un caffè con mia nonna

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AlessandraKaiser4

Avevo circa 8 anni, un sorriso stampato in viso e tutto intorno il mare blu.

Guardando vecchie foto, questa mi ha subito colpito: io e mia nonna su una canoa, i visi rilassati, gli occhi sorridenti, qualche segno di scottatura sulla pelle.

Mia nonna paterna mi ha sempre un po’ viziato, forse perché pensava che, essendo i miei genitori divorziati, io fossi una bambina da coccolare.

Quando andavo a trovarla, mi preparava sempre qualcosa di speciale; la cucina era una delle sue passioni, faceva i biscotti, le torte, gli gnocchi, la pizza, la pasta fresca ma anche l’arrosto, l’ossobuco, le patate al forno.

I piatti che preferivo della sua cucina, quando ero piccola, erano gli gnocchi al burro e la pizza, l’odore che meglio ricordo è quello dei biscotti tedeschi che preparava prima di Natale.

Un’altra delle sue grandi passioni era il golf; appena ne aveva occasione, andava a giocare con gli amici. Non era solo un hobby, partecipava a gare che spesso vinceva, accumulando trofei che ancora oggi non sappiamo dove mettere.

Per dare un’idea di quanti sono, uno lo uso come posacenere.

La maggior parte delle fotografie che ho di lei la vedono infatti impegnata in qualche competizione, circondata da amici; il golf, per lei, era quasi uno stile di vita.

Era una donna super attiva, sempre in giro, mai stanca; quando ero adolescente mi veniva spesso a prendere alle feste – anche all’una di notte.

Insieme siamo andate più volte in vacanza; quella a Parigi fu la mia preferita. Non solo visite a musei e monumenti ma anche shopping, una crociera sulla Senna, baguette enormi, problemi con i taxisti e la distanza tra i nostri anni non si era quasi sentita.

Parlare con lei era sempre stimolante ed era una sorta di libro di storia vivente, se le chiedevi chi era un Re del Medioevo, lei te ne raccontava vita e miracoli, se non ricordavi una data, lei la sapeva.

Leggeva il giornale tutti i giorni ed aveva sempre un libro sul comodino.

Le piacevano anche le fiction, in particolare Un posto al Sole e Centovetrine, che lei reputava delle scemate, ma che la divertivano molto.

Era una donna molto acculturata ma sapeva anche non prendersi troppo sul serio.

Aveva tante amiche ma, dopo mio nonno, non aveva più avuto un uomo.

Si era sposata giovane, aveva avuto tre figli, tutti maschi, e aveva perso l’unica figlia femmina poche ore dopo la nascita.

Mio nonno è un uomo abbastanza freddo e distaccato e lei si era forse sentita trascurata, forse aveva cercato l’affetto altrove.

Del loro divorzio non so molto; la famiglia di mio padre non ama raccontare vicende del passato ed io, per non essere invadente, non ho mai chiesto nulla.

Era una donna elegante e raffinata, aveva vestiti bellissimi ed era sempre impeccabile senza mai ostentare.

Aveva ricevuto un’istruzione severa, avendo frequentato un collegio di suore, e cercava di insegnarmi come essere composti a tavola, come comportarsi in pubblico e come essere sempre sorridenti.

Io, da adolescente ribelle quale ero, rifiutavo alcuni insegnamenti, ma ho comunque imparato che l’educazione non passa solo per le buone maniere ma soprattutto per il rispetto per gli altri.

Era anche una nonna dolcissima e sempre piena di attenzioni; ricordo che ad un San Valentino, avrò avuto 12 anni, ero triste perché non avevo ricevuto nulla dal ragazzino che mi piaceva e lei mi aveva fatto trovare un vasetto di primule con un bigliettino che recitava: “dal tuo spasimante misterioso”.

Era molto giovanile, tanto che gli sconosciuti la scambiavano spesso per mia mamma.

Dopo il liceo, iniziai l’Università a Bergamo e, dato che mia mamma viveva in Val Seriana, mi trasferii a Treviolo da mia nonna.

Vissi con lei quasi tre anni; nonostante l’età e l’educazione ricevuta, mi lasciava molto più libera di quanto facesse mia mamma.

Potevo uscire quanto volevo, tornare quando volevo e non mi ha mai rimproverato, tranne quel sabato sera che rientrai alle 6 non proprio sobria.

Qualche sera estiva facevamo l’aperitivo in giardino, con vino bianco, focaccine e salamino.

Una volta ogni tanto si concedeva un gin tonic, rigorosamente con lime fresco.

Tutte le mie amiche la adoravano e ricordano gli aperitivi e le cene che organizzava, ma soprattutto il savoir-faire che la contraddistingueva.

