dovrei dirgli: sei pazzo

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Foto a pagina intera

fino a pochi mesi fa l’uomo di cui parlo ha una bella moglie e vive in una cascina upper class piena di libri e opere d’arte, con una bella mezza collina di parco intorno, e tante belle cose non esibite ma ben presenti, la piscina, l’orto, il pollaio, il canneto, il vigneto, il frutteto, il dehor con le frasche e il forno a legna, i cani, i gatti e in mezzo al bosco uno studio-hangar in vetro, tek e alluminio, come da rivista d’architettura, dove il pover’uomo svolge un lavoro prestigioso e appagante, il fotografo di moda, industria, arte e reportage;

l’uomo ha sessant’anni ma ne dimostra dieci di meno, e con quel suo fascino brizzolato un po’ richard gere un pò sean connery le donne gli cadono ai piedi come non mai,  incredibilmente piace anche agli uomini, perchè è simpatico e diretto,

tiene corsi nelle più importanti accademie d’arte, note gallerie gli organizzano mostre personali e grandi editori pubblicano i suoi libri,

dovrebbe andare in chiesa tutte le mattine a ringraziare il Signore, invece è ateo e un bel giorno di punto in bianco molla moglie, cascina e piscina e va a vivere da solo, in una casetta in un paesino isolato trai monti, con un grazioso giardinetto da meditazione, grande forse 1/1000 della tenuta in cui ha vissuto per decenni,

tutti gli danno del pazzo, dell’immaturo, compatiscono la sua ingenuità, fondamentalmente non capiscono la sua scelta, sono troppo civilizzati per sentire ancora quel bisogno primario dell’homo sapiens chiamato libertà,

questo di cui parlo è Virgilio Fidanza, il posto in cui è andato a “nascondersi per liberarsi”, seguendo il dogma Bernhard, è Lonno, quattro case e un pizzeria tra Nembro e Selvino,

il dogma Bernhard dice: “devi essere completamente e fisicamente solo, isolato, e abbandonato da tutti per poter anche solo concepire, se non iniziare, un qualsiasi progetto intellettuale”

ci conosciamo da 15 o forse 20 anni, ricordo il nostro primo incontro, in chiesa, a Clusone, lui autore delle foto e io dei testi di un librone serissimo sulle basiliche barocche,

me lo ritrovo poi a Milano, a sbevazzare con Jean Baudrillard nella redazione chic di un amico comune, l’editore Fausto Lupetti, lo specialista dell’editoria di comunicazione… si lavorava per grandi clienti, Coca-Cola, Citroen, ultimi strascichi della Milano da bere, modelle e martini, jazz e design, e i due mi confessano senza vergogna e quasi con orgoglio che 20 anni prima erano compagni attivisti del PDUP o del PSIUP, partiti marxisti leninisti extraparlamentari, per la rivoluzione proletaria…

ogni due o tre anni ci capita di lavorare insieme, in posti strani, cimiteri, fabbriche chimiche, piazzole d’autostrada, “non luoghi” che lui fotografa e io racconto,

ci prendiamo per il culo con affetto, lui fa delle foto “artistiche” mosse e sfuocate, che io definisco lo stile alzheimer, lui mi dice “sei bravo a far poesia col tasto dell’a capo” oppure “cosa avresti fatto senza Ungaretti?”

qualche giorno fa l’uomo mi chiama e mi dice: senti Leone, dammi un tuo parere, stavo pensando di organizzare delle serate in giardino per parlare di fotografia, pensavo di fare la prima mercoledi prossimo, con questo tema: “ma siamo davvero sicuri che l’invenzione della fotografia abbia giovato all’umanità?”

