eros Badante veteros

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kawavintage

(testimonianza del sig. A. 84 anni, ex bancario, raccolta dal baDante Leone Belotti, per la serie letteratura erotica senile, che comprende sia racconti di sesso hard in terza età che ricordi erotici di lontane avventure, più soft)

Estate del 1979: per tutto l’anno mia moglie in previsione della “prova bikini” era stata maniacalmente a dieta ed era andata in palestra, diventando molto simile a un asse di legno, modello signorina Silvani, la segretaria di Fantozzi,

mentre io, peggio di Fantozzi, facevo tardi in ufficio per masturbarmi con gli special mensili “boobs” e “boots” – cioè “tettone” e “culone” – di Hustler, l’insuperata rivista porno,

che tenevo nel cassetto, e compravo con i soldi dell’azienda, con l’approvazione del sindacalista, a cui per tacito accordo la passavo alla fine del mese.

Arriva agosto e come sempre prendiamo la casa al mare un mese, ma io faccio quindici giorni di ferie,  e da ferragosto a fine mese quindici giorni, e quindici notti, da solo in città.

Il momento che aspetto da un anno, dovrei vergognarmi a dirlo, anche passati trent’anni, ma è la verità.

Le prime tre o quattro sere, dopo aver parlato al telefono con la moglie, mi ero messo in macchina e avevo girato delle ore inutilmente.

Ormai la mania della magrezza stava diventando una moda di massa,

in quegli anni c’era in giro moltissima eroina e alla fine quasi tutte le ragazze che trovavi per strada erano scheletriche e stordite, con i capellli lunghi e sporchi, e lo sguardo perso, come zombies

io cercavo una cavalllona vispa, capisci, una donnona, una tettona, una bolognese, una romagnola con le zeppe, se non proprio una texana in vacheros,

ma mi sarebbe andata benissimo anche una meridionale, culona, anche pelosa, purché vivace, verace,

il contrario di mia moglie, insomma,

e quindi anche giovane, fresca, una mozzarellona, una burrata,

così, non so perchè, una sera decido di uscire con la Kawasaki gialla del mio amico, che gli tenevo in garage mentre lui era in ferie, col permesso di usarla.

Faccio il giro della città senza più pensare alle donne con il piacere dell’aprire il gas e buttare giù la moto in piega e alzarla partendo ai semafori, bastava aprire la manopola e si alzava come una bestia che ruggisce.

A mezzanotte improvvisamente la vedo con la coda dell’occhio mentre sfreccio a manetta in centro, mi giro, la inquadro con lo zoom,

una figlia dei fiori, i capelli raccolti, pantaloni-salopette fantasia stile india, un borsone in spalla, e sacchetti vari: ma due tette enormi, vere.

Inchiodo, controllo la derapata, riparto contromano, la punto senza indugio e mi fermo alla sua altezza, spengo la moto, le chiedo: ti posso offrire un passaggio?

E lei, con una punta di dispiacere, e accento d’alta valle, dice la frase magica: sto lavorando!

Benissimo! Andiamo a lavorare! Le faccio la mia proposta, accetta subito, monta in sella, mi si stringe addosso.

Al semaforo dice: poi ti posso chiedere un piacere, se hai da darmi un paio di mutande, anche da uomo.

Ma certo!

Il reggiseno non lo uso, dice, con splendida volgarità di voce, e anche di gesto, premendomi le tette sulla schiena.

Illogicamente, accelero. Avrei dovuto frenare, e sentire la sua latteria dilatarsi sulla mia schiena.

Avrà un’ottava, penso, sarà sui venticinque anni. Tanta roba.

Al semaforo successivo spinge, e poi strofina, il pube sul mio coccige.

Ha trovato le maniglie posteriori, e spinge avanti il bacino.

Io abilmente mentre è rosso stacco dal manubrio e infilo dietro la mano sinistra (la destra tiene il freno) e in 2/10 di secondo col palmo aperto sulla vulva, attraverso i pantaloni leggerissimi di seta, percepisco, misuro e palpo il suo vaginone grandi labbra, clito estroflesso e umidità equatoriale.

Lei dice: brutto porco, cosa fai che poi mi agito! Piuttosto, ce li hai da darmi un paio di pantaloni della tuta, e una maglietta? E magari uno zainetto, perchè andare in giro con i sacchetti mi sembra di essere una barbona.

Ripartiamo e alla frenata successiva lei rapidamente e con precisione mi afferra a due mani e stringe delicatamente e brevemente scroto testicoli e pene.

Dice: e se hai qualcosa da mangiare, se non ti chiedo troppo, non mangio da stamattina.

Ma è un piacere sfamare gli affamati, lo dice anche il vangelo!

Quando arriviamo, fa una una certa fatica, o scena, a scendere dalla moto.

E se li hai, dice, un disinfettante, delle bende… devo ancora medicarmi la gamba, perchè il cretino che mi ha dato un passaggio prima in motocross faceva il bullo e siamo volati fuori strada, mi sono distrutta mezza gamba, tra la ghiaia e la scottatura sulla marmitta, ho messo su dei cerotti che mi ha regalato un ambulante.

Ok, bambina, eccoci a casa, ti preparo un bagno, e mentre ti fai il bagno ti preparo tutto quello che ti serve, mutande, calzini, calzoni, zainetto, salvietta, sapone.

Sapone devo stare attenta, mi dice, mentre si sfila la maglietta e le sue enormi tette cominciano a ballare davanti ai miei occhi come grosse otri di pelle di cerva colme di latte di bufala, devo stare attenta perchè sono allergica al nichel, il nichel è in quasi tutti i saponi e bagni schiuma, anche nel marsiglia, ci vuole proprio quello con scritto “senza nichel”.

