gli architetti bergamaschi

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CARD-(IL)-CAPITALE-DELLA-CULTURA (5)

con un’immagine-locandina cyber-splatter, adatta a un concerto punk-teenager,

+ un vecchio titolo pseudo-sovversivo, stile Il manifesto anni Ottanta,

+ un comunicato stampa rigorosamente democristiano (offrire, a distanza di qualche mese, una riflessione che permetta di non disperdere il patrimonio di lavoro compiuto)

gli architetti di Bergamo si sono esposti stamattina in convegno sulla scena del Donizetti.

Originariamente previsto nel foyer, il convegno si è poi svolto in platea.

Tema: sviluppo urbano e politiche culturali.

Senso del convegno: dopo la “fregatura” presa su Bg2019, mettere le mani avanti su Expo2015.

La fregatura gli architetti su Bg2019 l’hanno presa in questo modo: originariamente esclusi dal comitato promotore (e dal budget, come tutti) sono stati inclusi di facciata all’ultimo momento, barattando l’adesione con la promesse di finanziamenti europei in caso di vittoria,

in questo modo hanno perso sia i finanziamenti, che la faccia,

ora, per ridarsi una faccia (e forse pensando anche ai finanziamenti expo) si espongono formalmente aggressivi (locandina e titolo) ma sostanzialmente disponibili (comunicato).

Sul palcoscenico i dieci relatori seduti dietro un lungo tavolone, coperto da un orribile assemblaggio di tovaglie stiracchiate.

Il convegno si è sviluppato in tre movimenti:

1) rappresentanti di altre città, che hanno raccontato progetti riusciti di interventi partecipati a Matera, dove la candidatura a capitale culturale è nata dal basso, da associazioni di cittadini, a Siena, a Torino,

progetti di architettura in grado di trasformare la percezione del patrimonio storico-architettonico che non è una cosa, ma un processo, e anche un conflitto, e dunque comprende anche le azioni sovversive, le iniziative abusive che svolgono un ruolo propulsivo  di agopuntura urbana sul corpo delle città.

2) momento clou, l’archi-star Stefano Boeri (figlio dell’arci-designer Cini Boeri, già assessore cultura a Milano e a capo del primo master plan Expo2015) si è fatto dare un microfono, si è piazzato sul palco spalle alla platea, e si è denudato

raccontando molto francamente i suoi più noti fallimenti del recente passato, come la megasede magna magna del G8 che non si è tenuto alla Maddalena,

e del prossimo futuro, come lo snaturato e megacostoso bosco verticale di Milano, ben sintetizzato da un angosciante video-supplizio che mostrava tutta la sofferenza provata da quelle piante tirate su con la gru a 300 metri, in un altro clima.

(Ti regalo una certezza, Boeri: quelle piante smetteranno di vivere, nonostante gli impianti ipertecnologici per tenerle in coma vegetativo, a causa dello shock provato. Come qualsiasi botanico ti potrà spiegare, una pianta non è fatta di pietra inerte, ma è un sistema nervoso, un corpo fibroso, linfatico, organico, tenuto in vita da un “sentimento”  base,

il sentimento di essere una pianta, radicata nella terra, che ogni giorno trova il coraggio per protendersi di qualche millimetro verso la luce, verso l’alto. Se tu la sollevi nel vuoto a 300 metri d’altezza con una gru, la pianta muore sul colpo, muore di vertigini, di panico, te lo garantisco, chiunque abbia una parte vegetale molto sviluppata vedendo quel video te lo potrà confermare)

tagliare un bosco vivo per fare un bosco artificiale, di facciata, costosissimo, mi è sembrata la metafora perfetta del tema del convegno, il senso della cultura per le istituzioni

lo spogliarello Boeri dice questo: il destino fallimentare dei grandi progetti–grandi eventi.

3) Infine, i candidati sindaci dei 3 grandi schieramenti: Tentorio, Gori e Zenoni.

A loro gli architetti bergamaschi per voce del loro vicepresidente portuguese chiedono che progetti hanno e se pensano di indire concorsi.

Tentorio non dice niente, però fa una gaffe, dicendo di doversi tenere buona l’ANCE che è sua cliente,

Gori dice qualcosa di sinistra, ma poi ha un vuoto di memoria, dicendo “3 cose in città alta”, ed elencandone 2.

Zenoni ha un tono da sacerdote, e quasi sussurrando dice le cose più pesanti: mentre la gente esce alla spicciolata, parla degli ex ospedali e invita gli architetti a essere partecipativi davvero, non solo iscrivendosi ai dovuti concorsi, ma offrendo ciò che viene prima dei concorsi, le idee, le visioni in base alle quali nasce il consenso, la decisione pubblica, e quindi il concorso pubblico.

Ma ormai molti dei presenti se ne sono già andati.

PS: nessuno ha avuto il coraggio di dire qualcosa, fare richieste, proposte, prendere impegni sulle due massime vergogne-emergenze dell’architettura urbana: il cantiere-frana abbandonato della Rocca, e gli insensati totem della cultura.

de architectura nullus ordo bergomi

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RoccaFrana

Con un certo coraggio l’Ordine degli Architetti di Bergamo promuove e invita i cittadini sabato 29 marzo al Foyer del Teatro Donizetti al convegno “(IL) Capitale della Cultura”, dedicato al rapporto tra politiche culturali e sviluppo urbano.

