuovo e di migliore”) e seriamente diretta da Ettore Ongis («Occorre il tempo per approfondire, se non si vuole gettare il cervello alle ortiche. Internet, per sua natura, non ha tempo di rielaborare le informazioni») ex direttore de L’Eco, già presidente del gruppo Imiberg, scuole cattoliche.

Nel 2009, l’allora direttore de L’Eco di Bergamo, così si confessava agli studenti del Mascheroni: «Non avevo le idee chiare su che cosa fare dopo l’università. Per fortuna è la vita che ha scelto per me. La mia prima esperienza da giornalista è  stata nel mondo della Rai. Alcuni dirigenti Rai vollero selezionare e reclutare dei giovani e venni assunto a Radiodue. Poco dopo entrai nella redazione de L’Eco di Bergamo e per così dire mi sistemai».

«Ho sempre pensato che non sia giusto imporre ai ragazzi la lettura dei giornali, nemmeno a scuola. Fino a venticinque anni la Gazzetta dello  Sport è il giornale più adeguato».

Un mito.

Sull’incontro Percassi-Ongis un amico, teorico della davantologia comica, approccio opposto alla dietrologia tragica (le cose sono lì davanti, da vedere, nella superficie delle cose la loro spiegazione)  ha detto: “ma quali lobby e finanza bianca! Piuttosto penso a  quella barzelletta milanese dove c’è un tipo un po’ ciula che chiama un suo amico un po’ ciula e gli chiede: non conosceresti qualcuno…si ma lo vuoi un po’ ciula ?”

Chi vede il lato comico,  pensa che ci sia del comico nel fare un giornale web con un direttore del cetaceo-cartaceo, e anche nell’avere la redazione e il budget per fare approfondimento sul web, e impiegarci tre mesi a partire.

Chi vede il tragico, invece, ha solo da scegliere:  partirei da un Gad Lerner del 2012, su MicroMega: «La confessione dell’imprenditore Pierluca Locatelli che ha pagato un milione e duecentomila euro la licenza per una discarica d’amianto, colpisce soprattutto per la destinazione della parte più cospicua di questa somma: la ristrutturazione “gratuita” della scuola paritaria Imiberg, 700 studenti e 100 docenti, fiore all’occhiello della “libertà d’insegnamento” lombarda.

Nel dicembre scorso Formigoni aveva inaugurato il suo centro sportivo lodandone la fisionomia esemplare, fiancheggiato dal giornalista ciellino Ettore Ongis che sovrintende alla sua gestione da quando il vescovo Francesco Beschi l’ha allontanato dalla direzione dell’Eco di Bergamo per liberare il giornale della curia dai vincoli eccessivi del gruppo di potere ciellino».

Per capire come un soggetto “troppo vincolato a cl per l’eco” possa ora vincolarsi al consumismo turbo capitalista del bell’antonio innominato, una pagina tratta da Sean Blazer, “Lo stile italiano”:

“l’informazione si uccide mettendo, o riportando, ai vertici dei media fidati yesmen molto ben pagati per garantire il massimo torpore d’opinione,

non la redditività editoriale, non la sostenibilità culturale, non la costruzione o la diffusione di una consapevolezza critica, ma proprio il suo esatto contrario, il massimo torpore d’opinione pubblica,

anche a costo di grandi perdite finanziarie, che saranno sostenute da imprese  impure, cioè non da editori puri, ma da super-imprenditori con interessi in settori diversi, che rappresentano il potere secolare, il braccio armato degli oligopoli bancari (quando non ne sono ostaggi)

nel mondo turbo capitalista l’informazione è controllata non attraverso la repressione ma con il finanziamento di testate opprimenti,

attraverso il controllo della pubblicità, in regime di monopolio od oligopolio, quei due o tre gruppi di potere associati escluderanno sia i professionisti che le testate indipendenti, o quelle comunque capaci di sostenibilità editoriale (cioè di stare in piedi per la qualità del prodotto realizzato)  e perciò doppiamente pericolose,

e d’altra parte invece si garantiranno introiti finanziamenti alle testate del gruppo, il che significa  che si darà il posto sicuro, prestigio, denaro e mille altri privilegi a un numero ristretto di direttori, capoccia, caporedattori e kapò,

non importa che sappiano scrivere, pensare, capire, comunicare, importante è che sappiano ammansire, riunire, condurre la redazione e i lettori come un gregge, come un curato fa con i suoi parrocchiani,

e al contempo si affameranno coloro che realmente lavorano, i giornalisti, i giovani freschi di laurea ed entusiasmo, o anche professionisti che da una vita fanno quel lavoro, tutti ridotti a vita a collaboratori esterni pagati una miseria, cioè il massimo della dipendenza, e il minimo della libertà di scrittura, che dovrebbe essere l’unico vero valore della professione”

