essere l’altro

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Uno scrittore che scrive di sé, come un cuoco che si prepara la cena, non serve a nessuno.

Una volta dicevo, provocavo, chiedevo ai miei allievi: e chi sei per parlarmi del tuo ombelico? Leopardi? Credi di essere Leopardi?

Davvero pensi che i tuoi moti interiori siano più interessanti delle variazioni del prezzo dei vitelli, o dei risultati sportivi?

Le antologie sono piene di “scrittori” che sono riusciti a scrivere e a diventare dei “grandi” nonostante non abbiano vissuto altro che una vita piccola, insignificante, penso a Petrarca, Leopardi, Kafka.

In realtà nemmeno Leopardi si contentava del proprio ombelico, e nella scrittura disperatamente cercava la possibilità di essere altro da sé, di essere Silvia, una siepe, un villaggio, una pianta, una rana, un topo.

Quando Kafka si immedesima in uno scarafaggio, che si nasconde terrorizzato dietro il divano, sta dicendo proprio questo: perfino uno scarafaggio è più interessante di me.

Al’estremo opposto del dilemma “scrivere o vivere”, abbiamo i grandi  “viveur” protagonisti di grandi avventure, imprese e conquiste erotico-militari, che oltre a vivere sono riusciti “anche” a scrivere, dico Giulio Cesare, Cervantes, Casanova, Ippolito Nievo, D’Annunzio, Bukosvky.

Entrambi questi approcci, chiamiamoli “leopardi moon” e “d’annunzio-mood”, si basano su una concezione titanica, lo scrittore come super-uomo, iper-sensibile o dotato di qualità eccezionali, fuori dalla norma, con una patente di superiorità auto-rilasciata…

Ecco allora l’aspirante writer che li prova entrambi, e dopo aver raschiato il fondo dell’anima, si decide a viaggiare, o si butta in qualche impresa assurda, pur di aver qualcosa da scrivere.

Scornato, si ritrova davanti il famoso foglio bianco di Mallarmè, e va in crisi. A questo punto arrivo io, e lo salvo.

Gli dico: esiste un altro approccio, più corretto, meno individualista,

un altro modo per fare lo scrittore che tutti possono seguire, apprendere, praticare, senza essere Leopardi o D’annunzio: è lo scrittore di servizio, una via di mezzo tra il confessore e il reporter, che raccoglie e scrive storie non sue,

è l’artigiano della mimesi, della capacità di immedesimazione,

è un demiurgo che impasta materia non sua, è il virtuoso del collage, il tecnico del montaggio,

è uno capace di viaggiare nelle esperienze altrui, e farne un grande affresco: è Omero, Dante, Shakespeare, Hemingway.

Lo scrittore vero non crea, ma trasmette: il vero senso  della scrittura è un gesto di comunicazione, fin dall’origine, un tra-scrivere.

Scrivere significa essere l’altro, scrivere le storie degli altri.

Ecco il mestiere dello scrittore, mettere su carta le storie che legge sulle labbra di chi racconta, ecco la chiave d’accesso al pieno godimento dell’esperienza di scrivere-leggere.

Oggi, nell’epoca del web, questo segreto, questo raccoglimento, questo incontro che dà origine alla scrittura, è perduto;

con il web moltissimi scrivono: in realtà la maggioranza non sta propriamente scrivendo, ma semplicemente parlando per scritto, in modo diaristico.

Ciò che da sempre si scriveva nel proprio diario, per custodirlo privatamente, oggi lo si scrive pubblicamente sul web,

e di fatto le esperienze, i ricordi vengono così dilapidati, dispersi ai quattro venti.

Pochissimi sul web sono scrittori, se intendiamo come mestiere dello scrittore scrivere le storie di chi non scrive. Di chi vive.

Dunque, uscire, andare al pub in cerca del vecchio marinaio, e delle sue ballate.

Da queste premesse, e una certa incoscienza, è nata l’idea della Pub Writing Session, e il progetto di creare la figura del Pub Writer, l’uomo che armato di penna o portatile ruba le storie nei pub,

il pub writer – come un dj – suona musica d’altri, la sua arte è la compilation, la scaletta, il remix, il coinvolgimento-riconoscimento in uno sfondo, in un tappeto sonoro, dei nodi, dei fili individuali.

la sua arte è quella di interpretare ed esprimere, cioè interpretare esprimendo ed esprimere interpretando, c’è anche una parola che indica questa prassi: ermeneutica.

Il pub writer è lo scrittore di servizio, il suo lavoro è quello di abbassarsi a far da levatrice.

(photo by Chiara Locatelli, il pub writer -scarafaggio Leone Belotti schiacciato dal tacco del potere ginecocratico)

le trasmissioni riprenderanno il più presto possibile

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Le trasmissioni riprenderanno il prima possibile

il Comitato Centrale dell’Internazionale Turbo-Comunista annuncia ai lettori del blog Calepio Press che il periodo di oscuramento delle pubblicazioni terminerà presto:

la pubblicazione sostituiva “47 tentativi fallimentari d’impresa culturale”,

sarà a sua volta interrotta dopo la pubblicazione dei tentativi n19 e n20

la Polizia Politica, avendo ormai ottenuto lo scopo, il fallimento del blog, precipitato da migliaia a decine di visite,  ha annunciato l’imminente liberazione del turbo-compagno blogger Belotti, che potrà riprendere a scrivere, nel rispetto della legislazione vigente.

