La società del contagio

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Che fare

Fino a quando non accetteremo di mettere in discussione ciò che il virus mette in discussione, non ne usciremo.

Ciò che il virus mette in discussione con la sua azione virale è proprio il cervello e il motore – cioè il sistema operativo – della  nostra organizzazione di vita: la circolazione contagiosa di merci, persone e messaggi.

Colpire, contagiare: per anni, per decenni è stato questo l’obiettivo di ogni messaggio, merce e impresa. Intere generazioni, le nuove generazioni, nate nell’era digitale, cresciute nei social, non hanno avuto altro input che questo: essere virali, diventare influencer, oppure non esistere, nemmeno come persona.

Finché resteremo sotto il dominio di questa dinamica e questa struttura mondiale basata sulla predisposizione personale e collettiva al contagio, saremo esposti a ogni tipo di virus informatico, ambientale e biologico.

La società  del contagio

Noi pensiamo di fare delle scelte sulla base di convinzioni personali, ideologiche o morali e che da queste scelte, dall’insieme di queste scelte, dipenda poi l’orientamento dei sistemi sociali, delle strutture produttive e delle reti commerciali. In realtà la catena gira in direzione esattamente contraria.

Nella società del contagio, come è logico che sia, la funzione dominante è la distribuzione. Quella che un tempo si chiamava GDO, grande distribuzione organizzata, è oggi una formidabile integrazione di reti e mezzi di comunicazione/connessione materiale e immateriale. Da un lato navi, aerei, ferrovie, strade, interporti, centri di stoccaggio, centri commerciali, outlet, distributori automatici; dall’altro reti commerciali, informatiche, telefoniche, televisive, server, satelliti, social network, piattaforme di e.commerce, applicazioni digitali.

Questa macchina mondiale della diffusione pervasiva supera ogni barriera, neutralizza ogni resistenza, annulla ogni identità, arriva ovunque, comunque, a chiunque. Veicola idee, immagini, prodotti, servizi, programmi, mode, medicine e malattie, indifferentemente. Diffonde il contagio, quale che sia, con un’efficacia automaticamente crescente.

La logistica della grande distribuzione è il vero sistema di controllo che determina il nostro sistema produttivo e di consumo, il nostro stile di vita e il suo senso.

Noi siamo il terminale della filiera. Noi non facciamo scelte, non abbiamo alcun controllo. Nell’inconscio, in fondo in fondo, lo sappiamo. Per questo ci sentiamo così impotenti.

Il software élite

Questa super-logistica mondiale è governata da semplici automatismi finanziari programmati per eseguire il software “concentrazione del profitto”.

D’altra parte, il software “condivisione del benessere”, insieme agli altri programmi similari, come le 17 mete dell’ONU, è limitato ad agire nella logistica sussidiaria del consenso, del governo delle coscienze, rispondendo così alla funzione di mitigare, smussare, puntellare e di fatto sostenere il programma/profitto della logistica globale integrata.

Il potere supremo, invisibile e senza nome delle élites finanziarie e tecnologiche ci sta portando senza esitazioni alla catastrofe ambientale, sociale e sanitaria, forse immaginando con perversa lungimiranza una tecno-ecologia terrestre per pochi eletti, e non saranno certo i sub-governi burocratici nazionali o gli organismi internazionali ad alta visibilità a riuscire nell’impresa, che pure è possibile, di fermare tutto questo.

Abbiamo ridotto la politica alla piccola amministrazione trasparente e i politici a brillanti icone di comunicazione: ed ora vorremmo grandi statisti capaci di grandi scelte. Ma non si può chiedere alle anatre di volare come aquile. Non serve prendersela con ministri, governatori e sindaci. Servono gli Olivetti, i Mattei, i Pasolini. Abbiamo bisogno di grandi maestri, grandi leader, non di amministratori condominiali.

Fermare la macchina

Liberarsi totalmente da élites oppressive, passive e irresponsabili: prima della rivoluzione francese era inimmaginabile. Se oggi pare di nuovo tale, significa che siamo nuovamente nell’antico regime. E dunque non ci resta che abbatterlo. Non ci sono altre possibilità. Da anni ogni genere di appello viene sostanzialmente ignorato. Il papa stesso lo ha ricordato nell’ultima enciclica. Eppure al momento ci si limita a voler fermare il virus, non volendo riconoscere la gravità del problema di cui il virus è solo la spia: il punto di non ritorno, la catastrofe irreversibile, globale, ambientale, sociale e sanitaria verso la quale la macchina mondiale ci sta conducendo.

Stiamo correndo verso lo strapiombo su una macchina senza pilota e senza freni. Possiamo bloccarne il motore interrompendo l’alimentazione della filiera logistica globale, e cioè chiudere Amazon, Mac Donald e Deliveroo e tutte le grandi compagnie.

E invece chiudiamo il piccolo negozio, il piccolo bar, isoliamo il produttore diretto, l’artigiano, l’esercente e gli consigliamo di andare a lavorare in un capannone automatico, come servo della macchina. Dovremmo ricostituire le reti di prossimità, e invece le smantelliamo.

Dovremmo imparare a vivere senza le grandi reti globali, e invece le facciamo diventare indispensabili. L’emergenza si autoalimenta e impedisce di attivare quei cambiamenti che permetterebbero di superarla.

Ci serve uno scenario diverso dall’emergenza continua. Quello che ci manca sono le visioni potenti, lucide. Le idee, i progetti, le alternative. Quello che ci serve in realtà è più libertà.

Non saranno i numeri o i pareri degli esperti, e nemmeno le garanzie bancarie, a darci un futuro, perché è questo che ci manca davvero, un futuro, un’idea di futuro.

(Sean Blazer in esclusiva per Calepio Press, testo raccolto da Sophie Rosti)

oggi nasce Gesù birrino

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turner

Il birraio innamorato (The brewer in love1)

Era una bella giornata d’inizio maggio2, e dal poggio panoramico sopra l’ansa del fiume3 a monte del villaggio, dopo le piogge d’aprile, la piccola valle si apriva in tutta la sua floridezza di odori e colori di primavera.

