Istruzioni per capire Bg – suore, soldi e soldati

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STORIA5 LUOGHI  Allegoria su foglio ufficiale rappresentante la Libertà vittoriosa in Bergamo. - B. Belotti, Storia di Bergamo e dei bergamaschi -

Prendi un libro di storia, vai all’indice. Trovi 98 uomini e 2 donne.

Prova a riscrivere la storia partendo dai personaggi donna. Ti troverai contro gli storici (anche gli storici donna) che ti diranno: e dove sono le fonti? Tu stai facendo narrativa!

Va bene. Resta il fatto che non puoi capire la storia di Bergamo Bassa senza le donne.

Per cominciare: Santa Grata, la fanciulla che prese in grembo la testa mozzata di Sant’Alessandro martire, e se la trascinò seco per mezza città, sanguinolenta. Dalle perdite di sangue della testa del Santo (nel grembo della Santa) su quel prato – poi detto di S.Alessandro – spuntano fiori, piante perenni, le stesse oggi piantate nel sentierino.

Ogni anno, nell’anniversario del martirio, in questo prato presero a ritrovarsi gruppi sempre più numerosi di credenti. Da questi assembramenti devozionali, nasce la Fiera di Sant’Alessandro, che darà anima e storia all’odierno Sentierone.

Poi, un esercito di suore. Tra il 1300 e il 1800, gli unici edifici presenti nell’attuale centro di Bergamo erano conventi e monasteri femminili. Che in seguito divennero caserme, o banche.

Santa Marta, “la nota antica della Bergamo Moderna”, è un convento di suore domenicane del 1335. Ci resta il chiostro, interamente circondato dalla sede della Banca Popolare.

Poi c’era Santa Lucia, proprio a fianco di Santa Marta, dove oggi sorge Palazzo Frizzoni, sede del Comune, anch’esso convento di domenicane. Più antico, sempre di suore domenicane, e tuttora “in esercizio”, il monastero di Matris Domini. Più periferici, scoperta di questi giorni, i conventi femminili nell’area della Caserma Montelungo.

In via Pignolo e in via S. Alessandro, altre suore di clausura, nonché la chiesa della Maddalena, sconsacrata (da fonti non attendibili: tra le mille imprese del Colleoni, l’aver trafugato il corpo della Maddalena da Senigallia, dove l’avevano portato i crociati, e l’averlo traslato a Bergamo).

Unica presenza maschile nell’area oggi centro della città: i frati di San Bartolomeo (domenicani pure loro).

Per centinaia di anni, l’unica possibilità di carriera e di potere, l’unica impresa che una donna poteva dirigere (e con profitto!), era il convento.

Suore, soldati, soldi: conventi che diventano caserme che diventano la city finanziaria.  In mezzo, la fiera, cioè la città commerciale, i cui proventi andavano all’ospedale di San Marco, in linea con la tradizione “ospitaliera” della città della suore. Santa Marta di Betania era la santa “ospitaliera” per definizione. Santa Grata stessa fondò un ospedale.

La più antica istituzione cittadina, la MIA, nasce nel 1265 per “prevenire l’eresia” sostenendo la popolazione bisognosa. Nel 1500 Bergamo ha 20.000 abitanti: ben 7000 sono “mantenuti” dalla MIA. In occasione della Fiera, la popolazione triplica. Commerci internazionali e finanza solidale.

Secoli dopo, con motivazioni moderne, ma assimilabili, nasce la Banca Popolare di Bergamo, che stabilirà la sua sede proprio dove sorgeva l’ex convento di Santa Marta (e assumendosi il compito di conservare e ristrutturare quel che ne restava: il chiostro).

Oggi le donne a Bergamo “hanno in mano” la cultura, e l’8 marzo l’Eco di Bergamo le intervista in coro. Ma io credo che per cambiare le cose, cioè per costruire una nuova cultura a partire dalle donne – cosa di cui c’è un gran bisogno – le donne dovrebbero prendere l’economia, il potere vero, la politica, la finanza.

E poi affidare la cultura agli uomini.

(Immagine: Allegoria della Libertà vittoriosa a Bergamo, da Storia di Bg e dei Bg di Bortolo Belotti)

 

a Bergamo Bassa c’è vita, perfino culturale

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Da sempre ci si sente dire da amici scienziati: come fai a startene a Bergamo, non c’è vita culturale! Ultimamente anche assessori, immobiliaristi e commercianti lamentano la mancanza di vita a Bergamo Centro.

Controcorrente, vorrei segnalare la presenza di tracce di vita in città, perfino culturale.

Non mi riferisco alla vita culturale istituzionale di consumo (eventi, festival, cartelloni) ma al sostrato, all’humus, al fermento: intendo persone, luoghi, discorsi, incontri, iniziative sperimentali no budget, intendo quella “temperie” che facilmente riscontri e vagheggi quando leggi i diari di Canetti o Zweig sulla Vienna belle epoque anni 10-20, quando alle terme o al caffè incontravi Freud, o Wittgenstein, o Kokoschka, o Karl Krauss; oppure la Parigi fin de siecle, dove potevi trovare Baudelaire in un bistrot, o discutere con Cezanne e Zola, e finire la serata la Moulin Rouge con Boldini e Toulouse-Lautrec e …

Il fatto è che chi sogna di incontrare Baudelaire al bar, quando lo incontra realmente, non se ne accorge nemmeno.

