la nuova destra spiegata alla vecchia sinistra

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NuovaDX

Attenzione! Se siete di sinistra e volete “fare un giro” per capire la nuova destra,

non dovete passare dal centro dell’arco parlamentare, piuttosto da “sotto”, seguendo l’arco extra-parlamentare, che dall’estrema sinistra conduce all’estrema destra, attraverso il pensiero anarchico.

si faccia attenzione: quando parliamo di nuova destra europea, o giovanile, non ci riferiamo in alcun modo alla destra borghese, padronale, statica e miope, elettorale, irreggimentata,

non parliamo di partiti, programmi, leggi; parliamo di fermenti, consensi e repulsioni della destra popolare, massiva, silente, giovanile e senile, proletaria, neoproletaria, sottoproletaria e con frange alto intellettuali e alto borghesi, eversiva e sovversiva per reazione,

parliamo di questioni, temi, ideali, rivendicazioni storicamente bagaglio della sinistra, che la vecchia sinistra, ormai ridottasi a forza (o debolezza) di pseudo-governo, utilizza come immagini strumentali, come valori nostalgici, per finalità elettorali,

quello che sta accadendo, è molto semplice: una serie di soggetti, individui, gruppi, movimenti, tribù urbane che per origine e ideologia si credevano di sinistra, ovvero che si sono sempre dichiarate di sinistra, e tali sono sempre state credute dall’esterno,

oggi scoprono una nuova e più autentica identità nei fermenti dell’estrema destra non parlamentare:

parliamo di gay, femministe, anarchici, sovversivi/centri sociali, disoccupati, animalisti, ecologisti, anti-proibizionisti e anche immigrati;

Pazzesco? No,  semplicemente di fronte alla crisi globale (crisi sociale, finanziaria, ambientale) il pensiero di destra, l’umore, la temperie della nuova destra sembra avere più risposte, più reazioni, e anche più idee della vecchia sinistra,

ed è questo il fatto paradossale, preoccupante, significativo, per chiunque osservi con disincanto – e facendo uno sforzo di onestà intellettuale – i rivolgimenti della coscienza collettiva europea, specie giovanile,

l’analisi da fare è lunga e impegnativa, e sarebbe compito del centro studi del PD (sempre che ne abbia ancora uno, perché da fuori l’impressione è che il grande partito della vecchia sinistra abbia concentrato ogni risorsa intellettuale nel marketing politico, con risultati deprimenti)

il riscontro immediato, la realtà che incontra chiunque si addentri senza pregiudizi in queste tribù che definiamo “migranti” verso la destra, è di un’evidenza che la vecchia sinistra non può più fingere di non vedere, o liquidare con snobismo come fenomeni di populismo o grillismo;

a quel punto avrete una carrellata sulle tribù migranti dalla vecchia sinistra alla nuova destra, e sarete choccati nello scoprire che:

1) se sei ribelle, e disposto a lottare per cambiare il mondo, con una pulsione anti-americana, anti-euro, e radicalmente no-global, facilmente sei un giovane di estrema destra;

2) se sei un giovane, laureato, senza lavoro, se sei un artigiano, un anarchico, un intellettuale, un artista, oggi, in europa, l’unica strada di vero cambiamento  che vedi è la nuova destra;

3) se se gay, dichiarato o no, oggi, in europa, sei della nuova destra, dichiarato o no,

4) se sei femminista, oggi, in europa, sei della nuova destra, in modo sempre più dichiarato

5) perfino se sei un immigrato, oggi, in europa, sei “logicamente” della nuova destra,

6) se sei un vero animalista, oggi, in europa, sei della nuova destra, per reazione all’animalismo borghese fatto di orribili sentimenti di possesso e altrettanto orribili misure pubbliche di “irregimentazione” dell’animale-uomo in uomo-polpetta (tracciabile).

7) se sei equo-solidale, hai più riscontri, più identità storica  nella nuova destra, che nella vecchia sinistra, con i suoi assurdi cioccolatini equo-solidali, che proprio come la Coca Cola fanno il giro del mondo prima di essere venduti con i punti Fragola all’Esselunga.

8) se sei un “terra madre”, un “chilometro zero”, prima o poi onestamente ti scopri di nuova destra,

i discorsi sono enormi, come si vede, urgenti, necessari, eppure io vado agli incontri, seguo i dibattiti, le proposte di tutto l’arco “civile”, e trovo pochissimo;

seguo i discorsi on line,  vado nei centri sociali, ai rave party, allo stadio, nei circoli, nei pub  e ovunque trovo persone dai 20 ai 60 anni che cercano un modo di vita o non ne possono più degli unici possibili, persone che di fatto vorrebbero vivere secondo nuovi patti sociali, e immaginano mondi più ristretti ma reali e possibili, dove vivere liberi dal demone-finanziario,

