librai indipendenti?

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fiera-librai-bg-16-apr-1-magLa locandina recita: “I librai indipendenti di Bergamo ospitano i vincitori dei premi Nobel, Campiello, Strega, Bancarella e Grinzane Cavour”.

Trovo questa frase tragicamente comica.  Compagni librai, qui la contraddizione è troppo marcata. Come fai nello stesso tempo a proclamarti indipendente e a vantarti di ospitare i vincitori dei premi di regime?

Il premio Nobel è il padre di ogni forma di lavaggio della coscienza collettiva, ma l’importo è talmente ingente che tutti ne dimenticano la provenienza.

I premi Campiello, Strega e Bancarella sono i più noti e istituzionalizzati premi letterari. Tra questi premi e le case editrici esistono gli stessi rapporti che esistono tra le case discografiche e i festival di Sanremo e simili.

Il premio Grinzane Cavour non esiste più dal 2009, quando è stato chiuso dalla magistratura e i beni sequestrati a causa dei comportamenti illeciti della presidenza, ovvero della gestione clientelare del premio stesso.

Allora, se questo è quello che fanno i librai indipendenti – ospitare i vincitori dei premi main stream, anche quelli andati a male – vuoi vedere che per trovare i nuovi autori, gli scrittori maledetti, le voci dissidenti, i sovversivi, gli esordienti, o anche solo gli autori “perdenti” dei grandi premi, devi andare nelle librerie coatte, di regime, dipendenti dalle multinazionali?

 

l’anno del giardiniere

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So che ci sono molte belle professioni, per esempio scrivere sui giornali,, votare in parlamento, sedere in un consiglio d’amministrazione oppure firmare scartoffie d’ufficio, ma quantunque tutto questo sia bello e meritorio, nello svolgere queste professioni, l’uomo non fa quella figura e non ha quella postura così  monumentale, plastica e chiaramente statuaria che ha l’uomo con la vanga.

Signore, quando sta così sulla sua aiuola, con una gamba appoggiata alla vanga, asciugandosi il sudore e dicendo “Ah!” , allora sembra proprio una statua allegorica; basterebbe scavarla con attenzione, estrarla con tutte le radici e metterla su un piedistallo con la scritta “Trionfo del Lavoro” oppure “Il Signore della Terra” o qualcosa del genere.

Dico questo perché adesso è proprio il tempo di farlo, voglio dire il tempo di vangare.

(Karel Capek, L’anno del giardiniere, 1925. Prima lettura 2008; rilettura: ieri. Foto: a ds Karel Capek; a sn. il fratello pittore Josef, inventore della parola “robot”)

Il respiro – una decisione

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AUSSTELLUNG "THOMAS BERNHARD UND DAS THEATER" IM ÖSTERREICHISCHEN THEATERMUSEUM

Il malato è un veggente, nessuno possiede un’immagine del mondo più chiara della sua. L’artista, e soprattutto lo scrittore, ha addirittura l’obbligo di farsi ricoverare di tanto in tanto in un ospedale, e poco importa se questo ospedale è un ospedale vero o una prigione o un convento.

L’artista, e soprattutto lo scrittore, che non si faccia di tanto in tanto ricoverare in ospedale, che non si faccia perciò ricoverare in un quartiere del pensare come questo, di vitale e decisiva importanza per la sua esistenza, finisce col tempo per smarrirsi nella futilità perché rimane impigliato ala superficie delle cose.

L’artista o lo scrittore che per un motivo o per l’altro si sottragga a questo compito è condannato in partenza a diventare una nullità. In questo quartiere del pensare ci è possibile raggiungere un  grado di coscienza che è impossibile raggiungere al di fuori del quartiere del pensare.

In questo quartiere del pensare otteniamo ciò che al di fuori di esso non è mai possibile ottenere, la coscienza di noi stessi e la coscienza di tutto ciò che è.

(Thomas Bernarhd, Il respiro, 1978. Prima lettura, 1989. Rilettura: ieri)

una ragazza per l’estate

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Per sei mesi era stata la mia amante, sempre con quell’aria di domandarmi… non so, forse tutto. Era bella, silenziosa e irrequieta, con un viso d’amore vagamente sofferente e arrendevole. Il mio passato era così pesante che avevo deciso di fare la felicità di una creatura, almeno.

