Amore per le istituzioni

play this post

IMG-20170612-WA0000

(Discorsi a margine di un evento sportivo, qui sopra Leone e Giovanni, photo by Francesca Musarò) 

“Apri un nuovo pannello, salva con altro nome, aggiungi ai contatti, invita…”

“Sembrano utilities, funzioni, strumenti, e invece è la nostra vita, il nostro essere persone in un mondo che in ogni istante, ad ogni schermata, ci chiede di cambiare mentalità, valori e sentimenti”.

“Solo alla fine della giornata, al cesso, ci rendiamo conto di essere periferiche biologiche dei motori di ricerca, così come l’operaio nostro padre era il terminale umano della catena di montaggio. Ma la sua era un’alienazione fisica, meccanica. La nostra è un’alienazione permanente, psicologica, 24h, 365 gg/anno. Riavvia il programma, cambia canale, profilo, lavoro, vita”.

“In questo panorama ipercinetico, avere un punto fermo è diventato il bisogno più grande. L’hanno capito anche i giganti del mercato, l’inversione di tendenza è cominciata, e Fiorello da alcuni mesi ripete lo slogan “Io non cambio” per una grande compagnia telefonica”.

IMG_20170610_200314

Questo slogan, “Io non cambio”, è stato ripreso – ma diciamo pure copiato – dal sito/manifesto del maglificio sportivo Rosti.  La filosofia “io non cambio / quello che ho dentro / lo sento a pelle” non nasce come progetto commerciale, ma come espressione autentica del carattere radicale, dello spirito antagonista che anima le ragazze e i ragazzi di questo laboratorio artigianale-hi tech. Perché quello che i grandi brand si sforzano di ottenere con grandi mezzi, e cioè la coesione, lo spirito di gruppo internamente, ed esternamente la fedeltà, l’amore dei clienti, queste piccole imprese creative (ma visceralmente creative) ce l’hanno nel sangue, gli viene naturale, sono fatti così, e piacciono così.

Sabato scorso (10 giugno) all’interno del villaggio operaio di Crespi d’Adda, si è corsa la prima edizione della Trambai Rosti, gara per bici e gente fixed, cioè con biciclette a scatto fisso, senza cambio, e senza freni.

Dai paddock osservavo queste tribù riunite di bergamo-bresciani fluviali (con il maglificio Rosti c’erano gli amici del birrificio Balanders’, dell’abbigliamento Prestorik, ed altri). Una specie di nazione indie, unita e distinta (e distinguibile) dalle diverse “fissazioni”: punk-tatoo, neo barbudos, bio-vegan, sport-fixed, grunge-metal, peace&love, new canapa, hop addicted, web nerd, e anche common people consapevole, out of fashion. E pensavo: questo consorzio umano apparentemente svagato, residuale, disimpegnato, è in realtà un panel sociale di nuova tendenza, la nazione indie. Persone che non frequentano i centri commerciali, non acquistano prodotti delle multinazionali, non seguono le mode, ma sono attenzionati dai guru della comunicazione, perché detengono la merce vera, l’energia vitale, interessi e passioni vere, e gusti propri, definiti, radicati.

E dunque: marchi indipendenti di artigiani creativi, un evento sportivo underground, una location proto-industriale (Crespi è un caso perfetto di villaggio operaio fine Ottocento rimasto esattamente così com’era, per questo è sito Unesco-patrimonio dell’umanità) ma soprattutto un clima sociale freedoom&sharing.

Benedetto, del maglificio Rosti, mi indica i big: Luis Porto, arrivato in mattinata dal Brasile; Mark Ryan, dalla Nuova Zelanda – gente che da cinque anni pratica questo genere di gare; poi due ex professionisti della Androni giocattoli, Ratto e Chicchi. Con la divisa Rosti, Luca Salvadeo, un over 55 reduce da un brutto infortunio, capace di arrivare settimo alla Milano-Sanremo in sella a una fixed (e mi mostra un video dove lo vedi alzare i piedi dai pedali, in un discesone).

La prima gara è quella riservata al pedale vintage, con biciclette e tenute inizio Novecento, sembrano usciti da un film muto, con braghe alla zuava e baffoni a manubrio.

Il mio ufficio stampa è una panca a distanza di braccio dalle spine Balanders’. Ascolto chiunque abbia una fissazione da raccontare.

Matteo è l’editore di CTRL magazine: “La mia fissazione, fin dall’asilo nido, è prendere il volo. Volevo volare, essere un uccello. Mi sentivo in gabbia. Poi un giorno sono uscito dal guscio,  ho preso il volo… è stato allora che ho cominciato a darmi delle arie”.