dalla tribù terra madre, ad esempio, stanno nascendo tribù di neo-feudali, eco-feudali, tecno-feudali,

il pensiero, la visione della destra neorurale, a differenza della sinistra equo-solidale,  ha un modello, un input storico forte implementabile sull’ideologia del km zero, del biologico e dell’impatto zero/energie naturali;

un modello eco-feudale, che si basa su una retro-proiezione al medio evo:  la struttura curtense, concentrica,

con al centro il castello (o l’abbazia-monastero), attorniato dai borghi artigiani, dagli orti, dai pascoli, dalle cascine e dalle terre comuni,

un modello micro-territoriale chiuso, autosufficiente, comunitario,

una contea, una marca, un territorio vero, di 100-200 kmq, con 1000-2000 persone, che può fare a meno dello Stato, dell’Eni, dell’Enel e di Telecom,

equivalente a quello che oggi è un comune con il suo territorio, con sue leggi, fonti d’energia, produzione alimentare e scambi con l’esterno unicamente in forma di baratto collettivo,

un sistema di vita agro-comunitario, basato su alcuni punti fermi:

il km.zero integrale e dunque l’abolizione del denaro (per questo la dimensione comunitaria minima è  di 1000-2000 persone)

l’abolizione di ogni burocrazia (per questo la dimensione comunitaria massima è sempre di 1000-2000 persone)

in parallelo al km.zero delle merci e delle leggi,  il km1000 delle idee e della tecnica,

perché nel nuovo feudo, nella tecno-abbazia, ferve l’attività intellettuale, la ricerca, il contatto e la comunicazione web con feudi di tutti i mondi, l’incontro con studiosi e  ricercatori provenienti da altri feudi, che portano idee, sementi, tecniche sostitutive della vecchia tecnologia nemica della terra…

una nuova forma di comunità umana composta da individui-leoni (contestualmente si abbatte la società individualista degli uomini-pecore)

una visione decisamente più radicale, più social e più “ideale” del banale sogno personale cui si è fermata la vecchia sinistra: aprire un agri-turismo!

Questo è solo un accenno, ognuna delle tribù citate ha i suoi “grilli” di nuova destra per la testa, e forse bisognerebbe occuparsi positivamente di questo grillismo diffuso,

il povero “beppe” è soltanto uno dei tanti, chi non ha grilli per la testa in questo momento?

Le “prove di colpo di  stato” (sia teatrali che legali) avvenute in Grecia, il successo dei partiti di estrema destra nell’estrema europa (Norvegia, Grecia, Portogallo) dovrebbero farci fare un passo più intelligente del “Oh mio Dio, è la fine di un mondo!” che ci porta a ridurre la questione al nobile dilemma democratico se mettere fuori legge Casa Pound o Alba Dorata.

Certo che è la fine di un mondo! Adesso, come direbbe Marx, bisogna pensarne uno nuovo!

(intervento di Sean Blazer all’incontro su “la nuova destra europea” promosso da Internaz. TurboComunista; imago: lampada Drop, design by Karim Rashid, produz. Purho)

la mossa del cavallo

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NattaCTRL

Chioma selvaggia, occhi verdi, era la minorenne più erotica del campus.

Appena conosciuta ti chiedeva scopiamo? Poi dipendeva dalla risposta che davi.

I suoi avevano fatto i soldi con le cucina di formica, fin da bambina lei in fabbrica aveva respirato fumi di poliuretano-silicone, e già alle medie aveva i seni espansi.

Diceva cose come: mi fanno schifo le foglie, gli insetti, la pioggia, le lumache.

Oppure: adoro il moplen, il plexiglass e la vimpelle.

Aveva una passione insana per la plastica e la chimica, e per questo si era iscritta al Natta.

Voleva viaggiare nel futuro. Abbiamo troppa energia per limitarci a questa vita, a questo corpo.

Indimenticabile, la risposta da Mc Enroe a un Carabiniere che ci aveva fermati: mai avuto problemi con le droghe, signorina? No, mi sono sempre trovata benissimo.

L’avevo soprannominata “Natta come un cavallo”.

Aveva tutti 8 in pagella, ma era stata bocciata per il 4 in comportamento. La motivazione era questa: la stazione treni e bus era proprio davanti al polo scolastico Esperia-Natta-Galli-Geometri, ma assurdamente l’ingresso era dall’altra parte. Invece di fare 3 chilometri a piedi 2 volte al giorno, come facevano gli altri 3000 studenti, lei scavalcava muro di cinta e binari.

La mossa del cavallo, la chiamava, lo scarto creativo che scompagina l’ordine del gioco.

Questo muro serve a inculcare sottomissione nei figli dei lavoratori. L’anno prossimo lo faccio saltare.

Il sottopassaggio era in progetto dal 1963, ma ci sono voluti 50 anni, e il mitico sindaco Bruni, lo sventra-berghem, per vederlo realizzato.