Nel comunicato si legge: “Sullo sfondo, ben presente nell’immaginario cittadino, campeggia l’eliminazione dalla short list delle candidature a Capitale Europea della Cultura 2019. Senza voler entrare direttamente sulle ragioni dell’esclusione, si è ritenuto necessario offrire, a distanza di qualche mese, una riflessione che permetta di non disperdere il patrimonio di lavoro compiuto. Sarebbe infatti auspicabile che si riparta da quanto fatto per dare vita ad una nuova progettualità più partecipata…”

Il programma prevede i saluti, l’assessore, gli esperti internazionali, l’archistar (Stefano Boeri) e infine è previsto l’intervento dei tre candidati sindaci Gori, Tentorio e Zenoni.

Invece, entrando direttamente nelle ragioni dell’esclusione (la mancata partecipazione) si dovrebbe dire che il lavoro svolto è risultato non solo inutile, ma deleterio, e dunque si dovrebbe ripartire lasciando perdere quanto fatto dalla giunta Tentorio, e andare nella direzione opposta:

piedi per terra, e partecipazione attiva,

questo vorrebbe dire che l’ordine degli architetti invece di fare convegni di riflessione sei mesi dopo, dovrebbe stare sul pezzo, partecipare alle sfide, promuovere progetti collettivi, proporre alla città e alla giunta visioni e soluzioni.

Dove era l’ordine degli architetti mentre la giunta Tentorio ha messo in piedi questo progetto Bg2019 basato sull’utilizzare città alta come facciata culturale, vantandosi di illuminare le mura di luci colorate, mentre nel back-stage hai da 5 anni una frana-discarica che è una ferita viva, una voragine sconcia, nella collina-acropoli della rocca?

Abbiamo distrutto un bosco pubblico, un parco faunistico, che era (e sarebbe) uno scenario perfettamente expo con un suo delizioso percorso di risalita, il km verde!

Dov’era, dov’è l’ordine degli architetti mentre la città è puntellata da vergognosi totem-stimmate di anti-comunicazione urbana, tuttora installati?

allora, per ri-cominiciare, la prima certezza dovrebbe essere questa: non si può fare cultura senza tutela del paesaggio,

e dunque il modello di città d’arte eco-sostenibile deve ripartire da un progetto immediato, prioritario, come il ripristino del parco della rocca (ormai è chiaro che il parcheggio non si farà)

per dare un vero segnale di attenzione alla cintura verde, ai parchi, le scalette, ai percorsi pedonali, ai viottoli dei colli, agli acquedotti storici…

e quindi, ai candidati sindaci, non chiedere promesse, ma lanciare sfide,

e magari anche esigere qualcosa di immediato dalla giunta in carica: la rimozione dei totem!

Siamo stanchi di fare gli indiani.

(Imago: città e la rocca, backstage.

Sulla sn, il più grande giardino privato della città, il parco di Palazzo Moroni, sulla ds. la ex più grande area verde pubblica, l’ex bosco-parco faunistico, ridotto a voragine da 5 anni. Photo by Gianluca Zampogna su velivolo Bruco)

un caffè con mia nonna

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AlessandraKaiser4

Avevo circa 8 anni, un sorriso stampato in viso e tutto intorno il mare blu.

Guardando vecchie foto, questa mi ha subito colpito: io e mia nonna su una canoa, i visi rilassati, gli occhi sorridenti, qualche segno di scottatura sulla pelle.

Mia nonna paterna mi ha sempre un po’ viziato, forse perché pensava che, essendo i miei genitori divorziati, io fossi una bambina da coccolare.

Quando andavo a trovarla, mi preparava sempre qualcosa di speciale; la cucina era una delle sue passioni, faceva i biscotti, le torte, gli gnocchi, la pizza, la pasta fresca ma anche l’arrosto, l’ossobuco, le patate al forno.

I piatti che preferivo della sua cucina, quando ero piccola, erano gli gnocchi al burro e la pizza, l’odore che meglio ricordo è quello dei biscotti tedeschi che preparava prima di Natale.

Un’altra delle sue grandi passioni era il golf; appena ne aveva occasione, andava a giocare con gli amici. Non era solo un hobby, partecipava a gare che spesso vinceva, accumulando trofei che ancora oggi non sappiamo dove mettere.

Per dare un’idea di quanti sono, uno lo uso come posacenere.

La maggior parte delle fotografie che ho di lei la vedono infatti impegnata in qualche competizione, circondata da amici; il golf, per lei, era quasi uno stile di vita.

Era una donna super attiva, sempre in giro, mai stanca; quando ero adolescente mi veniva spesso a prendere alle feste – anche all’una di notte.

Insieme siamo andate più volte in vacanza; quella a Parigi fu la mia preferita. Non solo visite a musei e monumenti ma anche shopping, una crociera sulla Senna, baguette enormi, problemi con i taxisti e la distanza tra i nostri anni non si era quasi sentita.