Valeria è il sindaco di Capriate, S.Gervasio e Crespi (una di quelle unificazioni amministrative che risalgono ai tempi del duce), le chiedo qual è la sua idea fissa. Mi dice: “Come sindaco la mia fissazione è una piazza che riunisca le tre comunità. Una scommessa urbanistica, e sociale, perché se a Capriate vogliono una cosa, a S. Gervasio vogliono il contrario, e a Crespi hanno le loro idee… La piazza avrebbe il senso di un’armonia, il superamento dei campanilismi, non so quando la faremo, perché questa piazza deve sorgere prima di tutto nell’anima dei cittadini, è a questo che lavoriamo”.

“Volevo andare al mare, ma l’altro giorno avevo la prima unione civile, non potevo non esserci, adesso sono in viaggio di nozze a Cuba, mi mandano le foto delle spiagge bianche con scritto  “un bacio grande dai tuoi sposini”. Quando li ho sposati ho citato Topler:  “Il cambiamento non è soltanto necessario alla vita, è la vita”

Le dico: scusa sindaco, ma stiamo andando fuori tema. Ridendo, mi dice: “Io non cambio, devono prendermi così, sono fatta così!”.

Alfredo è l’assessore alla mobilità e all’ordine pubblico: “La mia fissazione più forte è avere in macchina almeno 20 cd per ogni stato d’animo, per ogni tipo di strada, perché io giro molto in macchina, e la musica mi accompagna da sempre, sono un divoratore di musica, e compro ancora i cd, devo avere qualcosa come 3000 cd”.

“Qui da ragazzo avevamo fatto un centro sociale, si chiamava Fratelli Marx, qui hanno suonato gruppi poi diventati famosi, Africa Unite, Sud Sound System, Casino Royale”

“Io vengo da una gioventù fatta di radio libere, ti parlo di West Radio, facevo una trasmissione di musica italiana, ritmo tribale; ma prima ancora Radio Isola, a Bottanuco, il segnale arrivava si e no a 6 chilometri… Il programma si chiamava “My way”, e la sigla era la versione di Sid Viciuos…”

Gli chiedo quanti anni ha, parliamo da cinque minuti e mi sembra di conoscerlo da sempre, come fosse un mio ex compagno di classe.

“Sono del 1966, cresciuto nel post punk, Clash, Talking Heads, The Cure, i Police. Primi anni Ottanta, andavamo al Plastic a Milano, non potevi andare vestito normale, io non avevo i soldi per vestirmi da punkettone… ricordo una sera, mi infilo i mutandoni di mio papà del lavoro, la maglia di lana a maniche lunghe, e gli anfibi: e mi hanno fatto entrare”.

“Ma la mia vera fissazione è andare, partire, vedere il mondo, una voglia di conoscere il mondo che i ragazzi di oggi non hanno, perché se lo trovano sul telefonino”.

“Sono appena stato in Serbia per lavoro, in Voivdina, gente stupenda, una cosa profonda, rapporti umani, vita vera, mi veniva di piangere”.

Siamo al tramonto, è il momento della finale, venti giri partendo con l’ultima luce, e arrivo al buio. Davanti ai concorrenti, fa da moto-apripista Maurizio, sparato con una Vespa che deve averne viste. Vince Chicchi con distacco, e doppiando parecchi concorrenti.

Magari un giorno questa gara diventerà un must, sarà sponsorizzata dalla Heineken, trasmessa su Sky, e ci vorrà il pass. Ma ieri, alla prima edizione, organizzata friendly e in beneficenza, con l’altoparlante che diceva “manifestazione organizzata dal barrificio Rosti”, sembrava davvero di essere in un paese libero.

Alla fine quello che conta è il clima sociale. Mentre parlavo con l’assessore blues, ci fanno vedere la foto di me con il sindaco rock. Per la prima volta nella mia vita, provo amore per le istituzioni.

IMG-20170610-WA0000

Trambai tribe

play this post

CRESPIcentrale

Una lingua di terra sempre più esigua tra due corsi d’acqua, da una parte il canale, gonfio e rapido, dall’altra il fiume, placido e sinuoso. Improvvisamente dietro un’ansa appare il grande edificio d’altri tempi, che torreggia sulle acque, con dentro macchine gigantesche, grandi come astronavi, dipinte di nero.

