Donizetti night, Donizetti live

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Donizetti night, forse la più bella serata che questa città ha vissuto negli ultimi x anni.

50 spettacoli, concertini, performance, esibizioni, tutto in 4 ore (con la coda della sleep concert all night long), tutto in 500 metri, e il centro città da un borgo all’altro, da piazzetta S. Spirito a piazza Pontida, finalmente fluido, unito, il Sentierone extended play, notturno, vivibile, giocoso;

un’orgia, un orgasmo scenico, nella città riservata, introversa, e per una notte esplosiva, con quell’arroganza dei timidi, e conla follia della donna sottomessa che a una certa dice no, che è la follia della Lucia di Lammermoor, che è ormai la Lucia 2.0 della città, la Lucia maledetta, cui hanno cavato non gli occhi, ma l’anima.

Una specie di funeral party dionisiaco, perché in realtà si celebrava la chiusura del teatro, che andrà in restyling – vedi nella foto di Gianni Canali la Lucia di L. assisa sulla catasta delle poltroncine rosse davanti all’ingresso, che già sembrava un rogo – ed ecco che allora, chiuso il teatro, la città stessa diventa un teatro, e musicisti e cantanti si aggirano e si esibiscono in libertà per la città, proprio come quando abbiamo chiuso i manicomi, e lasciato i pazzi in libertà.

Piccoli sipari inquadravano un palco; nelle corti, nei giardini, nei cortili trovavi cancelli aperti, portoni aperti, passaggi, connessioni, naturalmente pensi a Barthes, a Benjamin:  un città la capisci dai sui “passages”.

Al centro della città-teatro – dove s’incrociano il Viale e il Sentierone, cardo e decumano di Bergamo bassa –   sotto la torre dei Caduti, ecco una grande piazza/teatro, con Porta Nuova come ingresso, e Città Alta con fondale di scena.

Qui lo spettacolo clou, “Matti da slegare”, meta-recital, contaminazione di teatro-canzone e multimedia show, una specie di racconto-varietà, un cabaretelling, quattro figure, il pianista, la cantante, il narratore e Gaetano, interpretato da Elio delle storie tese, con la storia del nostro, la vita, le opere, e sullo schermo le citazioni e ei rimandi dalla lirica italiana al cinema americano. Se questo spettacolo aveva la mission impossible di trasmettere l’orgasmo della lirica alle persone comuni di oggi, ormai lontane dal bel canto, bene, ci è riuscito.

Ho visto persone che godevano. Agli accenni, agli attacchi delle arie, che forse molti sentivano per la prima volta, mentre scorrevano immagini di film che invece tutti riconoscevano, ecco il miracolo della lirica (ma solo per cuori puri, cuori semplici):

qualcosa che ti prende visceralmente, una scossa che dalla pelle ti arriva nella cassa toracica come un pugno, un’onda d’urto che poi si dilata, corporale, è l’orgasmo del cuore;

sono momenti nei quali sei posseduto dalle divinità dell’amore, della passione, potresti fare qualsiasi cosa, e però non fai niente, perché godersi l’istante, assorbire questo piacere, è già il massimo che puoi fare, se normalmente vivi in frigorifero…

La lezione della d.night è questa: se davvero vogliamo costruire identità e valore di città d’arte, bisogna tirare fuori i gioielli dai caveau, cioè tirare fuori la lirica dai teatri, e il teatro dai teatri, e la storia dai musei, e l’arte dalle gallerie, e il sapere dalle università, e far lavorare gli artisti, i musicisti, i writers, e produrre lo spettacolo della città, mettere in scena la sua storia.

Non bastano shopping e drink e food per essere un centro urbano attraente, e non basta nemmeno avere belle pinacoteche, belle biblioteche, bei teatri e bei musei: ci vuole la vita culturale vera, viva, non morta, lo spettacolo live della cultura portata nelle piazze, persone vive che trasmettono a persone vive, in linguaggio vivo.

Se l’intento era quello di appassionare alla lirica, e/o contestualmente rivitalizzare il centro, il risultato ci dice che le due cose vanno insieme, e dunque la lirica funziona come spettacolo urbano, e la città funziona come città lirica.

La missione della Fondazione Donizetti è far vivere l’arte e le opere di Donizetti nel nostro tempo e presso le nuove generazioni. Investire in eventi come la d.night, e cioè usare la città come teatro – e far lavorare i nuovi Donizetti – è chiaramente 10 volte più efficace che limitarsi a curare la stagione lirica e l’edificio-teatro. Le persone che la d.night ha toccato ed emozionato in una sera sono 10 volte, se non più, il pubblico-bene della stagione teatrale.