Incredibilmente, dopo 30 anni che non la vedevo, qualche mese fa l’ho incontrata proprio lì, nel sottopasso della stazione.

Assomigliava a Charlotte Rampling. Tornava da un convegno vegano.

Aveva cambiato prospettive a 360°, dunque in fondo non era cambiata.

Servono idee per salvare il pianeta. Bisogna lanciare il premio Natta. Il premio Nobel ha rotto le palle.

Mi mostrò un barattolo di vetro con dentro della  muffa viola. I miei funghi mi disse.

Li nutriva con unghie, capelli, croste del naso, cerume delle orecchie, tutta roba sua. In questo modo mi riconosceranno.

Una volta cadavere, spiegò, li avrebbe indossati  e i funghi l’avrebbero bio-degradata in modo totalmente ecologico.

Sai quanto inquinano i cadaveri? E le ceneri? Abbiamo pochi anni per salvare il pianeta.

Cambiando discorso, le ho chiesto: ti ricordi il nostro primo incontro? Certo, scienziato!

Una festa in tavernetta, a Martinengo, doveva essere il 1983, lo stereo sparava i Boney M.

Io indossavo un’orribile cravatta di pelle, e  cercavo il bagno, col Martini bianco caldo in mano. Lei usciva dal bagno, strafatta.

Era la prima volta che la vedevo.

Tenendomi aperta la porta del bagno, mi aveva detto: ciao sfigato, scopiamo?

Da fighetto del Lussana, permaloso, avevo risposto: ho le mie cose.

E lei, senza scomporsi: che problema c’è scienziato? Facciamolo dietro.

(Ndr: editoriale di Leone Belotti per n.44 CTRL magazine, in occasione di Bergamo Scienza e delle iniziative  sulla figura di Giulio Natta, premio Nobel per la chimica, morto a Bergamo nel 1979. L’uomo che ha inventato la plastica)

 

 

pro labore pugnare nos doce domine

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PapaFrJunior

Specta nos Domine

Specta hoc civitatis insulaeque

Specta familias nostras

Tibi labor non defecit Domine

Faber lignarius fuisti beautus

Nobis labor deficit

Idola dignitatem nobis subducere volunt

Et iniqua rationes spem nobis abigere

Domine adiuva nos ad nos ipsos adiuvantes futuri esse

Et oblitterata cupiditate adiuva nos ipsos in fieri populus progressum agens

Pro labore pugnare nos doce Domine

Signore Dio guardaci, guarda questa città e questa isola, guarda le nostre famiglie. Signore a te non è mancato il lavoro, hai fatto il falegname, eri felice.

Signore ci manca il lavoro.  Gli idoli vogliono rubarci la dignità.

I sistemi ingiusti vogliono rubarci la speranza.  Signore aiutaci ad aiutarci tra noi, a dimenticare l’egoismo e a sentire il ‘noi’, il ‘noi popolo’ che vuole andare avanti.

Insegnaci a lottare per il lavoro.

(Discorso a braccio di Papa Francesco in Sardegna;

imago: Jose Mario Bergoglio in pubertà 

Traduzione in latino by Leone XIV)

centro malessere

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FMKT19

Pochi giorni fa, Mr. Benedetto Obliquid mi ha detto: “Hai visto il tizio che ha aperto un centro per sfogarsi sfasciando oggetti? Un successone! Mi ha ricordato il tuo progetto di Centro Malessere di qualche anno fa”.

L’idea del Centro Malessere in realtà è di Gigi Lubrina, e risale al 2006, poi ripresa nel 2011, all’interno del progetto di ricerca “Fantamarketing”: le “visioni”  di Pier Luigi Lubrina,  prodotte da Calepio Press in forma di “racconti” (alcuni dei quali pubblicati sul blog Bamboostudio, altri di prox pubblicazione su CTRL magazine),  contaminando il genere più immaginifico di letteratura (fantascienza) con il genere più terra-terra di relazione (business plan per nuove imprese). 

Centro Malessere fa parte di una sezione di  progetti specifici sul tema “disagio della persona”. Imago: Biennale di Architettura, un paio di edizioni fa.

CENTRO MALESSERE (Fantamarketing project n 31)

field: wellness-badness

Centro servizi psico-fisici alla persona per la fruizione, gestione, scarico del malessere.

