letteralmente copyright significa “diritto di copia”, cioè possibilità o meno di produrre una copia da un originale.
va da sé che il concetto nasce come conseguenza della possibilità di riproduzione delle opere, tipica dell’era contemporanea.
il copyright si materializza in molti ambiti diversi. cominciamo trattando il caso dell’opera culturale, tipicamente dell’opera letteraria, musicale, o pittorica che sia.
una volta uno faceva un’opera, e quella era: un unicum.
se la volevi, dovevi comprarti l’originale (troppo costoso), oppure accontentarti che qualcuno te la leggesse direttamente dall’originale, se era un’opera scritta, oppure che qualcuno ti suonasse la canzoncina, se opera musicale, o che qualcun’altro ti desse la possibilità di vedere il quadretto originale, se opera visuale.
allora la chiesa, che era l’unica a poter mantenere uno stuolo di nulla facenti chiusi nei monasteri che prosperavano grazie al lavoro del popolo, comincia l’opera degli amanuensi, dei copisti, insomma, comincia a far fare le prime copie della storia.
allora non c’erano grossi problemi, l’autore originale non si incazzava, anzi, se non era morto da millenni vedeva di buon occhio che la propria opera potesse ottenere maggiore diffusione grazie al lavoro di uno stuolo di fratonzoli chiusi in monasteri ameni in lochi ameni: la sua opera si diffondeva.
e siccome un’opera culturale altro non chiede che di diffondersi (teniamo bene a mente questo concetto), ben venga la chiesa, che tra una crociata e l’altra, tra un massacro e l’altro in nome d’iddio (di un dio o di quell’altro), usava un po’ delle sue energie anche per diffondere il sapere.
purtroppo quali opere fossero da copiare, e quali da bruciare, lo decideva il capoccia (lo stesso che ancora oggi dopo millenni ci teniamo in casa e manteniamo esentasse vestito di tutto punto da prada), in modo sempre utilitaristico e autoreferenziale, quindi probabilmente sono andate bruciate tante opere originali quante sono state copiate e diffuse (o forse più), ma questo è un altro problema (enorme).
il problema invece di cui stiamo trattando ora, il copyright, salta fuori per colpa dei crucchi (sempre loro, quelli della merkel, quelli della volkswagen): un tal gutemberg a un certo punto semina una zizzania pazzesca perché inventa un modo per fare tante, tantissime, virtualmente infinite, copie di un testo.
si badi bene: il problema salta fuori non perché finalmente si potevano fare tante copie, economiche, per tutti, delle opere della conoscenza, insomma del sapere,
ma perché non era più possibile bruciarne una sola per eliminare il sapere che non andava bene al capoccia.
questo era il problema di fondo: la stampa in serie rendeva veramente difficile l’eliminazione del sapere indesiderato, rendeva maledettamente difficile il lavoro della censura.
e qui, come mi si conviene, ci sta il porcone: ostia!!!!!!
il bisogno del copyright nasce perché dava fastidio la diffusione del sapere, NON per agevolarla e garantirla come ancora oggi tutti credono.
nel momento in cui l’umanità trova il modo di diffondere la conoscenza, i capoccia non ci stanno, e mettono il classico palo nel culo a tutti: il copyright.
quello che allibisce è che ancora oggi il copyright sia sbandierato dagli autori come un sacrosanto diritto per proteggere il loro operato.
contraddizione.
paradosso.
mi ripeto prolissamente perché è un passaggio cruciale: il copyright oggi è sentito come quell’insieme di regole che servono all’autore per garantirgli la paternità dell’opera, per tutelarlo dal furto indebito dell’opera.
e invece il copyright nasce (e ancora oggi lo è in pieno) come lo strumento che serve a chi autore non è, per controllare cosa gli autori vogliono divulgare,
in definitiva il copyright nasce per FRENARE la diffusione del sapere, invece che per GARANTIRLA.
dopo gutemberg e la stampa la successiva grande rivoluzione culturale arriva con l’informatica.
mentre la riproduzione delle opere a mezzo stampa richiede che ci vadano di mezzo gli alberi, richiede che il risultato della stampa venga caricato su carri (o autotreni), venga portato nei negozi bruciando benzina e copertoni, e dai negozi, finalmente, nelle case del pubblico, con l’informatica, e con internet nello specifico, tutto questo non serve più:
come un’immensa inondazione di olio il meccanismo di diffusione del sapere non conosce più attriti: chiunque può avere copie di qualunque cosa, pressoché gratuitamente, senza più bisogno di intermediari.
internet è gutemberg all’ennesima potenza: tutto il sapere gratis per tutti.
e invece ancora oggi il 90% della popolazione benpensante considera la copia avulsa dal copyright come un reato.
paragonare la copia di un mp3 ad un atto di pirateria è esattamente quello che vogliono i capoccia, è niente di meno che una perfetta sindrome di abnegazione e sudditanza di un mondo senza cognizione di causa che pedissequamente applica le leggi volute da chi lo vuole controllare.
oggi dire che copiare un mp3 è illegale è come un contemporaneo di gutemberg che si rifiuta di leggere un libro stampato perché opera del demonio (pirati).