Era anche testarda, parlare di politica era un inferno e guai a dirle che Libero è un giornale di parte.

Non le piaceva il mio fidanzato del tempo, lo considerava un bambinone e diceva che meritavo un uomo maturo e responsabile.

Forse aveva ragione ma, al tempo, neppure io ero matura e responsabile: studiavo e superavo bene gli esami ma ero la tipica ragazza universitaria che vuole divertirsi al massimo e fare baldoria.

Lei mi ha sempre sostenuta e ha sempre fatto da intermediaria tra me e mio padre, suo figlio, dato che i rapporti tra noi erano molto difficili.

Grazie a lei mi sono riavvicinata a lui e ho imparato come gestire il rapporto con la sua seconda moglie, nonostante ancora oggi sia molto complesso.

Quando mio zio, il suo secondo figlio, si tolse la vita, io vivevo già con lei e il dolore straziante la fece ammalare.

Ho vissuto con lei durante la sua malattia e l’ho vista cambiare, da donna attiva e sempre indaffarata, a persona affaticata e stanca.

La morte di suo figlio le aveva tolto ogni gioia, non si dava pace per quel terribile gesto e, forse, se ne dava la colpa.

Aveva smesso di curare il suo aspetto, non partecipava né organizzava più cene con gli amici, anche giocare a golf stava perdendo importanza.

Io ero paralizzata dallo shock, non sapevo come affrontare il mio di dolore, quindi non ero in grado di aiutarla ad affrontare il suo.

Le stavo accanto, cercavo di distrarla, la aiutavo nelle faccende domestiche, la coinvolgevo in ciò che studiavo ma vedevo che il suo sguardo era diverso, che il suo pensiero era sempre là, a quel giorno, all’immagine di mio zio.

La malattia se la portò via.

Nei miei sogni la sua casa è ancora arredata, e dalla cucina arriva qualche buon odorino. Entro in casa e penso: nonna sei ancora qui, allora è stato solo un brutto incubo!

Ci sediamo in cucina e chiacchieriamo davanti ad un caffè, sgranocchiando quei biscottini alla cannella che le piacevano tanto.

(storia di mia nonna by Alessandra Kaiser 2014)

la psiche dell’architetto

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800px-Cole_Thomas_The_Course_of_Empire_Destruction_1836

Per giorni, settimane, a volte mesi ho l’impressione di non stare facendo niente.

Gli altri non se ne accorgono, in ufficio vado tutti i giorni.

Ma io lo so, non combino niente.

Il tempo passa, le scadenze si avvicinano e sento crescere in me un coagulo di insoddisfazione, noia, nervosismo e disgusto di me stesso.

Comincio a sentirmi male, anche fisicamente, male.

Altre volte questo stesso far niente mi dà felicità e leggerezza.

Anche saggezza, equilibrio, mi viene anche il sorriso.

Avverto una specie di gradevole compostezza generale.

Passo intere giornate scarabocchiando.

Faccio e ricevo telefonate inutili o angoscianti.

E intanto ho in corso progetti e contratti pazzeschi, assurdi, superpagati.

Mi sono laureato nel 68, in architettura.

Tutti si occupavano di politica.

Io preferivo studiare e già allora davo consulenze varie, a tutto campo, per cambiare tutto.

Oggi creo le vetrine per un gigante della moda.

Disegno per un supermarchio del design.

Progetto le case dei vip.

Nel mio studio lavorano venti persone.

Sono tutti giovani capaci, intelligenti, sani.

Ma io sono completamente inadeguato al ruolo di leader, l’unica cosa che mi interessa è l’architettura, la forma, la funzione,

quasi tutto ciò che mi circonda di solito mi disgusta, sono disgustato dalle stesse cose che mi interessano, la moda, il design, l’architettura, i modi di vita dell’uomo contemporaneo…

Sono considerato un grande innovatore, un maestro della purezza, del minimal, della semplicità, dell’austerità, della pulizia, della delicatezza

faccio grandi sforzi per giungere a questi risultati, perché il mio animo in realtà è barocco, espressionista, massimalista, e quindi ho desideri estetici che non posso realizzare né proporre,

per esempio l’architettura fascista, con dentro i mobili Luigi XIV, e i casalinghi della civiltà contadina,

sottopongo il mio fisico a prove estenuanti, e poi ho dolori di ogni tipo,  non dormo per notti intere, prendo di tutto, non faccio sport, penso sempre di smettere di fumare, di mangiare sano,  ma spesso ho lo stomaco chiuso, è la feroce determinazione dei miei commensali a mangiare sano, che mi chiude lo stomaco.

Lo stomaco mi si apre improvvisamente in autogrill, mi viene una fame, una voragine, ordino tre panzerotti ipocalorici uno dopo l’altro, al terzo faccio una battuta alla ragazza,  elemosino un sorriso.