Va bene, cerchiamo il sapone giusto.

Sei proprio gentile, ma lo sai che sei anche un bell’uomo?

Sarà stata anche una bugia, ma il coraggio di dirla l’ha trovato, a differenza di mia moglie, che dopo sposato non mi ha mai più degnato di un complimento.

Ti chiedo troppo se puoi mettere su una pasta, mentre faccio il bagno?

La faccio breve: uscita dal bagno, nuda e bagnata, ma con ai piedi le scarpe con i tacchi, e senza sedersi, ma piegandosi a novanta gradi sul tavolo della cucina, si era messa a mangiare i maccheroni al ragù star direttamente dalla marmitta con  le mani,

– mia moglie comprava ragù star in quantità industriali –

mentre io, inginocchiato sotto il tavolo, diventavo matto come un cane leccandola tutta dalle caviglie ai fianchi, e tra le gambe, da ogni verso,

avevo passato mesi di prove solitarie immaginando grandi chiavate multiple, in piedi, sul divano, sul tavolo, da dietro, da sopra, da sotto,

e invece dopo pochi minuti, mentre lei faceva “la scarpetta” alla pentola, io, mentre la leccavo, schizzavo come un ragazzino, avendole sdrusciato involontariamente il pene sul polpaccio,

cosa che mi aveva fatto perdere il controllo sulla miccia del missile, acceso ed esploso a razzo, con il proiettile liquido che mi colpiva esattamente al pomo d’adamo, mentre la seconda raffica, avendo chinato di scatto il capo,  mi finiva nell’occhio.

Lei rideva da matta, una vera risata grassa, e mentre io mi facevo piccolo piccolo mi aveva detto siediti qui, sul tavolo, e con la bocca arancione, cosparsa di ragù, aveva ingoiato in un sol boccone quello che restava del mio “gigante”,

miracolosamente rianimandolo in un tempo tutto sommato brevissimo, per i miei standard del tempo, quarantenne, quasi cinquantenne, e fumatore,

quindi aveva allontanato la bocca, e sempre tenendolo per mano, con la destra, e lubrificandosi nel contempo con il pollice e il medio della sinistra, si era alzata e girata con gesto fluido, e a gambe divaricate se l’era infilato, o meglio conficcato di forza, nel culo, con gesto secco, trascinandomi dal tavolo alle sue terga, cui restavo avvinghiato a koala, per meno di tre secondi, per poi afflosciarmi a terra, ridotto a vecchio peluche flaccido,

mi hai steso, le ho detto, mentre si rivestiva e ficcava un po’ nervosamente tutta la roba in un grosso sacco nero doppio, di quelli dell’immondizia,

ce l’hai uno stuzzicadenti? le era rimasto un tocchetto di ragù tra gli incisivi, che aveva belli distanziati.

notando che non aveva segni di buchi sulle braccia né sulle gambe, le dissi: si vede che non usi eroina

fa schifo quella merda, dice, mi sono fatta per 10 anni, ma adesso vado a cocaina, tutto un altro sballo, mi lasci qualcosa per il taxi, non mi sembra il caso adesso che mi accompagni, in quello stato lì

mentre aspettavamo il taxi, lei guardando dalla finestra, mi dice: la sai la vera favola di Cenerentola?

“Cenerentola va al festino del principe, ma il principe è parecchio sfigato, lei a mezzanotte deve rientrare al night, allora va sotto il tavolo e gli fa un pompino,

poi riemergendo dalle tovaglie sputa nel vassoietto da portata, dove sono rimaste solo due fettine di brie sciolto.

Prende su e va, e il principe la rincorre gridando: “Cenerentola! La scarpetta!”

Al che Cenerentola si gira e incazzata dice: “Pota ostia, va bene il pompino, ma la scarpetta no!”

Appena finita la favola era arrivato il taxi.

Non l’ho più rivista. Quella è stata l’ultima volta che sono andato con una donna da strada, e anche l’ultima volta che ho avuto un rapporto anale, e anche l’ultimo pompino, a essere sincero.

Qualche anno dopo mia moglie è stata una delle prime a farsi fare le tette in silicone.

(titolo originale: mia moglie comprava il ragù star – copyright BaDante-Calepio Press 2013)

47 TFIC – 14 paraletteratura rossa

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 ark17

14 paraletteratura rossa

lo scrittore di storie pornografiche

Bene. Io sono arrivato al rosa per caso, passando dal rosso, cioè dal porno.

Da ragazzino, quando mi aggiravo in bicicletta in Val Calepio, ero sempre molto attento ai margini delle strade, dove spesso si trovavano dei giornaletti porno.

La gente li buttava dal finestrino, i camionisti soprattutto.

Una volta si buttava tutto con naturalezza dal finestrino, a cominciare dal pacchetto di sigarette vuoto.

Oggi il porno è morto, il porno cartaceo intendo, essendosi polverizzato e virtualizzato nel processo di migrazione dapprima al video quindi al video amatoriale e al web, per cui oggi chiunque fa un porno e lo carica in rete.

Ricordo perfettamente quel giorno di moltissimi anni fa, quando infilai un foglio nella mia Olivetti intenzionato a scrivere la sceneggiatura completa per un fotoromanzo porno da proporre alla International Press, allora il più grande editore porno italiano (testate come Caballero, Le Ore, Cronaca Italiana).

Ricordo il viaggio in moto a Milano (guidando un Caballero 50!) per consegnare il mio dattiloscritto come aspirante autore minorenne di porno-sceneggiature per lettori maggiorenni.

La sede della International Press era a Milano, tra i navigli e la Bovisa, dove spuntano tre grattacieli identici, modello America, tutto vetro a specchio.

Uno di questi grattacieli, nel quale io entrai per sbaglio, era ai tempi, forse lo è ancora, la sede della Nestlè.