Mel Godwin aveva dodici anni, ma ne dimostrava quindici, e aveva già una certa esperienza della vita e degli uomini. Aveva conosciuto le privazioni, l’abbandono, la paura, la violenza, la schiavitù e infine la libertà. Ma non l’amore.

La sua storia, come quella di tanti orfani, era scritta nel suo nome: quando le suore del convento di Tipperary4, una fredda mattina d’inverno, avevano trovato quell’infante depositato in foresteria, gli avevano dato il nome del santo del giorno, e l’avevano iscritto all’anagrafe col cognome Godwin, “volontà di Dio”.

«E poi?»

La piccola Evelyn, undicenne, occhi blu, capelli d’oro, lo ascoltava raccontare le sue avventure. Se c’era una cosa che a Mel non era mai mancata, era la facilità di parola.

«E poi sono scappato!»

Come due piccoli innamorati, se ne stavano a sussurrare rintanati sotto un cespuglio di mirto, sorseggiando una bottiglia di birra che Evelyn aveva rubato dalle cantine della taverna del padre, su precisa indicazione di Mel.  Si erano conosciuti pochi giorni prima, quando Mel, che lavorava come apprendista bottaio, era stato incaricato di consegnare due vecchie botti rimesse a nuovo  alla taverna del villaggio, gestita dal padre di Evelyn.

Mel aveva saputo da un vecchio birraio ormai infermo, che trascorreva le giornate sulla pubblica via sproloquiando con i fanciulli, che alla taverna del villaggio capitava a volte di poter bere la birra forte e speziata destinata alle colonie. Così, quando aveva incontrato gli occhi di Evelyn le aveva sorriso e subito le aveva fatto un complimento. Evelyn, che aveva molti difetti ma non la timidezza,  era subito rimasta ammaliata da quel ragazzo così ben fatto, di costituzione e carnagione più robusta e più scura della media, con occhi e capelli neri, parimenti vivaci. Era abituata ai ragazzi che le facevano complimenti per avere una birra sottobanco.

«E perché tu saresti diverso? »

«Io voglio diventare un birraio!» era scattato Mel alzando il mento.

(anteprima da “Il birraio innamorato”, tit. orig. “The brewer in love”, Calepio Press. Immagine: J.M.W. Turner, Cityscape. Note:

1 Il manoscritto autografo, inedito, anonimo, originariamente intitolato “The true story of the young brewer who trademarked the Indian Pale Ale”, ritrovato da Sean Blazer nell’archivio storico della Compagnia delle Indie in Calcutta,  qui tradotto in italiano da Iole Belnotte su iniziativa del Centro Ricerche Birrificio Elav, riporta una breve nota introduttiva, datata 1866, a firma del sesto conte di Cardigan, nella quale l’estensore dichiara di aver dettato al proprio attendente questa “cronaca veritiera” (truth cronichle) relativa alla vita e alle avventure del “brewer in love” cui si deve il merito di aver introdotto e diffuso nel Regno Unito le birre di tipo IPA (Indian Pale Ale) originariamente prodotte  per essere esportate nelle colonie. In questa edizione italiana, si è scelto di adottare la predetta espressione, “the brewer in love”, come titolo dell’opera (it: Il birraio innamorato)

2 Trattasi del mese di maggio dell’anno 1835, come risulta da riscontri filologici scaturiti da successivi riferimenti testuali. L’anno 1835, allo stato attuale delle ricerche, segna l’inizio dell’epopea delle birre IPA, sulla base di un annuncio commerciale comparso il 30 gennaio del 1835 sul Liverpool Mercury nel quale per la prima volta si fa menzione della denominazione IPA per identificare le birre destinate alle Indie Orientali.

3 Si riferisce al fiume Trent, nella contea dello Staffordshire, nell’Inghilterra centrale, la cui acqua ad oggi è considerata lo standard internazionale per la produzione delle birre IPA.

4  La cittadina di Tipperary, situata nell’Irlanda meridionale, al centro dell’omonima contea, nota per il motivo musicale “It’s a long, long way to Tipperary” che i soldati di origine irlandese cantavano nel corso della prima guerra mondiale.)

 

a Bergamo Bassa c’è vita, perfino culturale

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Da sempre ci si sente dire da amici scienziati: come fai a startene a Bergamo, non c’è vita culturale! Ultimamente anche assessori, immobiliaristi e commercianti lamentano la mancanza di vita a Bergamo Centro.

Controcorrente, vorrei segnalare la presenza di tracce di vita in città, perfino culturale.

Non mi riferisco alla vita culturale istituzionale di consumo (eventi, festival, cartelloni) ma al sostrato, all’humus, al fermento: intendo persone, luoghi, discorsi, incontri, iniziative sperimentali no budget, intendo quella “temperie” che facilmente riscontri e vagheggi quando leggi i diari di Canetti o Zweig sulla Vienna belle epoque anni 10-20, quando alle terme o al caffè incontravi Freud, o Wittgenstein, o Kokoschka, o Karl Krauss; oppure la Parigi fin de siecle, dove potevi trovare Baudelaire in un bistrot, o discutere con Cezanne e Zola, e finire la serata la Moulin Rouge con Boldini e Toulouse-Lautrec e …

Il fatto è che chi sogna di incontrare Baudelaire al bar, quando lo incontra realmente, non se ne accorge nemmeno.