Invece, se hai lo spirito giusto, ovunque, anche a Bergamo bassa, puoi avere una vita intellettualmente eccitante come Krauss a Vienna o Zola a Parigi… cioè, devi fare mente locale… se ad esempio  entri al bar Moderno, classico bar qualsiasi zona Piazza Sant’Anna, ,vedrai un tipo che confabula con altri due: gli sta spiegando modi di dire in dialetto, ci sono improvvisi scoppi di risate,  lui non è un divo, è solo il capo-macellaio della Dimo-car (tipo sanguigno, battute taglienti…), e gli altri due sono writer di note agenzie pubblicitarie, che sbevazzano insieme, però…

Attraversi la strada, e a BgBirra trovi l’editore-birraio de l’Osservatore Elaviano che parla con un vecchio pittore. Appartati, come in cospirazione, ecco gli organizzatori clandestini degli Invisible Show, sotto lo sguardo del capellone secolare delle edizioni musicali Carrara. Ancora più capellone, su uno sgabello, alto e magro come una pertica, puoi vedere un giovane clavicembalista di livello internazionale, che abita qui dietro, e normalmente  è perso nella musica che ha in testa, per cui se lo vuoi salutarlo devi picchiargli dentro. Entra una donna poco appariscente, è un luminare della medicina, gli chiede: cosa bevi? E lui risponde: Bach, Bach padre.

Scendi a prendere il pane,  anche il fornaio, il Vanotti, è nello spirito giusto, ha riempito la bottega di libri in book-sharing, e ogni giorno scrive la sua massima assurda su una lavagnetta.

Il fatto è che a un tiro di sigaretta dalla piazza abbiamo almeno una decina tra redazioni e lab creativi: ti parlo di me, del centro sperimentale di comunicazione Calepio Press e della redazione di CTRL magazine, che ridendo e scherzando mese sì e mese no è segnalato come uno dei magazine più “avanti” a “livello europeo” (wow)

c’è il lab Multimmagine, fucina di video-creativi, e sempre nei pressi ci sono anche le redazioni “regimental” di Qui Bergamo, di Città dei Mille, e anche Cobalto edizioni e anche le millenarie edizioni musicali Carrara… manca giusto L’Eco di Bergamo…

effettivamente potremmo anche montarci la testa e dire che Piazza Sant’Anna è il “distretto del pensiero” di Bergamo Bassa, con relative bassezze:

per esempio a un certo punto in piazza appare la classica donna-pantera che scende dalla Mini a fare il bancomat o a comprare 1 mela una, aggressiva come una bresciana a Milano: è certamente una account del QuiBg o della Città dei 1000, una macchina da guerra capace di stoccare in mezz’ora di moine il 1000 o 2000 euro all’imprenditore per mettere lui, la sua villa e la sua macchina sul magazine patinato, mentre tu che scrivi due romanzi l’anno o i tuoi amici che suonano tutte le sere non riuscite a campare…

insomma, gli stessi problemi che avevano Baudelaire e Cezanne…

Quindi, ragazzi, non state a farvi troppo menate sulla vita culturale, sulla mentalità della piccola città, andate oltre, prendete quel che cola dalla realtà, mischiate con i riferimenti  culturali scolastici, con i grandi maestri morti da secoli, e li vedrete rivivere, e anche la vostra vita prenderà senso…

Se nella tua testa non c’è fermento, se nelle tue viscere non c’è fuoco, è inutile che trascini le membra a Berlino, o a Londra…

La cultura te la crei, te la vivi, o non ce l’hai.

Diceva Gigi Lubrina: tu immagina che la vita sia un romanzo, o un film: vedi uno, gli dici una cosa, e vedi cosa succede. La vita culturale è questa…

Ma questo bel quadretto non ti basta, lo so, tu vuoi un esempio concreto, vuoi la “case history”, vuoi che ti racconti di un qualche progetto divenuto un prodotto culturale vero, di rilevanza e spessore…

Allora ti racconto questo: una sera di un anno fa, redazione di ctrl magazine, si cercano idee per nuove rubriche – che noia il reportage dal rave party! – e provo a buttare lì un’idea stonata: perchè non fare delle recensioni delle messe in quanto spettacoli, dove raccontare la location, le vibrazioni, il carisma del front-man e l’integralismo della massa-pubblico…

un’idea non nuova, già Camillo Langone faceva qualcosa del genere sul Foglio…

quello che non mi aspettavo era che nascesse un serissimo e pimpante gruppo di ricerca dedicato, il gruppo Cultras, composto da x giovani menti brillanti (musicologi, sociologi, storici, letterati) che con pseudonimi vari, in modo Debord-ante, da ormai un anno firmano recensioni mai viste: la messa del vescovo, la messa in latino, la messa dell’invasato, la messa dei protestanti, dei testimoni di geova, dei mormoni, degli ortodossi…

Si tratta di un “lavoro culturale” destinato a rimanere: ricerca, divulgazione, scandalo, e anche correttezza ed equilibrio.