Effettivamente, viene da pensare, con quello che costerà la ristrutturazione-maquillage del teatro, potremmo farci la d.night una sera al mese, tutti i mesi, per i prossimi dieci anni. Cosa che porterebbe visitatori e fan a Donizetti e alla sua città, e diletto ai cittadini.

La d.night indica precisamente che bisogna manipolare, osare, contaminare, creare, rischiare, produrre la nuova versione del patrimonio culturale;

e pensiamo alla Carrara, non basta riempire la città di totem spiritosi o sostituire le didascalie con i QR code, occorre far vedere l’arte in città, far lavorare gli artisti di oggi su questo tema, senza snobismo, con amore vero rispetto a un corpus artistico, a uno spirito, e liberarsi dai vincoli, dalle filologie vetuste, dall’ossessione leguleia per le fonti, ed essere capaci di mimesis, di energia intellettuale-corporale.

Va bene conservarli, ma bisogna anche goderli, questi benedetti beni culturali. Con la cultura bisogna fare l’amore, mica dire messa.

 

Birreria Sentierone 1891

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Ingegner Giuseppe Murnigotti, chi era costui? Considerato l’inventore della motocicletta (Wikipedia), l’ingegner Giuseppe Murnigotti da Martinengo, nel 1879, cioè sei anni prima di Daimler, depositò il brevetto del prototipo del velocipede a motore, il cosiddetto motociclo.

Inventò poi una macchina per produrre il cemento e nuovi sistemi per sistemare le sponde dei fiumi. A Milano fondò l’ordine degli Ingegneri e convinse la città a trasformare la piazza d’armi in un parco (Sempione).

Pochi anni dopo, nel 1891, l’ingegner Murnigotti presentava in Comune il progetto-madre cui si deve la “invenzione” del centro di Bergamo bassa.

Il nostro ingegnere per primo ha la vision, l’idea del cono ottico;  intuisce, prevede e progetta il nuovo cardo-decumano e il nuovo foro della città lungo l’asse Sentierone-Ferdinandea (oggi Vittorio Emanuele) e disegna per Porta Nuova/Sentierone la funzione già di Piazza Vecchia: agorà, foro, salotto, passeggio, city finanziaria.

La richiesta era quella di risanare l’area della Fiera che, dopo essere stata per quasi mille anni l’anima del Sentierone, commercialmente “uccisa” dalla Ferrovia e dall’Unità d’Italia, era diventata una zona degradata.

Con questo progetto, il centro di Bergamo “trasloca” in città bassa. Fin troppo “preveggente”, il progetto Murnigotti 1891 sarà ripreso e modificato da diversi architetti, fino alla versione “pasticceria” realizzata dal Piacentini più di trent’anni dopo.

La cosa che oggi ci colpisce e incuriosisce, è che nel progetto 1891 il nostro Murnigotti prevedesse che un intero stabile, dove poi si è insediato il Balzer, fosse destinato a Birreria (v. legenda, edificio E: birreria).

Chissà che nel prossimo futuro, con il nuovo concorso per il rilancio dell’area, la E/birreria immaginata dall’ingegnere non possa finalmente rivelarsi di perfetta attualità, e contribuire a rivitalizzare il Sentierone. (E magari anche il Balzer!)

Noi che oggi siamo tutti luppolo-dipendenti, al tempo eravamo Balzer-addicted, adolescenti brufolosi divoratori di krapfen, di focaccine con la crema di pollo e di gelati molto cremosi con sopra una spessa corazza di cioccolato fuso a caldo, e tempestato di mandorle e nocciole…

L’astronomia d’impresa è una nuova scienza che considera le imprese come corpi celesti che si attraggono, si scontrano, danno vita a nuovi pianeti. Studiando le orbite e le traiettorie passate, si possono prevedere le congiunzioni astrali future. Oggi B è una stella cadente, avrebbe bisogno di incontrare un astro nascente.

Ora, 125 anni dopo, vedendo la dicitura E/birreria, quale birrificio bergamasco ci viene in mente che inizi per E? E prima di fondare il birrificio E, cosa faceva il futuro birra-fondaio? Lavorava al Balzer!

L’ingegnere ci vedeva molto lontano.

(immagini: progetto Murnigotti 1891)

 

il fantasma del Sentierone

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Il centro piacentiniano è la cattiva coscienza della città, che si nutre tanto di ignoranza storica quanto di ipocrisia sociale.  Si parla di “centro piacentiniano” come se fosse un’opera di qualità, come fossero “le stanze di Raffaello”, ma basta guardare il ritratto dell’uomo per capire l’opera: pomposo, ingessato, vanesio, ridicolo, Piacentini è il vero volto servile del fascismo, e la sua opera occupa il Sentierone da quasi un secolo a esibire il volto servile della città.

