Piazzale degli Alpini progetto Orobia Felix

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Immagina di essere un grande uccello migratore. Stai sorvolando il territorio orobico da sud a nord. Sotto le tue ali, scorre un paesaggio transitivo: la bassa pianura, poi la fascia urbanizzata – con le nervature di comunicazione intrecciate ai corsi e agli specchi d’acqua – quindi le Valli e le Prealpi. Il centro di questo quadro multicolore, di questo reticolo ondulato, attira la tua attenzione: è la Città dei Mille, con le sue mura e le sue torri.

Ti lanci in picchiata-zoom, in pochi istanti sei sopra la città. Il tuo occhio è attirato da un quadrato verde con al centro una vasca d’acqua e due alte torri che quasi si sfiorano, unite da una forma antropomorfa. Decidi di appollaiarti per osservare l’area sottostante. Subito ti rendi conto di avere le zampe sul cappello di un alpino. Guardi giù. Quello che vedi ha l’aspetto di un’area degradata.

Sul lato sud osservi un melting-pot d’adolescenti border line; sul lato est bivacchi di tossicodipendenti, alcolisti e clochard. Nella zona centrale, riunioni e merende di badanti. Nessuno cittadino “indigeno” (bergamasco bianco) utilizza l’area. Gli “indigeni” vanno e vengono dalla stazione “tirando dritto”, come se il piazzale non esistesse: non lo attraversano nemmeno, piuttosto lo circuiscono. Le forze dell’ordine compiono mini-operazioni di polizia, entrando in auto nelle zone pedonali e svolgendo controlli con finalità di prevenzione e dissuasione.

Poi vedi due ometti senza capelli che camminano, si fermano, indicano, parlano animatamente. Sono un architetto e uno scrittore. Focalizzi il tuo super-udito su di loro e ascolti i loro discorsi.

“Il sistema monumento e specchio d’acqua risulta quasi estraneo. L’acqua non è visibile da chi passa sul viale, non è invitante, le vasche hanno un tono e un contegno cimiteriale.”

“L’area viene vissuta intensamente solo in occasione di eventi come street food, che occupano la piazza come fosse vuota, mentre la fruizione dell’area nel quotidiano è di fatto a bassa intensità, come zona di “siesta” lungo le sedute che delimitano la zona asfaltata, e unicamente da persone extracomunitarie”.

“Risulta evidente da un’osservazione delle dinamiche d’uso che nonostante la sua centralità urbana questa è un’area periferica, senza identità, risultato di una progettazione astratta, positivista, razionalista, con intenzioni e visioni di ordine urbano e progresso sociale oggi superate.”

“Non possiamo fare un progetto asettico-elegante in un’area melting pot: sarebbe fuori luogo e ignorato.  Dobbiamo affrontare il progetto con forza e semplicità: usare un linguaggio/stile multiculturale e immediato, dare una suggestione funzionale di ampio consenso, offrire un utilizzo inclusivo e aperto alle collaborazioni dei soggetti collettivi”.

“Due sono le cose che ci servono: un’idea nuova, e il linguaggio per esprimerla”

“Immagina di essere un bambino”

“Se fossi un bambino prenderei una ruspa e comincerei ad allargare le vasche d’acqua fino a formare un vero laghetto, dove andare in barchetta con la mia fidanzata. La terra rimossa la userei per ricreare nella zona nord la morfologia delle valli, in modo che questa area diventi un parco mini-orobie in scala 1:1000, rappresentativo del territorio, per accogliere turisti, viaggiatori e bambini”

“Immagino la zona sud, la pianura, come l’area del gioco: una zona bambini recintata, e un piccolo palco per artisti di strada, trasformando il dislivello con la zona autolinee in una gradinata-platea aperta (che sfrutta anche il cono ottico libero e ti permette di ammirare lo sky line di città alta). La zona centrale, con il laghetto-innamorati e la zona cani sarà l’area del sentimento. La zona nord, con i rilievi e i chioschi, sarà l’area del cibo”

“Come un foglio piegato, un tessuto architettonico leggero e colorato, in vetroresina riciclata (nuove tecnologie per nuove ecologie) corre perimetralmente lungo il piazzale, delimitando e significando il parco. Questo pattern rappresenta la capacità di un muro di piegarsi a ogni disponibilità, variando forma, facendo accoglienza. Un linguaggio semplice, popolare, facilmente comprensibile per connotare uno spazio “zoioso”, fruibile, percorribile, infantile, giocoso.”