Stanze attrezzate per:

–       stanza scarico nevrosi con lanci distruttivo di oggetti frangibili/infrangibili;

–       stanza pareti urto-assorbenti per convulsioni isteriche singole,coppie,gruppi;

–       zona depressione, luce neon, lettini di cemento (tipo celle isolamento);

–       terapia olfattiva, cantina umida maleodorante ricoperta di muffa, polvere, letame;

–       cunicolo dell’eco e torre dell’urlo;

–       docce scozzesi, idranti, bagno turco-siberiano (vapore che ghiaccia addosso);

–       stanza farmaci-psicofarmaci (con la presenza di un farmacista);

–       stanze della nutrizione selvaggia, no arredi no stoviglie, no posate, si entra nudi: 1) camera-pasticceria-gelateria- formaggi grassi;  2)  stanza macelleria “mordente” e divorazione carni crude;  3)  gabinetto con stalattiti sgocciolanti alcolici / superalcolici

–       stanza/sportello lamentele e sfoghi con impiegati-capri espiatori; camera d’espiazione,  grida, insulti;  terapia dei ceffoni e calci nel sedere attiva-passiva.

trova l’intruso

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intruso2

chi trova un intruso trova un tesoro,

fai anche tu come me, io l’ho già fatto 25 volte con successo:

quando la tua gatta è gravida, o un tuo amico disperato ti dice che non sa dove mettere i cuccioli, il metodo è questo:

quando il gattino è svezzato, si prende il telefono e si chiama il primo numero della lista.

Nelle lista ci sono persone che ti hanno sempre detto: sì, come mi piacerebbe un gatto, però non posso. Oppure quelli, e ci sono, che dicono: io potrei, ma odio i gatti.

Chiami la persona e dici solo: “ci sei adesso, oggi, stasera, passo cinque minuti, devo chiederti una cosa importante, non farmi dire al telefono, no, passo io da te, sì, stasera!”

(sempre meglio agire la sera).

Ti presenti di fretta, ma sorridente, con due borse di bell’aspetto.

Entri deciso, vai in soggiorno o in cucina, e piazzi la borsa n.1 sul tavolo, e la apri dicendo “non ti spaventare, non è quello che pensi”.

In una cesta di vimini con cuscinetti a contrasto, c’è un gattino spaurito.

Subito, piazzi la borsa n.2, e la apri: contiene un set nuovo e colorato composto da lettiera, sacchetto di sabbietta, paletta, ciotola, ciotolina e cinque minilattine o bustine di schifezze di marca.

Senza esitazione, spari il discorso unico:

“non so perchè lo chiedo a te, forse per una fiducia che sento, ma ascolta, è solo un piacere per due giorni, lo vedi, non posso abbandonarlo,

due giorni, ho quest’urgenza (e qui personalizzate  a piacere, lavoro, famiglia, un funerale o un matrimonio di cui vi eravate scordati, qualche impegno e viaggio improvviso e improrogabile)

ti assicuro, martedì sera passo a riprenderlo, qui c’è tutto quello che ti serve, puoi anche lasciarlo in lavanderia, solo lasciandolo a te mi sento tranquillo…”

intanto mentre il tizio, con la tipa o i bambini, è preso dal gattino, cominci ad allontanarti, in retro, apri la porta,

se ti guardano, dici cose come : “grazie, grazie, ci vediamo dopodomani sera, per qualsiasi cosa chiamami, qualsiasi ora…”  e ti dilegui, fuggi, dici che hai l’aereo, il treno, e via.

Poi martedì sera chiami, chiedi se tutto bene, ascolti un po’, poi dici: “ascolta, se facessimo domani, per te sarebbe un problema?”

Ma no, cosa vuoi che sia, ormai cosa mi cambia, è già qui, un giorno in più o un giorno in meno, vai tranquillo.

L’indomani, fai la stessa telefonata, e proroghi al fine settimana.

A questo punto, nel 90% dei casi di solito ti ha già fatto capire che è disposto a tenerlo a tempo indeterminato.

Al 10% dei resistenti, alla fine della settimana, costernato, imbarazzato, umilmente, chiederai un grosso favore, di tenerlo ancora una settimana, ti stanno imbiancando la casa…

In questo modo, per esperienza, il 99% degli intrusi vanno a buon fine.

Quindi, quando ci assale l’angosciosa necessità di sterilizzare la gatta, ricordiamoci che l’alternativa esiste, ed è questa,

il metodo “insider cat” è l’unico metodo che funziona,

richiede un certo sbattimento, ma funziona, e ci gratifica,

non perdiamo tempo con annunci, telefonate, concentriamoci nel preparare la lista, e nell’agire con freddezza e determinazione quando scatta l’ora X;

dalla nostra missione dipendono quattro vite che faremo felici:

quella del cucciolo, che non viene soppresso;

quella del nuovo padrone del cucciolo, che vi ringrazierà;

quella della gatta-madre, che non viene sterilizzata;

e infine anche quella del padrone della gatta-madre, che non ha dovuto sopprimere i cuccioli;

e tutto questo con qualche  telefonata, 30 euro, e uno show ben recitato!

cioè roba che si fa quotidianamente per guadagnare la pagnotta!

se chi trova un intruso, trova un tesoro, anche chi porta un intruso, porta un tesoro!

Invece di sterilizzarla, tiriamo fuori le unghie della gatta che c’è in noi…

Evviva la gatta!