Nel 1907, il 26enne architetto figlio d’arte (o di papà) Marcello Piacentini vince il concorso per il nuovo centro di Bergamo, che poi egli stesso realizzerà tra il 1922 e il 1926, in piena epoca di “sventramenti” dei centri cittadini per l’edificazione del modello di città fascio-monumentale, senza tenere in alcuna considerazione storia e senso del luogo.

Il Sentierone non nasce storicamente come area centrale, ma prende funzione nei secoli come zona connettiva, di incontro, di commercio tra i borghi storici, “discesi” come propaggini indipendenti dalle porte di città alta: da un lato Borgo S.Leonardo, che ha come suo centro Piazza Pontida, dall’altro Borgo Pignolo/Palazzo, che ha come suo centro Piazza S.Spirito. In mezzo, ecco quest’area vuota, che aveva nome di “prato di Sant’Alessandro”, solcato da un “sentierino” (tuttora visibile: è il filare di alberi tra S.Bartolomeo e l’inizio di via XX) divenuto poi “sentierone”, e quindi fiera della città, in seguito abbattuta, e quindi oggetto del concorso del 1907.

L’identità viva, di meeting point, “melting pot” dell’area viene totalmente travisata dalla retorica piacentiniana: basta leggere l’iscrizione sopra il quadriportico, “Civium commoditate et urbis ornamento”, cioè “per la comodità dei cittadini e a ornamento della città”. Difficile immaginare un intento più gretto, del tutto fuori luogo rispetto alla storia e al carattere della città e dei suoi abitanti: dinamici, spartani, poco inclini allo struscio e al salotto, che sono le funzioni disegnate dal giovane Piacentini, funzioni forse adatte a una città meridionale, mediterranea.

Ma mentre il nostro costruiva questo “pasticcio” di ispirazione Jugendstil e Art Nouveau, nell’architettura europea, e in quella fascista, avveniva una rivoluzione, che dalla Secessione viennese doveva condurre al Movimento Moderno, al rifiuto del decorativismo e a una nuova architettura, razionale, funzionale, moderna.

Questo passaggio lo vedi bene se confronti le due architetture “fasciste” di Bergamo centro: il Quadriportico/Sentierone di Piacentini e  Piazza/Palazzo della Libertà di Bergonzo. Tra le due opere ci sono poco più di 10 anni: ma sembrano un secolo!

Nel fascismo c’è sia un aspetto di servilismo/passatismo, succube e decorativo, che un aspetto di rivoluzione/futurismo, razionalista e moderno. Qui scatta l’ignoranza, la superficialità, che ci fa percepire come fascista l’opera di Bergonzo, che invece è autenticamente moderna, e non quella di Piacentini, che è ipocrita e  vetusta.

Vittime delle nostra ignoranza-ipocrisia, da 70 anni teniamo in naftalina l’edificio moderno, razionale, nato innovativo, e ci sforziamo da dare vita all’edificio vanitoso, agghindato, nato già vecchio. Sforzo inutile.

Il centro piacentiniano non è un’opera di qualità, non è funzionale: è un pastrocchio, opera giovanile e già vecchia di un tipico servo del regime, che “come architetto era già morto nel 1925” (parole di Zevi).

Facile chiedere di “revocare” la cittadinanza onoraria a Mussolini, ma se davvero si vuole togliere la patina, l’ipocrisia, l’ignoranza-arroganza vetero-fascista che soffoca la città nel suo stesso centro occorre affrontare il fantasma del Sentierone, cominciando con il guardarlo in faccia. La città ha bisogno di un’altra faccia, autentica, pulita, rispettosa della storia e dello spirito dei bergamaschi.

Alla città, agli architetti, alla giunta, all’immobiliare che ne detiene la proprietà: per cominciare, la soluzione più sensata, semplice, coraggiosa ed economica per ridare vita e funzione al centro di Bergamo è quella di abbattere, demolire, radere al suolo il cosiddetto centro Piacentiniano, cioè il quadriportico del Sentierone, Piazza Dante e Tribunale compresi.

Guardiamo la realtà. L’area chiede di tornare alla sua funzione storica di connessione tra i borghi: da un lato i borghi vivi, molto extracomunitari, e dall’altro i borghi autoctoni, pignolo/palazzo, più morti che vivi. Isole pedonali “isolate” tra loro, che non comunicano, separate e non unite da questo quadriportico falso, non funzionale. Basterebbe riportarlo all’origine, un prato, una piazza, anche un parcheggio avrebbe più capacità connettiva dell’attuale scatolone “comodità/ornamento”.