Invece, se hai lo spirito giusto, ovunque, anche a Bergamo bassa, puoi avere una vita intellettualmente eccitante come Krauss a Vienna o Zola a Parigi… cioè, devi fare mente locale… se ad esempio  entri al bar Moderno, classico bar qualsiasi zona Piazza Sant’Anna, ,vedrai un tipo che confabula con altri due: gli sta spiegando modi di dire in dialetto, ci sono improvvisi scoppi di risate,  lui non è un divo, è solo il capo-macellaio della Dimo-car (tipo sanguigno, battute taglienti…), e gli altri due sono writer di note agenzie pubblicitarie, che sbevazzano insieme, però…

Attraversi la strada, e a BgBirra trovi l’editore-birraio de l’Osservatore Elaviano che parla con un vecchio pittore. Appartati, come in cospirazione, ecco gli organizzatori clandestini degli Invisible Show, sotto lo sguardo del capellone secolare delle edizioni musicali Carrara. Ancora più capellone, su uno sgabello, alto e magro come una pertica, puoi vedere un giovane clavicembalista di livello internazionale, che abita qui dietro, e normalmente  è perso nella musica che ha in testa, per cui se lo vuoi salutarlo devi picchiargli dentro. Entra una donna poco appariscente, è un luminare della medicina, gli chiede: cosa bevi? E lui risponde: Bach, Bach padre.

Scendi a prendere il pane,  anche il fornaio, il Vanotti, è nello spirito giusto, ha riempito la bottega di libri in book-sharing, e ogni giorno scrive la sua massima assurda su una lavagnetta.

Il fatto è che a un tiro di sigaretta dalla piazza abbiamo almeno una decina tra redazioni e lab creativi: ti parlo di me, del centro sperimentale di comunicazione Calepio Press e della redazione di CTRL magazine, che ridendo e scherzando mese sì e mese no è segnalato come uno dei magazine più “avanti” a “livello europeo” (wow)

c’è il lab Multimmagine, fucina di video-creativi, e sempre nei pressi ci sono anche le redazioni “regimental” di Qui Bergamo, di Città dei Mille, e anche Cobalto edizioni e anche le millenarie edizioni musicali Carrara… manca giusto L’Eco di Bergamo…

effettivamente potremmo anche montarci la testa e dire che Piazza Sant’Anna è il “distretto del pensiero” di Bergamo Bassa, con relative bassezze:

per esempio a un certo punto in piazza appare la classica donna-pantera che scende dalla Mini a fare il bancomat o a comprare 1 mela una, aggressiva come una bresciana a Milano: è certamente una account del QuiBg o della Città dei 1000, una macchina da guerra capace di stoccare in mezz’ora di moine il 1000 o 2000 euro all’imprenditore per mettere lui, la sua villa e la sua macchina sul magazine patinato, mentre tu che scrivi due romanzi l’anno o i tuoi amici che suonano tutte le sere non riuscite a campare…

insomma, gli stessi problemi che avevano Baudelaire e Cezanne…

Quindi, ragazzi, non state a farvi troppo menate sulla vita culturale, sulla mentalità della piccola città, andate oltre, prendete quel che cola dalla realtà, mischiate con i riferimenti  culturali scolastici, con i grandi maestri morti da secoli, e li vedrete rivivere, e anche la vostra vita prenderà senso…

Se nella tua testa non c’è fermento, se nelle tue viscere non c’è fuoco, è inutile che trascini le membra a Berlino, o a Londra…

La cultura te la crei, te la vivi, o non ce l’hai.

Diceva Gigi Lubrina: tu immagina che la vita sia un romanzo, o un film: vedi uno, gli dici una cosa, e vedi cosa succede. La vita culturale è questa…

Ma questo bel quadretto non ti basta, lo so, tu vuoi un esempio concreto, vuoi la “case history”, vuoi che ti racconti di un qualche progetto divenuto un prodotto culturale vero, di rilevanza e spessore…

Allora ti racconto questo: una sera di un anno fa, redazione di ctrl magazine, si cercano idee per nuove rubriche – che noia il reportage dal rave party! – e provo a buttare lì un’idea stonata: perchè non fare delle recensioni delle messe in quanto spettacoli, dove raccontare la location, le vibrazioni, il carisma del front-man e l’integralismo della massa-pubblico…

un’idea non nuova, già Camillo Langone faceva qualcosa del genere sul Foglio…

quello che non mi aspettavo era che nascesse un serissimo e pimpante gruppo di ricerca dedicato, il gruppo Cultras, composto da x giovani menti brillanti (musicologi, sociologi, storici, letterati) che con pseudonimi vari, in modo Debord-ante, da ormai un anno firmano recensioni mai viste: la messa del vescovo, la messa in latino, la messa dell’invasato, la messa dei protestanti, dei testimoni di geova, dei mormoni, degli ortodossi…

Si tratta di un “lavoro culturale” destinato a rimanere: ricerca, divulgazione, scandalo, e anche correttezza ed equilibrio.

Lo stesso gruppo sta realizzando anche un altro “lavoro culturale” davvero interessante, il remake in linguaggio underground del martirologio cattolico, cioè le vita dei santi + immaginetta, ogni giorno il santo del giorno in una pagina, in linguaggio contemporaneo, con illustrazioni originali che riescono nella mission impossible: rinnovare l’iconografia cattolica….

una cosa che la Curia, L’Eco, la Fantoni e il Sant’Alessandro messi insieme con tutti i loro soldi, i loro biblisti e i loro madonnari non sono in grado di fare, limitandosi a pubblicare ogni anno sempre le stesse vite dei santi ingessate da decenni, o secoli…

Questo lavoro, che in realtà proprio perché sincero e rispettoso, raccontando i santi come personaggi contemporanei, reali, estremi, nella città più bianca e bigotta d’Italia, risulta  autenticamente dissacrante.

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Potrei raccontare molti altri progetti che conosco da vicino, a metà tra ricerca e provocazione, autofinanziati, sostenibili, come la Badante Alighieri, agenzia letteraria per scrivere la biografia del nonno; la Pub Writing Session, lo spettacolo della scrittura nei pub; gli Invisible Show; i Contemporary Locus…

Intanto, nei loro uffici, assessori e immobiliaristi, che di questi fermenti non sanno niente, vogliono, o dicono di volere, fare qualcosa per dare più vita al centro di Bergamo Bassa, al cosiddetto Centro Piacentiniano.