In questo scenario da Metropolis + Indiana Jones, in una mattina di sole, ecco un gruppo eterogeneo di persone –  giornalisti, assessori, atleti e alcuni selvaggi tatuati e barbuti – che bevono insieme birre spillate da un impianto montato al momento, e non è nemmeno mezzogiorno.

“Tutto comincia qualche anno fa negli Usa, una festa di compleanno di un gruppo di amici che amano la birra, e sono tutti bike messengers, i fattorini in bicicletta, e si sfidano in una gara improvvisata nel quartiere. Subito la moda arriva in Europa, parliamo di gare semiclandestine notturne, in zone industriali, a Milano, a Bologna, nasce una tribù, un fenomeno. Parlando con Giovanni (boss del maglificio sportivo Rosti, ndr) ci viene l’idea di fare una gara del genere nel villaggio operaio di Crespi d’Adda. Da perfetto sconosciuto vado a bussare all’amministrazione comunale” (Alessandro Gallo, Balanders’ crew – team fixed).

“Subito sono rimasta colpita dalla serietà e dalla professionalità di queste persone (gente con gli orecchini e la barba lunga trenta centimetri, ndr) e l’idea mi ha conquistata, qui ci piacciono le sfide, questo luogo deve tornare a vivere, è un gioiello di storia, un volano di energia” (Valeria Radaelli, sindaco di Crespi d’Adda)

“Si corre su un circuito urbano, con curve secche, ma con una bici da pista, a scatto fisso, pedalata continua, niente freni… per rallentare pedali all’indietro, in contropedalata, come facevi da ragazzino con la Graziella della nonna… arrivi alla curva a 50km/h, devi riuscire a fare una skittata, hai bisogno di tante forza fisica e tanta tecnica, sia di gambe che di testa, insomma: tanta adrenalina, e cervello, perché se sei stanco…” (Manuel Scerbo, squadra corse team Beltrami Criterium Italia)

“Per il food avremo la Casa di Enzino, una comunità creata da Don Mazzi in Val Camonica, e poi le birre Balanders’. Dicendo Balander in dialetto si intende un poco di buono: però buono, e benvoluto” (Gottardo Ferrati, birrificio Balanders’)

“No io non parlo, cosa c’è da dire? Che il ricavato andrà in beneficienza? C’è bisogno di dirlo?” (Giovanni Alborghetti, maglificio Rosti)

Succedeva stamattina (25 maggio, ndr), alla vecchia centrale idroelettrica di Crespi d’Adda, “cattedrale” di archeologia industriale che un tempo faceva “girare” la fabbrica, e oggi è stata rimessa in funzione, in ottica sustineable-energy. Era la conferenza stampa di presentazione della Trambai Rosti Criterium, gara fixed che si correrà il 10 giugno, nelle strade del villaggio operaio di Crespi d’Adda (luogo che è patrimonio Unesco).

“Una vera conferenza stampa si fa così: prima si beve, poi si parla. Nessun discorso preparato, niente sedie, palchi o microfoni. L’evento parla da sé” (Leone Belotti, Calepio Press) (Photo: interno della centrale di Crespi d’Adda).

Trambai-Rosti-Criterium_10-6-2017

 

 

 

La Lobbia 2.0

play this post

LeoLobbia

Amato da Churchill, dai gangster e dai jazzisti, la Lobbia è un cappello sui generis, a partire dal nome, che è il nome del personaggio da cui nasce, come il Montgomery o il Cardigan,

siamo nel secondo Ottocento, l’epoca in cui nascono tutti i classici della divisa maschile, e parliamo di Cristiano Lobbia, già garibaldino e deputato “radicale” del Regno d’Italia, che denunciò in Parlamento, quando la capitale d’Italia era Firenze, la “lobby” del tabacco e il relativo monopolio nato dalla corruzione.

Per questo il nostro onorevole fu aggredito e bastonato, ma non intimidito, tanto che il giorno dopo si presentò in Parlamento incerottato a denunciare il fatto, ed esibendo all’assemblea il proprio cappello che recava il segno della bastonata, un’infossatura sulla sommità.

La vicenda colpì l’immaginario popolare, e un cappellaio fiorentino, parimenti dotato di spirito anarchico e senso commerciale, mise in produzione il cappello con la sommità infossata, chiamandolo Lobbia: da quel giorno è il cappello di chi non si tira indietro nemmeno dopo esser stato preso a bastonate.