(imago: l’intruso n.25, photo by Chiara Locatelli)

 

 

sweet sand fried

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rinascente1932

Alice Lewis, 101 anni, socio senior di Calepio Press dal 1921, scrittrice “rosa”, pubblicata in Italia da Mondadori (“Il sogno infranto”, biografia di Lady Diana; novelle su Confidenze 1996-2001) inizia la sua collaborazione a BaDante care&writing agency con le sue ricette di cucina poverissima ultracreativa a budget extra minimal –

Il sandwich come tutti sanno deve il nome al IV Lord di Sandwich, incallito e vizioso giocatore di carte del XVIII secolo che come ogni ludopatico non si staccava dal tavolo da gioco nemmeno per mangiare,

perciò il suo maggiordomo creò il “sandwich”, alimento rapidamente commestibile usando una mano sola, senza interrompere l’impegno al tavolo da gioco,

i sandwich non consumati, un poco induriti, venivano poi riportati in vita facendoli abbrustolire sulla piastra della stufa, e con ciò il buon maggiordomo creò il “toast”;

quando poi in Italia il Duce lanciò la campagna per la purezza della lingua e l’abolizione di ogni parola straniera, specialmente anglofona, il copy-writer ufficiale del regime, il vate Gabriel d’Annunzio,

già creatore de “La Rinascente” e della “Standa” (ex “Magazzini Standard”) con felice ispirazione creò il neologismo – di derivazione edilizia –  “tramezzino”;

ai giorni nostri, in Italia, con le orribili piastre elettriche di nuova generazione, o i tostapane a norma, e le sottilette light, è quasi impossibile avere un vero toast,

se non in qualche vecchio bar di periferia o di paese, che abbia conservato un tostapane anteriore al 1980,

solitamente questi bar espongono ancora il cartello “toast” (ma se insieme a “toast” c’è “piadine” non fidatevi).

L’unica soluzione come sempre è arrangiarsi, e sperimentare in proprio.

La mia proposta di oggi, variazione sul tema sandwich-toast, è il tostant, il toast-croissant, nome scientifico “sweet sand fried”.

Lo “sweet sand fried” è un sandwich dolce, abbrustolito-fritto, una sorta di croissant fatto in casa,

ingredienti: 2 fette di pan carrè preferibilmente avanzate e già mezze stantie; 1 noce di burro (anche rancido); 1 noce di marmellata quodlibet (qualsivoglia)

preparazione:

usando una qualsiasi padella antiaderente, o una piastra in ghisa,

fate tostare con calma e voluttà (fuoco minimo, 5 minuti) una faccia delle due fette a tostatura incipiente (quando appaiono le prime nouances rouges e un accenno di black stripes)

quindi spalmatele di burro e marmellata e chiudetela  a sandwich,

fate quindi tostare ipso modo il sandwich su entrambi i lati, girandolo una sola volta

otterrete una sorta di primitivo croissant, croccante in crosta, burroso in pasta e dal cuore dolce, di conserva,

lasciate riposare 2-3 minuti, per far riassorbire il burro sciolto nella trama della tostatura

infine addentate e mangiate in quattro morsi, partendo da uno spigolo

con un solo “sweet sand fried” avrete soddisfatto in modo sano, rapido ed economico ogni esigenza nutritiva:

25% fabbisogno calorico giornaliero; 90% fabbisogno grassi giornaliero; 30% fabbisogno proteine giornaliero; 20% fabbisogno zuccheri giornaliero

Imago: una giovanissima Alice Lewis modella per La Rinascente

le nouvelle jacquerie

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jacquerie

(“Le nouvelle jacquerie”, by Sean Blazer, intervento al seminario “attualità dell’esproprio proletario” tenutosi a margine dell’incontro dei saggi di governo a Francavilla a Mare; imago ex scene iniziali del film cult Zombie by G.Romero.)

Nell’ancient regime, quando i signori del castello sguazzavano nell’oro senza nemmeno accorgersi che i servi della gleba già da tempo avevano iniziato a crepare di fame, improvvisamente, scoppiava una jacquerie,

cioè una rabbia e disperazione collettivamente repressa, che a una certa temperatura esplodeva in modo non organizzato, quasi per combustione spontanea,

la jacquerie contadina si risolveva solitamente in una notte, con l’assembramento della massa critica, l’assalto al castello con forconi e badili, lo sterminio dei signori, l’incendio “dei registri”, la rapina dei tesori, delle armi, del bestiame, la spartizione dell’oro, e delle scorte dei granai,

poi, nel giro di ore, di giorni, al massimo di settimane, arrivava un’armata imperiale, e ristabiliva l’ordine, con punizioni esemplari

l’equivalente della jacquerie dei servi della gleba, nell’epoca dei servi del consumo, sarà evidentemente l’assalto al centro commerciale,

assalto sino ad oggi “metaforico”, ma che prossimamente, salendo la temperatura di frustrazione nella massa oppressa, si realizzerà in assalto vero e proprio, semplicemente sposando un qualche meccanismo di contagio “social event”, quasi autogenerato dai network,

si veda l’esempio del centro commerciale “assaltato” a Palermo (si promettevano televisori a 1 euro): basterà che qualcuno dica “spesa gratis”, basterà un numero, una data, un’ora,