Ora, se vuoi veramente dare vita al centro, devi osservare quello che succede nei borghi, e studiare la storia della città. Il centro di Bergamo Bassa non nasce come località centrale, ma lo diventa in quanto “passante” tra i borghi. Devi allargare il quadro, e la prospettiva.

Non è ignorando o soffocando i fermenti dei borghi, che porti vita in centro, ma piuttosto restituendo vita e senso di connessione al Sentierone in forma di “passante verde”, tracciato pedonale da aprire con poca fatica materiale (e molta mentale!) tra la Carrara-Gamec e Piazza Pontida, attraverso i parchi Suardi-Montelungo-Caprotti (cancelli da aprire…) fino a S.Spirito, e poi via Tasso, Sentierone e via XX Settembre.

Con questo anello pedonale tu scendi dalle mura, da Porta S.Agostino/via S.Tomaso, traversi tutto il centro e risali da S.Alessandro in Porta San Giacomo: e così integri città alta e bassa nella fruizione turistica pedonale, storico-artistica,

questo i turisti lo apprezzerebbero, e così pure i commercianti del centro e dei borghi, che per loro natura miope sono incapaci di vedere che oltre l’isola pedonale –  la tomba dello shopping – c’è l’arcipelago pedonale, e la resurrezione urbana.

Se Bergamo deve rinascere come città d’arte-turismo-cultura, è chiaro che i fermenti verranno dai borghi, dai luoghi dove ci sono artisti, gallerie, editori, sono loro che faranno crescere la città come città d’arte e cultura, proprio come secoli fa gli artigiani e le botteghe dei borghi hanno creato la città commerciale…

non serve fare la partnership con l’università di Harvard e spendere milioni in progetti di Smart City, sto parlando di aprire cancelli e portoni, sto parlando di aprire la mente della città…

forse non tutti sanno che il Sentierone  in origine si chiamava Sentierino, ed era appunto un Sentierino che collegava i borghi attraversando il grande prato di Sant’Alessandro (dove oggi sorge il centro Piacentiniano).

Aumentando il flusso, il Sentierino divenne Sentierone,  quindi si costruì la fiera, quindi il centro Piacentiniano oggi desertificato.

Ma il tracciato del Sentierino lo vedi ancora, tu guarda la mappa del 1600, e riconosci il filare d’alberi che ancora oggi corre a lato del Sentierone tra la Chiesa di San Bartolomeo e Palazzo Frizzoni: quello è il Sentierino.

Ricoperto di vecchio asfalto, orlato da brutti pannelli con brutte affissioni pubblicitarie, meriterebbe maggior cura, e una targhetta che in poche righe racconti la storia, e il senso, del Sentierino che diventò un Sentierone.

Insegniamo alle persone ad attraversare Bergamo Centro a piedi, dalla Carrara alle 5 vie, e riavremo la centralità del Sentierone.

Ma qui abbiamo architetti che vanno in America a farsi spiegare come fare marketing urbano, e poi tornano masterizzati, e per rivitalizzare il centro hanno idee brillantissime come quella di cambiare nome a Largo Bortolo Belotti, perché “è un nome che non ha appeal turistico”.

Io questi li rinchiuderei due o tre mesi al Gleno a leggere bene la Storia di Bergamo e dei Bergamaschi di Bortolo Belotti in 10 tomi e 2000 pagine, da sapere a menadito per riavere la libertà.

Il fatto è che la cultura a volte manca proprio agli uomini di potere che vorrebbero promuoverla. E alle donne, pardon.

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viva la pubblicità ignorante

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BGbirraIGN

Come sempre, nessuno inventa niente, e tutti contribuiscono a tutto.

Parliamo dell’origine della PIG, la pubblicità ignorante, il nuovo format di advertising/subvertising di CTRL magazine, riconoscibile da un bollino ovale tipo Pubblicità Progresso con la dicitura PIG.

Come si legge nella pubblicità della Pubblicità Ignorante,

PIG è la pubblicità km0, genuina, come una volta,

1 immagine da “cinema” e 3 promesse “strillo”

obiettivo comunicazionale: strappare un sorriso

obiettivo culturale: diffusione delle coltivazioni di pubblicità autoctona km0 e riduzione dell’inquinamento semiotico causato dalla pubblicità mainstream industriale tossica per la psiche.

Da qualche parte si trova anche una  normativa PIGright :

CTRLmag, ADVzero, StudioTEMP sono i  coideatori

corealizzatori condivisori e comproprietari del comarchio PIG

chiunque coltiva condivide e applica i principi PIG

è libero di utilizzare il comarchio PIG in modalità PIGright

cioè gratuitamente, ma con la disclamatura speciosa PIG1  PIG2  PIG3

per la tracciabilità del prodotto e la riconoscibilità dei coltivatori diretti.

CTRL è un magazine free press glocale che sta in piedi senza finanziamenti e con la pubblicità locale produce contenuti internazionali e format inediti. ADVzero è l’agenzia sperimentale di sovversione pubblicitaria del centro ricerche Calepio Press. StudioTemp è lo studio che crea la grafica di CTRL (e altre pubblicazioni sperimentali curate da ADVzero, come l’Osservatore Elaviano del birrificio Elav, un cartaceo di contro-subcultura illeggibile on line).

La pubblicità ignorante nasce esattamente alcuni mesi fa, quando i tre soggetti succitati, disgustati dall’idea di pubblicare in quarta di copertina la pagina pubblicitaria istituzionale dell’Università di Bergamo – una cosa vergognosa, brutta copia di banali adv americane nate vecchie –  in preda a questo profondo disgusto (è la qualità, la creatività delle inserzioni a fare la qualità, la creatività di un magazine!) si ribellavano e con incredibile ardire comunicavano all’inserzionista che non potevano pubblicare quell’annuncio, troppo brutto, e al contempo proponevano una adv fatta al momento, sullo spunto del bello dei Temp, che disse “facciamo qualcosa di ignorante!”, e cioè il logo in grande e una frase/claim: di fatto una copy compaign.