Ad ogni modo, del mio porno fotoromanzo, non seppi più nulla, ma mi venne in mente quindici anni dopo, forse per motivi freudiani (la storia apparteneva al sottogenere anale), quando un’amica  di amici mi dice che ha un contatto con un editore di settimanali rosa in cerca di nuovi autori di serie b o anche c.

Crisi.

Mi metto all’opera. Ed è a questo punto che mi torna in mente il mio vecchio soggetto-sceneggiatura porno.

Lo ritrovo nel solaio dei miei e mi metto a tradurlo da porno a rosa, un lavoro soprattutto lessicale, togli “mi masturbo a cazzo gigante” e metti “ti penso con tutto il cuore”, ma mantengo struttura, senso e trama del racconto, e lo mando a questo tizio che subito mi chiama e incontro,

è un vecchio lupo del settore, già editore dell’Intrepido e del Monello,

mi dice che sta per lanciare un nuovo settimanale femminile, c’è molto da lavorare, e io ho talento, dunque mi chiede di produrgli altri racconti-sceneggiature per fotoromanzi.

Così ne scrivo due, tre, quattro, passano due settimane, tre, un mese, due mesi, e questo nuovo periodico non nasce mai, così a un certo punto mando a quel paese il tizio e mando i mie racconti ai due leader di settore, Intimità e Confidenze.

Come mi disse con cognizione di causa una pornostar, il sesso stanca, se non c’è il sentimento. – segue

Imago: architetture sospese, www.jennifergandossi.it

 

 

 

 

the male code – cap2

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MD2SMadre

The male code  (screenplay for Christian Bale) copyright 2013 Calepio Press by Leone Belotti – da un’idea di Gian Franco Bortolotti

cap 2  – la scheda madre  – Detroit, 1976.

«Io non ti pesterò mai, Paki»

«Ti credo, peso il doppio di te»

E’ la risposta che Christian si aspettava. Sono le otto del mattino, stanno andando a scuola.

Come tutte le coppie di amici  tra la pubertà e l’adolescenza, quando camminano insieme, fianco a fianco, hanno qualcosa di comico, che fa quasi tenerezza.

Christian è di costituzione gracile, pallido, delicato, e quasi effeminato, non fosse per quel naso da pugile, o da attore brutto ma sexy come gli ha detto Mary Ann.

Paky sovrappeso, stazzato, la faccia rotonda, i capelli increspati,  il sedere enorme, le mani tozze.

Apparentemente sono due adolescenti come gli altri, che passano i pomeriggi sfidandosi a videogiochi e facendosi forza a vicenda, convincendosi di far parte di una categoria superiore.

Ma sono tre volte più intelligenti della media, e nessuno gliel’ha ancora detto. I loro dialoghi sono farciti di insulti razzisti e sessisti come quelli dei loro compagni di scuola, e anche più feroci.

In realtà sono due intelligenze precoci che si sfidano in partite di tennis verbale, che a volte degenerano in incontri di pugilato psicologico, ma che per tacito accordo non potranno mai degenerare nello scontro fisico.

«Lo sappiamo entrambi Paki, fra tre anni io sarò un superman wasp più alto di te, mentre tu sarai ancora un botolo di cacca molle indù: quello che volevo dire è che nemmeno allora ti pesterò»

«Molto nobile da parte tua, amico mio»

«Sinceramente, Paki, apprezzo molto il fatto di poterti dire oggi qualsiasi cosa nella certezza che tu non approfitterai mai della tua enorme stazza per pestarmi in virtù della tua indole pacifista orientale del cazzo!»

Christian sorride. Gli è piaciuto il finale di frase. Paki è all’angolo, il punto è suo, è chiaro.

Ma improvvisamente Paki torna al centro del ring:

«Quello che hai appena detto mi fa venire in mente una storia che mi ha raccontato mio nonno che casca a fagiolo»

«Falla breve venditore di tappeti, e lascia perdere le scoregge di tuo nonno mangia-fagioli»

«Per farla breve, amico mio, la storia è questa: un grande maestro sufi dopo aver passato tutta la vita a predicare l’amore universale a chiunque, anche agli insetti e alle piante, avendo cura di non fare mai del male a nessuno, nemmeno agli insetti e alle piante, a un certo punto, senza una ragione, pesta a morte il suo migliore amico.

E  vuoi sapere cosa risponde all’amico che in punto di morte gli chiede perché l’ha fatto?»

Christian vorrebbe dire “dai dimmelo”, ma si trattiene, fedele allo slogan  il controllo è tutto che contrassegna i loro pomeriggi alla consolle dei videogiochi.

Aspetta che Paki si spazientisca.

Ma Paky aspetta sereno.

Con voce annoiata, Christian dice: «Con un piccolo sforzo potrei immaginare almeno una dozzina di risposte, probabilmente più profonde o argute della tua storiella di merda sufi, ma dal momento che stai smaniando per dirmelo, e gratificarti mi costa meno sforzo che umiliarti, sarò condiscendente, lo voglio sapere:

cosa risponde il maestro di seghe sufi all’amico pestato e morente?»

«Sei convinto? E’ la tua decisione finale? Accendiamo la risposta?»

«Si, figa d’una vacca sacra!»

Con un’agilità che Christian non si sarebbe aspettato, Paki gli si pianta davanti, e gli punta il suo enorme e tozzo indice tra naso e occhi.

«Allora devo prima pestarti a morte, amico mio, altrimenti non capiresti»

Christian sente il polpastrello di Paki che gli sfiora il setto nasale esattamente là dove è stato spezzato, mentre l’unghia, larga e spessa, arriva a toccargli la prima peluria delle sopracciglia.