Infine, per coloro, come me, per i quali  questa nuova notizia-onda, la  new ongis, tecnicamente una risacca,  è peggio che tragica, e cioè funebre (come un requiem all’informazione, alla professione, e allo spirito d’impresa editoriale)

propongo in spirito a volte ritornano  il post L’eco di un suicidio by Leone, dedicato a tutti i precari- aspiranti giornalisti, tratto dal blog estinto bamboostudio, pubblicato all’indomani del cambio di vertice alla direzione de L’Eco:

“Hai meno di trent’anni, sei cresciuto nella favola del Made in Italy, seguendo questa favola hai studiato Scienze della Comunicazione, ti sei laureato, hai cominciato a fare piccoli lavori nel mondo della comunicazione, dapprima gratis (per fare esperienza, curriculum) poi pagato quasi niente, senza alcun contratto, ma sei bravo, ci credi, tieni duro, il tuo lavoro consiste nell’incensare eventi mondani, prodotti di lusso, persone di successo, tu non hai in tasca nemmeno i soldi per comprare le sigarette, non importa, smetti di fumare, sei pronto a fare sacrifici.

Poi ti chiedono di aprire la partita iva, d’accordo, e ti chiedono di diventare commerciale, di vendere pubblicità, d’accordo, puoi fare anche questo.

Con la partita iva chiedi un mutuo per andare a vivere in un monolocale con la tua fidanzata (che è nelle tue stesse condizioni); alla fine dell’anno hai fatturato 10.000 euro, fai parte della generazione 1000 euro, precaria, la “parte peggiore” del paese secondo un ministro, però tu sei in regola, formalmente anzi sei un imprenditore.

Poi vai dal commercialista, dai tuoi 10.000 euro togli l’iva, le tasse, l’INPS, il commercialista, ti restano 3000 netti, in un anno, e hai un mutuo da 6000, cominci ad andare sotto, eppure ti dai da fare tutto il giorno, non hai vizi, non esci mai a cena, non getti un euro in gratta e vinci, non ti droghi, non vai a donne, non hai la macchina.

Prendi la bici, e vai umilmente a chiedere aiuto ai tuoi, pensionati, vai da tua sorella che ha sposato un dentista, cerchi di stare a galla, ma l’anno dopo non ce la fai, non hai i soldi per l’INPS, ti sembra un paradosso essere obbligato a versamenti previdenziali quando non hai da mangiare oggi.

Non hai i soldi, non paghi, allora Equitalia comincia a perseguitarti. Poi non riesci a pagare la rata del mutuo, e la Banca andrà a rivalersi sui tuoi.

La vergogna è troppa, ti rendi conto di aver sbagliato tutto, aveva ragione tua nonna: impara un mestiere, idraulico, panettiere!

Non hai più nemmeno la forza di guardare in faccia la tua ragazza, le dici che hai bisogno di restare solo, la molli, molli anche il monolocale, tiri avanti altri tre mesi fregandotene delle ingiunzioni di pagamento, intorno a te sembrano tutti ricchi e felici, belle ragazze e belle automobili, showroom e vernissage, tu non esisti, i tuoi problemi non interessano a nessuno, non sono contenuti interessanti da condividere su facebook, e così un bel giorno la fai finita.

Il giornale della tua città, cattolico, non racconterà questa vicenda (“Il nostro giornale non pubblica le notizie dei suicidi” si vanta il direttore Ettore Ongis) i suicidi non meritano una parola, non importa se il suicidio è la prima causa di morte giovanile dopo gli incidenti stradali, non importa se i giovani suicidi sono aumentati del 60% in tre anni, non importa se la tua città ha il record di giovani suicidi in Italia.

A nessuno interessa il tuo fallimento, ti negano perfino il funerale in chiesa (eppure da bambino facevi il chierichetto), nessuno ha una parola per te. Eri il migliore della tua generazione, volevi fare il giornalista. Chi ti ricorderà? Nessuno, forse Equitalia. Qualcuno ti renderà giustizia? Qualcuno spiegherà che il vero fallito non sei tu, ma il modello sociale in cui viviamo?