Parlare con lei era sempre stimolante ed era una sorta di libro di storia vivente, se le chiedevi chi era un Re del Medioevo, lei te ne raccontava vita e miracoli, se non ricordavi una data, lei la sapeva.

Leggeva il giornale tutti i giorni ed aveva sempre un libro sul comodino.

Le piacevano anche le fiction, in particolare Un posto al Sole e Centovetrine, che lei reputava delle scemate, ma che la divertivano molto.

Era una donna molto acculturata ma sapeva anche non prendersi troppo sul serio.

Aveva tante amiche ma, dopo mio nonno, non aveva più avuto un uomo.

Si era sposata giovane, aveva avuto tre figli, tutti maschi, e aveva perso l’unica figlia femmina poche ore dopo la nascita.

Mio nonno è un uomo abbastanza freddo e distaccato e lei si era forse sentita trascurata, forse aveva cercato l’affetto altrove.

Del loro divorzio non so molto; la famiglia di mio padre non ama raccontare vicende del passato ed io, per non essere invadente, non ho mai chiesto nulla.

Era una donna elegante e raffinata, aveva vestiti bellissimi ed era sempre impeccabile senza mai ostentare.

Aveva ricevuto un’istruzione severa, avendo frequentato un collegio di suore, e cercava di insegnarmi come essere composti a tavola, come comportarsi in pubblico e come essere sempre sorridenti.

Io, da adolescente ribelle quale ero, rifiutavo alcuni insegnamenti, ma ho comunque imparato che l’educazione non passa solo per le buone maniere ma soprattutto per il rispetto per gli altri.

Era anche una nonna dolcissima e sempre piena di attenzioni; ricordo che ad un San Valentino, avrò avuto 12 anni, ero triste perché non avevo ricevuto nulla dal ragazzino che mi piaceva e lei mi aveva fatto trovare un vasetto di primule con un bigliettino che recitava: “dal tuo spasimante misterioso”.

Era molto giovanile, tanto che gli sconosciuti la scambiavano spesso per mia mamma.

Dopo il liceo, iniziai l’Università a Bergamo e, dato che mia mamma viveva in Val Seriana, mi trasferii a Treviolo da mia nonna.

Vissi con lei quasi tre anni; nonostante l’età e l’educazione ricevuta, mi lasciava molto più libera di quanto facesse mia mamma.

Potevo uscire quanto volevo, tornare quando volevo e non mi ha mai rimproverato, tranne quel sabato sera che rientrai alle 6 non proprio sobria.

Qualche sera estiva facevamo l’aperitivo in giardino, con vino bianco, focaccine e salamino.

Una volta ogni tanto si concedeva un gin tonic, rigorosamente con lime fresco.

Tutte le mie amiche la adoravano e ricordano gli aperitivi e le cene che organizzava, ma soprattutto il savoir-faire che la contraddistingueva.

Era anche testarda, parlare di politica era un inferno e guai a dirle che Libero è un giornale di parte.

Non le piaceva il mio fidanzato del tempo, lo considerava un bambinone e diceva che meritavo un uomo maturo e responsabile.

Forse aveva ragione ma, al tempo, neppure io ero matura e responsabile: studiavo e superavo bene gli esami ma ero la tipica ragazza universitaria che vuole divertirsi al massimo e fare baldoria.

Lei mi ha sempre sostenuta e ha sempre fatto da intermediaria tra me e mio padre, suo figlio, dato che i rapporti tra noi erano molto difficili.

Grazie a lei mi sono riavvicinata a lui e ho imparato come gestire il rapporto con la sua seconda moglie, nonostante ancora oggi sia molto complesso.

Quando mio zio, il suo secondo figlio, si tolse la vita, io vivevo già con lei e il dolore straziante la fece ammalare.

Ho vissuto con lei durante la sua malattia e l’ho vista cambiare, da donna attiva e sempre indaffarata, a persona affaticata e stanca.

La morte di suo figlio le aveva tolto ogni gioia, non si dava pace per quel terribile gesto e, forse, se ne dava la colpa.

Aveva smesso di curare il suo aspetto, non partecipava né organizzava più cene con gli amici, anche giocare a golf stava perdendo importanza.

Io ero paralizzata dallo shock, non sapevo come affrontare il mio di dolore, quindi non ero in grado di aiutarla ad affrontare il suo.

Le stavo accanto, cercavo di distrarla, la aiutavo nelle faccende domestiche, la coinvolgevo in ciò che studiavo ma vedevo che il suo sguardo era diverso, che il suo pensiero era sempre là, a quel giorno, all’immagine di mio zio.

La malattia se la portò via.

Nei miei sogni la sua casa è ancora arredata, e dalla cucina arriva qualche buon odorino. Entro in casa e penso: nonna sei ancora qui, allora è stato solo un brutto incubo!

Ci sediamo in cucina e chiacchieriamo davanti ad un caffè, sgranocchiando quei biscottini alla cannella che le piacevano tanto.