gli dico: bellissimo tema, sottotitolo: affermato professionista aspirante pensionato cerca buona scusa per cambiare mestiere (e infatti sta scrivendo un libro),

comunque gli dico: ti appoggio (ho imparato a dire ti appoggio dalle nuove generazioni, ma non me lo sento proprio naturale)

e lui: pensi di venire, dai vieni! e io: ma certo, vengo volentieri, se c’è qualcosa da bere anche più volentieri,

poi ieri mi arriva l’invito di cui sopra, che inizia con un obbiettivo con 2b, che io detesto, anche se è ammesso, e finisce col mio nome e cognome con l’infamante qualifica di scrittore,

dovrei chiamarlo e dirgli sei pazzo, cos’hai capito, in quel mentre lui mi chiama, se la ride, mi dice che sono arrivate tantissime adesioni, e a questo punto potrei ancora dirgli sei pazzo, cos’hai capito, io non ho niente da dire sulla fotografia, tantomeno ai tuoi amici sessantottini, ma lui capisce senza che io abbia bisogno di parlare, e mi dice ma dai Leone, tu vieni a parlare con me come facciamo sempre davanti a un bicchiere, cosa te ne frega se ci sono intorno trenta persone, e a quel punto no nce l’ho più fatta a dirgli sei pazzo, non vengo,

dunque gli ho detto che ci andrò, e ci andrò, e così pubblico questo post come un invito-appello, una richiesta di solidarietà, d’aiuto: quello che chiedo è:

1) risposte, anche brevi, alla domanda oggetto della serata: siamo sicuri che l’invenzione della fotografia… le potete pubblicare qui come commento, o sul fb calepiopress, o mandandomi mail a l.belotti@multi-consult.it: così io leggerò le risposte arrivate, citando l’autore, e avrò così dato un contributo di “reporter”

2) una persona caritatevole automunita che oggi verso le h17 mi accompagni da Bergamo centro al Fidanza garden a Lonno (12km c.ca) come da invito (please sms a 349.4015089)

3) eventualmente, arditamente, una persona interessata al tema, che mi sostituisca, facendo finta di essere me, o un altro scrittore in mia vece, dal momento che io ho una gamba rotta e difficoltà a muovermi (e anche a parlare in pubblico).

cosa vuol dire nylon

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cosa vuol dire nylon forse lo sai già, intendo dire proprio la parola nylon,

che è una sigla in inglese (tecnicamente: un acronimo anglofono)

che trascritta in estensione diventa “now you lose old nippon”

e tradotta vuol dire “adesso hai perso vecchio giappone”

[…]

la storia è semplice, 75 anni fa

giusto quando tuo nonno era appena nato,

l’america temeva di perdere la guerra nel pacifico,

pensava di vincere facile con invasioni di paracadutisti,

ma per fabbricare i paracadute servivano tonnellate di seta

e i giapponesi avevano chiuso la via della seta, dunque: che fare?

la guerra scatena il genio, questo accade sempre, da Leonardo

a Nobel, l’invenzione stravolgente non è mai per nobili fini,

poi le invenzioni di guerra si affermano in tempo di pace

e questo succede anche con la nuova seta artificiale

sintetizzata nei laboratori Dupont, e chiamata nylon

forse in origine NYL indicava New York + Londra,

e -ON la desinenza della fibra, come rayon, come cotton,

ma poi qualcuno, scherzando, disse: “Now You Lose Old Nippon”

da quel momento, sebbene apocrifo, quello divenne il senso

dell’acronimo di nylon, e segna l’inizio di  un nuovo mondo

di una nuova tecnologia delle fibre sintetiche artificiali

e la fine del mondo antico, elitario, della seta

[…]

c’è un solo modo per distinguere

un filo di nylon da un filo di seta: lo bruci.

Se si condensa in un pallina, è nylon;

se prende fuoco, è seta.

(photo e testi tratti dacosa vuol dire nylon – la luna e le fabbriche”

2014 by Virgilio Fidanza e Leone Belotti, ediz. fuori commercio Radici Group)

siamo sempre su un ponte

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fiume auto 1 copia

Sono venuta al mondo e cresciuta in un piccolo centro come tanti. I miei nonni erano minatori-contadini, mio padre Gioioso di nome e di fatto, mia madre invece un generale dagli occhi neri, bellissimi.  La valle, la fabbrica, la scuola, la famiglia, il fiume, gli inverni lunghi.  A 15 anni pensavo: tutto qui?