Ho la fama di creativo, di filosofo,  sono anni che non mi siedo al tavolo da disegno,  i programmi dei computer non so nemmeno cosa siano,  faccio schizzi, spiego idee continuando a fare schizzi.

I miei collaboratori si mettono all’opera, e poi io correggo, e continuo a correggere, se i miei collaboratori o i miei clienti sapessero qual è veramente la mia fonte di ispirazione creativa andrebbero in crisi.

Dico che vado dal dentista, dallo psicologo, dall’avvocato e invece comincio a girare per la città oppure prendo la macchina e vado in un’altra città oppure vado alla stazione e prendo un treno, entro nei negozi, mi fermo nei bar, vado a fare la spesa, mi metto a parlare con le persone,  nei supermercati, per strada, in treno, e con grande naturalezza divento un’altra persona,  un uomo comune, anonimo, ma socievole, aperto,  gentile con le persone anziane,

passo ore a parlare con i vecchi sulle panchine dei parchi,  mi basta mezzo bicchiere di vino per farmi puzzare l’alito,  quando si crea un po’ di confidenza mi chiedono di me,  se bevo per qualcosa che mi è successo.

I vecchi con cui parlo… mi interessano le case in cui sono nati e cresciuti,  come hanno vissuto quelle case, è così difficile vivere bene in uno spazio interno,

l’unica possibilità è che questo spazio sia già abitato, da uno spirito accogliente,  altrimenti tutto è freddo e silenzioso,  ma oggi non si fa altro che uccidere lo spirito delle cose e delle case, ingegneri, architetti, geometri, immobiliaristi, tutti insieme distruggono forme vive di architettura e le sostituiscono con forme morte, o forme vuote.

La chiamano ristrutturazione, ma è un’operazione di imbalsamazione.

Case imbalsamate per gente imbalsamata.

Una casa è come una persona.

Non può vivere in eterno.

Occorre semplicemente che viva bene, in armonia, il suo tempo.

Si può curare una casa vecchia, non stravolgerla con trapianti integrali

tenendo solo il guscio, la facciata, e per cosa? per motivi estetici!

Il loft? Un’assurdità!

Un’altra? Le case di ringhiera che diventano residences!

Il borgo storico un presepe inanimato.

Se quattro persone vivono in un ampio quadrilocale, ognuna di queste vive in un ampio quadrilocale, ma se quattro persone vivono in quattro monolocali, ognuna vive in una stanza.

Il monolocale è una cella, ci vivono i frati e i carcerati, ma sia i frati che i carcerati a differenza dei moderni singles, possono godere di grandi spazi comuni.

Se devo costruire formicai, mi devo immedesimare nella formica.

Oggi tutti riescono a immedesimarsi nell’aquila, nella pantera, nessuno riesce a immedesimarsi nella formica.

La differenza fondamentale tra le classi agiate e le altre è che queste occupano tutto il loro immaginario con lo stile di vita delle classi agiate mentre gli individui delle classi agiate non riescono nemmeno a immaginare come si possa vivere in 40 metri, con 800 euro al mese.

Riguardo alla povertà materiale, chiunque, povero o ricco, preferisce non pensarci,  e invece c’è molto da pensare, se è vero che dalle fasce più povere della popolazione io traggo le idee per far vivere meglio le fasce più ricche:

bisogna capire, sentire la miseria di un attico tutto design, tutto creato da architetti e designer; e bisogna capire, sentire la ricchezza di una stamberga tutta necessaria, tutta creata da chi ci vive.

Se parlo con colleghi, committenti, collaboratori non trovo una sola idea giusta, un solo pensiero vero;

se parlo con portinaie, pensionati, inquilini, occupanti abusivi vengo illuminato su aspetti fondamentali cui non avrei mai pensato.

Per gli oggetti, stesso discorso, se non peggio, fanno disegnare mestoli da spaghetti a gente che non ha mai servito un piatto di pasta in vita sua ed ecco il mestolo di design, un oggetto di bellezza!

La gente compra le sedie design che vede nei bar,  la gente non sa che le sedie da bar sono progettate per essere scomode, per far alzare il culo dopo mezz’ora.

Vorrei progettare sedie e tavoli per scuole, biblioteche e case di riposo invece progetto sedie e tavoli per i set dei reality show, per gli show room moda e per le agenzie viaggi last minute.

Poi i singles comprano tutto.