Paki ritrae il dito e ride di gusto, in quel suo modo unico, che Christian definisce “tragicamente ridicolo”.

«Fai schifo, ma il punto è tuo» ammette Christian,  e ride, ed è divertito.

Però in fondo ai nervi, dal dito di Paki è scaturito il ricordo del pugno, e la faccia di suo padre, e con la faccia di suo padre le frasi di sua madre,

la mia disgrazia è stata innamorarmi di tuo padre,

frasi che lei gli ripete spesso, senza motivo, come se volesse sintetizzargli, e inculcargli, qualcosa di troppo complesso, va sempre a finire con un  vuoi bene alla tua mamma?

Lui a volte risponde: si. Altre volte: no.

Allora lei dice: se non fossi tua madre dubiterei che sei mio figlio.

E sempre, quando lei dice così, e lo dice spesso, lui pensa a Jenny Mc Bride, la sua “seconda mamma”.

La mamma di Mary Ann, a differenza di sua mamma, non gli ha mai chiesto vuoi bene alla tua seconda mamma?

Invece, lo ha sempre abbracciato, sbaciucchiato, accarezzato, ogni giorno, facendolo sentire avvolto da un morbido calore.

Quelle poche volte che sua mamma lo tocca, lo abbraccia o lo bacia lui sente solo un fascio di nervi rigidi, freddi.

Nonostante (o forse proprio per questo) sua madre, e padre Jacob, e un sacco di gente, nelle loro vite assurde, non facciano che parlare di voler bene, Christian non saprebbe dire cosa voglia dire volere bene a qualcuno,

e quella volta che la vecchia professoressa Gonzalez ha dato un tema del genere, lui ha consegnato il foglio in bianco.

Anche la signora Mc Bride a volte parla di voler bene.

Ma la sua frase è: solo gli amici ti vogliono bene davvero.

Christian guarda lo strano essere umano che cammina al suo fianco.

Paki lo stupisce, oltre a fargli davvero un po’ schifo.

Ma di fatto è l’unica persona a cui dice ciò che gli passa davvero in testa, e con gioia, per gioco.

«Posto che sono in punto di morte per il tuo pestaggio, Paki,  con le mie ultime parole ti confesso che quando non ti conoscevo mi facevi schifo a pelle, ma poi conoscendoti mi sono abituato e non mi fai più schifo a pelle, a parte quando puzzi, cioè sempre.

La tragedia è che più ti conosco, più mi intendo con te, e più mi fai schifo nel profondo, come persona»

«Lo so amico mio, ma ognuno ha i suoi dispiaceri.

Pensa a me, che ti ho sempre ammirato fin da quando non ci conoscevamo e avevi ancora il tuo bel nasino e adesso che hai il naso che sembra il timone di un peschereccio in avaria ti venero e ti adoro come il mio unico e vero amico!»

«Mi fai vomitare, Paky. Spero proprio che la signorina Lewis non  abbia la brillante idea di farci fare il solito tema dal titolo “il mio miglior amico”».

* * *

Il titolo del tema è: “Il momento del pranzo nella tua famiglia”.

Quando mancano dieci minuti alla fine dell’ora, passando tra i banchi, la signorina Lewis, la supplente di lettere, si accorge che il foglio di Christian è ancora immacolato.

«Qual è il problema oggi Christian?»

«Il problema è semplice, signorina Lewis, ma purtroppo è insolubile»

«Spiegati meglio, Christian»

«Questo non è un tema di fantasia, giusto? »

«Esatto Christian, è un tema-verità»

«Il problema è proprio questo. Il momento del pranzo, in verità, nella mia famiglia non esiste»

La signorina Lewis sorride.

Ha gli occhiali e i capelli raccolti a coda di cavallo.

Le gambe sono magrissime, ma non si capisce come siano i fianchi e il seno, perché indossa sempre maglioni enormi.

Ma ha una bocca gigantesca, con delle labbra rosse e carnose.

A Christian fa venire in mente una fotografia che ha visto di nascosto su un giornaletto pornografico.

«Allora farai così, Christian: come inizio del tema scrivi esattamente quello che mi hai appena detto, e poi cerchi di spiegarlo»

Mentre parla, Christian immagina di infilarle il pene in bocca, e ha un’erezione istantanea, incontenibile.

Allora, per disinnescarla, usa la nuova tecnica che gli ha suggerito Paki: immagina il viso della signorina Lewis nella bara, morta, con i vermi che le escono dal naso, come in un film horror.

«Non avere paura. Scrivi la verità»

«D’accordo» risponde Christian, e si tuffa nella pagina iniziando a riempirla rapidamente, senza mai fermarsi.

“Il momento del pranzo nella mia famiglia non esiste per una serie di motivi.

Per cominciare bisogna sapere che mia madre non sa cucinare. Compra solo cibi pronti o scatole di surgelati. Mio padre mangia hamburger quasi crudi, appena scottati.

A causa dei turni in fabbrica, ognuno mangia sempre da solo, sul tavolino davanti alla televisione. Io preferisco mangiare al tavolo, con la tovaglia, i piatti e il bicchiere, anche se il mio piatto preferito, che preparo personalmente, è l’uovo nel portauovo.

La mattina invece mi preparo un the inglese usando un’apposita teiera, anche se questo richiede tempo.

Purtroppo non posso bere latte per problemi di dissenteria originati dalla gastroenterite che mi ha colpito all’età di due anni portandomi in punto di morte.

Secondo la signora Mc Bride, la causa del problema è stato il seno piccolo di mia madre, che invece di allattarmi nello svezzamento mi ha nutrito con latte in polvere.

Recentemente ho sentito al telegiornale che questo latte in polvere sta causando la morte di molti bambini in Africa e la food&drug administration ha deciso di proibirlo nel territorio degli Stati Uniti”

Il suono della campanella lo prende alla sprovvista e interrompe la sua scrittura di getto.