Con quella scelta, raggiungevamo una nuova consapevolezza, dovevamo occuparci di qualità, autenticità, appeal della pubblicità locale, spesso un adattamento di format nazionali, o vere e proprie brutture fatte dal tipografo o dal cliente stesso.

Dopo l’Università di Bergamo, le prime prove di PIG sono con BGbirra, per opera di StudioTemp, che trasforma un bastione delle mura in un boccale di birra, con citazione/claim by ADVzero, prendendo in giro le citazione colte con una citazione “ignorante”, e improbabile: Non c’è birra senza spina – Rosa Luxembourg.

Sempre per BGbirra, nasce quello che poi diventa il format basic, con imago da film e 3 frasi-3 strilli, secondo la scuola degli ambulanti-strilloni. Dopo BGbirra, ecco Skandia, e dal n.55 più della metà delle adv è in format PIG, con tanto di bollo.

Un successo, e anche piuttosto strano, considerato che la prima regola dell’adv è distinguersi, mentre la PIG è un format, una gabbia standard, e dunque in un certo senso tecnico/semiotico “non è pubblicità”, o se è pubblicità, è pubblicità dentro uno schema, cioè roba da DDR, da Minculpop, da pubblicità irregimentata.

Eppure funziona, colpisce, anche rinunciando all’unicità, all’impatto visual, all’unicum grafico, o forse proprio in virtù di questa sottrazione, quest’uniformità, riporta l’attenzione sul messaggio, sull’emittente.

E a quel punto convince per il tono leggero, spiritoso, autoironico, e genuinamente “ignorante”.

La parola “ignoranza”, “ignorante” – parola tabù alle opposte estremità del target socioculturale per opposti motivi –  non mi è nuova. Da bambino mia zia iniziava ogni discorso con “io sono ignorante, ma…” (che retoricamente somiglia al “io non sono razzista, ma…”). Recentemente, ai tempi della capitale della cultura, sempre in combutta con CTRL, si era creato il dominio, anzi l’hastag, #pensacheignoranza, a identificare un’agenzia di sondaggi d’opinione a priori, cioè come quelle di regime…

Ma l’idea, la convinzione  che la pubblicità si basi sull’ignoranza, è nel dna della pubblicità. Diceva il mio primo art director (1986): se tutto il target fosse veramente A+, cultura e consapevolezza, la pubblicità non avrebbe alcuna possibilità di esistere. Dovrebbe sparire. Poco per volta, con l’evoluzione del pubblico. Abbassare le luci, la voce.

Una delle prime agenzie in cui ho messo piede ebbe un momento di gloria con lo spot: “Silenzio, parla Agnesi”.

Più avanti, ebbi il trauma di lavorare per un imprenditore vecchio stampo, che si vantava di non aver mai speso 1 lira in pubblicità (e lavorava e prosperava nel settore moda…): ma se io l’avessi eccitato con un’idea, avrebbe cambiato idea e fatto la sua prima campagna. Cosa che naturalmente avvenne, e la campagna “Eroi del nostro tempo” (con testimonial banali, uomini comuni, vestiti da perfect gentleman Boggi, con la body-eroica tipo: impiegato, due figli all’università) vinse qualche premio e convinse l’uomo a dotare l’impresa di un pay-off (Boggi ha solo clienti fedeli a sé stessi).

Mi diceva il vecchio Boggi:  la vera pubblicità è quella che fanno gli strasciuni (straccivendoli) ti sbattono in faccia il tessuto e ti urlano tre frasi, in modalità sillogismo (tesi, antitesi, sintesi)  che a bene vedere è tuttora il perno razionale di ogni televendita.

Poi con gli anni  80 e il made in Italy e le scuole di design e la notte dei pubblivori prende piede l’idea che la pubblicità sia un linguaggio sofisticato, elitario, intelligentissimo. Per gente che non ha mai decifrato una terzina della Divina Commedia, o un passo del Vangelo, o un’affermazione di Wittgenstein, o un paragrafo del Finnegan’s Wake, uno spot con due o tre rimandi in circolo è già un’opera dell’ingegno.

E così arriviamo ai disastri, alle pubblicità difficili, auto-referenziali, e autolesioniste. Vorrebbero essere adv per gente up. Ma sono senz’anima, e deprimono nonostante la sfavillare di luci e luxury.

L’anima della pubblicità, se c’è, è ignorante, possibilmente di una sana ignoranza, sincera, infantile: è lo stupore di un bambino che grida alla sua automobilina: ha il motore!

PS: c’è da dire che il merito conclusivo della PIG è del giovane Postini, l’editore/account di CTRLmag: è lui quello che è andato a faccia tosta dai clienti a vendere pubblicità ignorante (e a un prezzo superiore!). Il  mondo adv è pieno di creativi cattivi e innovativi da sempre castrati e cassati da account “con i piedi per terra”. E non succede niente. Ma se accade che il commerciale è più “fuori” del creativo, allora…

(imago: PIG, pubblicità ignorante per BGbirra su CTRL magazine)

chi è Lele Mosina

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Badante4occhi

Lele Mosina è il nuovo found raising manager del project group calepio press. Appena nominato, ha dichiarato:  “sono molto fiero alla mia età, l’età della Maresana, di essere stato scelto a rappresentare il gruppo  calepio press, tra i più importanti centri d’eccellenza nella produzione di cultura d’avanguardia made in Italy”

“c.press è la dimostrazione di come  un uomo solo, totalmente disorganizzato e inaffidabile, dedicandovi un’ora al giorno e alcuni pseudonimi, senza un euro di budget, e senza nemmeno avere la linea web, caricando i post al bar o da amici, possa essere non solo più influente di vere e proprie testate giornalistiche di regime con decine di collaboratori, redazioni, e centinaia di migliaia di euro di budget,

ma anche più produttivo in termini di idee e progetti innovativi  dei  grandi centri ricerca o incubatori d’impresa, finanziati dal regime per ragioni di facciata”

“quest’uomo non è un genio o un individuo eccezionale, ma semplicemente un uomo libero, preparato e dotato di senso critico, che ha il coraggio di scrivere le verità più lampanti taciute o mistificate dai gruppi di potere che controllano l’opinione pubblica”

“sostenere quest’uomo, questo nullatenente, significa sostenere la possibilità di superare l’ipocrisia mediatica ma soprattutto significa sostenere progetti reali d’innovazione culturale come:

> Adv zero, agenzia anti pubblicitaria (già Malomodo Communications) per la riduzione dell’inquinamento semiotico da pubblicità.