Siamo ridotti al punto che le persone vanno dove c’è parcheggio. All’Oriocenter c’è parcheggio. Un grande parcheggio centrale, e le persone verranno in centro, e gireranno a piedi per i borghi e le botteghe.

Immagina di radere al suolo il quadriportico, piazza Dante, il tribunale: avrai una grande area di ripensamento, dove il teatro Donizetti ottocentesco e il novecento di Palazzo della Libertà si guarderanno in faccia, senza ipocrisie di mezzo.

Quando hai la coscienza sporca, è inutile rifarsi il trucco, devi prendere coraggio, affrontare i fantasmi, e fare pulizia.

a Bergamo Bassa c’è vita, perfino culturale

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Da sempre ci si sente dire da amici scienziati: come fai a startene a Bergamo, non c’è vita culturale! Ultimamente anche assessori, immobiliaristi e commercianti lamentano la mancanza di vita a Bergamo Centro.

Controcorrente, vorrei segnalare la presenza di tracce di vita in città, perfino culturale.

Non mi riferisco alla vita culturale istituzionale di consumo (eventi, festival, cartelloni) ma al sostrato, all’humus, al fermento: intendo persone, luoghi, discorsi, incontri, iniziative sperimentali no budget, intendo quella “temperie” che facilmente riscontri e vagheggi quando leggi i diari di Canetti o Zweig sulla Vienna belle epoque anni 10-20, quando alle terme o al caffè incontravi Freud, o Wittgenstein, o Kokoschka, o Karl Krauss; oppure la Parigi fin de siecle, dove potevi trovare Baudelaire in un bistrot, o discutere con Cezanne e Zola, e finire la serata la Moulin Rouge con Boldini e Toulouse-Lautrec e …

Il fatto è che chi sogna di incontrare Baudelaire al bar, quando lo incontra realmente, non se ne accorge nemmeno.

Invece, se hai lo spirito giusto, ovunque, anche a Bergamo bassa, puoi avere una vita intellettualmente eccitante come Krauss a Vienna o Zola a Parigi… cioè, devi fare mente locale… se ad esempio  entri al bar Moderno, classico bar qualsiasi zona Piazza Sant’Anna, ,vedrai un tipo che confabula con altri due: gli sta spiegando modi di dire in dialetto, ci sono improvvisi scoppi di risate,  lui non è un divo, è solo il capo-macellaio della Dimo-car (tipo sanguigno, battute taglienti…), e gli altri due sono writer di note agenzie pubblicitarie, che sbevazzano insieme, però…

Attraversi la strada, e a BgBirra trovi l’editore-birraio de l’Osservatore Elaviano che parla con un vecchio pittore. Appartati, come in cospirazione, ecco gli organizzatori clandestini degli Invisible Show, sotto lo sguardo del capellone secolare delle edizioni musicali Carrara. Ancora più capellone, su uno sgabello, alto e magro come una pertica, puoi vedere un giovane clavicembalista di livello internazionale, che abita qui dietro, e normalmente  è perso nella musica che ha in testa, per cui se lo vuoi salutarlo devi picchiargli dentro. Entra una donna poco appariscente, è un luminare della medicina, gli chiede: cosa bevi? E lui risponde: Bach, Bach padre.

Scendi a prendere il pane,  anche il fornaio, il Vanotti, è nello spirito giusto, ha riempito la bottega di libri in book-sharing, e ogni giorno scrive la sua massima assurda su una lavagnetta.

Il fatto è che a un tiro di sigaretta dalla piazza abbiamo almeno una decina tra redazioni e lab creativi: ti parlo di me, del centro sperimentale di comunicazione Calepio Press e della redazione di CTRL magazine, che ridendo e scherzando mese sì e mese no è segnalato come uno dei magazine più “avanti” a “livello europeo” (wow)

c’è il lab Multimmagine, fucina di video-creativi, e sempre nei pressi ci sono anche le redazioni “regimental” di Qui Bergamo, di Città dei Mille, e anche Cobalto edizioni e anche le millenarie edizioni musicali Carrara… manca giusto L’Eco di Bergamo…

effettivamente potremmo anche montarci la testa e dire che Piazza Sant’Anna è il “distretto del pensiero” di Bergamo Bassa, con relative bassezze:

per esempio a un certo punto in piazza appare la classica donna-pantera che scende dalla Mini a fare il bancomat o a comprare 1 mela una, aggressiva come una bresciana a Milano: è certamente una account del QuiBg o della Città dei 1000, una macchina da guerra capace di stoccare in mezz’ora di moine il 1000 o 2000 euro all’imprenditore per mettere lui, la sua villa e la sua macchina sul magazine patinato, mentre tu che scrivi due romanzi l’anno o i tuoi amici che suonano tutte le sere non riuscite a campare…

insomma, gli stessi problemi che avevano Baudelaire e Cezanne…

Quindi, ragazzi, non state a farvi troppo menate sulla vita culturale, sulla mentalità della piccola città, andate oltre, prendete quel che cola dalla realtà, mischiate con i riferimenti  culturali scolastici, con i grandi maestri morti da secoli, e li vedrete rivivere, e anche la vostra vita prenderà senso…

Se nella tua testa non c’è fermento, se nelle tue viscere non c’è fuoco, è inutile che trascini le membra a Berlino, o a Londra…

La cultura te la crei, te la vivi, o non ce l’hai.

Diceva Gigi Lubrina: tu immagina che la vita sia un romanzo, o un film: vedi uno, gli dici una cosa, e vedi cosa succede. La vita culturale è questa…

Ma questo bel quadretto non ti basta, lo so, tu vuoi un esempio concreto, vuoi la “case history”, vuoi che ti racconti di un qualche progetto divenuto un prodotto culturale vero, di rilevanza e spessore…

Allora ti racconto questo: una sera di un anno fa, redazione di ctrl magazine, si cercano idee per nuove rubriche – che noia il reportage dal rave party! – e provo a buttare lì un’idea stonata: perchè non fare delle recensioni delle messe in quanto spettacoli, dove raccontare la location, le vibrazioni, il carisma del front-man e l’integralismo della massa-pubblico…

un’idea non nuova, già Camillo Langone faceva qualcosa del genere sul Foglio…

quello che non mi aspettavo era che nascesse un serissimo e pimpante gruppo di ricerca dedicato, il gruppo Cultras, composto da x giovani menti brillanti (musicologi, sociologi, storici, letterati) che con pseudonimi vari, in modo Debord-ante, da ormai un anno firmano recensioni mai viste: la messa del vescovo, la messa in latino, la messa dell’invasato, la messa dei protestanti, dei testimoni di geova, dei mormoni, degli ortodossi…

Si tratta di un “lavoro culturale” destinato a rimanere: ricerca, divulgazione, scandalo, e anche correttezza ed equilibrio.

Lo stesso gruppo sta realizzando anche un altro “lavoro culturale” davvero interessante, il remake in linguaggio underground del martirologio cattolico, cioè le vita dei santi + immaginetta, ogni giorno il santo del giorno in una pagina, in linguaggio contemporaneo, con illustrazioni originali che riescono nella mission impossible: rinnovare l’iconografia cattolica….

una cosa che la Curia, L’Eco, la Fantoni e il Sant’Alessandro messi insieme con tutti i loro soldi, i loro biblisti e i loro madonnari non sono in grado di fare, limitandosi a pubblicare ogni anno sempre le stesse vite dei santi ingessate da decenni, o secoli…

Questo lavoro, che in realtà proprio perché sincero e rispettoso, raccontando i santi come personaggi contemporanei, reali, estremi, nella città più bianca e bigotta d’Italia, risulta  autenticamente dissacrante.

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Potrei raccontare molti altri progetti che conosco da vicino, a metà tra ricerca e provocazione, autofinanziati, sostenibili, come la Badante Alighieri, agenzia letteraria per scrivere la biografia del nonno; la Pub Writing Session, lo spettacolo della scrittura nei pub; gli Invisible Show; i Contemporary Locus…

Intanto, nei loro uffici, assessori e immobiliaristi, che di questi fermenti non sanno niente, vogliono, o dicono di volere, fare qualcosa per dare più vita al centro di Bergamo Bassa, al cosiddetto Centro Piacentiniano.

Ora, se vuoi veramente dare vita al centro, devi osservare quello che succede nei borghi, e studiare la storia della città. Il centro di Bergamo Bassa non nasce come località centrale, ma lo diventa in quanto “passante” tra i borghi. Devi allargare il quadro, e la prospettiva.

Non è ignorando o soffocando i fermenti dei borghi, che porti vita in centro, ma piuttosto restituendo vita e senso di connessione al Sentierone in forma di “passante verde”, tracciato pedonale da aprire con poca fatica materiale (e molta mentale!) tra la Carrara-Gamec e Piazza Pontida, attraverso i parchi Suardi-Montelungo-Caprotti (cancelli da aprire…) fino a S.Spirito, e poi via Tasso, Sentierone e via XX Settembre.