(storia di mia nonna by Alessandra Kaiser 2014)

oil sea side

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GianniCanaliOil

la vita viene dall’acqua

siamo creature venute dal mare

viviamo in terre emerse dalle acque

il mare nostrum, il mar mediterraneo, culla della civiltà,

è tra i mari più inquinati del mondo

le petroliere scaricano “normalmente” mezzo milione di tonnellate di petrolio ogni anno solo per pulire le cisterne

sapere certe cose, ti permette di vederle

un mare di petrolio

quel giorno vedevo un mare di petrolio

e persone in allegria, felici di entrare in questo mare

ma scherzare con l’acqua,

o con la terra, o con l’aria,

è come scherzare col fuoco.

(mostra fotografica OIL, dal 19 marzo all’enoteca Zanini, Borgo S.Caterina)

photo by Gianni Canali   http://giannicanali.com/

il brivido

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GRemuzziBrivido2

agli antipodi della pubblicità, case history sperimentale: la cover story  di un’impresa marmi e graniti (Remuzzi) metaforizzata nella genesi di un’opera marmorea e sintetizzata come stringa-divertissment linguistico in 60 pietre scagliate come fossero parole “a dimostrazione che le pietre parlano” (60 vocaboli su 75 sono denominazioni tecniche dotate di senso specifico per addetti ai lavori settore marmi, graniti, onici, pietre dure, etc):

Estate 1940, lido di Venezia

in posa serena e basaltina sull’arenaria

il corpo arabescato dal sole e perlato d’un velo di sudore

sorseggiando un jaspè all’arancio di jerusalem

la modella osserva il maestro tutto serizzo e statuario

nel rigato grigio spazzolato d’alta levigatura

con quel contegno repen sived da nembro accademico.

Uno zandobbio l’assale: che l’uomo sia porfido, porfiroide?

O è in penice d’amor e d’umor nero?

Qualcosa le va di travertino nella trachite, nella calacatta,

forse un cipollino marinace o un peperino cardoso,

il viso si fa rosa, rosso, multicolor, la beola fiammata,

e un attacco di quarzite, fors’anche di sienite!

Lui le offre prima un’aurisina con un teakwood freddo al fior di pesco,

poi miele e asiago con un botticino di vino verde del portogallo.

Fatta breccia, pomiciata, tutta gaia e piasentina,

e lui in levanto come un empreador del gran violè,

scalpellatura a spacco e bocciardatura senza macchia,

e alla prima luserna dell’aurora, ecco il brivido:

santa fiora, è fantastico!

(testo by Leonidas Calepinus, titolo originale “sexaginta saxa pro brivido uno”,

Imago: Il brivido, opera di Gianni Remuzzi, marmo, particolare, esposta alla XXII Biennale di Venezia, 1940. La modella dell’opera divenne in seguito la moglie dello scultore.)

il padrino risponde all’invito del santo padre

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marlon-brando-giulio-cesare-oratore

avvertenza: questo testo è opera di fantasia, tratto dalla sceneggiatura di un film di prossima realizzazione, nel quale un grande boss di mafia si rivolge al Santo Padre. 

«Caro Francesco, mi inviti ad accogliere la parola di Dio, ad aprire il cuore… ed io sento la forza della tua richiesta, e il suo vero senso oltre la facile retorica mediatica: il ritorno alle origini, alla missione sociale da cui nasce la mafia»

«Tu punti il dito su quel che è oggi la mafia, ma devi considerare la sua radice storica, e il suo sviluppo nell’Italia di oggi, se vuoi capire come e perchè la mafia potrebbe convertirsi, se davvero vuoi che qualcosa possa cambiare…

Quel che ci portiamo dentro, noi siciliani, è la nostalgia dell’età dell’oro, quando tutto era in armonia tra gli uomini e la natura, e l’ozio era l’espressione suprema dell’arte di vivere, quasi una forma di vita religiosa»

«Per sopportare le invasioni, le diverse culture, abbiamo un’anima tenace, capace di resistere passivamente nei secoli, e conservare un nocciolo divino intangibile, barbarico, violento, primitivo»

«La questione meridionale è connaturata all’Unità d’Italia: quando nel 1860 vennero i piemontesi promettendo la distribuzione della terra ai contadini, per poi invece vendere quelle terre, che erano comuni, a quegli stessi baroni latifondisti che rappresentavano la zavorra secolare dell’isola…

allora il sentimento popolare si rivoltò al nuovo stato… quando poi fu stabilita la leva militare obbligatoria, che sotto i Borboni non esisteva, e i capifamiglia furono mandati a “servire la patria” con ferma di cinque e anche sette anni, costretti ad abbandonare il podere, e a vedere le proprie mogli e i propri figli ridotti a fare i braccianti a giornata, con paghe e trattamento da schiavi, per i grandi latifondisti, come servi della gleba, anziché lavorare il proprio appezzamento e realizzare il sogno di ogni contadino, la piccola proprietà, ebbene, allora il futuro del sud Italia era già scritto…

per 15 anni una guerra civile, che sui libri di storia è liquidata come “brigantaggio”, incendiò l’isola, con centinaia di migliaia di morti, ed esecuzioni sommarie, interi villaggi rasi al suolo dall’esercito, deportazioni, impiccagioni esemplari, fucilazioni di massa nelle piazze… »

