il senso del gelato per Bergamo

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Una mucca che ti guarda è l’icona pop di expo-gelato 2015, mostra-happening  dedicata al gelato artigianale, che si inaugura sabato pomeriggio a Bergamo Centro zona Sentierone (la mostra sarà nel chiostro di S.Marta, il laboratorio/show in Galleria).

Parlare delle delizie del gelato, se il tema è nutrire il pianeta, può sembrare uno snobismo, e solleticare facili ironie storiche in stile Maria Antonietta, ma in realtà la storia del gelato è un perfetto esempio di come funziona realmente (o funzionava) l’evoluzione umana prima e oltre il copyright che oggi le grandi holding piazzano su qualsiasi cosa: in realtà nessuno inventa mai niente, ma tutti collaborano a creare tutto, e insieme è possibile fare qualcosa che nessuno è in grado di fare da solo.

Il gelato nasce da secoli di perfezionamenti apportati dal “fare insieme” di anonimi artigiani provocati alla creatività da alcuni “geni” o “inventori” (molti dei quali italiani): chi inventa e crea è sempre un soggetto plurale, e umano, mai un marchio commerciale.

Una storia per molti aspetti italiana, in momenti cruciali (il passaggio dal sorbetto al gelato, l’apertura di gelaterie pubbliche, l’invenzione della macchina gelatiera) che oggi rappresenta ancora un unicum mondiale: siamo l’unico paese al mondo che consuma più gelato artigianale che industriale.

La differenza è molto semplice (e non la troverai negli spot del gelato industriale): il prodotto artigianale rispetto a quello industriale contiene la metà dei grassi e meno della metà d’aria.

Viene prodotto quotidianamente da piccoli punti vendita (le gelaterie artigianali) con piccole gelatiere, mentre il resto del mondo viaggia a gelato gonfiato, con conservanti, trasportato in container su veicoli diesel, american style.

Dunque un prodotto alimentare da sempre portatore di sostenibilità, genuinità, italianità artigianale, no logo, con ingredienti veraci (e cioè: passione, tecnica, attenzione e un pizzico di follia) per certi versi assimilabile alla pizza, invece di essere uno dei temi forti di Expo Italia, è relegato negli eventi collaterali, fuori expo, a Bergamo (che del resto è uno dei distretti specializzati nella filiera del gelato artigianale, con una miriade di aziende).

L’allestimento è provocatorio, inaspettato, una scenografia irridente, un’irruzione pop nel salotto di Bergamo Centro, il cosiddetto Centro Piacentiniano, con il suo quadriportico falso e pretenzioso, e tutti i falsi problemi di identità urbana del Sentierone,

la verità – una verità che mi ha investito improvvisamente mangiando un gelato –  è che il Centro Piacentiniano andrebbe abbattuto, raso al suolo, orrido Tribunale compreso: allora forse anche la vera piazza moderna della città-libertà avrebbe spazio e senso.

 

donizetti danger

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Donizzelav La Mia è la più vecchia istituzione della città, fondata nel 1265, al fine di praticare la “misericordia pubblica” “sostenere i bisognosi” e “prevenire l’eresia”. Una volta ci sapevano fare.

Nell’aula magna (ma niente da bere) della sede della Mia, in via Arena (dove c’era il Conservatorio, oggi allocato nell’impoetica città bassa) è stato presentato nei giorni scorsi il Donizetti Pride, denso e simpatico cartellone di diffusione expo-donizettiana in città, spettacoli, incontri, rappresentazioni non solo nei teatri, e non solo di repertorio.

Il Comune, la Mia, il Conservatorio, la Fondazione Donizetti, cioè enti solitamente in sclerosi, hanno preso coraggio e affidato la responsabilità creativa a un vero organizzatore di cultura, che incredibilmente ha meno di settanta anni, forse anche meno di cinquanta, e idee chiare,

niente grandi nomi, niente Bocelli, si spettacoli nuovi, sì spettacoli diffusi nello spazio-città; una ventata d’aria fresca,

lo si vede già dalla grafica della cartella stampa, molto al passo coi temp, nello stile “repetita iuvant” che riprende e omaggia la cover de L’Osservatore Elaviano, la testata più chic nei club di Londra e Berlino (ma qualcuno la trova anche a Bergamo, dove viene creata).

Bravo assessore, bravo direttore, bravo presidente, l’impressione è positiva.