Alza gli occhi, e il suo sguardo incrocia quello dell’insegnante.

Velocemente, mentre i suoi compagni già si alzano, aggiunge:

“Nel momento del pranzo, si vede se una famiglia esiste, o se sono soltanto persone che usano lo stesso frigorifero, come nel mio caso”.

Nel consegnarle il tema, Christian dice allegramente: «Mi è venuta fame!».

La signorina Lewis lo delizia di un enorme sorriso.

Per la prima volta da quando frequenta la scuola, prova qualcosa di simile alla felicità.

Il giorno dopo attende con ansia l’ora di lettere.

Si è preparato sulla lezione del giorno e vuole fare delle domande.

Ma la signorina Lewis entra in aula con addosso un’espressione funebre e per prima cosa annuncia alla classe che padre Jacob, che è anche preside della scuola, ha deciso di non confermare il suo incarico di supplente, e pertanto quella che sta per iniziare è la sua ultima lezione alla scuola di St.Paul.

Quindi va alla lavagna e inizia a riempirla di nomi di scrittori e titoli di libri.

Sono i libri che lei consiglia ai ragazzi di leggere.

Christian passa tutta l’ora a spiarla.

All’uscita della scuola la insegue, tenendosi a distanza.

Dopo due isolati,  si fa coraggio,  la raggiunge e le dice: «Signorina Lewis, voglio dirle che mi dispiace non averla più come insegnante».

Solo dopo aver parlato si accorge che lei, dietro gli occhiali da sole, ha gli occhi umidi.

Ma subito gli sorride: «Il tuo tema fatto in dieci minuti era bellissimo. Da dieci!»

«Non l’avrei mai fatto senza il suo consiglio. Avrei consegnato in bianco, e avrei preso la solita nota, con relative sberle a casa!»

Si pente subito di aver parlato troppo.

Lei ora lo guarda, e sta pensando qualcosa.

«Come te lo sei rotto il naso?» gli chiede.

Christian alza le spalle.

E’ una domanda che gli fanno spesso, e ha la risposta pronta:

«Ho fatto a pugni con uno più grande di me»

Ma la signorina Lewis non gli crede, Christian lo percepisce chiaramente da come lo fissa mordendosi le labbra.

Poi le sue grandi labbra tornano a sorridere:

«Ti piacerebbe un giorno venire a pranzo da me? Un vero pranzo?»

«Moltissimo!»

«Bene! Ti aspetto martedì… no, mercoledì della settimana prossima, dopo la scuola, va bene?»

«Benissimo!»

Rapidamente gli dà l’indirizzo e il numero di telefono.

«Te lo ricorderai?»

Christian strizza gli occhi e annuisce.

«Posso ricordare senza sforzo fino a cento numeri di telefono, e attualmente ne ho in memoria soltanto venticinque»

«E allora come fai a sapere di poterne ricordare cento?»

«Ho fatto delle prove con una pagina dell’elenco del telefono.

Per un intero pomeriggio ho continuato a leggere e ripetere i primi 100 numeri. Dopo una settimana ricordavo esattamente i 100 numeri. Poi dimenticarli è stato più difficile»

«Sei un ragazzo speciale, Christian Code.

Ho letto la tua scheda didattica. Mercoledì te ne parlerò. Ora devo scappare, ma prima dimmi una cosa: posso fidarmi di te? Sei capace di tenere i segreti?»

«Si, ho un mio metodo»

Dice delle cose incredibilmente buffe, questo ragazzino.

Ha la capacità di farla ridere. Ellie Lewis, l’insopportabile e complessata studiosa con un corpo da pin-up che decine di ragazzi hanno corteggiato fino all’esaurimento, lo trova delizioso.

Con quel naso da pugile su un viso effeminato.

«Siamo amici noi due?»

Christian scuote la testa su e giù.

«Allora dimmi ciao»

«Ciao!»

«Dimmi: ciao Ellie!»

«Ciao Ellie!»

* * *

«Perché no?» chiede Paki.

E’ mercoledì, sono appena usciti da scuola.

«Perché ho altro da fare» risponde Christian.

«E cos’hai di meglio da fare che venire con me a partecipare ai test di prova  del joystick Atari?

Sai quante cartoline ho dovuto mandare per essere selezionato? E posso portare un amico»

«Devo andare a scoparmi tua sorella, se proprio vuoi saperlo»

«Vaffanculo, stronzo d’un irlandese mangiapatate!»

«Vaffanculo tu, ciccione del cazzo al curry!»

Camminano in silenzio solo per pochi passi.

Poi Paki dice: «Facciamo un patto: tu mi dici dove zocca devi andare oggi, e  domani io ti dico tutto del joystick»

«Questo è un ricatto, Paki, è indegno di te. Faccio finta di non aver sentito.

Hai ancora due isolati e undici minuti per dirmi cos’è questa stronzata del joystick, che del resto non mi interessa granché, poi tu andrai a casa tua, e io per i fatti miei»

«Ti dico che è una rivoluzione, amico mio.

Cambierà la tua vita, il tuo modo di giocare ai videogiochi, e anche il tuo modo di farti le seghe»

«Spiegati, e possibilmente con chiarezza»

«Ok. Prova a pensare a quando tieni in mano il tuo adorato cazzo»

«Si»

«Bravo, lascia perdere il comando dell’eject. Hai presente la sensibilità direzionale? Puoi farlo roteare in ogni direzione, come una contraerea montata su un perno girevole, ok?

Se sbuca una pollastrella a ore 11, o  a ore 4, non hai alcun problema a puntarla direttamente, non hai bisogno delle coordinate per innaffiarla di sperma. Ci sei?»