(copyright BaDante Care&Writing Agency -Calepio Press, testo by Leone Belotti ex intervista anni Novanta ad architetto designer italiano compasso d’oro;

titolo originale “I singles comprano tutto”, in “Riduzione Uomo” blog bambooostudio;

imago: Thomas Cole, La distruzione dell’impero romano, 1836, New York, Historical Society)

il progetto badante alighieri

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DanteCacciaguida

BaDante è nuova figura professionale, il badante-biografo, dotato di competenze assistenziali e spirito dantesco, in grado di accudire nel presente,  accompagnare nel passato e proiettare nel futuro l’utente-autore che abbia deciso di rivolgere la propria vita come un romanzo.

L’idea BaDante nasce dalla summa di tre esperienze:

1) da bambino ascoltavo i racconti di mio bisnonno (che da bambino vide Buffalo Bill) che mi raccontava le imprese raccontategli da suo nonno (che fu garibaldino) e da suo bisnonno (che vide Napoleone)

2) prima come operatore socio-assistenziale (disabili, anziani) quindi come night-barman (papponi, buttafuori, cubiste) e infine come copy writer settore moda/design (designer, stilisti) ho capito che la prima cosa è saper ascoltare

3)  come editor  per diversi editori e anche in proprio nella collana “I Pergamini”  by Calepio Press ho (tra)scritto decine di storie d’impresa, di fatto storie di una vita.

Da queste esperienze l’idea di mettere in sinergia assistenza ed editoria, per “curare” e valorizzare la risorsa più preziosa della terza età: il vissuto, la memoria.

Con il progetto BaDante la scrittura diventa un metodo-valore socio-assistenziale.

Parliamo di trasferimento culturale, editoria e assistenza.

Il cuore dell’ impresa BaDante è la produzione di memoria come valore aggiunto alla pratica assistenziale. Clienti-utenti-committenti-partners-sponsor sono coloro che desiderano “tramandare memorie”: privati, famiglie, case di riposo, servizi sociali, istituzioni, associazioni sindacali e di categoria, aziende.

Input1: il senex, come ha bisogno di assistenza, così ha una storia da raccontare, un sapere da tramandare.

Input2: Ogni studente/operatore nel sociale, con capacità d’ascolto e di scrittura è in cerca di occasioni di lavoro culturale.

Sinergia: Risolvere queste due esigenze/opportunità è l’idea BaDante: un lavoro culturale/assistenziale, a un costo sostenibile, con moduli di ore/pagine, e pubblicazione testi con l’utente/autore e l’operatore/co-autore.

L’incontro tra generazioni per la co-produzione di memoria storica è il carattere costitutivo del progetto BaDante.

La scrittura come summa dell’accudire, come risultato di una pratica assistenziale dotata di senso, forma nuova e antica di valorizzazione della senectus.

Obiettivo del progetto è la sinergia generazionale, il trasferimento del sapere

In un’epoca critica e incerta, il bisogno del pubblico giovanile di recuperare il sapere antico, agricolo e artigianale, sarà la chiave per la diffusione e il successo della letteratura senile.

La tecnologia editoriale/assistenziale BaDante (protocolli e metodi per la ricerca documentale, il dialogo, la digitalizzazione dei reperti, la gestione del flusso di memoria, la trasposizione dal parlato allo scritto) è scalabile e riproducibile.

Il progetto BaDante opera per la trasformazione del ceto “dimesso” dal mondo del lavoro, persone che vivono sole o in strutture “di riposo”, in protagonista attivo del valore storico-culturale del comprensorio o della città.

BaDante trasforma l’assistenza da esigenza personale a opportunità culturale.

Ogni uomo, come ha una vita da vivere,  così ha un libro da scrivere.

Le tecnologie oggi disponibili (programmi di registrazione vocale/word) aiutano la produzione di cultura come frutto di un lavoro condiviso di ricerca, stesura, lettura, editing.

BaDante offre servizi integrati assistenziali-editoriali per la produzione, la pubblicazione e la diffusione della letteratura senile attraverso:

1) la tutela e la valorizzazione, nella cura della persona (igiene, vestizione, cucina, passeggiate) del dialogo, del racconto e della memoria orale.

2) la ricerca, il recupero e la digitalizzazione dei reperti autografi e cartacei (epistolari, documenti, cartoline, fotografie).

3) l’elaborazione assistita (registrazione, trascrizione, editing) di memorie personali, professionali, familiari e opere di fantasia.

4) la pubblicazione on-line e in volume di raccolte e opere prime

Obiettivo: l’obiettivo in prospettiva ideale della diffusione territoriale delle redazioni/BaDante è la trasformazione-fusione delle case editrici locali e delle case di riposo in una nuova struttura: la casa editrice di riposo, dove il senso della terza età è la produzione culturale.

