Compagno di Banca

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IMG_20170323_184501 Dedicato a tutti i compagni bancari, agli impiegati, ai colletti bianchi col cuore a sinistra, che da sempre devono sopportare la facile ironia altrui, a cominciare da quella strofa di Venditti (“compagno di scuola, ti sei salvato, o sei finito in banca pure tu”).

Un’emozione che mi ha travolto per caso, facendo una ricerca storica di una noia mortale, leggendomi tutti i verbali dei Consigli d’Amministrazione della Banca Popolare di Bergamo dal 1869 ad oggi: finché un paragrafo mi ha improvvisamente trafitto con la forza di una pugnalata, di un pugno che demolisce i luoghi comuni.

Seduta del CdA dell’8 maggio 1945:

Consigliere Tadini: «…senza sfoggio di quella retorica che egli non ama, testimoniamo la nostra ammirazione al Dott. Agliardi, che ha saputo rimanere se non l’unico, uno dei rarissimi direttori di banca in Italia non tesserati al partito fascista…»

Chiede la parola il Dott. Agliardi: «Ringrazio, ma più di me, sono da ammirare e ricordare il capo ufficio Grassi, e i giovanissimi impiegati che rifiutarono di iscriversi al partito, e seppero resistere ad ogni persecuzione, contribuendo all’azione di resistenza e dando prova di grande ardimento, come Rodari, e di spirito di sacrificio, come Biava, Dell’Orto e Urio, caduti per piombo fascista».

Lavoravano in Banca! Gli eroi, i martiri della Resistenza al nazi-fascismo in città, erano impiegati della Popolare.  Da sempre sentiamo questi nomi di ragazzi trucidati giovanissimi, ci sono targhe commemorative in città, ma io mai avrei immaginato o saputo che fossero dei bancari, se non mi fossi imbattuto in questo verbale.

Compagno di Banca, non vergognarti del tuo lavoro, né dei tuoi ideali. Altri si devono vergognare.

(immagine: filiale della Banca Popolare di Dezzo di Scalve)

110&Lodi

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Settimana scorsa, mentre ero a bere in un fetido ritrovo di vecchi creativi, mi chiama al telefono Stefano Caserini, ingegnere del Politecnico, esperto in cambiamenti climatici.

A Mantova, quasi 30 anni fa, abbiamo vissuto un anno insieme, facendo il servizio civile nell’Azienda di Promozione Turistica. Eravamo due giovani scrittori, e abbiamo passato l’anno a lavorare utilmente a un libro, il Mantoverde, guida al turismo verde nel mantovano. Potremmo anche vantarci di aver avuto l’idea del festival letteratura, ma quello è un progetto di cui poi se ne sono occupati i grandi, e con un certo successo.

Tornando al presente, mi dice che si candida sindaco nella sua città, Lodi, con una lista civica espressione della sinistra ecologista. Mi chiede di trovargli un’idea per il nome della lista, o lo slogan.

I suoi compagni di lista, da quel che mi dice, sono tutti dei cervelloni: ricercatori, medici, architetti, bibliofili, pedagogisti. La loro ambizione è rendere Lodi una città modello di sostenibilità. Va bene.

Ordino un’altra birra, e per caso vedo un amico, grandissimo creativo, specialmente fuori ufficio. Gli chiedo: come si chiama una lista di cervelloni per le elezioni di Lodi? Al volo mi risponde: 110 e Lodi.

Prendo su, vado a trovare l’ingegnere e gliela spiego: il vostro punto di forza sono le competenze, vi unisce la cultura della sostenibilità applicata al vostro territorio. Presenterete un programma con 110 punti, da impaginare come un vecchio giornale in 11 pagine, più una copertina con la testata: 110 e Lodi, che è anche il nome della lista.

Dopo profonda riflessione della base politica, mi chiama, e dice: va bene, però sabato prossimo tu vieni alla conferenza stampa.  (così vediamo se ucciderti subito o tra due mesi).

(Ecco in che guai puoi finire rispondendo al telefono mentre bevi la tua birretta della sera).

Comunque, stamattina sono andato alla conferenza stampa. La presentazione è andata bene, e io sono ancora vivo.