50.000 persone, contro qualche decina di vigilantes, che deporranno le armi, come ha quasi sempre fatto l’esigua e sottopagata guarnigione del castello (per non essere linciati, non per altro)

sarà un assalto ai beni di necessità, e dunque, oltre ai beni di necessità fisica, cibo, vestiti, anche ai beni di necessità psicologica e sociale, inerenti la comunicazione:

le tecnologie, gli abbonamenti selvaggi alle tv,

smart e tablet, non solo sfiorati col touch, ma afferrati a piene mani,

per poi magari essere gettati dopo poco, e con stizza, come noccioline che non si aprono:

e quello sarà il vero passo avanti,

cui le armate imperiali non potranno porre rimedio.

(“Cosa te ne fai, non è collegabile” dice lo Zombi1 allo Zombie2 che ha rubato una tivù,

al che lo Zombie2 risponde: “Hai ragione”, e la distrugge a mazzate)

uccisa, sfregiata? cambia la pellaccia!

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annabella2

se vogliamo realmente parlare di pubblicità e pudore, dobbiamo spiegare la differenza tra adv assoluta e adv relativa:

un’inserzione apparentemente innocua e blandamente adulatoria (in assoluto) se posizionata (relativizzata) nel posto sbagliato, diventa stomachevole, offensiva, ripugnante;

un esempio di questi giorni: pagina di cronaca dell’autorevole quotidiano nazionale, da sinistra a destra 3 grandi titoli-immagine catturano la vista e la mente (e la pancia):

1)   la donna-angelo Eleonora Cantamessa uccisa dai banditi-mostri;

2)   la donna-sfregiata Lucia Anniibali deturpata dall’ex partner-mostro;

3)   la donna-fata turchina Annabella, che risorge cambiando la vecchia pelliccia-mostro!

Sia sfogliata rapidamente, che letta integralmente, la pagina nell’insieme ha un effetto immediatamente grottesco: “Ti hanno uccisa o sfregiata? E tu cambia pelliccia!”

Come le bombe, la pubblicità colpisce dove cade, come un virus, o un propellente, agisce nel contesto, nel tessuto che la sorregge, che siano le sequenze di un film-contenitore,  le piazze di una città o le pagine di un giornale.

I criteri con i quali vengono affiancate e di fatto associate notizie e promesse-slogan, informazioni e pubblicità, sono più importanti dei contenuti stessi, ai fini dell’effetto di comunicazione;

Dunque è piuttosto inutile che il gran giurì della pubblicità emetta sentenze primordiali, di facciata, giudicando se un’immagine o una frase è lesiva in assoluto, in vitro, in astratto;

qui non ci interessa giudicare le male intenzioni degli inserzionisti nel caso specifico (ma potrei mostrarne dieci al giorno)

o l’insensibilità o la malizia delle concessionarie che vendono gli spazi

o l’ignoranza delle redazioni (letterale: chi scrive gli articoli non sa con quale sponsor si accompagneranno)

o l’irresponsabilità di fatto dell’editore:

quello che non accettiamo è il risultato, l’effetto, la nemesi,

la pubblicità, accolta come cura per far vivere l’editoria d’informazione,  è invece la malattia che la inquina e la fa morire.

Qualcuno ha scritto: “saper dosare pudore e crudeltà è l’arte dei poeti e dei pittori, la loro funzione sociale”.

Oggi questa “mission” è affidata agli uffici marketing, e ai loro bassi scopi,  con i risultati che vediamo.

Se io fossi la donna uccisa, o la donna sfregiata, mi leverei furiosa dal letto, dalla tomba, a chieder danni e risarcimenti, e all’editore e all’inserzionista, da devolvere ad associazioni impegnate sul tema:

poiché l’unica finalità del raccontare e condividere la mia tragedia, è quella di sostenere le donne vittime di violenza, non il fatturato di una pellicceria.

 

 

eros Badante veteros

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kawavintage

(testimonianza del sig. A. 84 anni, ex bancario, raccolta dal baDante Leone Belotti, per la serie letteratura erotica senile, che comprende sia racconti di sesso hard in terza età che ricordi erotici di lontane avventure, più soft)

Estate del 1979: per tutto l’anno mia moglie in previsione della “prova bikini” era stata maniacalmente a dieta ed era andata in palestra, diventando molto simile a un asse di legno, modello signorina Silvani, la segretaria di Fantozzi,

mentre io, peggio di Fantozzi, facevo tardi in ufficio per masturbarmi con gli special mensili “boobs” e “boots” – cioè “tettone” e “culone” – di Hustler, l’insuperata rivista porno,

che tenevo nel cassetto, e compravo con i soldi dell’azienda, con l’approvazione del sindacalista, a cui per tacito accordo la passavo alla fine del mese.

