47 tentativi fallimentari d’impresa culturale – 12

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12 case history writing

il biografo aziendale

Se proprio vuoi essere pagato per scrivere romanzi, l’opportunità più concreta è diventare uno scrittore di case history,  biografie aziendali,

non devi far altro che considerare l’azienda come un romanzo, tutti i generi risultano utili, dal romanzo di formazione alla saga familiare (dal mitico fondatore ai nipotini-mecenati).

Tutto può iniziare dalla classica paginetta che ti chiedono per la brochure o il sito, chi siamo,  la nostra storia.

Quella deve essere l’occasione per colpire al cuore l’imprenditore facendoti raccontare la sua storia e riscrivendola con belle parole, con richiami al quadro della grande storia, dandogli senso e dignità

e aprendo la strada, a seconda dell’età e delle aspettative del committente, a un volume sulla storia dell’azienda (tenere d’occhio i centenari) o a un libro autobiografico di memorie d’impresa.

Importante fargli capire che lavori come loro, produzione, consegna, tempistica,

dopo avergli dato un assaggio deve scattare il progetto con preventivo, gli devi promettere un libro firmato da lui in 2-3 mesi, con incontri-interviste settimanali o mensili, 30% anticipo e saldo alla consegna.

Gli inconvenienti, chiaramente, sono all’ordine del giorno.

Mi è successo, ad esempio, dopo aver intervistato per due mesi un riservato e ricchissimo signore, di quelli mitici, che hanno iniziato a lavorare a 12 anni e per una serie di motivi (boom economico) si sono ritrovati dapprima a mettersi in proprio, poi col cognato e il fratello, poi con un dipendente, poi cinque, poi venti, poi il capannone, e in breve alla soglia dei settanta si ritrovano plutocrati, a guidare società per azioni con sedi in mezzo mondo,

mi è capitato, dicevo, che una volta consegnatogli il suo libro, con la sua storia, con le sue parole, questo signore, leggendolo, sia entrato in una crisi d’identità tale per cui non ha più voluto vedermi, né stampare il libro,

e abbia invece cominciato ad andare dallo psicologo.

Questo succedeva diversi anni fa.

Crisi.

In ogni caso, il momento giusto per l’entrata in scena del biografo aziendale è al cambio generazionale.

Bisogna capire subito la situazione: se i figli vogliono giubilare il boss, il libro è l’occasione perfetta per togliere dai piedi il vecchio; se invece il boss è saldo e i figli un po’ ciula, il libro è lo strumento ideale per mettere le cose in chiaro e rimettere i bamboccioni scalpitanti al loro posto.

Sbagliare mossa o referente, dire la cosa sbagliata alla persona sbagliata – e succede facilmente perché ogni azienda/famiglia è sempre una dinasty con un magma di faide e invidie sotto la patina della grande favola,  ti pregiudica  il lavoro, indipendentemente dalle tue capacità.

C’è poi il caso dell’imprenditore senza figli che ti dice: si, mi piacerebbe, lo farei se avessi figli e nipoti:

devi essere pronto a ribattere: un motivo in più per lasciare ai posteri nero su bianco la propria eredità morale, la propria storia.

C’è il caso dell’imprenditore che dice: ne avrei non uno, ma dieci di libri da scrivere su quello che ho visto nel mio ramo.

Gli dirai: cominciamo dalle radici.

C’è quello che dice: mi piacerebbe, ma non ho nessuna storia da raccontare, ho iniziato trent’anni fa a fare guarnizioni per frigoriferi, e per trent’anni non ho fatto altro.

Gli dirai: ha mai pensato che ognuna delle guarnizioni da lei prodotte è entrata in una casa dove una famiglia ogni giorno ha aperto quel frigo, se raccontassimo la storia di una sola di queste guarnizioni avremmo già un romanzo sulla vita italiana, grazie a lei.

Il caso più difficile, non raro, è l’imprenditore che a questo punto con gli occhi lucidi ti dice: sì, ho sempre sognato di scrivere un libro, ma non le mie memorie, a chi importano, invece vorrei scrivere un libro su….

Devi bloccarlo, prima che continui a parlare.

Il vero pericolo è lavorare gratis.

Già lo fai per te stesso, vorrebbero che lo facessi anche per loro, che del resto ti danno gratis l’idea.

Loro non vogliono fare un libro per guadagnare dei soldi, ma per amore dell’arte, eventualmente i proventi li diamo in beneficenza,

e chiaramente vorrebbero da te lo stesso approccio.

La risposta giusta sarebbe: bellissima idea cavaliere, la capisco,

pensi che io scrivendo libri da una vita ho sempre avuto il sogno di guidare un’azienda,

allora facciamo così, per i prossimi sei mesi mentre lei si dedica a tempo pieno e gratis al romanzo, io nel frattempo le guido l’impresa e incasso utili e dividendi al posto suo,

potremmo scambiarci anche la casa e la macchina, per realizzare fino in fondo questo sogno.

Gli metti sul tavolo le chiavi della tua Fiesta, e prendi quelle della sua Cayenne.

C’è stato anche uno che mi ha detto: affare fatto!

Solo che il Cayenne era della banca, l’azienda perdeva centomila euro al mese,

e alla villa la governante ucraina venticinquenne specializzata in sado-maso era abituata a essere salariata in contanti tutti i venerdì sera,

tutte cose che io non ero preparato a fronteggiare,

abituato il venerdì sera a stare con tenere fidanzate lombarde

che mi portano fuori a cena pagando loro e facendomi anche il pieno della Fiesta.