Qui sotto, “La bella di Lodi”, con la giovane Stefania Sandrelli.

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dieci giri veloci e a casa

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Ieri sera, dopo tre ore in un’aula del km rosso a sentir parlare esperti marketing sul tema della creazione del valore, mi ritrovo sparato in A4, direzione Milano, in un bolide rosso.

“Dove ti porto adesso vedi lo spirito autentico della cosa” mi dice l’amico al volante. “La gente è stanca delle manifestazioni ufficiali”.

Uscita Lambrate, parcheggiamo su un’aiuola, entriamo nel Parco Lambro. Dall’oscurità arrivano voci concitate. Come zombie, da ogni direzione singoli, coppie, gruppetti di persone convergono verso una zona là in fondo.

Poi lampi di luci intermittenti, come lucciole. Fari di biciclette. Intravediamo l’assembramento. Scavalchiamo un fosso. Da un albero ci cade addosso una ragazzina con una macchina fotografica più grande di lei. Parla francese, ci chiede qualcosa.

Passa un’ambulanza a sirene spente, si ferma poco avanti, dove la gente si sta radunando. In mezzo alla stradina, 30 o 40 ciclisti sono pronti alla partenza. Un tipaccio che fa da direttore di gara sta gridando le istruzioni in stile bastardo: “Ricordatevi che siamo al limite, fate attenzione alle buche e niente spallate. Dieci giri, poi la premiazione al volo e tutti a casa, chiaro? Pronti? Via!”

Si chiamano Criterium, ma sono competizioni scriteriate, improvvisate, semiclandestine, con una particolarità: si usano biciclette a scatto fisso, e senza freni. Per rallentare eserciti sui pedali una forza opposta, cercando di pedalare all’indietro. Come un freno motore.  Oppure sollevi il retrotreno con un colpo di reni, così riesci a bloccare i pedali, e la ruota, e fai la curve derapando, o rallenti bruciando la gomma sull’asfalto.

Niente segnaletica, niente recinzioni, niente di niente. Solo una corsa incosciente in un percorso ad anello nelle stradine del parco. I concorrenti sono di ogni tipo: professionisti o ex della strada e della mountain bike, dilettanti, iron man, cani sciolti. L’amico mi indica alcuni corridori noti, con le bici senza insegne. Incontriamo due amici che lavorano nel settore delle gare ciclistiche tra Bergamo e Milano. Poi mi presenta altre persone, e anche i soci di un birrificio delle valli bresciane. Di me l’amico dice: “Lui è lo scrittore”. Come se dicesse “lui è basista”. Sembra che dobbiamo organizzare un colpo.

La gara dura una ventina di minuti. Passano in gruppo, velocissimi, incollati l’uno all’altro, un’unica massa rutilante, che sposta l’aria. Sfiorano gli alberi, ogni curva c’è il rischio caduta di gruppo.

In cielo, c’è la luna rossa. Il Lambro manda i suoi miasmi. Un cane con una luce verde sul collare. Sirene della polizia.

“Hai visto abbastanza?” mi chiede l’amico.

Torniamo in A4, direzione Bergamo. Dopo aver ascoltato a volume bomba “vivo da re” e “sultans of swing”  mi riporta dove mi ha preso, a Km rosso. Mi dice: “Vogliamo organizzarne una a Crespi d’Adda”.

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luoghi contro-significativi di Bergamo

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TASSOragione

 

Sotto il Palazzo della Ragione, l’icona della Follia, Torquato Tasso.

Su di lui, il letterato bipolare, che con la liberata-conquistata porta all’esaurimento il concept furioso-innamorato, sappiamo tutto.

Il Palazzo della Ragione si chiamava Palazzo Vecchio – ed effettivamente è il più vecchio palazzo del comune d’Italia (1183) – e Piazza Vecchia si chiamava Piazza Nuova, mentre Piazza Vecchia era l’attuale Mercato-Scarpe. In seguito, quando Piazza Nuova ha preso il nome di Piazza Vecchia, la denominazione Piazza Nuova è passata a indicare l’attuale Piazza Mascheroni. Questo per stare nell’ambito della Ragione.

I pazzi sono loro, ci dice chiaramente il nostro Torquato.