«Stroncato nel sangue il “brigantaggio”, cioè la rivolta in armi, ecco un nuovo atteggiamento, di rifiuto, dettato dalla fierezza…

la mafia in Sicilia nacque allora, come la ‘ndrangheta in Calabria e la camorra in Campania, come forma di resistenza passiva agli “invasori”, proprio come in seguito farà Gandhi in India contro gli inglesi…»

«Per questo la mafia è così radicata, per questo la mafia e le famiglie, e non le istituzioni o lo stato, hanno il consenso e l’identità storica dei siciliani»

«La famiglia è la base della mafia. Anche al nord vige la mafia, soltanto che la famiglia è più ristretta. Ogni piccola impresa del nord, ogni piccola bottega, artigiano, è un’impresa basata su fedeltà, sacrificio e vincolo di sangue, tacito patto d’onore, e d’amore, tra padri e figli, e tra fratelli… »

«Poi venne il fascismo, e il fascismo, anche secondo i libri di storia “antifascisti”, stroncò la mafia col pugno di ferro…

ma se alziamo lo sguardo vediamo che in realtà il fascismo non eliminò, ma subentrò alla mafia, essendo l’apoteosi del sistema mafioso, la nazione un’unica grande famiglia, la famiglia italiana, totalitaria, con il duce che è il padrino della patria…

e lo stesso sistema, se guarda oltre le apparenze e le ideologie di facciata, è stato quello sovietico…

Stalin aveva più cose in comune con Don Vito  Corleone, che con Togliatti… »

«Il crollo del fascismo non fu il crollo della mafia, al contrario, la mafia rientrò in Sicilia dall’America, grazie a voi…

lo sbarco in Sicilia degli americani fu organizzato dalla mafia siciliana di Nuova York, questo si sa, e già due mesi dopo l’occupazione americana tutti i vecchi capiclan erano diventati prefetti… »

«Ed ora ascoltami bene, Santo Padre: con la repubblica italiana, nel dopoguerra, la mafia cambia anima…

c’è un romanzo del grande Malaparte, “la pelle” si intitola, o forse “kaputt”, dove dice proprio questo: gli americani pareva portassero cioccolato e sigarette, birra e carne in scatola, e invece portavano la peste…

la peste si diffuse in tutto il sud…

la “peste” è l’economia monetaria, il meccanismo del guadagno, del fare soldi, del vendere tutto, anche l’anima, pur di fare soldi…

oggi si chiama marketing, Malaparte lo chiamava la peste… »

«Per fare soldi, la mafia divenne il socio occulto dello stato italiano, si vendette come una donna di strada, in cambio di soldi e favori, e parlo di favori come  la cassa del mezzogiorno e gli impieghi statali distribuiti come “regalie”…

la mafia offrì il suo consenso, e cioè il voto dei siciliani, a deputati e partiti di governo, che poi restituivano alla Sicilia opere pubbliche, cioè finanziamenti, e posti di lavoro, cioè stipendi… intere regioni divennero così stabilmente zavorre passive, dove la legalità è un’apparenza, e il vincolo mafioso la vera struttura sociale, dal capoclan ai picciotto, dal sindaco allo spazzino…»

«E così, risolto il problema del pane grazie al tacito accordo con lo stato, la mafia si è potuta dedicare a business di grado più evoluto…

per una società sazia e bisognosa di distrazioni, come ormai era l’Italia del boom economico…

ed ecco il mercato della droga, della prostituzione e del gioco d’azzardo…

e il mercato nero, niente leggi, niente tasse…

oggi queste attività costituiscono il 30% del prodotto interno del nostro Paese, e tengono in piedi il sistema, per questo il gioco d’azzardo è ormai legale, e controllato dai monopoli di stato…

e non solo il gioco d’azzardo»

«Oggi noi abbiamo raccolto i frutti di decenni di attività criminose di ogni tipo, abbiamo concentrato proprietà, partecipazioni e profitti…

abbiamo ripulito le nostre fosse, le nostre acque nere allacciandoci all’acquedotto, facendo passare i denari nelle banche per poi riversarli nell’economia legale, nelle grandi imprese del nord…

nella moda, nelle telecomunicazioni, nell’industria del mobile, nella grande distribuzione…»

«Un grande, lungo cammino, da mio nonno, che fu “brigante”, a mio padre, che fu “caporale”, a me, che sono “imprenditore”…

poi penso a mia figlia, ai nipoti…

e allora mi guardo intorno, e quello che vedo sono giovani allo sbando, senza futuro, e famiglie distrutte, e monumenti in rovina, e campi abbandonati, terre inquinate, e ovunque persone senza speranza, e senza grazia, senza fierezza, e pure senza umiltà…

la peste è ormai penetrata nella pelle, nel sangue, nell’aria che respiriamo»

«Siamo nati centocinquant’anni fa con il nobile intento di ogni criminale gentiluomo, rubare ai ricchi per dare ai poveri, difendere i deboli, le donne, i fanciulli dalle sopraffazioni del potere costituito…

una lunga strada è stata percorsa… e oggi siamo diventati noi stessi il potere costituito, il moloch, il mostruoso leviathano che si nutre del sangue dei suoi figli…»