«Si»

«Bene, il nuovo joystick funziona esattamente come il tuo cazzo.

E’ finita l’era dei quattro pulsanti con movimento rigido ortogonale su-giù e destra-sinistra, che ti costringe a fare movimenti a scalino quando vuoi fare un movimento diagonale.

Riesci a capire cosa significhi?»

«Sì, Paki, lo capisco benissimo, significa che tu puoi cominciare a masturbarti con schizzo nord-ovest seguendo il tramonto mentre io vado a scoparmi tua sorella fino all’alba con rotta a 90 gradi nel culo»

«Bravo. Riderai un po’ meno quando io tra qualche mese, dopo opportune modifiche, mi scoperò a distanza la tua immacolata Mary Ann telecomandando il suo vibratore con il mio grosso uccello-joystick»

Christian si ferma. Paki fa ancora due passi, poi si gira a guardare l’amico:

«Beh? Cosa fai lì impalato, una nuova iniziativa immobiliare?»

«Paki, te l’ho già detto, e te lo ripeto: lascia stare Mary Ann, lei non c’entra con le nostre stronzate, per me è come fosse una sorella»

«E mia sorella, allora? Lei è davvero mia sorella!»

«Hai ragione, scusami Paki, non dirò più niente di schifoso su tua sorella»

«A volte sembri quasi umano»

Poco dopo, serissimo, Christian dice: «Non farti ingannare dalle apparenze. A proposito, come sta quella vacca di tua madre?»

Costernato, Paki risponde:

«Beh, sai, ci è rimasta parecchio male ieri sera quando tornando a casa ha beccato mio padre che si faceva succhiare l’uccello dal tuo»

Ridono di gusto, si scambiano il cinque.

«Ok Paki, il punto è tuo. Ora ti restano quattro minuti per dirmi perché il nuovo joystick dovrebbe cambiare il mio modo di farmi le seghe»

«Te lo spiego subito, amico mio. Facciamo un esempio concreto:

la signorina Lewis. Sai cosa ho pensato ultimamente guardando la bocca della signorina Lewis?»

«Posso immaginarlo Paki, tutta la scuola non pensa ad altro»

«Io immaginavo qualcosa di più sofisticato.

Una sorta di guanto in lattice, come un preservativo, ma ricoperto di sensori elettrici che emettono piccole scariche a voltaggio variabile.

Ora immagina che tutti noi maschi della classe, ognuno al proprio banco, indossiamo questo guanto, con i cavetti elettrici che ci escono dalla patta e corrono sul pavimento fino alla cattedra dove sono collegati al nuovo Joystick.

Credi che la signorina Lewis sarebbe capace di fare un pompino al joystick, infilarselo fino in gola facendoci godere in trenta senza muoversi dalla cattedra?»

«Niente male, Paki! Una cosa del genere potrebbe risolvere molti problemi nell’economia del pompino su scala mondiale. E come chiamerai la tua compagnia? Paki Industrial Cumshot?»

«Non temere, non ti lascio fuori, la chiameremo Paki&Christian electronic sucks.

Aumentando il voltaggio, potrebbe anche funzionare come alternativa alla sedia elettrica, almeno creperesti godendo come mai ti è successo in vita»

«Si Paky, e i condannati gay rei confessi come te potrebbero sempre optare per un vibratore da 2000 volt nel culo!»

«Vedi Christian che le idee non ti mancano, quando accetti la tua omosessualità?

Come fai a essere così sicuro di non essere gay? Per me sei gay. Tu ancora non lo sai, ma sei gay»

«Può darsi, ma non sarà certo un gay color merda come te a convertimi.

E siccome tra quaranta metri le nostre strade si divideranno, ti confido un segreto: sto giusto andando dalla signorina Lewis a chiederle se mi aiuta a consolidare la mia identità sessuale facendosi sbattere a orgasmo multiplo fino a prendere fuoco per autocombustione vaginale.

Spero che abbia un estintore in camera da letto»

«E’ questo che mi piace di te Robert Code, che sei un grande sognatore»

«L’hai detto, sottospecie di buddha per turisti. Ti saluto Paky, ci vediamo domani»

* * *

«Ciao Christian»

«Ciao Ellie»

Christian si sforza di guardarla in faccia, ma i suoi occhi volano sul suo corpo: la signorina Lewis è irriconoscibile.

Senza occhiali, con i lunghi capelli neri sciolti, con ai piedi degli zoccoli alti, una t-shirt aderente e i jeans stretti è un’altra donna.

Una superdonna. Una bomba.

Ha delle tette enormi, pensa Christian, più grandi di quelle di Jenny.

«Hai fame?»

«Non tanto»

«Nemmeno io. Allora parliamo un po’, vieni»

Lo prende per mano e lo porta in camera da letto.

«Ti va di sdraiarci un po’ sul letto a chiacchierare?»

Christian è sconvolto, ma riesce a dire: «Si, mi va»

«Togliti le scarpe»

«Ok»

Si siede sul letto e si slaccia le stringhe. Deve togliersi anche i calzini? Si china più che può per sentire se gli puzzano i piedi.

Nell’aria c’è uno strano odore, che ha già sentito da qualche parte.

Poi vede sul comodino il posacenere con lo spinello fumato a metà e capisce. Marijuana.

Ecco perché lei parla così lentamente e ha gli occhi socchiusi.

«Togliti anche i pantaloni, starai più comodo. Li tolgo anch’io»

Lei è in piedi proprio davanti a lui. Lo spazio tra il letto e l’armadio non è molto.

Davanti al suo naso, lei si slaccia i jeans e si sfila la t-shirt.

Non indossa il reggiseno!

Le areole sono chiare, grandi come cialde, i capezzoli turgidi, rossi.