Un giorno attraverso il fiume, entro nella grande fabbrica, chiedo di parlare con la titolare, che era, ed è, una donna. Le chiedo di sponsorizzare la squadra di pallavolo femminile in cui giocavo. Mi dice di si. La mia prima azione marketing.

Tornando a casa, sul vecchio ponte pedonale, mi sento più grande di cinque anni. Quindici anni dopo, tenendo corsi di specializzazione ai neolaureati, parlo del marketing come di un ponte tra le imprese e il mercato.

Momenti nei quali si prende una strada. Dopo gli anni di “studio forsennato”, tornata da Harvard avevo due scelte: la strada maestra, cioè lavorare per una grande società di consulenza internazionale, oppure la “porta stretta”, cioè aprire una mia piccola società di consulenza, con grandi ambizioni, nella mia città.

Perchè qualcuno mi aveva detto:  la vera impresa è tornare a casa, realizzare la propria idea d’impresa nel tuo territorio, nella tua città. Multiconsult nasce a Bergamo, nel 1994 da questa sfida, con questo obiettivo: portare il mondo a Bergamo, e Bergamo nel mondo.

Quando parliamo di import-export, di marketing e comunicazione, parliamo di dentro e fuori, di cose che abbiamo dentro da sempre, di cose che prendiamo/apprendiamo da fuori e di cose che vogliamo o non vogliamo portare fuori, condividere.

L’integrità, il valore, la capacità, e anche la tradizione, da un lato, e dall’altro l’apertura, la malleabilità, la disponibilità al nuovo, al diverso, all’altro: perchè ogni nuovo cliente è sempre diverso dall’altro.

Questa sfida riguarda ognuno come persona, riguarda le aziende, riguarda un’intera comunità. Siamo sistemi complessi, che convivono all’interno di eco-sistemi più ampi, e tutta la complessità è nel trovare l’equilbrio con semplicità, e nel mantenerlo.  In questi 20 anni non ho fatto altro che lavorare su questo tema, anche le iniziative, i progetti speciali inseguono questo concept.

Il progetto “dimore e design”, una provocazion ai designer – che effetto fa la tua leggerissima sedia design in policarbonato in un salone marmi, stucchi arazzi e ori barocchi –  per offrire al pubblico uno stimolo, un input sul tema dentro/fuori, tradizione/innovazione.

Potrei parlare ore di reti d’impresa, in teoria un’idea fantastica, che fino ad oggi non funziona. Potrei parlare di marketing urbano, della capitale della cultura, dell’Expo, dell’Accademia Carrara, del Donizetti. Della città d’arte e della città vera, ostica, chiusa, bellissima, la nostra non è una città per turisti qualsiasi.

Il marketing è il passatore,  il traghettatore. Siamo sempre su un ponte, e io mi vedo, mi rispecchio sia negli occhi allegri delle mie figlie, che nello sguardo fermo di mia madre.

Oggi la mia società di consulenza marketing compie 20 anni: costellati di grandi successi, qualche sconfitta importante, e alcune perdite dolorose. Non intendo finanziarie, ma umane. Viene la voglia, il desiderio di seguire un richiamo all’origine (al futuro?) del marketing: la realtà.

“Tu non fai marketing” mi ha detto un giorno un funzionario di un’associazione di categoria: “c’è qualcosa nell’aria, e tu lo fai diventare un progetto”

Ma il complimento più bello, mi è stato fatto dall grande avvocato delle grandi aziende:  “ho visto tanti business plan delle grandi società di consulenza, però è la prima volta che trovo un business plan che è piacevole da leggere, e si capisce cose c’è scritto!”.