oggi prendersela con la pirateria significa essere i sostenitori volontari di un sistema reazionario che lotta contro il sapere e la sua diffusione.
non è una provocazione.
davvero.
pensateci.
a chi giova mettere in galera i pirati digitali?
giova al sapere?!?!
giova alla cultura?!?!?
giova SOLO ED ESCLUSIVAMENTE ai vertici del potere culturale, a coloro che fanno i soldi vendendo il prodotto culturale ma, SOPRATTUTTO, a coloro che controllano quale sapere si può riprodurre e quale no, quale canzone si può ascoltare e quale no, quale testo si può leggere e quale no.
prima di internet e del fenomeno della pirateria, il mondo editoriale era saldamente nelle mani di pochissimi, grandi, editori. (se vi aiuta a inquadrare il problema, berlusconi è uno di questi).
non venite a citarmi gli editori di nicchia che pubblicano 4 libri l’anno venduti in 5 copie ciascuno.
quelli sono slalomisti delle regole del sistema che hanno fatto quello che hanno potuto per contrastare la massificazione del sapere rispettandone le regole.
io parlo di madonna per il rock, di vespa per la saggistica, di follet per la letteratura, io parlo del 99% dei libri venduti, mica dell’1% della nicchia degli editori cosiddetti colti.
io parlo del popolo, parlo dell’equivalente dell’ikea per la cultura.
e il popolo ogni anno poteva leggere solo ed esclusivamente una decina di titoli, che sono i titoli che trovate nelle case degli abitanti di tutta la società occidentale, io parlo del regime culturale che si era venuto a creare per cui qualunque forma di contenuto per le masse era prodotto sempre dai soliti quattro editori, quegli stessi editori miliardari pappa e ciccia con i poteri forti del sistema, quegli stessi che non ti avrebbero mai pubblicato un libro perché “non vendibile”, quegli stessi che non hanno mai voluto problemi con la censura, quegli stessi editori che erano culo e camicia con la censura.
io parlo della massificazione culturale.
e oggi il cartello di quegli editori si inalbera contro la pirateria, muovendo cause legali contro tutto il mondo: l’hanno inventato loro il termine, l’hanno voluto loro il paragone tra chi ruba il sapere per diffonderlo e chi ammazza la gente con coltelli ricurvi per rubargli i dobloni d’oro.
ora sono i pirati dell’informatica.
ora ed allora (ai tempi di gutemberg) sono gli irrispettosi del copyright.
ecco cosa è il copyright.
e quando oggi sento ancora artisti completamente sconosciuti (non ho detto non bravi o non di valore) che si lamentano contro le copie illecite delle opere, mi sale il sangue alla testa, perché capisco che l’opera di indottrinamento e di sterilizzazione intellettuale che la categoria degli autori ha subito è agghiacciane, perché nessuno ha più quel minimo di arguzia per rendersi conto di essere diventati loro stessi portavoce della censura di sistema.
detto questo, affrontiamo le solite e banali giustificazioni che adducono i suddetti autori in favore del copyright:
“senza il rispetto del copyright come può campare un artista?”. ovvero “se tutti copiano gratis un’opera chi paga l’artista per il suo lavoro? la cultura scomparirà senza il copyright!”
grandioso…
fenomenale…
i soldi, visto che solo di soldi sapete parlare quando trattate di copyright, sono sempre e solo stati appannaggio dell’uno per un milione degli autori.
da che mondo è mondo gli autori, gli artisti, fanno la fame, la facevano ai tempi della pietra, l’hanno fatta nell’arco di tutta la storia dell’umanità, e la fanno allegramente tutt’oggi, ai tempi di madonna, vespa e follet.
i soldi li fanno solo gli artisti di regime, che sono 3 su un milione, e tutti gli altri nulla, tutti gli altri a passare una vita creando opere che puntualmente vengono rifiutate dagli editori, tutti gli altri non hanno mai ricevuto nulla in cambio dal sistema del copyright.
anzi, assurdo degli assurdi, il popolo degli autori non famosi (chiamiamoli così) viene persino vessato dai balzelli di istituzioni delinquenziali come la siae, sono costretti a pagare per poter eseguire le proprie canzoni in pubblico anche se le proprie canzoni non sono mai state edite (e quindi messe in vendita) da nessuno, sono costretti a pagare per poter pubblicare il proprio libro, il libro della propria vita, sono costretti a pagare la siae per auto prodursi la propria opera che nessun editore vuole distribuire perché infruttifera. e se non pagano sono fuori legge!!!!
e i soldi raccolti dalla siae a chi vanno? ai soliti noti. ai soliti pochissimi unperunmilione che hanno avuto successo.
ma vi rendete conto che siete sempre i soliti poveri cristi di prima, che in più fanno il gioco dei poteri forti? siete i cipputi di altan che si mettono l’ombrello nel culo da soli!
vi rendete conto che a rispettare le regole del copyright non avete mai ottenuto nulla, e mai nulla otterrete?