Lo stesso gruppo sta realizzando anche un altro “lavoro culturale” davvero interessante, il remake in linguaggio underground del martirologio cattolico, cioè le vita dei santi + immaginetta, ogni giorno il santo del giorno in una pagina, in linguaggio contemporaneo, con illustrazioni originali che riescono nella mission impossible: rinnovare l’iconografia cattolica….

una cosa che la Curia, L’Eco, la Fantoni e il Sant’Alessandro messi insieme con tutti i loro soldi, i loro biblisti e i loro madonnari non sono in grado di fare, limitandosi a pubblicare ogni anno sempre le stesse vite dei santi ingessate da decenni, o secoli…

Questo lavoro, che in realtà proprio perché sincero e rispettoso, raccontando i santi come personaggi contemporanei, reali, estremi, nella città più bianca e bigotta d’Italia, risulta  autenticamente dissacrante.

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Potrei raccontare molti altri progetti che conosco da vicino, a metà tra ricerca e provocazione, autofinanziati, sostenibili, come la Badante Alighieri, agenzia letteraria per scrivere la biografia del nonno; la Pub Writing Session, lo spettacolo della scrittura nei pub; gli Invisible Show; i Contemporary Locus…

Intanto, nei loro uffici, assessori e immobiliaristi, che di questi fermenti non sanno niente, vogliono, o dicono di volere, fare qualcosa per dare più vita al centro di Bergamo Bassa, al cosiddetto Centro Piacentiniano.

Ora, se vuoi veramente dare vita al centro, devi osservare quello che succede nei borghi, e studiare la storia della città. Il centro di Bergamo Bassa non nasce come località centrale, ma lo diventa in quanto “passante” tra i borghi. Devi allargare il quadro, e la prospettiva.

Non è ignorando o soffocando i fermenti dei borghi, che porti vita in centro, ma piuttosto restituendo vita e senso di connessione al Sentierone in forma di “passante verde”, tracciato pedonale da aprire con poca fatica materiale (e molta mentale!) tra la Carrara-Gamec e Piazza Pontida, attraverso i parchi Suardi-Montelungo-Caprotti (cancelli da aprire…) fino a S.Spirito, e poi via Tasso, Sentierone e via XX Settembre.

Con questo anello pedonale tu scendi dalle mura, da Porta S.Agostino/via S.Tomaso, traversi tutto il centro e risali da S.Alessandro in Porta San Giacomo: e così integri città alta e bassa nella fruizione turistica pedonale, storico-artistica,

questo i turisti lo apprezzerebbero, e così pure i commercianti del centro e dei borghi, che per loro natura miope sono incapaci di vedere che oltre l’isola pedonale –  la tomba dello shopping – c’è l’arcipelago pedonale, e la resurrezione urbana.

Se Bergamo deve rinascere come città d’arte-turismo-cultura, è chiaro che i fermenti verranno dai borghi, dai luoghi dove ci sono artisti, gallerie, editori, sono loro che faranno crescere la città come città d’arte e cultura, proprio come secoli fa gli artigiani e le botteghe dei borghi hanno creato la città commerciale…

non serve fare la partnership con l’università di Harvard e spendere milioni in progetti di Smart City, sto parlando di aprire cancelli e portoni, sto parlando di aprire la mente della città…

forse non tutti sanno che il Sentierone  in origine si chiamava Sentierino, ed era appunto un Sentierino che collegava i borghi attraversando il grande prato di Sant’Alessandro (dove oggi sorge il centro Piacentiniano).

Aumentando il flusso, il Sentierino divenne Sentierone,  quindi si costruì la fiera, quindi il centro Piacentiniano oggi desertificato.

Ma il tracciato del Sentierino lo vedi ancora, tu guarda la mappa del 1600, e riconosci il filare d’alberi che ancora oggi corre a lato del Sentierone tra la Chiesa di San Bartolomeo e Palazzo Frizzoni: quello è il Sentierino.

Ricoperto di vecchio asfalto, orlato da brutti pannelli con brutte affissioni pubblicitarie, meriterebbe maggior cura, e una targhetta che in poche righe racconti la storia, e il senso, del Sentierino che diventò un Sentierone.

Insegniamo alle persone ad attraversare Bergamo Centro a piedi, dalla Carrara alle 5 vie, e riavremo la centralità del Sentierone.

Ma qui abbiamo architetti che vanno in America a farsi spiegare come fare marketing urbano, e poi tornano masterizzati, e per rivitalizzare il centro hanno idee brillantissime come quella di cambiare nome a Largo Bortolo Belotti, perché “è un nome che non ha appeal turistico”.

Io questi li rinchiuderei due o tre mesi al Gleno a leggere bene la Storia di Bergamo e dei Bergamaschi di Bortolo Belotti in 10 tomi e 2000 pagine, da sapere a menadito per riavere la libertà.

Il fatto è che la cultura a volte manca proprio agli uomini di potere che vorrebbero promuoverla. E alle donne, pardon.

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