Parlavo di perdite importanti, e mi riferisco a persone, persone con le quali ho condiviso tratti importanti di strada, e che a un certo punto – è la realtà! – prendono un’altra strada, un altro cammino. Penso soprattutto a Francesco, la persona che negli ultimi dieci anni è stata al mio fianco ogni giorno seguendo la nascita e la crescita (nella realtà!) dell’area comunicazione.

Franz ha creato uno stile, un metodo, uno standard di qualità nella comunicazione, con l’attenzione quotidiana, a volte maniacale, al dettaglio, al millimetro.  Dieci anni ogni giorno con me, poi te ne sei andato dopo un mese d’ospedale, senza nemmeno avere quarant’anni.

Non so se è una bestemmia, o una preghiera, ma spero tanto valga anche per te, Franz, la nostra reputazione, tu lo sai, è la cosa che mi ha sempre più gratificato, per cui chi ha lavorato in Multiconsult è molto ben considerato quando entra in una nuova realtà.

(tratto da “Nata prima la gallina”, di Giovanna Ricuperati, “libretto da visita” pubblicato da Multi-Consult in occasione dei 20 anni di attività. Immagine: foto di Virgilio Fidanza, fiume Serio.)

s.lucia regala ospedali

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riunitiFidanza

s.lucia ci regala il posto più bello della città

gli ex ospedali riuniti in abbandono

luogo fantastico, dove la natura è il miglior architetto

si sono indebitati per il nuovo ospedale (doveva costare 170/mln ed essere pronto nel 2008, è costato 370/mln)

dovevano farci l’università, mancavano 10/mln euro

così hanno messo all’asta i vecchi Riuniti

asta deserta a 110/mln, così come seconda asta a 90/mln

adesso lo svenderanno a 70/mln ai soliti furboni associati

a 500 €/mq, un affarone, quello che proprio non si capisce è perchè gli enti pubblici, il comune, la regione, cioè noi, svendano cose che invece dovrebbero comprare, o tenere strette

#pensa che ignoranza

imago by Virgilio Fidanza

http://www.piucorpiriuniti.com/home.html

al volante della macchina da scrivere

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vechciopat4

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si, d’accordo, ero distratto, ho bruciato lo stop,

e il tizio ha dovuto fare un’inchiodata al limite,

l’ho visto fremere, agitarsi, infuriarsi, bestemmiare,

così mi sono scusato con la mano, ma lui mi si è affiancato con rabbia,

urlandomi testa di, vai a fare in, vai a prenderlo in, poi mi ha superato,

e allora ho visto l’adesivo sul lunotto: vettura di cortesia;

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gli occhi delle macchine una volta erano enormi, rotondi, spesso tristi,

poi rettangolari, inespressivi, e quindi trapezoidali, ammiccanti,

oggi potrebbero essere piccolissimi, quasi invisibili, ma poi l’auto

sembrerebbe cieca, e allora si sono rimessi a farli grandi, come occhi;

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lo psicanalista junghiano al bar mi parlava di regressus ad uterum,

l’abitacolo dell’auto come bozzolo, cuccia, cocoon, ventre materno,

io intanto pensavo alle tette da balia, che non si vedono più, le tette da latte;

poi lui ha finito parlando di “uomini avvinghiati ore e ore dentro gusci di latta”

e io, serio: “ha ragione, dottore, abbiamo sempre bisogno di essere allattati”;

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usare la BMW cabrio della fidanzata Bergamo Bene come fosse mia,

potevo anche accettarlo, ma indossare quelle ridicole Car Shoe suole puntinate che quell’anno erano un must, questo no, e mentre discutevamo, ed eravamo

a un tavolino della Marianna, ecco arrivare rombando una Ferrari cabrio,

e un biondo al volante che balza fuori atletico: è Claudio Caniggia, a piedi nudi!