Oggi questo classico, che ebbe grande fortuna nell’età del jazz,  viene riproposto come must fashion, “da portare come tocco classico con divise informali da personaggi eclettici, testimonial di nuove aggregazioni fuori dal coro”

Nella foto, tre onorevoli membri della Lobbia del Leone:

la locandina del magazine CTRL, che sta in piedi senza contributi pubblici e senza essere sostenuto da nessuna lobby finanziaria o politica, dando lavoro e occasioni a giovani creativi con progetti d’innovazione culturale (come gli spettacoli di scrittura collettiva, i concerti invisibili o le gare di nascondino);

la felpa Rosti, maglificio sportivo indipendente, qui un modello vecchio di 10 anni, con il logo dell’uomo che salta nel canale per salvare il suo cane, gesto da cui è nata l’impresa, e lo spirito d’impresa, che oggi sponsorizza atleti, squadre ed imprese sportive di carattere antagonista, e fa disegnare le proprie linee di prodotto a giovani artisti;

la t-shirt Elav, la birra che vale, partner o sponsor di festival musicali, film meeting e fanzine di controcultura,

“perché a un certo punto le dissonanze diventano un controcanto, e impongono una nuova linea tonale: è lo spirito del free jazz, nuove sonorità da nuova mescolanza, è il codice della musica contemporanea”,

è questo il discorso che mi ha fatto il mio amico Akam nel regalarmi la Lobbia 2.0 da lui prodotta (creazioni AkamArt): un gran bel discorso, devo ammetterlo,

come il cappellaio fiorentino che per primo l’ha prodotto 150 anni fa, Akam è prima di tutto un artigiano che vuole vendere le sue creazioni, e proprio per questo ha capito che oggi insieme al cappello bisogna offrire una mentalità, qualcosa di nuovo da mettere in testa.

le parole che fanno sito

play this post

026rosti-2016-comp

Io non cambio,

non mi adeguo, non condivido, non tradisco,

non mi illudo, non rinuncio, non smetto, non mi arrendo,

non mi fermo, non prometto, non chiedo, non aspetto,

non nascondo quello che ho dentro.

025rosti-2016-comp

Quello che ho dentro,

quella forza inespressa, quella tensione che cresce, quella voce che urla,

una voglia esplosiva, uno scatto rabbioso,un mondo che brucia,

un vento di libertà, quello che ho dentro lo sento a pelle.

024rosti-2016-comp

 Lo sento a pelle,

l’animale che mi porto dentro, scalpita, suda, spinge,

sui pedali, in sella, su strada, in pista, nei boschi, in montagna,

in scalata, in gruppo, in volata, nella polvere,

in fuga da me, per tornare in me,

perchè io non cambio. ( > da capo) 

Nota: questi 3 mood/poems sono l’anima testo/immagine del nuovo sito Rosti, maglificio sportivo di qualità.

Il tema di questa lezione di web writing è come si scrivono i testi per i nuovi siti web, quelli con grandi immagini e grandi parole che, come la locandina di un film, devono dire tutto, farti sognare ed entrare in sala.

Per ottenere questo, mediamente usiamo non una, ma 3 locandine, perché il nostro cinema-sito è sempre un multisala;

questi 3 film devono dire tutto del marchio, dell’azienda, del prodotto, e il nostro compito è dargli voce, esprimere a parole, essere lo sceneggiatore del film, il paroliere della canzone;

a volte ti chiedono di partire dalle parole, poi si realizzano le immagini; altre volte, come nel caso in esempio, ricevi i 3 mood, le 3 immagini guida già fatte e la richiesta è unicamente di copy writing: head lines, subheadlines e body copy (cioè titoli, sottotitoli e brevi testi).

L’operazione, la concettualizzazione pre-creativa da fare, è: che cosa dobbiamo dire, quali sono i punti di forza del marchio/prodotto?

Nel caso in esempio, il maglificio sportivo Rosti, vogliamo dire 3 cose:

1) che è un marchio connotato da una forte passione/identità;

2) che ha sviluppato una grande qualità/tecnologia;

3) che ha raggiunto una leadership di prodotto/immagine.

Il bravo copy scriverebbe le 3 head più o meno così: la nostra identità nasce dalla passione… la nostra qualità è il risultato della tecnologia… la nostra immagine è immediatamente riconoscibile….

Tutto giusto, Rosti è uno dei marchi di punta del vero made in Italy, di qualità, fatto con passione e creatività: il nostro problema è che tutte queste parole ormai sono vuote, consumate, per l’abuso che ne hanno fatto le grandi griffe.