Miseria, discredito, debiti. Si fa di tutto, novelle per rotocalchi, traduzioni, il soggetto per un film idiota, articoli; aver la testa vuota, il cuore morto, e disonorarsi, scrivere, che cosa non ha importanza, ma scrivere, e pagare, pagare ancora, elemosinare l’anticipo e ingoiare la vergogna: “Il vostro ingegno, che apprezziamo sempre…”. E mi toccava ringraziare. Disgraziato!

Gettavo nervosamente la sigaretta appena accesa, oppure fingevo crisi nervose e di sfiducia verso l’umanità, tanto per chiudermi in camera, e lei raddoppiava la dedizione, infantilmente ostinato, allora me la prendevo vicino, e mi dedicavo a lavori forzati di erotismo in cui il mio disinteresse era tale da lasciarmi sempre la lucidità necessaria al raggiungimento di successi sbalorditivi.

L’esaurimento nervoso mi aveva ingrassato di un leggero grasso malsano, i muscoli mi s’inflaccidivano, la carnagione tendeva al grigiastro. “Un invertebrato, ecco che cosa sei, un verme pallido”, pensavo, scivolando all’indietro; lei gridava, pareva pazza: risalivo… Un gran grido, un lungo silenzio, poi i suoi grandi occhi che mi fissavano, io già temevo di dover subire qui complimenti tecnici, invece, respirando appena, sforzandosi di osare, aveva detto: “Sai cos’è che mi piace di te?” “Dimmi” “La tua nostalgia”.

Ho preso la sua mano e siamo restati là, zitti, tristi. Mi aveva rivelato quel che accadeva. Io sono debole, e temo; temo sempre di restare solo, di aver paura, di parer miserando: me ne rendo conto quando una donna mi guarda; vorrei un po’ do comprensione ponderata, e lei indovina: non è che i mie occhi si accendano, si illuminano; ascolto musiche angeliche, cori di voci bianche, la interesso, si china su di me, mi toccherà…

E quando si dona so che è proprio vero, e sono contento di sentirmi sicuro; le mie labbra e i miei gesti la ringraziano con tremori tardivi, l’amo, crede che l’ami.

(Tratto da: Maurice Claudel, Una ragazza per l’estate, 1959. Imago: Pascale Petit, interprete dell’omonimo film. Prima lettura: estate 1999. Rilettura: stasera. Rileggere è un po’ come ritornare in un posto,  o con una donna, rischi la delusione, l’estraneità, le cose cambiano, gli anni passano, ma rischi anche di ritrovare, riprendere possesso, e finalmente, anni dopo, capire te stesso.)

 

 

 

il fantasma del Sentierone

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Il centro piacentiniano è la cattiva coscienza della città, che si nutre tanto di ignoranza storica quanto di ipocrisia sociale.  Si parla di “centro piacentiniano” come se fosse un’opera di qualità, come fossero “le stanze di Raffaello”, ma basta guardare il ritratto dell’uomo per capire l’opera: pomposo, ingessato, vanesio, ridicolo, Piacentini è il vero volto servile del fascismo, e la sua opera occupa il Sentierone da quasi un secolo a esibire il volto servile della città.

Nel 1907, il 26enne architetto figlio d’arte (o di papà) Marcello Piacentini vince il concorso per il nuovo centro di Bergamo, che poi egli stesso realizzerà tra il 1922 e il 1926, in piena epoca di “sventramenti” dei centri cittadini per l’edificazione del modello di città fascio-monumentale, senza tenere in alcuna considerazione storia e senso del luogo.

Il Sentierone non nasce storicamente come area centrale, ma prende funzione nei secoli come zona connettiva, di incontro, di commercio tra i borghi storici, “discesi” come propaggini indipendenti dalle porte di città alta: da un lato Borgo S.Leonardo, che ha come suo centro Piazza Pontida, dall’altro Borgo Pignolo/Palazzo, che ha come suo centro Piazza S.Spirito. In mezzo, ecco quest’area vuota, che aveva nome di “prato di Sant’Alessandro”, solcato da un “sentierino” (tuttora visibile: è il filare di alberi tra S.Bartolomeo e l’inizio di via XX) divenuto poi “sentierone”, e quindi fiera della città, in seguito abbattuta, e quindi oggetto del concorso del 1907.