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da decenni il vecchio parroco non si muoveva dal paesino, quel giorno

lo accompagnai a Milano in macchina, e sulla A4, vedendo un furgone di edili superare furiosamente a destra un’auto blu, mi disse: magut non è dialetto,

Mag-Ut è latino, è “magister ut” abbreviato, colui che sa e fa di più, un maestro,

mentre il ministro, “minister ut”, è quello che sa e fa il minimo, cioè un Min-Ut;

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a volte fanno swish swish, a volte flap flap, a volte scretch scretch, i tergicristalli

sembrano tutti uguali, ma sono tutti impercettibilmente diversi, e costosi,

cambiarli è facilissimo, una mollettina e una forcina, un lavoro da un minuto,

ma dopo mezz’ora di bestemmie torni là, e il benzinaio sorride, ti aspettava;

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correre nel corridoio del treno in partenza, in direzione contraria alla marcia,

e salutare una persona attraverso i finestrini, che diventano fotogrammi, e così uscire da una stazione e da una città come da un film, e iniziarne un altro;

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in accelerazione ti senti leggero, lasci tutto alle spalle, l’origine, il passato,

ma è soltanto in certe frenate al limite che fai il pieno di adrenalina

e percepisci la concretezza drammatica della relazione tra te e il mondo;

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vogliamo cantare la velocità, inneggiare all’uomo che tiene il volante,

disprezzare la donna, esaltare l’insonnia, distruggere i musei e le biblioteche:

zitto zitto il Manifesto di Marinetti, e non quello di Marx, è diventato realtà.

(tratto da “Breviario di un vecchio patentato”, fotoromanzo d’autore, testi by Leone Belotti foto by Virgilio Fidanza, edito da Lubrina a margine della mostra “Mezzo corpo immagine” in corso a Brescia, Wavegallery. Prezzo di copertina €20, alcune copie autografate ancora  disponibili in Calepio Press, contact info@calepiopress.it) 

memorie di un vetero patentato 3

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prima o poi succede, e ti senti un idiota,

e ti viene l’ansia, e non capisci più niente, non ti ricordi le strade,

sbagli tutto, ti confondi, e intanto preghi, e speri, e finalmente la vedi,

e allora capisci anche quella canzonetta sentita per anni,

la felicità che danno le insegne illuminate, quando siamo in cerca di benzina;

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le grandi arterie stradali pompano il fluxus dell’uomo-merce,

nastri trasportatori, ribbon development, che modificano il paesaggio,

innescano il ciclo delle architetture effimere, prefabbricate,

capannoni, aziende, centri commerciali, stazioni ecologiche,

se guardi bene, e registri tutto, in due chilometri qualsiasi riesci a leggere

vent’anni di continui cambiamenti, per lo più inutili, spesso dannosi;

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nutrite di cemento sintetico da mandrie di autobetoniere transumanti,

le nuove unità d’abitazione spuntano come funghi nella giungla urbana,

le fondamenta affondate nelle fogne, le gronde protese a catturare lo smog,

e i prezzi alle stelle: perchè hanno la certificazione energetica, e doppi box;

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le piazze dei paesi, con la chiesa, il comune, e il monumento ai caduti,

sono rimaste senz’anima, senza vita, con l’arredo urbano immacolato,

qualche negozio in agonia, e le ultime nonne che vanno ai vespri,

e intanto alla rotonda, tra l’out-let, il discount e la kebab house, pulsa la vita,

senza alcun monumento ai caduti che la civiltà dell’automobile esige,

le vittime della strada, che si sono sacrificate per noi,

perchè avremmo potuto esserci noi, al loro posto;

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il traffico, mi spiegava l’ingegnere con cui viaggiavo, è come il colesterolo,

intasa le arterie, ti rallenta, causa tamponamenti fisiologici, come fossero ictus:

quello che l’ingegnere non poteva immaginare, mentre eravamo fermi in coda,

è che più avanti c’era stato un incidente, causato da un furgone,

il cui conducente, mentre era alla guida, era  stato colpito da un ictus;

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megascreen luminosi a caratteri cubitali sospesi sulla carreggiata,

“se sei stanco fermati a riposare”  e tu pensi: perchè non ho mai visto

un cartello del genere in fabbrica, in linea di montaggio?