(imago: Lee Iacocca, manager anni 70 della Chrisler, italo-americano, autore di una delle più leggibili autobio del settore manager-industria,  sottogenere solitamente al top della noia) 

47 tentativi fallimentari d’impresa culturale – 10

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10 brand writing

lo scrittore da immagine coordinata

Oggi Boggi è un marchio moda molto conosciuto, una catena con negozi in tutta Italia. Quando ho cominciato a lavorare per Boggi l’unica cosa che esisteva era il signor Boggi con i suoi 7-8 negozi a Milano, tutti diversi, con nomi diversi, niente marchio, niente immagine coordinata.

La creazione del brand, di fatto, è stata opera dell’arch. Baroli, che ha creato il logo, i colori, il lay out vetrine, le etichette e la comunicazione. Io scrivevo tutto il necessario, dagli head line (Boggi/tempi di contenuti e Boggi ha solo clienti fedeli a sé stessi) a tutto il corollario di etichette, inviti, cartelle stampa, brevi storie del cachemire, della camicia, del taglio sartoriale, piccoli librini dati in omaggio nei negozi. Un lavoro di anni, la costruzione di un’identità di marca.

Poi un bel giorno Boggi ha venduto il giocattolo a una finanziaria, si è preso i suoi milioni di euro, e la nuova proprietà ha affidato la comunicazione alla grande agenzia.

Crisi.

L’esperienza a fianco di Luigi Baroli in realtà è stata preziosissima. Tutta quell’attenzione maniacale (che io allora non capivo) all’integrazione prodotto/vetrina/comunicazione in quegli anni Novanta era l’arma totale per dare visibilità e valore al marchio, erano gli anni della fidelizzazione, della fedeltà di marca, tutte cose che derivano dal saper proporre e rinnovare un universo coerente, un linguaggio riconoscibile, una storia credibile.

Si tratta di imparare a calibrare un certo tono, uno stile di comunicazione, come se l’azienda fosse una persona, con un suo lessico, una sua mentalità.

Lo scrittore da immagine coordinata, mi diceva un vecchio art, non deve essere un dio, ma bensì il suo assistente, cioè quello che, dopo che dio ha mosso l’indice e promanato il verbo, lavora duro tutta la settimana per completare la creazione di ogni ordine e specie vivente.

In un certo senso occorre saper fare il contrario del gesto creativo istintivo, che vuole inventare, colpire, stupire, no, qui bisogna dare continuità e coerenza e sicurezze e conferme al messaggio originario, il verbo aziendale, fisso come il sole, e solitamente banale.

Un lavoro da svolgere in simbiosi con l’art o l’arch che crea l’immagine di marca, e tutto il corredo infinito che va dal biglietto da visita al lay-out dei negozi passando per le insegne, le etichette, il packaging, le campagne pubblicitarie, le brochure, i cataloghi, tutta roba che oggi viene fatta per il sito web, a volte dimenticandosi una delle regole basi (il mezzo è il messaggio).

Di fatto poi nelle richieste quotidiane ti ritrovi a misurarti con crisi di rigetto, impieghi mezza giornata a scrivere quelle maledette dodici righe dove ancora una volta devi saper dire tutto sull’azienda e sulla qualità del prodotto specifico.

Crisi.

Ad ogni modo, se entri nel tunnel dell’immagine coordinata  e dell’identità di marca, ci puoi portare dentro chi vuoi, è un discorso che dà sicurezza, è come spiegare a Hitler che per invadere la Polonia occorrono divisioni corazzate, copertura aerea, e fanteria d’assalto, nell’ordine. Ti seguono subito.

In realtà, la vera missione del creativo, dopo aver convinto il cliente a dotarsi di un’immagine positiva, è quella di convincerlo ad avere non solo un’immagine, ma una sostanza, un’identità positiva, e dunque a migliorare realmente il prodotto, il servizio, indirizzare la filosofia aziendale nell’ottica della sostenibilità sociale/ambientale e della consapevolezza del consumatore.

Cominci a entrare nella psiche di un’azienda scrivendo le istruzioni tecniche o le didascalie del catalogo, ma devi avere già in mente la visione strategica complessiva.

Con la rete web e le opportunità dell’e.commerce, figura ruolo e prospettive del brand writer entrano in una nuova direzione.

La tendenza è in certo modo sovversiva, il creativo diventa egli stesso negozio, può scegliere i prodotti da comunicare e vendere, gestire in proprio tutto il web-marketing, accorciare e riunire la filiera della costruzione del valore culturale aggiunto e della distribuzione commerciale.

I brand writer di domani saranno dei blogger dotati di capacità di persuasione che si muoveranno su diverse piattaforme di e.commerce come ambulanti nei mercatini, ripristinando in modalità web la figura del commerciante-persuasore capace di raccontare il prodotto, un prodotto che sperimenta egli stesso, figura ormai scomparsa nella grande distribuzione dove tutto è affidato all’immagine coordinata e il commesso-venditore ha solo una funzione di servizio.

Il brand writer del web e dell’e.commerce, più che scimmiottare i format dell’epoca cartacea, dovrà agire nella costruzione della community-clienti, stimolando risposte e partecipazione così da rendere partecipe il target stesso alla costruzione della mitologia di marca.

Dunque dovrà creare delle occasioni di comunicazione, offrire occasioni di visibilità, gallery fotografiche, video, profili facebook e/o twitter o altro a seconda del target e del prodotto, e invece di imporre e inviare messaggi a senso unico, dovrà inventarsi dei giochini, degli scherzetti, con meccanismi virali, per solleticare risposte e contributi.

Alla fine fai sempre una forma di letteratura, e ancora una volta dimostri il teorema per cui con la letteratura giusta si può vendere facilmente di tutto.

Eccetto la letteratura, chiaramente.

Crisi.