Con questo anello pedonale tu scendi dalle mura, da Porta S.Agostino/via S.Tomaso, traversi tutto il centro e risali da S.Alessandro in Porta San Giacomo: e così integri città alta e bassa nella fruizione turistica pedonale, storico-artistica,

questo i turisti lo apprezzerebbero, e così pure i commercianti del centro e dei borghi, che per loro natura miope sono incapaci di vedere che oltre l’isola pedonale –  la tomba dello shopping – c’è l’arcipelago pedonale, e la resurrezione urbana.

Se Bergamo deve rinascere come città d’arte-turismo-cultura, è chiaro che i fermenti verranno dai borghi, dai luoghi dove ci sono artisti, gallerie, editori, sono loro che faranno crescere la città come città d’arte e cultura, proprio come secoli fa gli artigiani e le botteghe dei borghi hanno creato la città commerciale…

non serve fare la partnership con l’università di Harvard e spendere milioni in progetti di Smart City, sto parlando di aprire cancelli e portoni, sto parlando di aprire la mente della città…

forse non tutti sanno che il Sentierone  in origine si chiamava Sentierino, ed era appunto un Sentierino che collegava i borghi attraversando il grande prato di Sant’Alessandro (dove oggi sorge il centro Piacentiniano).

Aumentando il flusso, il Sentierino divenne Sentierone,  quindi si costruì la fiera, quindi il centro Piacentiniano oggi desertificato.

Ma il tracciato del Sentierino lo vedi ancora, tu guarda la mappa del 1600, e riconosci il filare d’alberi che ancora oggi corre a lato del Sentierone tra la Chiesa di San Bartolomeo e Palazzo Frizzoni: quello è il Sentierino.

Ricoperto di vecchio asfalto, orlato da brutti pannelli con brutte affissioni pubblicitarie, meriterebbe maggior cura, e una targhetta che in poche righe racconti la storia, e il senso, del Sentierino che diventò un Sentierone.

Insegniamo alle persone ad attraversare Bergamo Centro a piedi, dalla Carrara alle 5 vie, e riavremo la centralità del Sentierone.

Ma qui abbiamo architetti che vanno in America a farsi spiegare come fare marketing urbano, e poi tornano masterizzati, e per rivitalizzare il centro hanno idee brillantissime come quella di cambiare nome a Largo Bortolo Belotti, perché “è un nome che non ha appeal turistico”.

Io questi li rinchiuderei due o tre mesi al Gleno a leggere bene la Storia di Bergamo e dei Bergamaschi di Bortolo Belotti in 10 tomi e 2000 pagine, da sapere a menadito per riavere la libertà.

Il fatto è che la cultura a volte manca proprio agli uomini di potere che vorrebbero promuoverla. E alle donne, pardon.

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sentierone social club

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L’idea Sentierone social club (nell’ex Diurno) lanciata da questo sito, è stata ripresa, apprezzata, arricchita e condivisa in questi giorni da migliaia di utenti sui social network (il sito di CTRL magazine ha superato i 1500 like http://www.ctrlmagazine.it/2014/una-discoteca-sotto-il-centro-di-bergamo-si-puo-fare/ ).

La desertificazione del centro città necessità di nuove, autentiche pulsazioni umane. Per capire come il Sentierone abbia perso vita e funzione basta  analizzare i casi opposti dei due locali storici diversamente morti, il Nazionale e il Balzer:

il primo, rifatto in look design, del vecchio Nazionale conserva solo il nome, con l’aggravante esterna dei vasoni di plastica bianca, segni di banalità, di vanità arredo-design senza identità, senza personalità;

il Balzer invece è rimasto com’era negli arredi, ma non nei prodotti:  nel corso del tempo ha dimenticato i suoi must: l’aperitivo Balzer, mitico e ormai sconosciuto, e l’insuperabile focaccia alla crema di pollo, e andando più indietro negli anni l’ìncredibile cono palla (ricoperto da cioccolato “fondente” fuso al momento) o il krapfen (un riferimento per intere generazioni).

Oggi Balzer è penosamente ridotto a esibire un brutto tabellone posticcio posato sui mosaici del quadriportico, con prezzi pausa/pranzo e foto a colori delle insalate miste e delle sale interne, in stile bar qualsiasi per turisti, di quelli che a Roma espongono “Lasagne e Cappuccino 10€”.

Ora il Balzer chiude, ma per quelli come me il Balzer è già morto da un pezzo.