Se proprio vogliamo trovare una pecca, semmai, è nell’anglofilia del naming della manifestazione, Donizetti Pride, articolata in Donizetti Night, Donizetti Off e Donizetti Alive;

cosa che certo non piacerebbe al nostro Gaetano, che insieme a Puccini, Bellini, Rossini e Verdi ha fatto parlare l’italiano in tutto il mondo proprio grazie all’opera lirica.

Negli Stati Uniti probabilmente questa rassegna si sarebbe chiamata “Donizetti Bel Canto”, o qualcosa del genere,

nella patria del bel canto invece l’hanno chiamata Donizetti Pride, che fa anche un pochino Gay Pride: e questo è davvero ingiusto, perchè Donizetti è stato un vorace mangiatore di donne, tanto da creparci. Rispettiamo i morti.

Farlo parlare in inglese, passi, ma farlo passare per gay mi sembra pericoloso.

Rischiamo che durante la messa della domenica in S. Maria Maggiore sorga dal sarcofago e si erga bestemmiando. Conosco il tipo.

 

 

non è una città per turisti

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NNcittàturisti

Bergamo non è una città per turisti, nonostante l’apparenza, nonostante la scenografia monumentale di città alta e la scenografia ambientale dei colli, Bergamo è una città geneticamente anti-turistica;

nonostante l’impegno, i programmi, i soldi che si stanno investendo per costruire questa “industria turistica”, l’impresa non decolla, il cittadino, il commerciante, le imprese non hanno la mentalità per fare accoglienza;

non c’è amore per la propria storia, non c’è cultura del territorio, non c’è realmente desiderio di ospitare l’altro, il diverso, lo straniero;

ospitare gente non è come produrre tondini metallici, occorrono materie prime come anima, cultura, cuore;

chi ha queste materie, da sempre è fuggito da questa città; tutti i grandi uomini che oggi si pretende di usare come icone turistiche, Beltrami, Quarenghi, Donizetti, fino a Manzù hanno sempre dovuto andarsene altrove, mai riconosciuti in patria: solo dopo che tutto il mondo celebra un genio, allora lo rivendichiamo, e volgiamo che tutti sappiano: è di Bergamo!   Si, peccato che a Bergamo sarebbe morto di fame!

Per fare un’industria turistica le risorse artistiche-paesaggistiche in realtà sono secondarie, primarie sono competenze come pazienza, elasticità, curiosità, tutte cose contrarie allo spirito del bergamasco introverso, lavoratore, ostico, mugugnante;

per questo, la costruzione di un’industria turistica, dovrebbe essere fatta umilmente, un passo alla volta, non da un giorno all’altro con slogan e iniziative destinate a sicuro fallimento;

per cominciare, si dovrebbe valorizzare l’autenticità, la verità, il carattere profondamente onesto, sincero, modesto, anti-show, della città, e dire questa cosa, usare questo contro-slogan:   “non è una città per turisti”, e valorizzare ciò che realmente può portare uno slogan del genere, e cioè viaggiatori che detestano la città turistiche, ad esempio, ovvero il target molto alto dei ricchi snob, e il target molto pregiato di intellettuali e artisti e viaggiatori no-massa;

lavoriamo sulla qualità, creiamo una mentalità, costruiamo un modello sostenibile di città storica, non risorsa da sfruttare ad esaurimento come un pozzo di petrolio, ma giacimento da mantenere vivo, e tutelare come una fonte sorgiva.

O davvero vogliamo le piazze di città alta invase da “restaurant” che propongono “lasagne e cappuccino 9 euro”, come a Roma? Seguendo gli esperti in marketing turistico, si finisce lì.

Con tutti i suoi difetti, è ancora una città vera, con un suo carattere, un suo pudore, non facciamo finta di essere bresciani o milanesi, dare spettacolo non sarà mai il nostro forte, troviamo il coraggio di costruire un nostro modello, una nostra prospettiva coerente, pertinente.

 

gli architetti bergamaschi

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CARD-(IL)-CAPITALE-DELLA-CULTURA (5)

con un’immagine-locandina cyber-splatter, adatta a un concerto punk-teenager,

+ un vecchio titolo pseudo-sovversivo, stile Il manifesto anni Ottanta,

+ un comunicato stampa rigorosamente democristiano (offrire, a distanza di qualche mese, una riflessione che permetta di non disperdere il patrimonio di lavoro compiuto)

gli architetti di Bergamo si sono esposti stamattina in convegno sulla scena del Donizetti.

Originariamente previsto nel foyer, il convegno si è poi svolto in platea.