> FMKTG, fantamarketing, creata nel 2010 con Pierluigi Lubrina e BambooStudio, contaminazioni paraletterarie tra fantascienza e innovazione d’impresa.

> gentedimerda.it,  da un’idea di Federico Carrara, asocial network;

> BaDante, care&writing agency, sviluppata con Isabella Gentili e Athos Mazzoleni, casa editrice di riposo, nuova letteratura senile.

> Leone XIV, antipapa latinista, nato rivoluzionario vs PapaRazzinger, divenuto reazionario vs PapaFrancisco

> Upper Dog (con Jennifer Gandossi e Benedetto Zonca): idee e ricette per produrre cibo per animali con scarti macellaio fruttivendolo e fornaio di quartiere (nomi delle ricette: porco cane, popolo bue, trota padana, pota coniglio, master polaster, interiora design)

> #pensacheignoranza, dal 2013, con Anna Bonaccorsi e Athos Mazzoleni, web institute ricerche di mercato e sondaggi d’opinione

> PWS, pub writing session, est 2014 con CTRL magazine e ELAV brewery, lo show della scrittura, storie da pub ascoltate, trascritte e pubblicate al pub

> Mensa te!, est 2014, con Matteo Cremaschi, Athos Mazzoleni, Daniele Lussana e Virginia Coletta, mensa popolare / fabbrica delle idee, 1pasto 1idea.

“cliccando sul tasto LeleMosina potrete donare qualsivoglia cifra per sostenere questi progetti, lo trovate in home page, in alto al centro con la dicitura LeleMosina/donazione”

“se cercate la home, cliccate su domus”

C.press, è l’unico sito al mondo ad avere la domus invece della home.

Grillo scoop esclusivo per Calepio Press e CTRL magazine

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Leone:Grillo

Dopo una rapida riflessione, il capo Grillo ha dato ieri sera il suo assenso alla proposta di accordo 5stelle-Gori formulatagli sui due piedi in piazza V.Veneto/Sentierone  dal vostro blogger.

Pur stremato da una giornata terribile, segnata dall’incontro scontro con Renzi sull’Expo, e dopo aver arringato senza risparmiarsi il popolo bergamasco, il leader 5stelle ha trovato il tempo di ascoltare e approvare il progetto Gori uomo 5 stelle.

Premessa al progetto: considerato che Tentorio è più che bollito e soffre di piaghe da decubito (siede ininterrottamente da 44 anni a Palazzo Frizzoni!) che Gori è più che depresso ed è già stanco di passare le serate in attività verbose (ed è ormai evidente che la leadership politica non è la sua vocazione) e che i 5stelle sono la formazione più adatta a governare una città 5 stelle come Bergamo (ma avrebbero bisogno del sostegno e del voto di quella “buona metà” dell’elettorato pd&soci fatto di compagni capaci e onesti che tuttora sono nei ranghi della sinistra)

ecco il progetto esposto a Grillo: Gori annuncia il suo ritiro dalla corsa a palazzo Frizzoni, e indica al popolo pd di votare compatti 5stelle, e in cambio i 5 stelle gli danno l’esclusiva per produrrre e trasmettere il nuovo reality “Palazzo Frizzoni”,

> format sperimentale di video-democracy con Consiglio Comunale e Giunta in diretta (si vota da casa con un sms, come al grande fratello) da lanciare poi in ogni città

fino ad arrivare al power reality supremo, il “Montecitorio Show”,

e dunque a una nuova forma di governo, rilanciando in forma tecnologica l’unica vera forma di democrazia, la democrazia  diretta, così come è nata nell’antica Atene, con la partecipazione quotidiana di ogni cittadino, e finalmente superare la democrazia rappresentativa, causa di quasi tutti i mali,

in questo modo Tentorio va in pensione, Gori è contento perchè fa il mestiere che sa fare (produzioni televisive) e non per bassi motivi commerciali ma per una buona causa di evoluzione civile, e Bergamo sarà la prima città a sperimentare il buon governo dei cittadini, con il coinvolgimento e la trasparenza data dalla diretta tv,

> recepita questa proposta, il capo Grillo ha sorriso e ha dichiarato testualmente: “Ma certo, Gori è un bravo ragazzo, Gori capisce”

Il sasso è lanciato, non resta che attendere la risposta di Gori e la presa di coscienza di quella “buona metà” della sinistra, oggi incredibilmente costretta a militare sotto il giogo della chiesa, della grande impresa e delle banche.

(nella foto Postini-Reuters, il capo Grillo appena sceso dal palco del comizio di Bergamo, ascolta con attenzione l’inviato del blog Calepio Press. Sulla nuca del blogger è altresì riconoscibile l’ombra del logo CTRL)

sanatorio d’impresa

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chiostro_del_lazzaretto acquaforte Acquatinta_1843

Il Sanatorio d’Impresa (Calepio Press Fanta Marketing Project n140409) è un classico progetto storto, obliquid, nato da un pensiero laterale, debordante e “rivoltante”,

l’idea nasce dalla semplice constatazione del trend sulla mortalità d’impresa, specialmente piccola impresa: sono più quelle che chiudono di quelle che aprono

perciò l’idea di creare una struttura-campus dedicata alle imprese morenti, in coma, in suicidio, un’idea di rianimazione d’impresa, o di aiuto nella dismissione, e nella gestione delle salme d’impresa

in origine l’idea era specialmente focalizzata sull’obitorio d’impresa, o mortuorio d’Impresa, titolo sotto il quale il progetto è  pubblicato questo mese nella rubrica Fantamarketing di CTRL Magazine (il Magazine gratuito che va a ruba, essendo introvabile, come tutte le buone cose: in questi giorni reperibile in via del tutto eccez alla fiera dei librai, sul sentierone)