Arriva agosto e come sempre prendiamo la casa al mare un mese, ma io faccio quindici giorni di ferie,  e da ferragosto a fine mese quindici giorni, e quindici notti, da solo in città.

Il momento che aspetto da un anno, dovrei vergognarmi a dirlo, anche passati trent’anni, ma è la verità.

Le prime tre o quattro sere, dopo aver parlato al telefono con la moglie, mi ero messo in macchina e avevo girato delle ore inutilmente.

Ormai la mania della magrezza stava diventando una moda di massa,

in quegli anni c’era in giro moltissima eroina e alla fine quasi tutte le ragazze che trovavi per strada erano scheletriche e stordite, con i capellli lunghi e sporchi, e lo sguardo perso, come zombies

io cercavo una cavalllona vispa, capisci, una donnona, una tettona, una bolognese, una romagnola con le zeppe, se non proprio una texana in vacheros,

ma mi sarebbe andata benissimo anche una meridionale, culona, anche pelosa, purché vivace, verace,

il contrario di mia moglie, insomma,

e quindi anche giovane, fresca, una mozzarellona, una burrata,

così, non so perchè, una sera decido di uscire con la Kawasaki gialla del mio amico, che gli tenevo in garage mentre lui era in ferie, col permesso di usarla.

Faccio il giro della città senza più pensare alle donne con il piacere dell’aprire il gas e buttare giù la moto in piega e alzarla partendo ai semafori, bastava aprire la manopola e si alzava come una bestia che ruggisce.

A mezzanotte improvvisamente la vedo con la coda dell’occhio mentre sfreccio a manetta in centro, mi giro, la inquadro con lo zoom,

una figlia dei fiori, i capelli raccolti, pantaloni-salopette fantasia stile india, un borsone in spalla, e sacchetti vari: ma due tette enormi, vere.

Inchiodo, controllo la derapata, riparto contromano, la punto senza indugio e mi fermo alla sua altezza, spengo la moto, le chiedo: ti posso offrire un passaggio?

E lei, con una punta di dispiacere, e accento d’alta valle, dice la frase magica: sto lavorando!

Benissimo! Andiamo a lavorare! Le faccio la mia proposta, accetta subito, monta in sella, mi si stringe addosso.

Al semaforo dice: poi ti posso chiedere un piacere, se hai da darmi un paio di mutande, anche da uomo.

Ma certo!

Il reggiseno non lo uso, dice, con splendida volgarità di voce, e anche di gesto, premendomi le tette sulla schiena.

Illogicamente, accelero. Avrei dovuto frenare, e sentire la sua latteria dilatarsi sulla mia schiena.

Avrà un’ottava, penso, sarà sui venticinque anni. Tanta roba.

Al semaforo successivo spinge, e poi strofina, il pube sul mio coccige.

Ha trovato le maniglie posteriori, e spinge avanti il bacino.

Io abilmente mentre è rosso stacco dal manubrio e infilo dietro la mano sinistra (la destra tiene il freno) e in 2/10 di secondo col palmo aperto sulla vulva, attraverso i pantaloni leggerissimi di seta, percepisco, misuro e palpo il suo vaginone grandi labbra, clito estroflesso e umidità equatoriale.

Lei dice: brutto porco, cosa fai che poi mi agito! Piuttosto, ce li hai da darmi un paio di pantaloni della tuta, e una maglietta? E magari uno zainetto, perchè andare in giro con i sacchetti mi sembra di essere una barbona.

Ripartiamo e alla frenata successiva lei rapidamente e con precisione mi afferra a due mani e stringe delicatamente e brevemente scroto testicoli e pene.

Dice: e se hai qualcosa da mangiare, se non ti chiedo troppo, non mangio da stamattina.

Ma è un piacere sfamare gli affamati, lo dice anche il vangelo!

Quando arriviamo, fa una una certa fatica, o scena, a scendere dalla moto.

E se li hai, dice, un disinfettante, delle bende… devo ancora medicarmi la gamba, perchè il cretino che mi ha dato un passaggio prima in motocross faceva il bullo e siamo volati fuori strada, mi sono distrutta mezza gamba, tra la ghiaia e la scottatura sulla marmitta, ho messo su dei cerotti che mi ha regalato un ambulante.

Ok, bambina, eccoci a casa, ti preparo un bagno, e mentre ti fai il bagno ti preparo tutto quello che ti serve, mutande, calzini, calzoni, zainetto, salvietta, sapone.

