47 TFIC – 13 paraletteratura rosa

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13 paraletteratura rosa

far piangere milioni di donne 

Scrivere rosa, far piangere le signorine, le loro mamme e anche le nonne, è sempre stata la via maestra per la carriera di scrittore, la prima palestra, l’esercizio di stile formativo, una lunga tradizione, tutti i grandi romanzieri ci si sono misurati, dai romanzoni-feuilleton francesi di fine ottocento, alla scuola italiana con lo sviluppo dei sotto-generi.

Ad autori come Liala, Salgari, Guido da Verona, Pitigrilli si deve l’esplosione della narrativa popolare in un arcobaleno di sfumature dal rosa al giallo al nero all’erotico, e l’invenzione di format nuovi, il fumetto, il fotoromanzo,

un periodo che va dagli anni Trenta agli anni Sessanta-Settanta, quando la televisione uccide tutti i generi, e la scuola italiana  presenta l’ultimo maestro, il grande Scerbanenco, oggi autore di culto, idolo dei nuovi giallisti e ristampato in Adelphi, ma ai suoi tempi autore di novelle e romanzi rosa  per i settimanali femminili.

Ancora oggi ti capita di trovare su bancarelle o in librerie remainders prime edizioni di romanzi di Scerbanenco a 2 euro, con illustrazioni “rosa” in copertina, mentre in libreria lo stesso romanzetto viene proposto nella linea “alta cultura” a un prezzo dieci volte superiore con copertina design (lo stesso accade ai gialli di Simenon-Maigret), tale che mai uno si immaginerebbe che quel testo sia stato originariamente pubblicato a puntate su Intimità o Confidenze.

Scrivere novelle rosa vuol dire confrontarsi col grande pubblico.

Al grande pubblico non interessa minimamente chi tu sia e quanto sia bravo a scrivere, cioè a immaginare e fingere.

Il grande pubblico, nel caso del rosa, vuole divorare compulsivamente, sognare, emozionarsi, piangere per la storia in sé, come fosse vera, come fosse propria, la lettrice compulsiva capisce subito se stai menando il can per l’aia,  dunque non va sottovalutata la sincerità emotiva della storia, devi davvero tirarti fuori il cuore, o tirarlo fuori alle tue fonti.

L’approccio alla scrittura popolare, bassa, richiede più impegno, più dotazione psichica, più attenzione, più lavoro e responsabilità dello scrivere alto, “letterario”, artistico.

Se un tuo racconto letterario viene pubblicato su una rivista di poesia snob, sarà diffusa in qualche centinaio di case dove sarà letta da qualche decina di persone.

Poche ne vendono, e ancor meno vengono lette.

Se la tua novella rosa viene pubblicata su Confidenze sarà venduta in 300.000 copie e letta da un milione di persone, perché in ogni casa, da ogni parrucchiera, estetista, quella copia viene letta da 2,3,5, 10 persone.

E possiamo presumere che tu venga anche pagato.

Eppure su 1000 aspiranti scrittori forse 2 si misurano davvero con la narrativa di genere, popolare, il rosa, il giallo vero

(non quello di moda: qualsiasi romanzo strampalato con dentro un morto ti viene propinato come un giallo, magari con un aggettivo intrigante, tipo “un giallo gastronomico”, e io immagino le segrete vicende di un tuorlo d’uovo andato a male).

Il giallo vero, come il rosa e qualsiasi altro genere, ha delle regole, che tu puoi anche cambiare, infrangere, ma devi sapere che esistono, che sono nella mente dei lettori, che per questo ti comprano.

Ci sono regole, o meglio programmi, riguardo al lessico, ai tempi verbali, alla struttura narrativa, il meccanismo del climax, del flash-back, del flash-on, la doppia linea narrativa, armonia e melodia, la scansione dei movimenti-capitoli, adagio-allegro-andante, il patto con il lettore, il narratore interno o esterno.

Oltre a tutto questo, occorre la storia, una storia vera, con l’anima, la passione, il mistero, che catturi completamente i lettori come persone che pendono dalle tue labbra (pagine).

Le lettrici di rosa non sono lettrici annoiate, sono fameliche, e se gli dai il brodino allungato te lo sputano il faccia.

La prima cosa che mi ha detto l’editor di Harmony è stata:

per fare lo scrittore di seria A possono bastare le raccomandazioni, per fare lo scrittore di serie B devi essere davvero capace”. – segue

imago: architetture sospese, by J.Gandossi 

www.jennifergandossi.it