“Con questo linguaggio multicolore e multifunzione, giocoso e pop, delimitiamo, segnaliamo il parco, e diamo vita alle piccole architetture funzionali: il chiosco-trattoria/shop, il chiosco-caffè, il chiosco-aperitivi, il piccolo padiglione tecnologico (ricarica dispositivi, wi-fi, etc), e soprattutto i servizi igienici pubblici, che immagino esemplari, bellissimi, realizzati come show-room funzionante in sinergia con le aziende design e sanitari, riunite in questa mission di esibire i più servizi pubblici del mondo, made in Italy”.

“Bene! Ci resta la parte più delicata. Il fattore umano. Chi renderà questo luogo frequentabile? Chi garantirà la sicurezza? Chi muterà le paure in occasioni di comunicazione?”

“L’alpino è precisamente quel tipo umano sia “ostile” che “oste”, in grado di relazionarsi in modo non ipocrita con l’umanità altra: parliamo di accoglienza burbera, forse l’unica autenticamente nelle nostre corde.”

“Parliamo di gestione dell’area affidata all’associazione Alpini: del padiglione-trattoria Bergamo, della sorveglianza, della cura e manutenzione, dell’ordine pubblico. La trattoria Alpini, in piazzale Alpini, nel parco mini-prealpino, con vigilanza svolta dagli Alpini… porterebbe in primo luogo gli Alpini, che sono nonni, e quindi i nipotini. E gli Alpini sono forse gli unici e veri “operatori multiculturali” in grado di creare relazioni umane con stranieri, giovani, extracomunitari, badanti, etc.”

I due ometti adesso raggiungono una ragazza che sta arringando una piccola folla eterogenea: “Cari commissari, sappiate che questo non è solo un progetto d’architettura, ma un progetto sociale, che coinvolge la città, le associazioni, gli enti, gli operatori commerciali e le aziende del nostro territorio”.

“Noi vogliamo creare attrazione, accoglienza e promozione: 1) attrarre i bambini, in modalità mini-orobie 2) accogliere il turista con una rappresentazione “abitabile” del territorio e delle sue risorse 3) funzionare da piccola expo permanente per iniziative e prodotti del territorio 4) rendere sostenibile il progetto coinvolgendo enti, aziende, associazioni in grado di creare sinergie, sponsorizzazioni e project financing 5) dare identità e anima al luogo con la presenza degli Alpini, capaci  di garantire sia la sicurezza che l’accoglienza”.

L’architetto e lo scrittore annuiscono e riprendono a parlare fittamente. “La città salotto piccolo borghese è finita, Sentierone docet. Sul Sentierone campeggia l’iscrizione “civium commoditati et urbis ornamentum”, a comodità dei cittadini e ornamento della città. Con il parco-expo e gli alpini entriamo nella “civium condivisione et urbis securitas”, a sicurezza della città e condivisione dei cittadini.”

“Questa operazione psicologica e sociologica, è la parte delicata e decisiva del progetto.  Al di là dell’intervento d’architettura, il vero intervento è umano, e di comunicazione. Si tratta di restituire agli Alpini luogo, funzione, identità. Dove oggi c’è un monumento morto, avremo uno spazio vivo. Ci servono gli Alpini vivi.”

“In realtà dobbiamo superare la paura di sembrare provinciali, che ci porta a fare cose algide e morte. Non dobbiamo vergognarci del nostro Arlecchino, il pezzente capace di grande creatività, né dei nostri Alpini, montanari capaci di grande umanità”.

“Gli Alpini renderanno vivo e sano il Piazzale a loro dedicato, e lo spirito di Arlecchino, rivivendo nel pattern multicolore, sarà lì a dirci che la diversità è alla base di ogni possibilità di vita”

(testo e immagine tratti dalla relazione descrittiva del progetto presentato al concorso per la riqualificazione del Piazzale degli Alpini dal team di progetto Attilio e Barbara dello studio Pizzigoni + Leone Belotti. In merito ai risultati del concorso per la riqualificazione di Piazzale degli Alpini, la Giuria si è così espressa: “… per quello che riguarda l’ambito di piazzale degli Alpini i progetti presentati non hanno saputo risolvere con efficacia le numerose criticità del contesto e le esigenze di qualità urbana richieste nel bando”).