L’identità viva, di meeting point, “melting pot” dell’area viene totalmente travisata dalla retorica piacentiniana: basta leggere l’iscrizione sopra il quadriportico, “Civium commoditate et urbis ornamento”, cioè “per la comodità dei cittadini e a ornamento della città”. Difficile immaginare un intento più gretto, del tutto fuori luogo rispetto alla storia e al carattere della città e dei suoi abitanti: dinamici, spartani, poco inclini allo struscio e al salotto, che sono le funzioni disegnate dal giovane Piacentini, funzioni forse adatte a una città meridionale, mediterranea.

Ma mentre il nostro costruiva questo “pasticcio” di ispirazione Jugendstil e Art Nouveau, nell’architettura europea, e in quella fascista, avveniva una rivoluzione, che dalla Secessione viennese doveva condurre al Movimento Moderno, al rifiuto del decorativismo e a una nuova architettura, razionale, funzionale, moderna.

Questo passaggio lo vedi bene se confronti le due architetture “fasciste” di Bergamo centro: il Quadriportico/Sentierone di Piacentini e  Piazza/Palazzo della Libertà di Bergonzo. Tra le due opere ci sono poco più di 10 anni: ma sembrano un secolo!

Nel fascismo c’è sia un aspetto di servilismo/passatismo, succube e decorativo, che un aspetto di rivoluzione/futurismo, razionalista e moderno. Qui scatta l’ignoranza, la superficialità, che ci fa percepire come fascista l’opera di Bergonzo, che invece è autenticamente moderna, e non quella di Piacentini, che è ipocrita e  vetusta.

Vittime delle nostra ignoranza-ipocrisia, da 70 anni teniamo in naftalina l’edificio moderno, razionale, nato innovativo, e ci sforziamo da dare vita all’edificio vanitoso, agghindato, nato già vecchio. Sforzo inutile.

Il centro piacentiniano non è un’opera di qualità, non è funzionale: è un pastrocchio, opera giovanile e già vecchia di un tipico servo del regime, che “come architetto era già morto nel 1925” (parole di Zevi).

Facile chiedere di “revocare” la cittadinanza onoraria a Mussolini, ma se davvero si vuole togliere la patina, l’ipocrisia, l’ignoranza-arroganza vetero-fascista che soffoca la città nel suo stesso centro occorre affrontare il fantasma del Sentierone, cominciando con il guardarlo in faccia. La città ha bisogno di un’altra faccia, autentica, pulita, rispettosa della storia e dello spirito dei bergamaschi.

Alla città, agli architetti, alla giunta, all’immobiliare che ne detiene la proprietà: per cominciare, la soluzione più sensata, semplice, coraggiosa ed economica per ridare vita e funzione al centro di Bergamo è quella di abbattere, demolire, radere al suolo il cosiddetto centro Piacentiniano, cioè il quadriportico del Sentierone, Piazza Dante e Tribunale compresi.

Guardiamo la realtà. L’area chiede di tornare alla sua funzione storica di connessione tra i borghi: da un lato i borghi vivi, molto extracomunitari, e dall’altro i borghi autoctoni, pignolo/palazzo, più morti che vivi. Isole pedonali “isolate” tra loro, che non comunicano, separate e non unite da questo quadriportico falso, non funzionale. Basterebbe riportarlo all’origine, un prato, una piazza, anche un parcheggio avrebbe più capacità connettiva dell’attuale scatolone “comodità/ornamento”.

Siamo ridotti al punto che le persone vanno dove c’è parcheggio. All’Oriocenter c’è parcheggio. Un grande parcheggio centrale, e le persone verranno in centro, e gireranno a piedi per i borghi e le botteghe.

Immagina di radere al suolo il quadriportico, piazza Dante, il tribunale: avrai una grande area di ripensamento, dove il teatro Donizetti ottocentesco e il novecento di Palazzo della Libertà si guarderanno in faccia, senza ipocrisie di mezzo.

Quando hai la coscienza sporca, è inutile rifarsi il trucco, devi prendere coraggio, affrontare i fantasmi, e fare pulizia.