Il progetto d’impresa che ne deriva, in sintesi:

focus: 1) ogni anziano ha una vita intera da raccontare / i giovani scrittori non sanno mai cosa scrivere 2) ogni anziano ha bisogno qualche ora al giorno di aiuto nella faccende domestiche, preparazione pranzi, igiene personale, uscite / ogni scrittore/studente è sempre in cerca di un “lavoretto”

mission: implementare l’attività assistenziale (badante) in conversazione, registrazione e trascrizione della memoria orale in formato digitale-narrativo (alighieri)

business:  1 ) l’agenzia propone il servizio alle categorie potenziali utenti/clienti  2) cura la selezione e la formazione degli operatori di care/writing 3) stabilisce con l’utente un programma mensile/trimestrale/semestrale/annuale; 4) cura l’editing e la pubblicazione on line e/o in volume degli elaborati prodotti; 5) promuove la diffusione della letteratura senile  attraverso il proprio sito/blog

servizi offerti: 1) accompagnamento, assistenza igiene personale, terapie, ginnastica; 2) pulizie domestiche, guardaroba, lavanderia; 3) preparazione pasti, governo cucina; 4) conversazione, intervista, ricerca, riordino documenti di memoria  (foto, lettere); 5) trascrizione e digitalizzazione documenti di memoria  6) racconto, narrazione, romanzo per capitoli storia familiare  (nonni, genitori, infanzia, fratelli, scuole, primi lavori, fidanzamento, lavoro, matrimonio, figli) 7) edizione, pubblicazione/vendita e.book sul sito/agenzia letteraria, eventuale edizione stampa, con anziano che racconta e operatore che scrive come co-autori dell’opera.

timing > 2/4 h/die – 2/5 gg la settimana (min 4h/sett – max 20)

operatori > studenti/scrittori,  operatori socio-assistenziali, blogger. utenti > disabili, anziani, lungodegenti.

slogan > se Monet ha dipinto le Ninfee da cieco, se Beethoven ha composto la Nona da sordo, il Nonno può benissimo scrivere la storia di famiglia con l’Alzheimer

(Per info: mail to info@calepiopress.it > oggetto: baDante)

 

grande talento, ma inaffidabile

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rivincita_di_natale_diego_abatantuono_pupi_avati_003_jpg_icjv

certo, è stata una disgrazia, ma di quelle che vengono da lontano,

una storia come tante, l’amico che ti tradisce alle spalle, e fa finta di niente;

tu invece lo sai, ma anche tu tieni la parte, e fai finta di niente,

aspetti il momento buono per fargliela pagare con gli interessi;

intanto vi vedete sempre meno, è normale, passano gli anni, i decenni…

sono passati più di cinquant’anni…

l’amicizia tra me e Gianni è iniziata che avevamo vent’anni, era il 59, governo Fanfani,

sempre insieme, grandi progetti, grandi idee, pochi soldi, tanto entusiasmo,

abbiamo fatto cose bellissime, lavori incredibili, io introverso, incapace di comunicare, lavoravo di notte, facevo capolavori;

lui brillante, affabile, conquistava chiunque,

siamo andati avanti così per dieci anni, tra alti e bassi, i lavori li firmavamo insieme, ma era lui quello che si era fatto conoscere, io stavo dietro le quinte, anonimo, e mi andava bene così;

poi è arrivata l’occasione giusta, è arrivata a me, gennaio 1970,

e io invece di dire subito sì, ne ho parlato a Gianni,

lui ha detto dobbiamo muoverci nel modo giusto, prendi tempo,

poi, come capita con le cose importanti, è successo tutto dal mattino alla sera,

senza che nemmeno me ne rendessi conto, il mio amico Gianni, il mio migliore amico, forse l’unico che ho mai avuto, grazie al mio lavoro, alle mie idee, mi ha rubato il posto, si è preso la scrivania, il lavoro, lo stipendio, il successo, i progetti, il futuro, si è preso tutto,

allora non me ne ero reso conto con chiarezza, l’amarezza ti confonde le idee, ti rende incerto,

lui mi ripeteva la sua versione, non era come sembrava, l’aveva fatto per me, per noi, mi diceva di avere pazienza, qualche mese e mi avrebbe fatto entrare,

passa un mese, ne passano due, passa un anno,

una sera mi chiama, io penso: finalmente!

ti devo chiedere un favore, mi dice,  lui a me, un’emergenza, e così, al telefono, mi chiede di coprirlo: ha detto a sua moglie che si vedeva con me, sua moglie mi conosceva, una bellissima ragazza, giovanissima,  della mia parola si fidava, dovevo dirle una balla, se mi avesse chiamato, e poi avvertirlo subito…

aveva un’altra, da non credere, non gliene era mai importato niente delle donne, non era mai stato portato per gli affari cuore, ma adesso che era diventato qualcuno, ecco che aveva sentito il bisogno di farsi l’amante, e io, l’amico tradito, senza lavoro, senza soldi, senza donna, dovevo essergli complice,

non ci ho pensato molto, gli ho risposto subito: ascolta Gianni, io non ho più niente, solo il rispetto di me stesso, io le menzogne non le dico nemmeno per me, perchè dovrei dirle per te?