Christian ha un’erezione furibonda.

«Ma…ho paura che…»

«Non avere paura, non c’è niente di cui ti devi vergognare»

Gli prende le mani e se le porta sui seni.

Christian viene di getto, nei pantaloni che non ha ancora tolto.

«Io…»

«Shhh, non c’è nessun problema, è normalissmo»

Gli slaccia la cintura e gli sfila le mutande insieme ai pantaloni, poi gli toglie la maglietta e dolcemente lo sospinge sul letto.

«Chiudi gli occhi, rilassati, distendi le braccia»

Christian finge di chiudere gli occhi, ma si limita a socchiuderli.

Il suo pene adesso è floscio e bagnato.

Non ha la minima di cosa stia per accadere.

Quando la gigantesca bocca della signorina Lewis ingoia in un colpo solo tutto il suo apparato genitale, pene e testicoli, spaventato, fa per sollevarsi, ma lei gli mette una mano sul petto.

Christian vede che lei con l’altra mano si tocca tra le gambe.

Ora la sua bocca si muove su e giù, lentamente, e Christian si accorge di avere una nuova erezione.

Poi lei accelera il movimento, e Christian viene per la seconda volta, e per la prima volta in vita sua prova quella scossa che corre in un lampo dai testicoli al cervelletto per  scaricarsi in ogni singola cellula del corpo con un piacere totale.

Ora che l’ha provato, capisce che l’orgasmo maschile è qualcosa di completamente diverso, per forza e intensità, dal semplice eiaculare.

Non si è mai sentito così bene in vita sua.

Gli sembra di essere stato scaraventato altissimo in un cielo rovente, per poi ricadere profondissimo in un mare di freschezza.

Le palpebre gli si chiudono, l’ondata di sonno gli penetra nelle viscere, e anche questo è un piacere per lui nuovo.

Quando riapre gli occhi non saprebbe dire se è passato un minuto, un’ora o un secolo.

Lei è lì, sdraiata sul fianco sinistro, nuda, completamente nuda.

Sta fumando il suo spinello e lo guarda con occhio divertito.

«Come stai giovane stallone?»

«Da Dio!» risponde Christian.

Come ipnotizzato, non riesce a staccare gli occhi dal pube di lei interamente ricoperto da un enorme cespo di peli nerissimi, fitti, lunghi come capelli.

Lei solleva la gamba destra dritta verso il soffitto e per la prima volta in via sua Christian vede dal vivo quella che Paki chiama “la miniera d’oro che si apre nella foresta”.

Christian è di nuovo eccitato. Lei sorride.

Si infila due dita in bocca, poi le infila tra le gambe, e infine gli monta sopra.

Christian percepisce distintamente il mistero umido, caldo e palpitante che gli avvolge il pene.

Fa in tempo a pensare sto scopando, e subito viene, giusto un istante prima che lei arrivi a fondo corsa.

Spalanca gli occhi, sente le sue grandi labbra che aderiscono al suo inguine.

Ho scopato pensa, ma non ha provato niente di paragonabile al piacere sperimentato prima, quasi non si è nemmeno accorto di venire, un semplice fatto idraulico, come pisciarsi addosso.

Quasi spaventato, ora si rende conto di aver perso la percezione del proprio pene, non  saprebbe nemmeno dire se è ancora turgido, o se si è sciolto dentro di lei.

Evidentemente la sua faccia tradisce le sue paure, perché lei gli sussurra dolcemente:

«Va tutto bene, Christian, non avere paura».

Christian immagina che adesso lei si staccherà da lui, e andrà in bagno a lavarsi.

Nei film è questo che accade dopo che due hanno scopato.

Invece lei resta incollata a lui, e inizia a muoversi in un modo nuovo,  piano, gli si struscia addosso, come facendo attenzione a non farsi sgusciare fuori il suo pene.

Gli prende le mani, se le porta prima sui seni, poi sulle natiche.

«Stringimi»

Questo è fantastico. Le mani dalle dita affusolate di Christian corrono deliziate in quel fantastico campo giochi che comprende i fianchi, le natiche, le cosce e la magica fenditura ano-vagina.

«Ti piace?»

«Moltissimo»

Poco per volta, lei ricomincia a muoversi su-giù, staccandosi leggermente dal suo pube per poi pressarlo nuovamente,

e Christian, con le mani incollate alle sue natiche, capisce che deve assecondare i suoi movimenti attirandola a sé.

Ora vede che il suo pene è di nuovo turgido, i movimenti di lei si fanno sempre più rapidi,

e con stupore sente che lei ad ogni movimento produce una specie di profondo mugolìo che le sale dalla gola, come un rantolo.

Adesso sto davvero scopando

. Lei è ritta su di lui, la testa rovesciata all’indietro.

Poi si china su di lui, con le mani si aggrappa alla testiera del letto.

I suoi seni sono gonfi, le areole, che prima erano chiare e distese,  ora sono rosse, come rattrappite, i capezzoli grossi come ditali.

«Succhiami i capezzoli, Christian»

Lui si incolla come una ventosa, lei lo lascia succhiare un po’, poi si ritrae, e gli offre l’altro seno, lui capisce, e inizia a succhiare alternativamente ora un seno ora l’altro, sempre più forte.

Improvvisamente lei emette un grido acuto.

Poi un altro, più basso e lungo, come il guaito di un cane, e un altro ancora.

Con voce rauca, che sembra un rantolo, dice:

«Vieni Christian, vieni anche tu».

Gli stringe la testa tra le mani e gli infila la lingua in bocca.

La sua spinta pelvica diventa furiosa. Il letto cigola.

Gli bacia il naso, il mento, la gola, gli occhi, gli lecca tutta la faccia come una cagna.