L’altro locale in chiusura, il Ciao, non ha mai avuto senso né consenso sul Sentierone: in autostrada o in aeroporto va bene, food anonimo in contesto anonimo, ma c’è qualcosa di profondamente stonato nel trovarsi in terrazza sul “salotto” della città, in questa scenografia architettonica borghese (proprio sopra la scritta “urbis ornamento et civis commoditate”) con in mano un vassoio di plastica (sul quale si posano malmostosissimi piccioni)

A fronte di queste malinconiche inerzie, il Diurno, il grande spazio sotterraneo di piazza Dante chiuso da decenni, può diventare il cuore della rinascita come centro socio-culturale giovanile, ospitando le sedi degli operatori culturali della città viva, della città vera (editori, musicisti, artisti, associazioni, etc) nei tanti spazi-uffici attorno alla grande area ipogea centrale, chiaramente adibita a locale-concerti, spettacoli, discoteca.

Magari aprire una seconda uscita giusto in fronte al Tribunale darebbe certezza di ordine pubblico a mamme e assessori.

Come scrive un lettore: “Discoteca, ottima idea, ma forse meglio pensare a uno spazio in cui siano possibili serate-discoteca, oltre che musica pop dal vivo, teatro alternativo – un polo culturale pop, insomma, con molteplici “vite”. Sarebbe necessario coltivare un’alleanza con il polo-Donizetti, in modo da creare una relazione che non opponga i due poli: così si evita la reciproca segregazione/ghettizzazione del pubblico e delle attività”.

Il segnale è dunque abbastanza lampante, l’indicazione per la giunta, il sindaco, gli assessori-architetti e gli altri attori coinvolti nel rilancio della centralità del Sentierone, a cominciare dall’immobiliare Fiera proprietaria dell’area, per finire con i matusa della lirica, che propugnano il restauro del Donizetti (si parla di 18 ml euro, che significano 200€ pro capite per i cittadini di Bergamo) è chiara:

il consenso e la partecipazione dei cittadini, se le proposte sono realmente innovative, ci sono, e prenderle in considerazione con volontà politica positiva sarebbe un segno vero di attenzione alla cittadinanza e capacità di rinnovamento non solo nell’arredo urbano, ma nella percezione e nel vissuto della città.

Slogan: Nazionalizzare il Sentierone! Un Balzer in avanti! Vita notturna al Diurno!

(imago: il Sentierone quando era uno sport acquatico di massa, e si facevano le “vasche”)

cosa bolle sotto il Sentierone

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exDiurno

I problemi d’identità del Sentierone vengono da lontano, dalla sua origine, dal suo nome:

si chiamava “sentierino”, ed era un piccolo sentiero che traversava il prato di S.Alessandro collegando i borghi storici di Bg bassa, pignolo/palazzo e pontida/s.alessandro, sviluppatisi come promanazioni, germinazioni dalle porte di Bg alta.

Questo “sentierino” diventa “sentierone” quando nel prato di S.Alessandro sorge la Fiera di Bergamo, vero punto di nascita della Bg bassa.

Durante il Ventennio la Fiera viene demolita, al suo posto nasce il centro Piacentiniano, come scenografia con portici neo-classica, e tutta l’area delle Fiera diventa il Sentierone/piazza Dante, con edifici pubblici, il tribunale, le banche, una sorta di centro direzionale.

Pochi anni dopo viene realizzata Piazza della Libertà e il mastodontico Palazzo Littorio, l’edificio pubblico più importante della Bergamo Moderna, lasciato quasi in disuso dopo il regime, per ragioni psico-collettive di rimozione.

I problemi d’identità di tutta questa area, dunque, si accavallano: da un lato le due piazze, Dante e Libertà, pur essendo state costruite a 10 anni di distanza, in realtà sembrano lontane secoli, la prima neo-classica e borghese, la seconda razionalista e futurista, ma con la “macchia” di rappresentare un regime, un periodo rimosso, come un senso di colpa non affrontato, che impedisce di dare nuova anima a una stanza, una persona, una piazza.

Perciò, nel dopoguerra, è stato più facile per la Bergamo bene re-impossessarsi del centro piacentiniano con quella sua aria da pasticceria architettonica che non della più moderna e funzionale piazza e palazzo della Libertà.

Negli anni sessanta e settanta il Sentierone è il vero centro della città. I due locali storici Balzer e Nazionale davano identità di salotto, e sotto piazza Dante c’era il Diurno, una sorta di centro commerciale ante litteram, con negozi, uffici, associazioni.