Poco dopo: “se hai bevuto, lascia guidare il tuo amico”

e tu pensi: che razza di amico era, se ti ha lasciato bere da solo?

(tratto da “Memorie di un vetero patentato”, photo-graphic-novel  by Virgilio Fidanza, Claudio Spini, Leone Belotti; next publishing by Calepio Press – Lubrina) 

la conversazione è morta

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fiume fabbrica 2 copia

(Guy Debord, Internazionale Situazionista, commentari alla SdS, 1988, par.X, dove il maestro prefigura l’esito del web quando ancora non esisteva) 

Nel realizzare la distruzione della logica, in base ai suoi interessi fondamentali, il nuovo sistema di dominio si è servito di vari mezzi che si sono sempre sostenuti l’un l’altro.

Molti di questi riguardano la strumentazione tecnica che lo spettacolo ha sperimentato e reso popo­lare, ma alcuni sono legati piuttosto alla psicologia di massa della sottomissione.

A livello tecnico quando l’immagine costruita e scelta da qualcun altro diventa il principale rapporto dell’indi­viduo con quel mondo che prima, dovunque andasse, guardava da sé, allora è innegabile che l’immagine reg­gerà tutto,

perché all’interno di una stessa immagine si può giustapporre senza contraddizione qualunque cosa.

Il flusso delle immagini trascina tutto con sé ed è sem­pre qualcun altro che governa a suo piacimento questo riassunto semplificato del mondo, scegliendo dove indi­rizzare la corrente e anche il ritmo di ciò che dovrà mani­festarsi, come perpetua sorpresa arbitraria, non volendo lasciare tempo alla riflessione, prescindendo del tutto da ciò che lo spettatore può capire o pensare.

In que­sta esperienza concreta della permanente sudditanza va individuata la radice psicologica dell’adesione così gene­rale a ciò che è lì in quel momento, riconoscendogli ipso facto un valore sufficiente.

Il discorso spettacolare tace evidentemente non solo su quanto è segreto, ma anche su ciò che non gli conviene, per questo motivo ciò che mostra è sempre avulso dal contesto, dal passato, dalle intenzioni e dalle conseguenze, quindi è completamente illogico.

Poiché nessuno lo può contraddire, lo spettaco­lo ha il diritto di contraddire se stesso e di correggere il proprio passato.

I suoi servitori, quando devono far co­noscere una versione nuova, ancora più falsa, magari, di alcuni avvenimenti, correggono l’ignoranza e le interpre­tazioni scorrette attribuite al loro pubblico con atteggia­mento sprezzante,

quando proprio loro il giorno prima si erano affrettati a diffondere quell’errore con la solita sicumera.

In tal modo l’insegnamento dello spettacolo e l’ignoranza degli spettatori sono ritenuti, indebitamente, antagonisti, quando in realtà derivano l’uno dall’altro.

Il linguaggio binario del computer è anch’esso un’incita­zione irresistibile ad accettare in ogni momento, senza alcuna riserva, ciò che è stato programmato così come ha voluto qualcun altro ma che viene fatto passare come l’origine atemporale di una logica superiore, imparziale e totale.

Non sorprende quindi che fin dall’infanzia gli scolari vengano iniziati facilmente e con entusiasmo al Sapere Assoluto dell’informatica, mentre ignorano sempre più la lettura che esige un vero giudizio a ogni riga, e che è anche la sola che può dare accesso alla vasta esperienza umana anti-spettacolare.

Perché la conversazione è morta e ben presto lo saranno anche molti che sapevano parlare.