Gli porta una mano sulla gola, con il medio gli preme la carotide, con il pollice il pomo d’Adamo, su e giù, premendo sempre più forte.

Questa volta Christian sente partire la scossa dalla punta dei piedi, le gambe si contraggono, il bacino sembra esplodere e per un istante lunghissimo prova una sensazione incredibile, concentrata sul pene,

una specie di solletico crescente, sempre più piacevole, fino a diventare insopportabile, proprio come il solletico, tutto il suo corpo è contratto in preda a un unico crampo,

e allora vorrebbe fermarsi, fermarla, uscire da lei,

ma lei glielo impedisce, lo domina, lo sovrasta, lo tiene fermo  inchiodandogli i polsi al letto,

e spinge, spinge sempre più forte, come un martello che lui non può fermare, come il pugno di suo padre,

e Christian sente arrivare il panico.

Si mette a urlare.

Lei sorride, e finalmente smette.

* * *

«Avevi ragione, Paky»

«Su cosa, amico mio?»

«Penso proprio di essere gay»

«Ah si? E’ questo che hai fatto ieri? Sei andato a prenderlo nel culo da un negro con tre gambe? E ti è piaciuto da morire!»

«Non proprio. Come ti ho già detto, sono andato dalla signorina Lewis, ma più che andato sono venuto,  sono venuto quattro volte in meno di un’ora, due in bocca, e due in sorca, e ho provato quattro tipi di orgasmo completamente diversi, tre dei quali assolutamente nuovi»

«Racconta»

«Uno, che conosciamo già, l’orgasmo da eiaculazione precoce, identico a una qualsiasi sega veloce, quelle che ti fai anche sovrappensiero, mentre pensi ad altro: capisci cosa intendo?»

«Perfettamente, amico mio. Ti ho mai detto di quando mi faccio una sega mentre faccio i compiti di matematica, con un occhio alla partita in tv?»

«Non mi interrompere, segaiolo. Mi fai perdere il filo della sborrata»

«Ok, sentiamo questi orgasmi inediti»

«Due, ancora un orgasmo da eiaculazione precoce, ma di tipo diverso, inconsapevole, senza alcuna sensazione di piacere, senza nemmeno sapere se il cazzo è duro o molle, sperduto nella figa gigante, una roba orribile, come pisciarsi addosso, dovresti saperne qualcosa»

«Una specie di polluzione a mente serena?»

«Esatto Paki, un fatto puramente idraulico, quasi fastidioso»

«E questo fatto idraulico quasi fastidioso ti è successo nella figa della signorina Lewis?»

«Te lo sto dicendo»

«Se quello che dici è vero, amico mio, temo proprio che tu sia gay»

«Aspetta, Paki. Orgasmo numero tre: la fine del mondo. La scheda madre. Un elettroshock che ti rivolta tutto il corpo.

Un’estasi, e poi ti addormenti a piombo, come Dio dopo aver creato il mondo, un piacere sublime.

Mi rendo conto che non puoi capire, e mi chiedo se proverai mai qualcosa del genere nella tua vita, sfigato come sei»

«Non so, da come l’hai descritto, mi ricorda il piacere anale di certe cagate giganti che faccio dopo il mal di pancia.

Sei sicuro che la signorina Lewis non avesse i baffi e una grossa nerchia infilata nel tuo culo, quando hai provato questa estasi sublime?»

«Ti dico che non sono sicuro di niente, dopo aver provato l’orgasmo numero quattro. Uno shock. Pensavo di crepare.

Un piacere talmente forte che si trasforma in una specie di crampo gigante, diventando insopportabile, come una tortura, una violenza.

Una situazione assurda.

Tu non ce la fai più, ma lei continua a pompare, e ti sembra di scoppiare. Ti giuro.

Pensavo che mi scoppiasse il cuore.

E non potevo fare niente, lei mi teneva bloccato, la sua faccia mi sembrava quella di un mostro preistorico, pensavo volesse ammazzarmi come fanno i cani con i gatti, sbattendomi di qua e di là sempre più forte.

Parlo sul serio Paki. E non so cosa pensare. Ho dormito un cazzo, nonostante le quattro sborrate.

Non credo che tornerò a trovarla. Non so se puoi capire.

Anzi, sono certo che non mi puoi capire, e questo dialogo è completamente inutile»

Paki invece capisce.

Non solo è intelligente, malizioso e furbo, ma anche sensibile.

Capisce che Christian è davvero scioccato, non sta scherzando, non sta raccontando le solite balle.

«Per questo pensi di essere gay, amico mio? Io non credo. La tua scheda madre non c’entra. Ti conosco troppo bene, la tua scheda madre è uguale alla mia, hai la figa stampata in testa come un imprintig indelebile. Non è questo il problema»

«E quale sarebbe allora?»

«Semplicemente, hai subito una violenza sessuale»

* * *

Fine secondo capitolo – PROXIMA PUBLICATIO – MART 16 ApRIL

INDEX

parte prima

1 – il codice sorgente                       Detroit, 1974.

2  – la scheda madre                        Detroit, 1976.

3 – la periferica di controllo            Detroit, 1978.

4  – il sistema operativo                   New York, 1980.

5  – la relazione in copyright           Boston, 1982

6  – la scheda di memoria                Detroit, 1984

parte seconda

7  – la donna software                      Sylicon Valley, 1986

8  – la donna telefonia mobile          NY-London, 1988

9  – la donna pixel                             NY-Paris, 1990

10  – il maschio hacker                     Los Angeles, 1992

11 – il dominio del maschio web     Mosca, 1994

12  – il maschio server                     NY-Bejing  1996

imago: -TABIDAN- Aracno 2013-Stampa su legno 2.5m x 2.5 m 

 by PMT+Lughì

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