Un encomio alla cellula bulgara, che nello sterminato archivio Calepio Press ha selezionato  le 47 puntate agiografiche sulla vita agra del writer sovversivo

la raccolta completa dei 47 tentativi, in cui il compagno Belotti tramanda ai posteri le atrocità da lui vissute sotto il regime spettacolare del Made in Italy, non sarà disponibile in e-book gratuito, come previsto, tanto meno in volume,  essendo stati ravvisati nella raccolta stessa, contenuti censurabili,

motivo per il quale la Polizia Politica ha avvedutamente scelto di tenere in vita il Belotti, e restituirgli libertà di pubblicare nuovi post.

47 TFIC – 13 paraletteratura rosa

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13 paraletteratura rosa

far piangere milioni di donne 

Scrivere rosa, far piangere le signorine, le loro mamme e anche le nonne, è sempre stata la via maestra per la carriera di scrittore, la prima palestra, l’esercizio di stile formativo, una lunga tradizione, tutti i grandi romanzieri ci si sono misurati, dai romanzoni-feuilleton francesi di fine ottocento, alla scuola italiana con lo sviluppo dei sotto-generi.

Ad autori come Liala, Salgari, Guido da Verona, Pitigrilli si deve l’esplosione della narrativa popolare in un arcobaleno di sfumature dal rosa al giallo al nero all’erotico, e l’invenzione di format nuovi, il fumetto, il fotoromanzo,

un periodo che va dagli anni Trenta agli anni Sessanta-Settanta, quando la televisione uccide tutti i generi, e la scuola italiana  presenta l’ultimo maestro, il grande Scerbanenco, oggi autore di culto, idolo dei nuovi giallisti e ristampato in Adelphi, ma ai suoi tempi autore di novelle e romanzi rosa  per i settimanali femminili.

Ancora oggi ti capita di trovare su bancarelle o in librerie remainders prime edizioni di romanzi di Scerbanenco a 2 euro, con illustrazioni “rosa” in copertina, mentre in libreria lo stesso romanzetto viene proposto nella linea “alta cultura” a un prezzo dieci volte superiore con copertina design (lo stesso accade ai gialli di Simenon-Maigret), tale che mai uno si immaginerebbe che quel testo sia stato originariamente pubblicato a puntate su Intimità o Confidenze.

Scrivere novelle rosa vuol dire confrontarsi col grande pubblico.

Al grande pubblico non interessa minimamente chi tu sia e quanto sia bravo a scrivere, cioè a immaginare e fingere.

Il grande pubblico, nel caso del rosa, vuole divorare compulsivamente, sognare, emozionarsi, piangere per la storia in sé, come fosse vera, come fosse propria, la lettrice compulsiva capisce subito se stai menando il can per l’aia,  dunque non va sottovalutata la sincerità emotiva della storia, devi davvero tirarti fuori il cuore, o tirarlo fuori alle tue fonti.

L’approccio alla scrittura popolare, bassa, richiede più impegno, più dotazione psichica, più attenzione, più lavoro e responsabilità dello scrivere alto, “letterario”, artistico.

Se un tuo racconto letterario viene pubblicato su una rivista di poesia snob, sarà diffusa in qualche centinaio di case dove sarà letta da qualche decina di persone.

Poche ne vendono, e ancor meno vengono lette.

Se la tua novella rosa viene pubblicata su Confidenze sarà venduta in 300.000 copie e letta da un milione di persone, perché in ogni casa, da ogni parrucchiera, estetista, quella copia viene letta da 2,3,5, 10 persone.

E possiamo presumere che tu venga anche pagato.

Eppure su 1000 aspiranti scrittori forse 2 si misurano davvero con la narrativa di genere, popolare, il rosa, il giallo vero

(non quello di moda: qualsiasi romanzo strampalato con dentro un morto ti viene propinato come un giallo, magari con un aggettivo intrigante, tipo “un giallo gastronomico”, e io immagino le segrete vicende di un tuorlo d’uovo andato a male).

Il giallo vero, come il rosa e qualsiasi altro genere, ha delle regole, che tu puoi anche cambiare, infrangere, ma devi sapere che esistono, che sono nella mente dei lettori, che per questo ti comprano.

Ci sono regole, o meglio programmi, riguardo al lessico, ai tempi verbali, alla struttura narrativa, il meccanismo del climax, del flash-back, del flash-on, la doppia linea narrativa, armonia e melodia, la scansione dei movimenti-capitoli, adagio-allegro-andante, il patto con il lettore, il narratore interno o esterno.

Oltre a tutto questo, occorre la storia, una storia vera, con l’anima, la passione, il mistero, che catturi completamente i lettori come persone che pendono dalle tue labbra (pagine).

Le lettrici di rosa non sono lettrici annoiate, sono fameliche, e se gli dai il brodino allungato te lo sputano il faccia.

La prima cosa che mi ha detto l’editor di Harmony è stata:

per fare lo scrittore di seria A possono bastare le raccomandazioni, per fare lo scrittore di serie B devi essere davvero capace”. – segue

imago: architetture sospese, by J.Gandossi 

www.jennifergandossi.it