Tema: sviluppo urbano e politiche culturali.

Senso del convegno: dopo la “fregatura” presa su Bg2019, mettere le mani avanti su Expo2015.

La fregatura gli architetti su Bg2019 l’hanno presa in questo modo: originariamente esclusi dal comitato promotore (e dal budget, come tutti) sono stati inclusi di facciata all’ultimo momento, barattando l’adesione con la promesse di finanziamenti europei in caso di vittoria,

in questo modo hanno perso sia i finanziamenti, che la faccia,

ora, per ridarsi una faccia (e forse pensando anche ai finanziamenti expo) si espongono formalmente aggressivi (locandina e titolo) ma sostanzialmente disponibili (comunicato).

Sul palcoscenico i dieci relatori seduti dietro un lungo tavolone, coperto da un orribile assemblaggio di tovaglie stiracchiate.

Il convegno si è sviluppato in tre movimenti:

1) rappresentanti di altre città, che hanno raccontato progetti riusciti di interventi partecipati a Matera, dove la candidatura a capitale culturale è nata dal basso, da associazioni di cittadini, a Siena, a Torino,

progetti di architettura in grado di trasformare la percezione del patrimonio storico-architettonico che non è una cosa, ma un processo, e anche un conflitto, e dunque comprende anche le azioni sovversive, le iniziative abusive che svolgono un ruolo propulsivo  di agopuntura urbana sul corpo delle città.

2) momento clou, l’archi-star Stefano Boeri (figlio dell’arci-designer Cini Boeri, già assessore cultura a Milano e a capo del primo master plan Expo2015) si è fatto dare un microfono, si è piazzato sul palco spalle alla platea, e si è denudato

raccontando molto francamente i suoi più noti fallimenti del recente passato, come la megasede magna magna del G8 che non si è tenuto alla Maddalena,

e del prossimo futuro, come lo snaturato e megacostoso bosco verticale di Milano, ben sintetizzato da un angosciante video-supplizio che mostrava tutta la sofferenza provata da quelle piante tirate su con la gru a 300 metri, in un altro clima.

(Ti regalo una certezza, Boeri: quelle piante smetteranno di vivere, nonostante gli impianti ipertecnologici per tenerle in coma vegetativo, a causa dello shock provato. Come qualsiasi botanico ti potrà spiegare, una pianta non è fatta di pietra inerte, ma è un sistema nervoso, un corpo fibroso, linfatico, organico, tenuto in vita da un “sentimento”  base,

il sentimento di essere una pianta, radicata nella terra, che ogni giorno trova il coraggio per protendersi di qualche millimetro verso la luce, verso l’alto. Se tu la sollevi nel vuoto a 300 metri d’altezza con una gru, la pianta muore sul colpo, muore di vertigini, di panico, te lo garantisco, chiunque abbia una parte vegetale molto sviluppata vedendo quel video te lo potrà confermare)

tagliare un bosco vivo per fare un bosco artificiale, di facciata, costosissimo, mi è sembrata la metafora perfetta del tema del convegno, il senso della cultura per le istituzioni

lo spogliarello Boeri dice questo: il destino fallimentare dei grandi progetti–grandi eventi.

3) Infine, i candidati sindaci dei 3 grandi schieramenti: Tentorio, Gori e Zenoni.

A loro gli architetti bergamaschi per voce del loro vicepresidente portuguese chiedono che progetti hanno e se pensano di indire concorsi.

Tentorio non dice niente, però fa una gaffe, dicendo di doversi tenere buona l’ANCE che è sua cliente,

Gori dice qualcosa di sinistra, ma poi ha un vuoto di memoria, dicendo “3 cose in città alta”, ed elencandone 2.

Zenoni ha un tono da sacerdote, e quasi sussurrando dice le cose più pesanti: mentre la gente esce alla spicciolata, parla degli ex ospedali e invita gli architetti a essere partecipativi davvero, non solo iscrivendosi ai dovuti concorsi, ma offrendo ciò che viene prima dei concorsi, le idee, le visioni in base alle quali nasce il consenso, la decisione pubblica, e quindi il concorso pubblico.

Ma ormai molti dei presenti se ne sono già andati.

PS: nessuno ha avuto il coraggio di dire qualcosa, fare richieste, proposte, prendere impegni sulle due massime vergogne-emergenze dell’architettura urbana: il cantiere-frana abbandonato della Rocca, e gli insensati totem della cultura.