una storia ben architettata

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crespi workshop ark + photo/writing – Gamec / 19 giugno 2015 h16.00

L’architetto è interessato allo spazio architettonico come scenario di comunicazione umana;  e ha sempre bisogno di immagini, e di testi, per raccontare il “progetto”.

Un architetto sa immaginare relazioni umane nello spazio costruito (interni/esterni) deve cioè essere in grado di comporre foto-romanzi

Abbiamo a disposizione uno scenario (villaggio operaio crespi d’adda) per creare piccoli racconti testo e immagine, fotoromanzi, ideati e realizzati da coppie creative (fotografo e modello) composte da architetti.

il fotoromanzo nasce come riduzione cinematografica, versione cartacea, stampata, di scene clou di grandi film, di fatto è il film del film, il film povero, per chi non poteva permettersi il biglietto del cinema,

nella nostra testa, sia a livello di aspettativa che di ricordo, conservazione delle esperienze, degli incontri, noi ragioniamo in termini di fotoromanzo, di cinematografia compressa, noi ricordiamo o immaginiamo scene da fotoromanzo, dove un personaggio in uno spazio dice, pensa o ascolta una frase, un contenuto di comunicazione,

ricordiamo qualcuno che dice qualcosa, immaginiamo qualcuno che fa qualcosa,

il fotoromanzo è un format elementare, sintetico, chiaro, e l’unione dei due strumenti base di comunicazione, parola e immagine;

la base del fotoromanzo sono personaggi o anche uno solo che si rivolge all’altro, al lettore; questo personaggio agisce/appare in tre tagli (primo piano, mezzobusto, figura intera) e si colloca in spazi molto normali e urbani: casa, lavoro, per strada, al ristorante/bar, in auto.

il fotoromanzo è ovunque ci sia una descrizione in immagini e parole, ma la parola fotoromanzo è tabù: un servizio di moda è un fotoromanzo senza storia, i blog sono fotoromanzi senza carta,  i giornali on line sono fotoromanzi-verità,

il primo libro stampato, la cosiddetta bibbia dei poveri, testo e immagine fianco a fianco, era già un fotoromanzo; le immaginette (icone+vite dei santi) sono moduli base di fotoromanzo;

il fotoromanzo è tabù in quanto aborrito sia dai romanzieri che dai fotografi, che nel binomio temono l’impoverimento della potenza espressiva del singolo linguaggio, parola o immagine:  in realtà questo atteggiamento indica mancanza di umiltà e di sintonia con il lettore/fruitore,

il fotoromanzo è un linguaggio semplice, ma non è facile fare le cose semplici, è richiesta capacità di mediazione, incontro tra le differenze,

per superare il tabù, la paura del kitch (che spesso è una paura del pop e del proletariato)  possiamo chiamarlo photo-graphic novel, e definire come photo-writing l’attività del fotoromanziere, o meglio ancora propongo di chiamarlo psico/fotoromanzo,

lo psico fotoromanzo è quello che ci facciamo in testa prima, durante e dopo le nostre esperienze esistenziali quotidiane (al bar, per strada, parlando con qualcuno, pensando)

testo e immagine possono avere tanti rapporti quanto quelli che si possono avere tra due amanti; rifiuto, corteggiamento, conquista, sottomissione, fuga, ribaltamento, amplesso, compenetrazione, alienazione,  distacco,

lo psico fotoromanzo è sempre una storia  erotica, quale che sia il tema, con un’aspettativa, uno sviluppo, un climax e uno scioglimento, in questo percorso testo e immagine prendono senso:  una storia con una durata fisiologica minima e massima, che ricalca, compressa in scatti, lo svolgimento di un film,

a Crespi vogliamo realizzare un fotoromanzo corto, che è come un corto cinematografico,

parliamo di16 pagine, con un minimo di 8 scatti e un massimo di 32, impaginati in una gabbia molto semplice, che prevede immagini doppia pagina, a pagina intera, a mezza pagina, e ad ogni immagine una dida-testo di 100-300 battute, per un totale di 1500/3000

per questo esercizio di photo-writing prevediamo un titolo seriale:

una storia architettatagenere: psico fotoromanzo corto (16 pag, 8-32 immagini),

formato: pocket (misura della pag: A5 >15×20)

ambientazione: villaggio operaio di crespi, in funzione di location, scenografia o foto-modello spaziale/architettonico > il paesaggio/ambiente come personaggio che reagisce con il personaggio umano  > il personaggio umano: è il narratore,  questo narratore modello cammina, si ferma, guarda, indica, tocca e di fatto pensa e/o racconta una storia

taglio dell’immagine: verticale (a tutta pagina) orizzontale (a mezza pag, o doppia pagina)

lettering: solo dida al piede, no nuvolette, 100/300 caratteri, testo tot 2/3000 caratteri

qui sotto 4 format “variazioni sul villaggio”, 4 “personal village”, 1 tema libero, 1 archi-testo.