D’accordo, come non detto, mi fa, pensavo fossimo amici, mi ha detto, lui a me.

In quello stesso periodo, vengo a sapere da terzi che si è liberato un posto, proprio la mia mansione, allora lo chiamo, non mi risponde, lo richiamo, niente, alla fine mi richiama lui, mi dice di stare tranquillo, tu fai la domanda, mi dice, al resto penso io, ma non continuare a chiamarmi, poi pensano male, sai, le segretarie parlano, ti chiamo io appena so qualcosa,

era già diventato vicedirettore, stava bruciando le tappe,

qualche giorno dopo mi chiama, mi dice: non c’è stato niente da fare, il direttore si è imposto, ha imposto il suo cavallo, uno dieci anni più giovane di te, capace di far niente, senza curriculum, senza titoli, e adesso dovrò pure fargli da balia... era lui la vittima, alla fine,

ma io il direttore lo conoscevo per altre ragioni, un vero signorsì di pochissime parole, arrogante, ma con una sua etica, di quelli che le carognate te le fanno da nemico, alla luce del sole, non di nascosto, come gli amici,

così prendo coraggio, sapevo le abitudini, il punt e mes a mezzogiorno, lo avvicino al bar, gli dico dottore, ci contavo su quel posto, Gianni me l’aveva promesso…

non c’era nemmeno bisogno parlasse, l’espressione diceva già tutto: tanto per mettere le cose in chiaro, mi dice scostandosi, non sono io che mi sono opposto alla tua assunzione, ma qualcuno che ti conosce bene, e ti ha definito “di grande talento, ma inaffidabile”.

Inaffidabile? A me, che sono la fedeltà in persona? Poi ho capito. Mi faceva pagare il mio rifiuto a fargli da ruffiano.

Per qualche tempo ho pensato di aspettarlo per strada con una spranga, frantumargli un ginocchio. Oppure: andare a trovare sua moglie, Mara, e spiegarle alcune cose. Invece niente.

Passano gli anni, uno dietro l’altro, dieci anni.

La domenica lo vedevo arrivare a messa con la macchina nuova, il cappello Borsalino, le scarpe lucidate, la Mara in pelliccia di visone.

Soldi ne aveva fatti a palate, si era comprato la macchina, la casa, la seconda macchina, la seconda casa.

Io mi ero venduto tutto, anche l’orologio di mio padre, per tirare avanti. Passavo le giornate in ciabatte e canottiera, sulle panchine. Ero diventato un fanigott. Ma non ci pensavo più a fargliela pagare. La rabbia era passata.

Mi faceva pena, a dire il vero, con quel suo sorriso da curato di campagna. Lasciami stare, Gianni, gli dicevo quando incrociava il mio sguardo, e lui da bravo passava oltre.

Ma un’estate, era Ferragosto, 1982, l’estate in cui l’Italia vinse i Mondiali, lo incontro in piazza, aveva la moglie al mare, mi invita a mangiare con lui in trattoria, è molto agitato…

io ti ho sempre invidiato, mi confessa, fin da quando eravamo ragazzi,

io avrei sempre voluto avere il tuo talento, mi dice, la tua grazia,

usa proprio queste parole, sono parole che mi colpiscono,

ma cosa stai dicendo, gli dico, col mio talento faccio una vita da miserabile! 

però sei libero! mi rinfaccia con foga, troppa foga, e lì ho capito che mentiva, faceva scena, e mi ha fatto schifo, era inutile stare lì ad ascoltarlo, ho gettato il tovagliolo sul tavolo,

sì, sono libero di sputarti in faccia, gli ho detto, e nell’uscire mi sono pure fermato a pagare il conto, tutto quello che avevo in tasca per tirare avanti una settimana,

Passano altri dieci anni. Crolla il muro di Berlino, cambia il mondo.