> poi complice la pasqua ecco l’implementazione insurrezionale, verso una rianimazione d’impresa, o terapia intensiva, e un uso realmente utile (per non perdere e/o riconvertire le risorse e professionalità delle imprese che muoiono) di quelle applicazioni di chirurgia gestionale (comunicazione, informatizzazione, social media, condivisione costi  etc) che oggi vengono “spese” negli incubatori d’impresa a favore delle nuove imprese, o delle imprese giovani, o femminili, etc

dove insieme ai soldi pubblici si spende anche molta retorica

investire sui sanatori d’impresa piuttosto che sugli incubatori può sembrare una proposta regressiva, reazionaria e persino retriva

occorre qualche esplicazione che chi ha avuto a che fare con gli incubatori potrà confermare: l’incubatore d’impresa sarebbe il posto dove si aiutano le giovani imprese a nascere e sopravvivere, ma spesso per sua natura, essendo finanziato dal vecchio regime, tende a castrare i progetti realmente innovativi (che metterebbero in crisi l’antico regime) e a lobotomizzare i cervelli migliori, o in qualche caso a paracularli e/o associarli ai figli di papà bisognosi di sostegno, vero target dell’incubatore.

il concept del sanatorio d’impresa è il contrario dell’incubatore d’impresa, è il posto dove i giovani aiutano le vecchie aziende a morire, e con i pezzi ancori buoni (macchine, persone, saperi) assemblano delle aziende frankestein, perfette in epoca di horror-economy.

Nel sanatorio d’impresa la vecchia impresa in fallimento, ma anche la piccola impresa, l’artigiano, può trovare un centro-ricovero, servizi di rianimazione d’impresa, dismissione, dolce morte, trapianti, innesti etc.

La location ideale in ambito berghem è il Lazzaretto, luogo storicamente deputato alla missione, già pronto con le celle, dove le imprese appestate trascorreranno la lotteria quarantena vita/morte,

al centro il grande campus dove  giovani tecnici particolarmente crudeli (programmatori, e.commercialisti, social e viral marketing manager, blogger) faranno a pezzi le imprese e praticheranno terapie intensive di rivitalizzazione d’impresa con nuovi format, nuova filiera, riconversione, riutilizzo, dismissioni costi inutili, nuovo posizionamento sostenibile, etc

il Lazzaretto è per sua natura e spirito del luogo la base ideale per  diffondere in modo virale il contagio delle nuove idee

lo slogan, pensato come insegna capitale sull’ingresso ad arco del Lazzaretto:

alzati e fattura!

Il 7 maggio prox venturus in occasione del compleanno del Lazzaretto (giusto quei 500 anni) il Sanatorio d’Impresa sarà uno dei temi della pausa pranzo food-sharing Mensa te!

> Lazzaretto, 7 maggio h12-14, esperimento di mensa popolare/fabbrica delle idee

> 1 idea 1 pasto >  https://calepiopress.it/2014/04/02/mensa-te/

plus info next days

ma che calepio si fa a pasqua?

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ADCalepioNerd

Il progetto Bergamanent nasce un anno fa, in piazza S.Anna,

dall’incontro con i ragazzi di CTRL magazine, quando scopriamo di aver proposto al comune progetti simili, con grandi idee e piccoli budget, e aver ricevuto risposte simili: “bellissime idee, purtroppo non ci sono soldi” (e in quegli stessi giorni il comune stanziava 800.000 euro per consulenze e comunicazione su Bg2019 “capitale della cultura”).

Noi avevamo proposto un lavoro di rilettura e rivalutazione dei grandi personaggi storici icone della città, creando profili social-historical a partire dai quali far rivivere la storia della città con eventi musicali e teatrali, e la partecipazione di artisti, writer, ricercatori, editori, locali pubblici.

Il comune ha poi preso l’idea di partenza e l’ha realizzata in modo sciatto e a costi altissimi, tirando giù frasi fatte dai libri di storia per poi stamparle su brutti totem, e morta lì.

Nel frattempo noi siamo andati avanti, e abbiamo fatto rivivere queste icone sulle cover di CTRL magazine, cercando l’attualità, il senso di oggi di figure ricoperte dalla polvere del tempo, sconosciute ai più, ignorate dalle nuove generazioni.

E così, per un anno, invece delle rock star, abbiamo messo in copertina, come fossero nuovi divi, i grandi bergamaschi del passato, rappresentati e raccontati come personaggi di rottura, fuori dagli schemi, non ingessati e non istituzionali:

il Beltrami explorer, scopritore del Nord America;  il Che-Nullo, primo dei rivoluzionari moderni; il Colleoni dux, inventore dell’artiglieria mobile; il Natta fetish, creatore della plastica; il Locatelli no limits, pioniere dell’aria; il Quarenghi magut, costruttore di metropoli;

il Galgario gay, maestro del ritratto; il Paciana hacker, re dei banditi;

e infine il Calepio nerd, ideatore del vocabolario, in copertina questo mese, da cui prende nome questo sito e questo editore, che qui vi presento, con un augurio di buona lettura, e di buona pasqua!

Cover story per CTRL magazine n.49, imago by studio Temp, testo by Leone Belotti:

Se vuoi sapere che Calepio ha fatto e chi Calepio è, ti dico che Ambrogio da Calepio è il primo grande nerd della storia, il precursore del web, autore di un libro pazzesco, un’idea folle, che ha cambiato il mondo.

Probabilmente, prendendo in mano un vocabolario, non ci siamo mai posti la domanda: chi è quel fuori di testa che ha avuto l’idea?

Prima esistevano raccolte varie, compilazioni lessicali tematiche, indici di luoghi o gallerie di personaggi storici, ma il grande nerd ebbe il lampo di genio di fare questo lavoro scientificamente su un’intera lingua, in ordine alfabetico: e poi girarla a specchio, tra-ducta in un’altra lingua!