Guy Debord, Commentari alla società dello spettacolo, 1988, par.X;

edito da Fausto Lupetti Editore

http://www.faustolupettieditore.it/catalogo.asp?id=206) 

imago by Virgilio Fidanza per FaustoLupetti/CalepioPress

http://www.virgiliofidanza.it/

memorie di un vetero patentato

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andare in giro in macchina, per qualsiasi ragione,

è sempre stata la mia unica vera attività intellettuale,

un’attività ormai trentennale, d’abitacolo mobile,

sia per lavoro, di fretta, col nervoso e lo stress,

ma anche senza motivo, a zonzo, in total relax;

dopo una vita al volante, a un certo punto metti la retro, ti guardi indietro,

di tutte le cose viste, percepite, assorbite, ti resta una maglia fitta,

un archivio senza ordine, stratificato, confuso, indistinto,

soltanto rimettendoti lì, al posto di guida, per strada,

nel flusso del traffico, riprende vita il flusso di coscienza;

sempre in cerca di qualche linfa, come uno zombie,

fuori ci sarà qualcosa, fuori di me, al di là del parabrezza,

ci sarà un mondo, una strada, un incrocio, esseri umani e architetture,

tracce di vita e cose gettate fuori, che restano come punteggiatura

sui margini non transitabili della carreggiata;

il mio primo parabrezza, rimediato da una lambretta, nel garage del nonno,

montato sul manubrio della saltafoss con elogiabile spirito d’iniziativa puberale:

mi aggiravo nei dintorni dei capannoni pedalando furiosamente,

a volte si trovavano dei giornalini porno gettati da qualche camionista;

primo giorno con la patente, prima  guida da solo, primo incidente,

il curvone delle piscine preso allegro, decisamente allegro, senza paura,

per un attimo ti senti il campione del mondo Rally, su Lancia Stratos Alitalia,

l’istante dopo il mondo ti va a rovescio, l’orizzonte un’elica di biplano,

e sei un neopatentato ribaltato nella 127 color becco d’oca di tua madre;

il deflettore, insuperato capolavoro di tecnologia funzionale,

ti permetteva di fumare tenendo la sigaretta praticamente fuori dall’abitacolo,

sviluppavi un’abilità digitale particolare, con la sigaretta già accesa

dovevi premere un pulsante a molla, ruotare un maniglino e spingere convinto

per vincere la forza sigillante delle guarnizioni di una volta, e tutto in sincronia,

e con armonia, tenendo la sigaretta in asse, per non scrollare la cenere;

in certe strade secondarie, comunali, intercomunali, sconnesse,

ti ritrovi dietro a un trattore del dopoguerra, arancione, a 15km/h,

guidato  da un vecchiaccio in giacca di fustagno, pacificamente tetro,

il grosso sedere saldato al sedile spartano, in lamiera forata, arrugginito,

archetipo dello sgabello che hai in studio, scintillante di design;

anonimi fossati, che ad Aprile vedevi lussureggiare gravidi d’acqua,

e di notte, d’inverno, con la nebbia e il ghiaccio, temevi t’inghiottissero

a un certo punto, nella stagione dei lavori in corso, spariscono,

diventano marciapiedi, o posti auto riservati per i clienti dei negozi

che nel frattempo sono spuntati, dove prima spuntava il granoturco;

quei viadotti tutto cemento, sembravano usciti da un disegno di Sant’Elia,

li aggredivi a tavoletta al volante dell’Alfetta 1800, con la super 98 ottani,

e con gioia demente buttavi il pacchetto di Marlboro fuori dal finestrino:

adesso guidi una Lexus ibrida, elettrica e metano, e non superi i 50,

c’è l’autovelox,  e nemmeno la cicca delle superlight butteresti fuori,

e il viadotto è penosamente vecchio, triste, fragile, sembra più piccolo,

con le nervature d’acciaio arrugginite sotto l’intonaco sgretolato; (continua)

fine prima puntata, tratto da “Andare in giro in macchina è sempre stata la mia unica attività intellettuale” by Leone Belotti per BaDante/CalepioPress 2013; immagine by Virgilio Fidanzahttp://www.virgiliofidanza.it/