Ormai ero diventato un poveraccio, mi ero messo a bere, stavo con la Mery, una donna di strada, e non mi vergognavo, lei mi amava, ero la sua ragione di vita, un artista, io la stimavo, aveva una sua etica, un’onestà totale, profonda, una specie di forza virile, mai un lamento, una lacrima, niente, si teneva tutto dentro, peggio di me, anche la malattia,

sto mica tanto bene, mi dice una sera, domani vado a farmi vedere,

una volta entrata in ospedale, se ne è andata in pochi giorni,

l’avevo seppellita da una settimana, quando mi arriva un biglietto di Gianni, ma non di condoglianze, no…

mi scriveva testuale che “aveva nostalgia di quando eravamo ragazzi” e “andavamo a donne insieme”. Eravamo andati una volta in una casa chiusa, perchè poi le avrebbero chiuse, era in discussione la legge Merlin, ma non ci avevano nemmeno fatti entrare, non avevamo i ventun anni,

non eravamo mai andati a donne insieme, tu non sai nemmeno cosa siano le donne, avrei voluto dirgli, col suo biglietto tra le mani,

davvero una lettera stupida, con un finale orripilante, dove mi chiedeva per scritto di “trovargli una donna, ma verace, formosa, anche non giovanissima, al giusto prezzo”,

forse non sapeva del mio lutto? o faceva finta? uno dei suoi giochetti? cosa significava lasciarmi tra le mani quella lettera di suo pugno, avrei potuto rovinarlo mostrandola alla moglie, e anche alla ditta, perchè la ditta a queste cose ci teneva, lavoravano per la chiesa, non si poteva sgarrare sulla moralità dei dirigenti…

non riuscivo a capire, provavo solo pena, schifo, tristezza,

arriviamo all’epilogo, al processo, all’assoluzione,

alla fine le cose si sono risolte, ci ha pensato la Provvidenza,

quando l’ho visto sulla sedia a rotelle, al parco, l’ho osservato bene prima di avvicinarmi, era anche molto ingrassato, lei faceva fatica a spingerlo,

ciao Mara, le ho detto, forse non ti ricordi di me, lascia che ti dia una mano,

lei mi ha sorriso con una tristezza senza fine, non ci eravamo quasi mai parlati, ma eravamo come fratelli,

e come mi fissava lui, invece, un vegetale con gli occhi terrorizzati, riusciva a muovere solo la mano destra, emetteva dei grugniti incomprensibili, che forse incutevano pietà a chi non lo conosceva, e invece a me, e a sua moglie, facevano schifo,

è lucido, lucidissimo, capisce tutto, mi ha detto lei, e mi ha raccontato cosa era successo, davanti a lui,

capivo che aveva addosso una rabbia cattiva, quell’uomo l’aveva  sempre tradita, e alla fine gli era preso un colpo, un ictus, mentre era “con un ragazzo di strada”,

le parole le uscivano affilate, controllate, avrebbe voluto urlare, ma si limitò a ripetermelo a bassa voce: “non una donna, un ragazzo!”

poi gelida mi ha detto: “potrebbe andare avanti così anche vent’anni”.

io le ho risposto: sei ancora una bella donna, Mara, quanti anni hai? sessanta? ne dimostri dieci di meno, non è giusto quel che ti è capitato, non lo meriti.

Tutti questi discorsi davanti a lui, era la nostra vendetta.

Abbiamo cominciato a vederci tutti i giorni, al parco, non c’è stato bisogno di spiegarle per filo e per segno, aveva capito anche lei cosa avevo intenzione di fare.

Così quel giorno mi ha affidato Gianni, e il furgone attrezzato per portarlo in giro, prenditi una giornata di riposo, Mara, ci penso io oggi al nostro Gianni, lo porto al lago, dove andavamo sempre da ragazzi,

in quel punto il lago è profondo 300 metri, ci facevamo il bagno d’estate fantasticando sui galeoni spagnoli affondati negli abissi del tempo,

l’ho tirato giù dal furgone, l’ho legato bene alla pesante carrozzina, in giro non c’era anima viva, è proprio triste il lago d’inverno, stava già venendo buio,

alla fine avevi ragione Gianni, sono proprio inaffidabile

non c’è stato nemmeno bisogno di spingerlo, una volta sistemata la carrozzina sullo scivolo del vecchio imbarcadero, è bastato togliere il freno,

e non ho dovuto nemmeno mentire troppo bene, raccontando della disgrazia:

tutti, dal maresciallo, al pubblico ministero, al giudice hanno capito cos’era successo,  il vecchio amico impietosito gli aveva dato una mano pietosa a suicidarsi, ridotto in quello stato…

(By Leone Belotti, Luglio 2013, BaDante Care&Writing Agency; imago: Gianni Cavina e Alessandro Haber ripresi da Pupi Avati)

tu sei giovane non sai come la vita sia bella

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ho riferito al signor Dante A., 93 anni, del grande riscontro suscitato dal suo j’accuse alla capitale della cultura lanciato da queste colonne con  il post-intervista “Bergamo commedia dell’assurdo”,

per provocarlo, ho aggiunto: «milioni di budget, centinaia di totem, schiere di project manager e assessori, mesi di lavoro, viaggi, riunioni, comunicati stampa: tutto mandato in fumo da un pensionato che su un blog dice le cose come stanno!»

nell’occasione, il signor Dante ha emesso un grugnito;

poco dopo, la maschera incartapecorita del suo viso si è distesa quasi magicamente nei tratti di un sorriso, ed è stato quando gli ho letto un commento pubblicato da un lettore: “dietro la Capitale della Cultura imperversa la Cultura del Capitale, ma di notte, dalle mura di S.Giacomo, come ne “L’orologio”, si sente il ruggito dei Leoni”

«questo è un mio ex alunno!» ha affermato il signor Dante.