VARIAZIONI VILLAGE

1) il villaggio operaio – viaggio nell’architettura paternalista

modus: testo di critica sociale/storia dell’architettura relativo al concept “villaggio operaio” – genere docu/fotoromanzo – è il format basic, referenziale, dove il villaggio operaio rappresenta sé stesso ed è tema del racconto.

2) il villaggio turistico – racconto di una vacanza organizzata

modus: controcanto al villaggio operaio (luogo di produzione, epoca industriale) il villaggio turistico (luogo di consumo, società dello spettacolo) è il racconto di una vacanza organizzata, delle attività e dei momenti del villaggio turistico raccontati per contrasto o metafora con gli ambienti fotografati

3) il villaggio/outlet centro commerciale – cronaca di un giorno di shopping.

protagonista è la merce, ritualità dell’esperienza shopping, interpretazione dei luoghi/funzione (parcheggio outlet > cimitero villaggio;  insegne/totem adv > chiesa; area vendita > opificio; galleria commerciale > viale centrale)

4) il borgo feudale, curtense, la comunità chiusa, autosufficiente, il villaggio agricolo sostenibile, antesignano del km0 > signore, castello, chiesa, contado, racconto delle relazioni economiche e umane all’interno di un sistema feudale chiuso/gerarchico > in opposizione al villaggio globale aperto/demagogico.

PERSONAL VILLAGE

5) storia di mio nonno/a

modus: scrivere la storia del proprio nonno/a in 2/3000 battute

quindi dividere il testo in 10/30 blocchi e scattare altrettante immagini usando lo scenario Crespi come  foto-modello architettonico nel quale la persona “racconta” la storia del nonno, calata nelle ambientazioni/quinte dello scenario (chiesa > nascita/matrimonio;  scuole – infanzia/apprendimento; opificio > lavoro; case d’abitazione > famiglia; cimitero > morte, mancanza, memoria) > in alternativa, ricerca nell’archivio storico del villaggio, ricostruzione di una storia anonima o ripresa di una storia nota (es: storia del fondatore, storia dell’omicidio/suicidio di Bambina Minelli, etc)

6) il mio paese – descrizione di come era il mio paese

racconto del proprio paese d’origine, racconto topografico e sociologico, usando il villaggio operaio come scenografia simbolica, luoghi e funzioni.

7) la mia casa – ti racconto cosa significa la mia casa, un villaggio fatto di stanze, racconto d’architettura d’interni privata/contemporanea fatto in esterni d’epoca industry

8) Il mio inconscio – la mia psiche è un villaggio d’altri tempi, valori, paure, ricordi, aspettative, sogni, pulsioni ambientate negli spazi/funzioni archeo-industriali

TEMA LIBERO

9) storia libera storia libera d’amore, di vita, di viaggio, psicologica, surreale, etc: racconto breve (2/3000 battute) illustrato/pensato/letto/proiettato nel contesto Crespi

ARCHI-TESTO

10) archi-testo – scelta di un brano 2/3000 battute da un grande maestro, teorico, architetto (o collage citazioni da più autori) e sua versione/scansione foto romanzata.

(photo da  http://www.fotocommunity.it/fotografa/giovanna-s/1064469 )

 

Baleri non è ieri

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Baleri Ho conosciuto Enrico Baleri un pomeriggio d’estate dei primi anni Ottanta, nella sua cascina bianca di via dell’Allegrezza sui colli di Bergamo: allora, mi dice subito, tu vuoi scrivere, sì, bene, ascolta, Philippe ha disegnato questo tavolo che io produrrò, tu invece adesso mi scrivi un testo su questo tavolo, ti siedi a questo tavolo e scrivi un testo sul tavolo, un testo poetico a proposito del tavolo, se ti piace l’idea, e se vuoi sapere qualcosa sul tavolo chiedi a Philippe, tu lo parli il francese, no?

Il Philippe in questione era Philippe Starck quando ancora non era Philippe Starck. Io ero il direttore, fondatore e redattore unico del giornalino del liceo Bergamo bene. Avevo dieci in italiano, e sedici anni. Una ragazzina nell’intervallo mi aveva detto che suo padre, Enrico Baleri, aveva letto i miei articoli e voleva conoscermi.  Adesso avevo davanti questo re vichingo che mi diceva: dai, scrivi, fammi vedere cosa sai fare, a me serve un copywriter che scriva di design, ma non il solito copywriter, vuoi qualcosa da bere, un caffè?