Il cattivo copy perciò cerca un altro linguaggio, realmente sintonizzato sui 3 mood.  Dobbiamo esprimere le 3 immagini/valori con altre parole, non razionali, ma emotive, dobbiamo dire i 3 stati d’animo costitutivi delle 3 dimensioni dell’universo Rosti:

come claim di identità/passione, scegliamo: io non cambio

come claim qualità/tecnologia, scegliamo: quello che ho dentro

come claim prodotto/immagine, scegliamo:lo sento a pelle

io non cambio / quello che ho dentro /lo sento a pelle

queste 3 head lines (che devono essere in connessione e poter funzionare random) sono sostenute da 3 body copy costituite in realtà da 33 sub-headlines, autonome e modulari (che potranno essere utilizzate in X mesi come altrettanti temi/post per il lancio social marketing di tutta la gamma).

Scrivere i testi di un sito, come si vede, significa scrivere una canzone, nel senso rinascimentale del termine, in 3 o più stanze/accordi, con meccanismi di ripresa, versi d’attacco, di chiusura, e di modulazione.

Con questa “canzone”, tagliata e intonata sul mood immagini/prodotto, il marchio potrà fare la campagna, il sito, il social marketing.

Per arrivare alla “canzone”, alla narrazione che associata alle immagini diventa l’anima del brand,  abbiamo dunque svolte 2 lavorazioni:

1 di razionalizzazione, isolando i temi/valori di comunicazione, studiando prodotto, target, mercato, parlando con l’imprenditore, mettendosi dalla parte del marchio;

2 di liberazione emozionale, ricercando&sviluppando un linguaggio/tono e una narrazione concreta, diretta, in grado di far sentire/vivere i temi/valori, mettendosi dalla parte del fruitore, dell’utilizzatore, e dunque occorre usare il prodotto, farlo proprio, pedalare. Anche il pubblicitario, come l’attore o lo scrittore deve immedesimarsi nel personaggio, nel prodotto realmente adoperato, e dunque non esitare su questo punto, farsi dare prodotti e tempo per testarli, per entrare davvero nella psiche e nella tribù del marchio;

Il caso in esempio, bisogna dire, è il tipico lavoro ideale: un marchio in ascesa, un prodotto di qualità, un’immagine aggressiva, che rompe gli schemi.

Chi avrebbe il coraggio di usare come modelliuna ragazzo e una ragazza iper-tatuati, e questo per mostrare prodotti di maglieria? Qualsiasi art o fotografo sano di mente ti direbbe: questi sono pazzi (e parliamo di Giovanni Alborghetti, ad Rosti, sia nel senso di “titolare” che di art director e designer, e di Benedetto Zonca, che cura la comunicazione, il sito, gli shoot).

E non solo i modelli sono tatuati, ma addirittura esibiscono i tatuaggi, più che la maglieria: ma è proprio questo quello che colpisce e attira. Questa compresenza di segni grafici, skin tatoo + knitwear graphic design, in realtà ti sta dicendo che il prodotto è la tua seconda pelle, è come un tatuaggio, epidermico + autentico, come le sensazioni a pelle. E così arriviamo allo slogan “lo sento a pelle”.

Allo stesso modo, il testo “io non cambio”, non solo trasgredisce la prima regola del copy writing (mai usare la parola “non” e le negazioni in genere)  ma addirittura la “ribalta” (sempre e solo negazioni).

La “sovversione” tocca e dissacra anche una delle parole-culto di questi anni, quando insieme a non cambio e non mi adeguo dice non condivido,  

che suona come una bestemmia, nell’epoca del dominio della “condivisione”.

Oggi negli uffici, nelle riunioni, in politica – dagli assessori agli educatori ai manager – è tutto un “condividere”.

Dire non condivido è un segnale di controtendenza rivolto alle nuove generazioni, indottrinate alla condivisione, ma anche un richiamo vintage alla memoria collettiva delle generazioni precedenti,  quando si proclamava l’immaginazione al potere, e nelle assemblee l’espressione “non condivido”, oggi in disuso, era una delle più usate: “non condivido la posizione della compagna del collettivo…”

Questo per dire, cari ragazzi, che la generazione oggi al  potere, ci è arrivata a forza di “non condivido”.

Allo stesso modo, un marchio che vuole connotarsi, dopo aver ascoltato tutti i dossier psico-socio-statistico-marketing relativi a prodotto, target e mercato, deve avere la forza di dire “non condivido”, e dire qualcosa di diverso, ma realmente autentico…

Ph. by www.marchesi.net ; https://www.facebook.com/giovanni.marchesi.9

vedi il sito in oggetto qui: http://www.rosti.it/new/