Il commento in questione  (il cui autore è risultato poi essere un noto architetto e accademico) ha ricordato  al signor Dante una sua lezione (di mezzo secolo fa) sul romanzo “L’orologio” di Carlo Levi,

libro che il signor Dante mi ha subito chiesto di prendere indicando col dito-artiglio un settore in alto a sinistra della sua gigantesca biblioteca (il signor Dante possiede più di 5000 libri, ognuno dei quali contiene una serie di foglietti-segnalibro-citazioni).

salito sulla scala pericolante, esattamente dove mi ha detto la mia guida,  tra “Cristo si è fermato ad Eboli” e il “Programma rivoluzionario di giustizia e libertà” (Levi, Lussu, Nitti, Rosselli, Salvemini) ho trovato “L’orologio” di Carlo Levi.

«Leggi l’incipit» mi ha chiesto il signor Dante.

La notte, a Roma, par di sentire ruggire leoni.

Un mormorio indistinto è il respiro della città, fra le sue cupole nere e i colli lontani, nell’ombra qua e là scintillante.

E poi quel suono, insieme vago e selvatico, crudele ma non privo di una strana dolcezza, il ruggito dei leoni, nel deserto notturno delle case.

«Attento!» mi ha intimato il mio duce: dalle pagine del libro aveva preso il volo un foglietto color vinaccia che infine sono riuscito ad afferrare, non senza pericolo, ritrovandomi tra le dita una una vecchia etichetta di “Amaro Strega”:

sul retro, a penna, la scritta “Roma, Ninfeo Villa Giulia, Luglio 1951”, e gli autografi di Carlo Levi, Corrado Alvaro, Domenico Rea, Alberto Moravia e Mario Soldati.

A quel punto il signor Dante ha emesso un altro grugnito, e con gesto inequivocabile ha voluto tra le mani il libro, ricercando a memoria la pagina dove quel segnalibro stava da più di 60 anni.

Dopo meno di un minuto, trovata la pagina, un secondo sorriso, rapido, ha illuminato i suoi occhi. Prima di rimettere a posto libro e segnalibro, ho naturalmente preteso di leggere la pagina de “L’orologio”  nella quale una sera d’estate romana di 62 anni prima il signor Dante aveva “lasciato il segno”:

Tu non sai, perché sei giovane, come, a mano a mano che ci si avvicina alla morte, la vita sia bella;

come si accresca, si illumini in ogni sua minima cosa, di verità e di ragione;

è come se si salisse su un monte, e l’orizzonte, a ogni passo, si allargasse sotto di noi.

A un certo momento, quando la morte è dietro le spalle, pare di camminare in un mondo fatto, da ogni parte, di infinite verità…

Forse, quando si arriva in cima, l’orizzonte sarà così vasto e lontano che si confonderà in tutto col cielo; e forse questa è la morte.

«o forse» ha chiosato il signor Dante «è l’alzheimer»

Quindi, afferrata con gesto grifagno la ruota della carrozzina, mi ha dato le spalle.

imago: bozzetti “Dante” by Fratelli Mattioli http://www.fratellimattioli.it/

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Il/la baDante-ghost writer, e il senex autore, diventano co-autori, insieme salvano e trasmettono il più importante patrimonio: la memoria. Anche e soprattutto se questa memoria è danneggiata. Monet ha dipinto le Ninfee da cieco . Beethoven ha composto la Nona da sordo. E il nonno può benissimo scrivere la storia di famiglia con l’Alzheimer.

O qualcuno ha  paura di quello che potrebbe scrivere?

Pare che la prima preoccupazione riguardo agli anziani sia quella di imbottirli di medicinali per avere esami del sangue perfetti, non bere, non fumare, non mangiare, non prendere freddo, non strapazzarsi, non agitarsi, quasi che un integralismo salutista sia la risposta alle prospettive della vecchiaia, di modo che siano pronti a partecipare alle Olimpiadi, al momento della dipartita.  Dare un senso al proprio tempo, lasciare un segno del proprio passaggio, una storia per i nipoti, questo mi pare meglio di giornate scandite dagli antibiotici, che, come dice la parola, sono contro la vita, a differenza della biografia, che la trasmette ai posteri.