Ci lavorò giorno e notte per 50 anni, 500 anni fa, a Bergamo. Poi diede alle stampe. Boom. L’opera, titolata Lexicon, ribattezzata Calepino, dal nome del suo “consapevole inventore”, ebbe un effetto pari alla scoperta dell’America (che similmente prende nome da Amerigo Vespucci, e non da Colombo, che non si era reso conto).

In pochi anni, il Calepino, come internet, diventa lo strumento di lavoro indispensabile per studiosi, scrittori, scienziati, traduttori di tutto il mondo. La community subito condivide e implementa, e in breve escono decine di versioni in tutte le lingue del mondo.

Calepino alla mano, il popolino illetterato poteva finalmente capire il Latinorum usato da papi e imperatori per imporre leggi assurde con codici astrusi (il latinorum di oggi  è la pubblicità, la tecnologia, le app)

Per 300 anni insieme alla Bibbia è il libro più stampato al mondo (oggi: il catalogo Ikea) ma il suo autore, dopo la prima edizione (pubblicata a sue spese!)  non vide più un tallero: il diritto d’autore non esisteva, e tutti gli stampatori se lo ristampavano allegramente (lezione di storia: il copyleft è nato 3 secoli prima del copyright).

Poi arrivò l’Enciclopedia degli Illuministi, versione moderna del Calepino, e oggi siamo a Wikipedia. La cosa paradossale, è che se cerchi oggi in Wikipedia, su Ambrogio trovi 10 righe da sfigato.

Nato nobile nel 1435 in un castello al centro del feudo di famiglia (Castelli Calepio, in Val Calepio) il giovane conte Calepio si trasferì a studiare a Bergamo a Palazzo Calepio, in zona Fara, e passò tutta la vita nel convento di fronte a casa (S.Agostino). Probabilmente pagando, prese i voti, e il nome Ambrogio (di battesimo faceva Giacomo) con una dispensa “per motivi di studio” che lo liberava dal peso di dire messa, confessare o vedere gente.

Per tutta la vita non fece mai altro che ilfiglio di papà nerd, uscendo solo per attraversare la Fara (casa-studio) e tuffarsi nel suo lavoro titanico in S.Agostino, dove morì (1510) e fu sepolto senza nemmeno una lapide, nello stile NOLOGO degli eremitani agostiniani (seconda cappella a destra in S.Agostino).

Nell’aldilà, ha ripreso il nome di Giacomo, e passa le giornate in Purgatorio nel gruppo master nerd, molestato da fan insospettabili come gli eretici Giordano Bruno ed Erasmo da Rotterdam (che lo chiamano joker)  gli esplosivi D’Annunzio e Alfred Nobel (che lo chiamano bomba carta) e l’odioso Steve Jobs (che usa wikalepio al posto di wikipedia).

Intanto nell’aldiquà i vip del comitato cultura Bg2019 hanno blaterato per mesi e speso milionate in consulenze, totem e testimonial “lustra Berghem”, senza accorgersi che avevano in mano il jack pot della cultura, capace da solo di far saltare il banco.

E così si capisce anche perchè Calepio abbiano bocciato Bergamo capitale della cultura. Come se al Comune di Firenze, assessorato alla cultura, ti rispondessero: Dante chi?

 

 

quel cane del grafico

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caalepioLion2014

dalle remote lande della terra di obliquid,

Benedetto Zonca mi manda un lavoro fatto dal suo cane, il Pepe lab (lab sta per labrador, già art director di alcune pubblicazioni Calepio Press)

L’esercitazione prevedeva la realizzazione del restyling del logo Calepio Press.

La lavorazione ha seguito questo procedimento:

dopo che l’operatore umano (lo Zonca) ha pre-selezionato alcune immagini di “leone ruggente”, il Pepe lab, dotato di mouse sottozampa wireless, ha selezionato l’immagine da utilizzare;

lo stesso procedimento si è ripetuto per scegliere il carattere tipografico, e lo sfondo.

Questa tecnica di lavorazione, presto una app, denominata “quel cane del grafico”, risulta perfetta per chi desideri una grafica veramente bestiale.

Per lavori bestiali by Pepe lab, contact l’operatore umano benedetto@obliquid.it

giorgio hogan per bergamo

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GiorgioHogan3

dopo la campagna per la mobilità SUVstenibile (per una Bergamo a misura d’audi) ecco il nuovo format Giorgio Hogan X Bergamo via XX (concept CalepioPress):

l’idea nasce dalla lettura del rapporto Caritas 2014 (in povertà assoluta il 10% della popolazione, aumento record persone che perdono reddito o casa o entrambi, boom di padri separati ridotti a barboni)

e dalla consapevolezza che è proprio quando si deve vivere come barboni, girovagando tutto il giorno, che le scarpe diventano importantissime,

perciò considerando che nelle scarpiere dei bergamaschi bene  esistono migliaia di Hogan seminuove, portate due volte,

Giorgio Hogan ha scelto di lanciare a Bergamo, prima città in Italia, il nuovo format di free-shoe-sharing:

da oggi chiunque può donare le proprie Hogan (portabili) al negozio Hogan di via XX, sede del comitato Giorgio Hogan X Bergamo, dove chiunque ne abbia bisogno, potrà riceverle in omaggio.

L’evento clou della campagna è fissato per il sabato prima delle elezioni, quando Giorgio Hogan tra due ali di folla risalirà sulle sue Hogan via porta dipinta da casa sua fino all’antica piazza Mercato delle Scarpe (tornata alla sua funzione)  dove le donerà a un artista povero nel corso di un grande shoe sharing collettivo upper class & pauper class.

(nota: per avere un paio di Hogan usate in omaggio è sufficiente presentare copia della propria tessera elettorale. Come da antica tradizione italiana, la scarpa sinistra sarà consegnata subito, mentre la destra potrà essere ritirata dopo le operazioni di voto)

Photo CalepioPress: il negozio Giorgio Hogan x Bergamo di via XX