Baleri fa così, ti chiama e butta lì la palla. Baleri in realtà vuole giocare. Il suo marchio è un gallo rosso, il suo slogan “mobili in festa”. Che tu sia un geometra neo-diplomato di 20 anni o un archistar mondiale di 80 anni per lui non cambia, ti tratta allo stesso modo,  butta lì la palla, e ti mette comunque in moto. Baleri vi chiederà sempre tutto e subito, e vi tratterà, anche duramente, come se voi foste dei geni creativi, e parecchi, in questo modo, lo sono diventati davvero.

Imprenditore, designer, catalizzatore, motivatore, comunicatore, affabulatore, ha fatto ricerca, cultura, impresa, business, ha creato gruppi, società, aziende, fondazioni, ha formato designer, architetti, grafici, critici, imprenditori, ha lavorato con fotografi, musicisti, artisti, intellettuali, accademici, industriali, registi, artigiani, tecnici, informatici, soprintendenti, direttori marketing, stilisti, ricercatori, teologi, chimici, vetrai, filosofi.  Ha creato oggetti, eventi, messaggi, e tutto questo sempre con qualcuno, soci, amici, nemici, grandi maestri, giovani promesse.

Chiunque sia entrato in contatto con Baleri sa che ci sono due Baleri. Uno è il Baleri bianco, giovanile e swing, socratico e affabulatore,  l’altro è il Baleri nero, asperrimo e crudele, ferale e ieratico. Il Baleri bianco lavora sull’amore che l’allievo nutre per il maestro. Il Baleri nero invece si basa sull’odio, sul desiderio che il figlio ha di uccidere il padre, il padrone, il patrigno, l’orco, il tiranno. Il risultato non cambia.

Quando Baleri è tetro, quando Baleri è gelido, in configurazione severità e rigore, è un re shakesperiano, fa davvero paura, ci sono nel mondo decine di segretarie e di designer che hanno superato le loro paure ancestrali superando la paura del Baleri nero. Quando ti ritrovi col Baleri nero in una stanza interamente bianca con i tavoli di vetro e le sedie grigie hai anche il terrore di aver sbagliato il colore delle scarpe.

Sono passati più di 30 anni dal nostro primo incontro. Ha un piede ingessato,  e lo sguardo indignato dell’Achille vulnerato. E’ successo giocando a golf, ammette. Come non pensare a MrBean che inciampa nella buca?

Baleri ti mette di buonumore anche involontariamente. C’è sempre in Baleri una riemersione del comico e del goliardico, anche in pieno registro tragico o drammatico, anche quando recita la parte del demolitore critico o dell’imprenditore furioso, c’è sotto il Baleri bianco, quello che vuole giocare con tutti, che preme e spinge, e fa scherzi.

Se guardi bene, Baleri ha sempre un piede ingessato, la pancia che gorgoglia, qualcosa di suo che non gli va giù, un problema, un’ansia, un handicap di cui lui è consapevole, e per il quale ti chiede con forza d’intervenire. In questo domandare Baleri rivela la sua umanità. Baleri chiede idee, chiede il nuovo e chiede l’eterno.  Con la forza, la caratura di queste richieste, gli è un poi gioco chiedere soldi per realizzarle.

Baleri è un uomo capace di infiammare insieme chi progetta e chi produce, soggetti che solitamente non comunicano, e riesce a fare questo perché ha una visione integrata delle due fasi, e questa visione gli viene dall’aver vissuto in ogni modo la terza fase, quella di chi vende. E dopo che il Baleri bianco ti ha fecondato, arriva il Baleri nero, quello che sa trovare i difetti, e ti costringe a rimediare, a ricreare, per passare dal progetto perfetto sulla carta al prodotto perfetto nei negozi.

Collaborazioni, incontri e scontri con Baleri a proposito di idee, progetti, diritti o soldi, sono sempre e comunque inquadrati dalla legge unica Baleri, e la legge Baleri è questa: nessuno ha rapporti sereni e continuativi con Baleri, ma tutti con Baleri hanno prima o poi innamoramenti intensi. Non si escludono separazioni brusche, né innamoramenti successivi, questo anche ripetutamente, nel tempo, come certi amori, certe attrazioni/repulsioni tecnicamente sporadiche, in realtà eterne.