Oggi abbiamo un fenomeno di desertificazione del Sentierone. Le principali attività commerciali e non dell’area sono chiuse o in chiusura (tribunale, ristorante Ciao, bar Balzer, e altri negozi storici della borghesia berghem, come Pagano) e la sera non esiste un posto dove bere un caffè.

L’immobiliare Fiera proprietaria dell’area sta pensando a cosa fare per rivitalizzarla e le associazioni architetti/innovatori che governano la città (Innova Bergamo, Bg 2.035) hanno aperto le loro sedi in piazza Dante,

si parla di restrutturare il Donizetti, ci si chiede cosa fare del Diurno (scartata l’idea del park) se e come riaprirlo,

è evidente che se si vuole dare funzione e senso di centralità occorrerebbe:

1) tenere in vita i locali storici (Il Nazionale è stato rifatto a nuovo ed è un locale-design senza storia, il Balzer pare chiuda senza cedere il marchio, e dunque se riaprirà non riaprirà come Balzer)

2) cogliere l’occasione dell’uscita del Ciao, marchio tipico da non-luoghi, per aprire un ristorante o trattoria vera, bg foods

3) nell’ex diurno, realizzare la discoteca di Bergamo Centro, magari comunale, civica, la discoteca della città, come controcanto del Donizetti: qui la lirica e la borghesia matusa, là la techno e “i giovani”; a far da connessione il quadriportico con 1bar matusa 1bar movida e al posto del Ciao 1 Bg ristorante expo-strategico cucina bg in ambiente moderno e prezzi pop.

La discoteca del centro è la vera soluzione al problema di rivitalizzare l’area, si evitano i problemi guida-alcool, non si disturba nessuno (nessun residente nell’area) e si abituano i ragazzi a venire in centro, magari in bicicletta.

Chiaramente, essendo sotterranea/undergorund, e trovandosi in Piazza Dante, si chiamerà: IL PURGATORIO

(photo: l’ex Diurno sotto Piazza Dante, chiuso da decenni)

l’eco in fallimento

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Come disse Hegel, il quotidiano è la Bibbia dell’uomo moderno,

la sua sacralità viene dalla data in testata: se è di oggi, è verità nero su bianco,

se di ieri, di settimana scorsa, è vecchio, sorpassato, carta straccia.

Immaginatevi dunque la sorpresa ieri, domenica 21Aprile, nel salotto della città, il quadriportico del Sentierone,

dove da sempre il gioiello quotidiano della città, L’eco di Bergamo, fa mostra di sé ordinatamente affisso nella sua propria bacheca di pubblica lettura,

e tutti, passando, danno un’occhiata ai titoli, allo sport, ai cinema,

ma ecco qualcosa d’inquietante, le persone, fermandosi alla bacheca, dopo poco se ne vanno scuotendo la testa, con espressione affranta, delusa, dicendo cose come “non c’è più religione!”,

l’occhio corre alla data stampata a fianco della testata, e solo dopo ripetuti strabuzzamenti si constata che la copia de L’Eco di Bergamo ivi appesa, è  vecchia non di un giorno, o due, ma di due settimane, risalendo al 7 Aprile,

la peggior pubblicità che un organo d’informazione possa fare,

esibirsi vecchio di due settimane nel cuore della comunità dei propri lettori,

in un sol colpo tutta l’autorevolezza, la serietà la sacralità della testata è perduta,

tutto l’impegno profuso da anni nel guadagnare lettori è vanificato,

triste veder persone che si accorgono della cosa solo dopo parecchi minuti di lettura, e hanno in viso la vergogna di chi è derubato della fiducia,

una signora d’una certa età chiede al marito: ma è andato in fallimento anche il l’Eco?!

Sarebbe meglio lasciarla vuota, quella bacheca,

un giornale vecchio è un giornale morto,

un’incuria, un’offesa davvero inspiegabile, come una bestemmia in chiesa,

e proferita dal parroco:

i dirigenti marketing de L’Eco, e di tutto il gruppo editoriale, dovrebbero alzare il culo dalle loro poltrone, e scendere a osservare sul campo le reazioni degli ex lettori,

e magari portarsi dietro la propria copia de L’Eco, che certo hanno fresca di stampa sulla scrivania ogni mattina, e pubblicarla,

e magari tornando in sede potrebbero anche ripassarsi un minimo di storia aziendale:

ci sono stati tempi in cui l’Eco, con Don Valoti (giusto oggi sono 50 anni che è morto), era una voce antifascista, e gli squadristi bruciavano l’Eco sul Sentierone,

oggi queste intimidazioni non avrebbero senso, dal momento che la voce della Curia si zittisce da sé.