ma con che coraggio credete ancora alla favola per cui senza copyright l’arte non potrebbe sopravvivere?
l’arte è sempre esistita contro ogni forma di copyright, l’arte è sempre esistita a prescindere da ogni forma di retribuzione da parte del sistema.
sono di gran lunga di più i grandi artisti morti poveri, di quelli che hanno fatto i soldi.
o credete davvero che madonna, vespa, follet, michelangelo e spielberg siano esempi comuni di artisti come chiunque potrebbe essere?
andate e copiate e diffondete.
l’unica cosa che potrete procurare sarà il fallimento dei grandi editori, non di certo dei piccoli e colti editori di nicchia.
i mezzi di replicazione (meccanica o digitale) delle forme di sapere sono e sempre saranno il vero motore della conoscenza umana, contro ogni regime, contro ogni censura, contro ogni forma di controllo culturale.
e giusto per dare un’idea della portata della questione, e per riallacciarmi al distinguo iniziale del post: noi abbiamo parlato di copyright nella cultura, ma vogliamo parlare del copyright nella ricerca scientifica? vogliamo parlare della brevettabilità delle scoperte scientifiche? a chi giova tutto ciò? all’umanità, o alle solite quattro multinazionali? a chi giova brevettare le ricerche sulla genetica? a chi giova brevettare le formule farmaceutiche? a chi giova brevettare gli algoritmi informatici? a chi? a tutti, o ai soliti pochi noti?
le multinazionali vi diranno: noi investiamo miliardi e miliardi in ricerca! non lo faremmo se non avessimo garanzie sulla sfruttabilità economica delle nostre scoperte! la ricerca morirebbe!
palle!
palle grosse come una casa!
e qui introduco un altro punto cruciale: la cedibilità del copyright.
infatti la follia della società contemporanea permette la cedibilità del copyright, e questo è il più subdolo e potente asso nella manica che ha il sistema, la cui portata sui grandi numeri è tanto devastante quanto poco nota.
poter vendere un brevetto, così come poter vendere il copyright su un’opera d’arte, significa dare la possibilità a chi ha più soldi di comprarsi anche ciò che non ha fatto, ma soprattutto rende una mera questione di conti in banca il potere di sfruttabilità della conoscenza.
poter cedere il copyright su un’opera significa rendere alienabile anche la cosa più importante che un’opera porta con se: la paternità.
significa che chi scopre qualcosa, chi crea qualcosa, nel 90% dei casi non ha poi i soldi per metterlo in pratica, per produrlo in serie, per sfruttalo economicamente, ed è costretto a vendere le proprie idee al miglior offerente.
significa che le solite multinazionali non hanno più nessun bisogno di fare alcuna ricerca, che semplicemente controllano quello che viene scoperto in giro, se lo comprano, e poi lo serializzano, diventando ancora più ricche, ancora più potenti, ancora più capaci di acquisire conoscenza che non hanno saputo produrre ma che sapranno sfruttare.
siamo una società che mette in prigione chi cerca di diffondere il sapere.
siamo una società in cui si è venduto il sapere, felici di averlo fatto perché convinti che fosse l’unico mezzo per garantire il sapere.
(immagine di CHRISTOPHER DOMBRES)
Vivaldi ha scritto mille concerti (1000) uno più bello dell’altro, l’unico guadagno era l’esecuzione della prima, che quasi sempre era anche l’ultima. Oggi nell’epoca del copyright ascoltiamo migliaia di volte le “4 stagioni”, e stop. Il copyright è la più grande “derivazione” (per usare un termine del Pareto) della società borghese: con pretesto nobile, difendere l’ingegno dell’artista, si piazza la proprietà privata (plutocratica) su ogni “ben di Dio” che pure la tecnica permetterebbe di diffondere a basso costo: medicinali, tecnologie, sementi addirittura…
la grande industria culturale crea un monopolio e con la logica dei best seller impedisce la produzione culturale diffusa, propina e impone schifezze immonde, mentre i veri autori crepano di fame… lo stesso accade in ogni settore creativo… le tribù del copyleft in cerca di alleati dovrebbero dare un’occhiata al vecchio catto-reazionario Gioberti, che sosteneva che ogni invenzione fosse ispirata da Dio per il bene di tutti, spettando a Dio l’unico vero diritto d’autore, la vita, da pagarsi in soluzione unica, la morte corporale…
chi sostiene con convinzione il copyright è un suddito, suddito felice… l’artista che spera in un magnate (perché piaccia o meno, la polenta in tavola aiuta), noi che abbiamo perso la capacità (e la voglia!!) di scegliere, col bisogno di qualcuno che ci dica che l’aspirina va bene, qualcuno che ha studiato all’università Bayer (però lo fa in buona fede perchè mica lo sapeva).
Verissimo tutto. Ma c’è anche da dire che una sorta di arte di stato è necessaria affinché per reazione nasca un’alternativa, un po’ come adolescenti che ribellandosi ai genitori crescono percorrendo nuove strade.
Il problema a mio avviso è che per mille ragioni non esistono – ancora, spero – né una reazione degna di nota né la volontà o la necessità di ribellarsi.