(photo, al centro, Enrico Baleri) 

Toga Nera vs Mulino Bianco

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imgcopia(6559)

Cercasi principe del foro per fottere in modo esemplare una multinazionale con un sillogismo; il sillogismo è questo:

a)    tutti noi, signor giudice, abbiamo ben presente la normativa”sanitaria” per cui è vietata nelle scuole e negli asili la somministrazione di alimenti fatti in casa;

b)    tutti noi, signor giudice, vediamo questi spot dove il buon Banderas è testimonial di una grande multinazionale di prodotti da forno che vengono spacciati come fatti in casa, come una volta;

c)    pertanto, signor giudice, chiediamo che sia vietato somministrare nelle scuole i prodotti di suddetta marca, in quanto fatti in casa, come una volta;

in subordine, se ammessi come non veritieri, che sia vietata la trasmissione di suddetti spot.

Al signor Banderas, che nella dichiarazione finale testimonia che la sua merendina è sempre soffice, ribatteremo: dura lex, sed lex!

multas per gentes

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Catullo

sembra il nome del gestionale dei vigili urbani, tot multe per tot gente,

invece è l’attacco struggente del grande lirico, modernissimo, come dicesse ho viaggiato attraverso persone, e popoli, multas per gentes, ma nullla, nessuno mi consola della tua morte, parliamo di Catullo, ripreso dal Foscolo (in morte del fratello),

me ne sto a prendere il sole alla villa di Catullo, Sirmione, in foto, immagino triremi romane sul Garda, e penso alle multe che danno a Bergamo, multas per gentes,

in ogni bar di Bergamo ho un informatore, le notizie sono da romanzo dell’assurdo, paradossali, mi segnalano  un bar che ha preso una multa da 1000 euro perché aveva la porta aperta (un bar con la porta aperta!);

mi segnalano un locale col permesso di fare musica sino alle h23.00, che ha ricevuto una multa alle h23.04;

la lista è lunghissima, nella gran parte si tratta di locali multati per schiamazzi, tu multi il bar perché uno fuori dal bar parla a voce troppo alta: sarebbe come multare le scuole perché fuori dalle scuole c’è gente ignorante, non finiresti più! Ti metti in via Angelo Mai e fai 2000 multe all’ora, multas per gentes…

Mi segnalano che il comune di Bergamo vuole raddoppiare gli introiti dalle multas per gentes, da 5 a 9 milioni l’anno,

quello che ti fa incazzare di queste multe è che stiamo ancora pagando come cittadini il parcheggio mai realizzato alla Fara, tu dimmi se pagheresti un disastro incompiuto, dovrebbe pagare chi ha fatto il disastro, no? Paghiamo noi cittadini, con i parchimetri, e quindi con le multe.

Un amico calabrese mi prende per il culo. Bergamo è la città con la più alta percentuale di multe pagate. Oltre il 90%. Reggio Calabria l’esatto contrario!

Sai questo cosa vuol dire? mi chiede l’amico. Facile. Perché paghi la multa? Perché non la paghi? A Reggio il 90% della gente è nella condizione del cane morto. A Bergamo solo il 10%. Il cane morto è un soggetto senza reddito, o senza proprietà, o indebitato a vita, o tutte e tre le cose insieme.

L’altra cosa che ti fa incazzare è che ti danno le multe come se fossero dei ladri, loro, i vigili, al volo te le danno. Io preferisco i vigili che vigilano entrando nei bar, bevendo anche loro, parlando con i baristi, con gli avventori, come il mitico vigile di città alta, con la sua azione vigila molto meglio dei vigili che fanno multe di rapina.

Ma adesso una sentenza che farà epoca ha dato ragione al senso comune, il bar non è responsabile degli schiamazzi fatti da gente fuori dal bar.

Intanto ricevo una telefonata, un’amica, bergamasca, donna bellissima, mi parla della sua situazione, è sola, ha un figlio di tre anni, il tizio è sparito, lei ha perso il lavoro, ha un gigantesco problema di salute, le hanno riconosciuto l’invalidità, non ha di che vivere, i servizi sociali del nostro Comune, della ricca Bergamo multas record, a questa invalida giovane madre sola bergamasca, hanno riconosciuto un assegno di sostegno di duecento ero: duecento euro l’anno!

La signora dei servizi sociali le ha detto testualmente: mi vergogno, ma è tutto quello che sono riuscita a farle avere.

Duecento euro. Una multa. Una madre invalida, senza reddito, e suo figlio, valgono come una multa per schiamazzi, un parcheggio sul marciapiede.

Allora io pagherei più volentieri la multa se sulla multa ci fosse scritto – non solo scritto! – questo multa serve a sostenere cittadini bisognosi: schiamazzi ai bambini poveri, guida in stato di ebbrezza agli invalidi,  divieti di sosta ai senza casa, et coetera, tutto documentato dal gestionale multas per gentes, grazie cittadino, con la tua multa abbiamo aiutato la tua concittadina in stato di bisogno.

(imago: Sirmione, villa di Catullo, multas per gentes)