«Mia figlia è sempre stata la mia spina nel cuore…

il suo rifiuto a riconoscermi, il disprezzo, forse anche l’odio verso di me, fin da bambina, quando pretendeva di avere gli stessi diritti dei maschi… »

«Per la prima volta da decenni, in questi giorni, sono riuscito ad abbracciare mia figlia, e lei finalmente è riuscita a parlarmi, ed io ad ascoltarla, nel rispetto, senza astio, senza rancore…

e parlando con mia figlia, e guardando a me stesso, a quello che rappresento, che ho fatto, agli interessi che servo mi sono visto per quello che sono…

io sono un morto che cammina, Santo Padre»

«L’ultima fase del programma della lavatrice, per avere il pulito più pulito del pulito, prevede l’eliminazione del padrino, proprio l’eliminazione fisica, il padrino nella mafia evoluta deve scomparire, essere eliminato, come una macchia di sporco… »

«Lei forse conosce il nostro grande commediografo, premio Nobel, che pure in America riscosse grande successo, Luigi Pirandello, il cantore dell’assurdo, e del gioco delle parti…

c’è una sua famosa novella, “Il fu Mattia Pascal”, che racconta di quest’uomo che andò al proprio funerale, e offre una grande lezione: si può cambiare vita; ma soltanto se si cambia identità»

«Ebbene, ho stabilito che fare, come spendere quel che resta della mia vita, e come usare le mie ricchezze e il mio potere o una parte importante di essi. La spinta, me l’ha data mia figlia, dicendomi, chiedendomi, un giorno: “papà,  se tu fossi un ragazzino affamato del terzo mondo, qual è la mafia che vorresti?” E si riferiva all’aspetto nobile di quella parola, alla voglia di giustizia e bene che l’avevano ispirata alle origini…

ci ho pensato molto e allora mi è venuto in mente il Mattia Pascal, Intendo fare proprio come lui: da un lato, morire; dall’altro, rivivere»

«Sarò a capo di una gigantesca operazione, senza nome, senza identità, una nuova pagina, un modo futuro di riprendere l’antica missione: rubare ai ricchi, per distribuire ai poveri»

«Oggi questo significa, caro Francesco, organizzare su scala globale una nuova mafia sovversiva, radicale, terzomondista, con l’alleanza tra gli hacker, giovani americani ed europei esperti nel furto informatico, che sono i nostri nuovi “picciotti”; e i programmatori e i produttori di software, che sono i nostri “fattori”; per servire sottocosto i governi dei paesi poveri, cioè tutti i paesi del mondo esclusi i G8, nonché le grandi masse dei poveri del mondo, cioè i 3/4 dell’umanità.

Potremo dare telefonia gratuita, internet gratuito, medicinali e cure a costi reali, così come tutte le più importanti tecnologie per risolvere il problema alimentare e al contempo preservare le risorse della terra… è questo il rubare ai ricchi per dare ai poveri del futuro…

Una grande impresa di contraffazione informatica, caro Francesco, è la chiave di volta per cambiare il mondo, e salvare il pianeta dal collasso sociale-finanziario-ecologico, mi creda, glielo dice un lettore affezionato del Gattopardo che giunto a 83 anni d’età ha improvvisamente voglia di gettare quel libro, per iniziarne uno nuovo, con un nuovo finale, smascherando e gettando a mare i tanti, troppi Quaqquaraquà che parlano, promettono, dibattono e mandano il mondo sempre più a fondo…»

«Gli americani impazziranno, le major dell’informatica, della farmaceutica, della chimica alimentare, le grandi banche d’affari, le grandi multinazionali saranno i nostri nemici mortali: ma noi non esisteremo, saremo ovunque, con mille identità virtuali…

useremo la gigantesca rete social marketing, face book, google e tutte le piattaforme al servizio del marketing dei grandi gruppi per sovvertire ogni cosa…

il rispetto del copyright, con l’informatica, è una barzelletta, nemmeno con un miliardo di poliziotti in rete riusciranno a fermare i nostri contrabbandieri, se questi agiranno in modo coordinato…»

«In realtà c’è già tutto, ci sono i pirati del web in grado di rubare ogni cosa su commissione, ci sono i clienti, ci sono i prodotti da rubare…quello che manca è l’organizzazione, la struttura, l’impresa: ecco cosa può dare la mafia al terzo mondo, l’organizzazione scientifica del crimine informatico di massa, ai danni dei grandi gruppi, il vertice di comando, la struttura operativa, pragmatica, pochi uomini, di tempra militare, e grandi risorse…»

«La mafia, caro Francesco, come sempre nei momenti di crisi, è l’unica impresa che fa investimenti»

«Un quaqquaraqua, un mezzo uomo, investe in beni immobili, in paradisi fiscali, si compra la casa a Dubai, a Montecarlo, ha un conto alle Caymans… il suo orizzonte è limitato ai suoi anni, a godere immediatamente agi e sicurezze… io voglio investire a 50 anni, a 100, nel terzo mondo…

io voglio rispondere alla domanda di mia figlia: quale mafia vorresti se fossi un ragazzino affamato del terzo mondo?»