Sapone devo stare attenta, mi dice, mentre si sfila la maglietta e le sue enormi tette cominciano a ballare davanti ai miei occhi come grosse otri di pelle di cerva colme di latte di bufala, devo stare attenta perchè sono allergica al nichel, il nichel è in quasi tutti i saponi e bagni schiuma, anche nel marsiglia, ci vuole proprio quello con scritto “senza nichel”.

Va bene, cerchiamo il sapone giusto.

Sei proprio gentile, ma lo sai che sei anche un bell’uomo?

Sarà stata anche una bugia, ma il coraggio di dirla l’ha trovato, a differenza di mia moglie, che dopo sposato non mi ha mai più degnato di un complimento.

Ti chiedo troppo se puoi mettere su una pasta, mentre faccio il bagno?

La faccio breve: uscita dal bagno, nuda e bagnata, ma con ai piedi le scarpe con i tacchi, e senza sedersi, ma piegandosi a novanta gradi sul tavolo della cucina, si era messa a mangiare i maccheroni al ragù star direttamente dalla marmitta con  le mani,

– mia moglie comprava ragù star in quantità industriali –

mentre io, inginocchiato sotto il tavolo, diventavo matto come un cane leccandola tutta dalle caviglie ai fianchi, e tra le gambe, da ogni verso,

avevo passato mesi di prove solitarie immaginando grandi chiavate multiple, in piedi, sul divano, sul tavolo, da dietro, da sopra, da sotto,

e invece dopo pochi minuti, mentre lei faceva “la scarpetta” alla pentola, io, mentre la leccavo, schizzavo come un ragazzino, avendole sdrusciato involontariamente il pene sul polpaccio,

cosa che mi aveva fatto perdere il controllo sulla miccia del missile, acceso ed esploso a razzo, con il proiettile liquido che mi colpiva esattamente al pomo d’adamo, mentre la seconda raffica, avendo chinato di scatto il capo,  mi finiva nell’occhio.

Lei rideva da matta, una vera risata grassa, e mentre io mi facevo piccolo piccolo mi aveva detto siediti qui, sul tavolo, e con la bocca arancione, cosparsa di ragù, aveva ingoiato in un sol boccone quello che restava del mio “gigante”,

miracolosamente rianimandolo in un tempo tutto sommato brevissimo, per i miei standard del tempo, quarantenne, quasi cinquantenne, e fumatore,

quindi aveva allontanato la bocca, e sempre tenendolo per mano, con la destra, e lubrificandosi nel contempo con il pollice e il medio della sinistra, si era alzata e girata con gesto fluido, e a gambe divaricate se l’era infilato, o meglio conficcato di forza, nel culo, con gesto secco, trascinandomi dal tavolo alle sue terga, cui restavo avvinghiato a koala, per meno di tre secondi, per poi afflosciarmi a terra, ridotto a vecchio peluche flaccido,

mi hai steso, le ho detto, mentre si rivestiva e ficcava un po’ nervosamente tutta la roba in un grosso sacco nero doppio, di quelli dell’immondizia,

ce l’hai uno stuzzicadenti? le era rimasto un tocchetto di ragù tra gli incisivi, che aveva belli distanziati.

notando che non aveva segni di buchi sulle braccia né sulle gambe, le dissi: si vede che non usi eroina

fa schifo quella merda, dice, mi sono fatta per 10 anni, ma adesso vado a cocaina, tutto un altro sballo, mi lasci qualcosa per il taxi, non mi sembra il caso adesso che mi accompagni, in quello stato lì

mentre aspettavamo il taxi, lei guardando dalla finestra, mi dice: la sai la vera favola di Cenerentola?

“Cenerentola va al festino del principe, ma il principe è parecchio sfigato, lei a mezzanotte deve rientrare al night, allora va sotto il tavolo e gli fa un pompino,

poi riemergendo dalle tovaglie sputa nel vassoietto da portata, dove sono rimaste solo due fettine di brie sciolto.

Prende su e va, e il principe la rincorre gridando: “Cenerentola! La scarpetta!”

Al che Cenerentola si gira e incazzata dice: “Pota ostia, va bene il pompino, ma la scarpetta no!”

Appena finita la favola era arrivato il taxi.

Non l’ho più rivista. Quella è stata l’ultima volta che sono andato con una donna da strada, e anche l’ultima volta che ho avuto un rapporto anale, e anche l’ultimo pompino, a essere sincero.

Qualche anno dopo mia moglie è stata una delle prime a farsi fare le tette in silicone.

(titolo originale: mia moglie comprava il ragù star – copyright BaDante-Calepio Press 2013)

I don’t Lav

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loro, quelli della Lav, la Lega Anti Vivisezione, tra le più grandi e storiche associazioni per i diritti degli animali, avranno anche tutte le loro ragioni, umane, umanissime,

ma io, come bestia, e come padre, come faccio a iscrivermi a un’associazione animalista che fa una campagna pubblicitaria con uno slogan che dice: se lo ami lo sterilizzi?

I don’t Lav!