“Ogni tentativo di capire, si inceppa a motivo dei sentimenti che affiorano nel nostro cuore: sentimenti di pietà, di tenerezza e di amicizia, di delusione e di sconfitta, di tristezza e di speranza”. Sono belle parole queste, il Vescovo in persona le ha pronunciate: ma non sono per te, sono per un prete colpevole di molestie sessuali che, smascherato dalle Iene, per un genere totalmente diverso di fallimento e vergogna, ha fatto infine la tua stessa scelta.

“Il suicidio di don Recanati non è un fatto privato, è un grido di dolore e di protesta che sale fino al cielo”. Lo scrive Ettore Ongis, il direttore del giornale della tua città, lo stesso uomo che da dieci anni ignora e quindi denigra migliaia di suicidi come il tuo. È il trionfo dell’ipocrisia di regime. E tu muori due volte. E quelli come te continuano a fare la scelta di Catone.

Sono passati sei mesi, e la notizia del giorno è questa: a l’Eco di Bergamo hanno cambiato direttore.”

> sono passati tre anni, e il direttore scaricato da l’eco ritorna in carica col  post

Gori admin Percassi edit Ubi leasing CL sharing

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viacrucis

“sosterremo Gori convintamente e concretamente poiché lo riteniamo portatore di valori e priorità compatibili e complementari ai nostri”.

Sembra un discorso dell’onorevole “albanese” Cettola Qualunque, e invece incredibilmente è il comunicato stampa diffuso dai Popolari per l’Italia per presentare la lista Moderati per Gori.

Il presidente dei Popolari per l’Italia è l’ex ministro della difesa, Mario Mauro, leader di Comunione e Liberazione.

Nel comunicato si dice anche: “Ci riconosciamo in principi come quello della legalità e della sussidiarietà” “Principi che non sono solo parole vuote ma che necessitanodi comportamenti conseguenti”. 

(ogni riferimento a quello che sta uscendo su Expo e CL viene spontaneo)

E ancora: “grazie al forte, presente e discreto impegno dell’On. Gregorio Gitti, il movimento ha individuato in Giorgio Gori un buon candidato Sindaco moderato”

L’on. Gitti, figlio dell’ex  on. democristiano Tarcisio Gitti, è il marito di Francesca Bazoli, figlia del banchiere Giovanni Bazoli, Presidente di Intesasanpaolo, il più importante gruppo bancario in Italia, in questi giorni indagato per i leasing “friends” UBI banca.

Questo Gitti junior sponsor di Gori è presidente di 4 società UBI banca: Ubi Finance 2, Ubi Finance 3, Lombarda Lease Finance e 24/7 Finance.  Queste società  si occupano di cartolarizzare i crediti di emanazione Ubi Banca.

Il giovane Gitti è anche nel CdA di Alitalia, dove è appena entrato il senior Percassi come nuovo socio con 15 milioni (con un finanziamento avuto da Intesa, cioè da Bazoli, il suocero di Gitti),

Percassi inoltre diventerà editore di una nuova testata on line che si chiamerà BergamoPost, e avrà come direttore l’ex direttore de L’Eco di Bergamo, Ettore Ongis, da sempre apostolo di Comunione e Liberazione a Bergamo (attualmente: presidente del gruppo Imiberg, scuole cattoliche).

Lo so, sembrano trame di un romanzo di serie b, e invece è il backstage lobbystico di una città di serie b come bergamo.

Capito tutto? No? Allora sveliamo anche l’ultimo tassello:

Chi figura insieme a Percassi (finanziato da Bazoli-Intesa-CL) tra i soci fondatori di questo BergamoPost, diretto dal CL Ongis?

Dai che lo sai: il ragazzo sempre stato di sinistra, Giorgio Gori. Fine del viaggio.

Come ti senti dopo la lettura di questo post? Pensi di iscriverti al gruppo facebook “BergamoPost de merda”?

Gori – Bazoli/Gitti – Percassi sembra proprio una cordata politica-finanza-informazione, nemmeno troppo occulta, per mettere le mani sulla città: le mani di Comunione e Liberazione.

Mattei diceva: uso i partiti politici come fossero dei taxi. Comunione  e Liberazione sta facendo la stessa cosa (e il taxi è in leasing).

A tre giorni dal voto sarà molto difficile per Gori, dopo la “veranda abusiva”, smantellare la “tettoia aberrante” di CL sotto la quale si è infilato, o si è lasciato infilare,

difficile rinnegare o scaricare sostenitori come Gitti, finanziatori come Bazoli e soci come Percassi,

più facile che l’elettorato di sinistra scarichi Gori.

Nel qual caso, ne vedremo delle belle.

(photo: la processione via crucis in città alta, organizzata da CL)