«La prima missione che ho in mente, ridurrebbe la mortalità infantile in Tanzania, Mozambico, Ruanda e Burundi del 70% in due anni. Si tratta di rubare i brevetti di una lista di medicinali e tecnologie da produrre poi clandestinamente su vasta scala e distribuire ai paesi suddetti.

Ho pensato di cominciare la guerra alle multinazionale dai medicinali, per avere il consenso dell’opinione pubblica. Subito dopo, il grande sabotaggio riguarderà il pane, le colture alimentari, le sementi che i grandi gruppi hanno monopolizzato e fatto proprie come diritti regali, mentre sono beni del Signore, e dunque di tutti gli uomini…

che dici, Francesco, ti pare cosa buona e giusta? Chi altri potrà combattere lo strapotere demoniaco delle grandi multinazionali, se non la mafia? O davvero preferisci che ciascuno di noi si limiti a occuparsi della salvezza della propria anima?»

(Imago: Marlon Brando interpreta Giulio Cesare)

 

bergamo terrazza dell’umanità

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BGterrazzaUmanità

bergamo terrazza dell’umanità significa comprendere e valorizzare la vera risorsa, il vero cuore della città d’arte sostenibile,

lo spettacolare  scenario delle mura venete, assurdamente inutilmente dannosamente utilizzate come strada asfaltata,

sacrificando così, per il privilegio di 1000 mezzi meccanici, la possibilità d’incantare 100.000 esseri umani,

e innescare una rivoluzione di benessere diffuso:

via l’asfalto dal viale delle mura, via le auto, una grande terrazza-parco piena di vita, persone, tavolini, bancarelle, spettacoli, botteghe,

una terrazza sull’umanità, attrazione incantata, città sospesa, completamente senz’auto, come una venezia di terraferma,

un nuovo volto al segno matrice, una rivoluzione in 5 anni,

via il catrame, via i motori, via le telecamere, via i posti auto,

ripristino delle scalette, dei sentieri, dei fontanili, dei giardini,

apertura di punti d’accesso e risalita non invasivi, ascensori, scale mobili,

costruzione di uno scenario gioioso, attrattivo, fantastico, fatto di gazebo liberty, bancarelle mobili, teatrini erranti, localini, banchetti, arene, serre, ristorantini, verande,

il viale delle mura è il vero patrimonio, la vera sfida,

trasformarlo in un locus fantastique, il vero progetto, il vero futuro,

il cardine della città d’arte eco-sostenibile,

tutto quello che serve è immaginazione e coraggio, un certo coraggio,

e non sono certo le telecamere a dartelo: ma gli esempi, e la mente lucida.

Bilbao era una città morta, poi qualcuno ha avuto il coraggio di immaginare un grande museo d’arte contemporanea,

oggi Bilbao grazie a quel coraggio è diventata una fiorente capitale del turismo culturale, e tutti applaudono Bilbao, ma non basta, serve il coraggio di alzarsi e dire e dare la mossa logica: “le mura venete saranno il nostro guggenheim!”

(nota: città alta oggi ha 2.000 abitanti,  fino a non molti anni fa ne aveva 7.000, espulsi i residenti nativi, gli artigiani, le botteghe storiche,

inaccessibile economicamente per studenti, artisti, studiosi, musicisti,

il numero di seconde case è triplicato, sta diventando un borgo inanimato di case chiuse di lusso per vip col pass, è questa la vera zavorra che sta facendo affondare un patrimonio secolare,

è decisivo chiudere totalmente questo gioiello di città alle auto, unico modo per allontanare la zavorra, e aprirla totalmente all’umanità viaggiante, che non ambisce al possesso immobiliare ma a soggiornare, vivere, lavorare e creare benessere,

si, immaginiamo di creare 5000 posti di lavoro in città alta, non all’oriocenterport, e altrettanti posti letto per chi vuole lavorare, studiare, soggiornare o vacanzare in una città d’arte modello, in una vera isola pedonale, senza macchine, piena di gente viva, non di case morte, che è un’altra vita)

 

loqui vel ipsa saxa docet

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AmbrogioDaCalepio

oggi usiamo google e wikipedia,

ieri usavamo l’enciclopedia,

ma per tre secoli, dall’invenzione della stampa fino a ieri, letterati, ricercatori e scrittori di tutto il mondo hanno usato il Calepino,

ossia il vocabolario, il libro più stampato dopo la bibbia, che prende nome dal suo inventore, il frate bergamasco Ambrogio da Calepio,

uno che nell’aldilà dà del tu ai giganti della comunicazione di ogni epoca, Gutenberg, D’Alembert e Steve Jobs,

uno che ha capito nel 1500 l’importanza del link, cioè dell’agganciare tra loro in una rete  parole di lingue diverse e significato comune, il precursore del web, il padre della comunicazione,

per la prima volta, grazie al Calepino, il popolino illetterato poteva capire il Latinorum usato da papi e imperatori per imporre leggi astruse,

omaggiato nei secoli da autori di ogni tipo e cultura come Rabelais, Giordano Bruno, Luigi Pirandello e molti altri che gli hanno dedicato parole solenni,

un genio che ha passato tutta la vita lavorando alla sua creazione, nel convento di Sant’Agostino, a Bergamo, dove è sepolto senza alcuna lapide, senza alcuna targa, nell’ignoranza totale dei suoi concittadini,

un’iscrizione sepolcrale mai realizzata, tramandata a memoria, recita:

SEPULCRALEM HUNC LAPIDEM QUISQUIS OFFENDIS

VOCALEM ESSE NE STUPEAS LOQUI VEL IPSA SAXA DOCET

PER QUEM LITERAE VIVUNT AMBROSIUS CALEPINUS

o tu, chiunque tu sia, che ti imbatti in questa pietra sepolcrale,

non ti meravigliare che sia dotata di voce: persino ai sassi insegna a parlare

Ambrogio da Calepio, grazie al quale la cultura letteraria è viva.

Post Scriptum: Ambrogio da Calepio è un gigante che poteva da solo sostenere la candidatura di Bergamo a capitale della cultura, ma evidentemente nel team Sartirani-Olivares non sanno nemmeno chi sia, e infatti il suo nome non è mai apparso nelle varie gallery e totem di  bergamaschi illustri scelti a testimonial dal comitato.

Commento Calepio Press sul comitato Bg2019: #pensacheignoranza

(Calepio Press est 1504 nel nome e nello spirito di Ambrogio da Calepio: Press, prima che inglese, è abbrev. latina di pressio, pressionis, il gesto dello stampatore sul torchio, a creare impressiones)

Imago: A. da Calepio svegliatosi nella tomba viola di rabbia alla notizia che in un museo cittadino le didascalie sono state sostituite da astrusi codici QR

madalina è stata uccisa 2 volte

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madalina2

madalina palade, in foto, la ragazza rumena assassinata a Cene (Bg) è stata uccisa 2 volte:

la prima, domenica 9 marzo, a bottigliate in faccia da un violento recidivo  legalmente in libertà, nativo e residente in valle

la seconda dopo 7 giorni, domenica 16 marzo, a pugnalate nel cuore da tutta la valle

e con il contributo decisivo del quotidiano cittadino, L’Eco di Bergamo, che in apertura a tutta pagina titolava: SICUREZZA, LA VAL SERIANA SI MOBILITA,

e tu pensi si riferisca all’assassinio di Madalina, ma leggendo l’articolo scopri che solo e soltanto di furti nelle case si parla, di Madalina non si fa parola, tutta la valle si è mobilitata per i furti nelle case, migliaia di firme, lettere al ministro perchè mandi più poliziotti,

ma a Maddalena hanno rubato la vita, non ha a che fare questo con la sicurezza?

mettetevi nei panni di un rumeno che legge l’eco di bergamo.

non c’è da vergognarsi, valseriana, eco di bergamo?

le mani e la terra

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Questi ragazzi sanno fare tutto col dito, col telefonino, con le app, ma senza l’energia, con le mani, non sanno fare niente,

i ragazzi vogliono roba di plastica, elettronica, la terra non gli dice niente, non hanno nemmeno i piedi per terra, figurati metterci le mani.

La prima volta che ho messo le mani nella terra ci sono nato,

mio nonno era ceramista, mio padre sculture, io sono vasaio,

ho imparato, ho anche insegnato, ceramica, tornio,

adesso ti dico che non funziona più, la gente non ne vuole più,

il mio primo vaso è stato fantastico, cominciato col tornio a pedale, a spinta, adesso usano quello elettrico, ma la tecnica vera è a pedale,

nessuno mi sta dietro al tornio a pedale, sono veramente bravo, posso sfidare chiunque,

qualsiasi cosa facevo, potevo creare albarelli da farmacia perfetti, oppure si facevano delle stufe, la ceramica è incredibile, il segreto è l’impasto della terra, con le mani,

perchè se lasci dentro le bolle è finita, quando usi l’argilla senti il mondo in mano, perché puoi modellare quello che vuoi, io lo modello , io lo faccio, tu mi dici fammi questo, io lo faccio, vuoi una biscottiera con due animaletti, sopra, facciamoli, quello che vuoi, ti dò il mondo, io ti faccio tutto, dal precolombiano al bauhaus, la ceramica è la creatività totale.

Ti rifaccio da capo il vecchio salvadanaio, maialino, ippopotamo, quello vero, che devi spaccarlo per aprirlo, se vuoi.

Ho avuto la bottega, poi l’ho mollata, la cosa è cambiata davvero dieci anni fa, oggi è tutto cambiato.

Fare altro non posso, devo fare quello, creare con la terra, è il mio mestiere.

Però quando ho cominciato a insegnare ho cambiato la vita ai miei allievi, mi hanno ringraziato, ”sei un angelo” mi hanno detto, l’hanno capito, un pezzo unico ti permette di esprimerti, ti riporta alle basi della vita, creare con le tue mani.

(racconto tratto da “Shakespeare in Elav” published 2014 by Calepio Press -CTRL con contributo birrificio Elav, storie raccolte in modalità Pub Writer davanti a una birra)