non parlatemi di calcio

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delotavlliani

Non c’è bisogno di fare nomi, i nomi li sappiamo tutti,

parlo di soggetti violenti e socialmente pericolosi, che sarebbero da rinchiudere subito, e non intendo gli ultras, ma i dirigenti stessi del calcio italiano, i massimi dirigenti, arroganti e ignoranti, ottusi e irresponsabili,

massimi dirigenti delle squadre più potenti che aizzano (e distraggono) le folle con dichiarazioni a caldo e comunicati stampa a freddo che sembrano dichiarazioni di guerra etnica;

massimi dirigenti della federazione calcio che, abituati a usare un linguaggio volgare e razzista, fanno gaffe internazionali imperdonabili, e intanto in patria profittano della loro carica per affari privati con denaro pubblico e spartizioni familiari di poltrone e incarichi: e alla luce del sole! Embè? Che male c’è?

Intorno a loro politici al soldo, giornalisti lustrascarpe e calciatori corrotti, condannati per aver venduto le partite, ma prontamente perdonati e reintegrati (mentre quei pochi coraggiosi che hanno denunciato le combines sono stati emarginati ed esiliati).

Tutti personaggi legati mani e piedi, più che al gioco del calcio, al gioco d’azzardo, o alla finanza grigia, o alle peggiori lobby immaginabili;

chi segue il calcio lo sa, lo vede, ma per diversi motivi non ne parla;

chi non lo segue, non immagina minimamente cosa sia diventato il calcio, il virus che propaga,

e resterebbe allibito anche solo nel sentir parlare questi presidenti-boss (o teste di legno) questi dirigenti-papponi (o teste di legno) spesso impresentabili, spesso indagati, o pregiudicati, ma tutti a piede libero, e tutti in tv in prima serata, ben vestiti e strafottenti: noi siamo i padroni, noi vi facciamo fessi come e quando vogliamo,

è questo che dicono i padroni del calcio ogni giorno, su ogni canale, a un pubblico enorme, ammutolito.

Il calcio italiano è l’immagine del nuovo medioevo, una società padronale, clientelare, feudale, servile, nella quale le regole (e la comunicazione!) sono armi diaboliche, strumenti di sopraffazione del forte sul debole.

Ormai non hanno più nemmeno la decenza di salvare le apparenze, gli scandali sono alla luce del sole, quotidiani;

e se il contrasto tra quello che dicono e quello che fanno è “come niente fosse”  sotto gli occhi di tutti, questo significa che la massa, e prima della massa i mass-media, devono fingere, e fingono, di non vedere, di non sapere che lo sport più amato dagli italiani è diventato una orribile farsa, vetrina di un regime regressivo, reazionario, incivile e ipocrita:

naturalmente l’altro lato della medaglia è un fiorire di propaganda umanitaria, iniziative benefiche, ridicole norme anti-violenza, anti-razzismo, codici etici, spot retorici;

e questa facciata di “bontà” serve a coprire la puzza, il fetore che emanano, la maxi-truffa sociale, economica:

parliamo di società calcistiche di serie A che hanno centinaia di milioni di debiti, che le banche ri-finanziano periodicamente senza problemi;

e centinaia di milioni di evasione fiscale, condonata grazie ad appositi decreti legge (“salva-calcio”) fatti su misura (mentre aziende, artigiani, lavoratori e interi distretti produttivi sono messi in ginocchio dai rigori punitivi di fisco, burocrazia e finanza);

parliamo di squadre che non sono più squadre, ma “piattaforme d’intermediazione finanziaria”, di proprietà oscura, dirette da personaggi oscuri, che hanno sotto contratto non i 20 o 30 calciatori che indossano quella maglia, ma addirittura 200 o 300 atleti, che poi giocano “in prestito” in altre squadre (servire due padroni…)

il risultato di tutto questo sono partite e campionati palesemente falsati, dall’inizio alla fine, da anni, tanto che il vero protagonista e centro d’interesse mediatico non è più il torneo, l’impresa sportiva, ma il calcio-mercato, un vero e proprio spettacolo finanziario.

Il calcio-mercato una volta era limitato alla stagione estiva, tra la fine di un campionato e l’inizio del successivo, mentre oggi è permanente,

per cui se una piccola squadra ottiene grandi risultati e valorizza nuovi giocatori, quella squadra viene immediatamente smantellata, a campionato in corso, e quei giocatori passano alle grandi squadre,

tutto può succedere nel calcio di oggi, tranne una vera impresa sportiva;

in questo modo la passione, il bisogno di catarsi dell’uomo qualunque, è mortificata, svilita; il piacere di vedere giocare ai massimi livelli il gioco più bello del mondo resta un desiderio totalmente insoddisfatto;

le partite noiosamente scontate, gli stadi vuoti, i calciatori depressi, gli allenatori isterici, i presidenti megalomani, i giornalisti asserviti: questo calcio non serve più nemmeno come oppio dei popoli, come strumento di consenso, è solo l’immagine dello sfacelo, della follia conclamata di un regime sclerotizzato, lanciato verso l’autodistruzione.

il modello di business televisione e scommesse sportive, che in Inghilterra funziona, in Italia ha prodotto debiti e corruzione, e il giocattolo si è rotto.

Di fatto da decenni non c’è più competizione sportiva, in seria A, ma solo vassallaggio, e disputa feroce, senza esclusione di colpi, tra quei due o tre club rappresentativi dei poteri forti,

è una disputa a base di scorrettezze e corruzione, una guerra per il controllo e l’asservimento non solo di atleti e arbitri, ma anche dei mass media (in queste settimane lo scontro di potere tra i diversi feudi è sul controllo delle produzioni televisive delle partite).

Col pretesto molto ben strumentalizzato della “violenza” degli ultras, hanno svuotato gli stadi di spettatori, e li hanno riempiti di telecamere.

Guardando una partita in tv sei frastornato da replay, minispot, zoom e stop motion, e non vedi, non cogli la cosa importante. Vai a vedere una partita allo stadio, e capisci subito che è irreale.

La crisi del calcio non è solo la crisi del calcio, ma la rappresentazione nuda e cruda, il volto peggiore, paradossale e stomachevole, della crisi del sistema Italia: una crisi totale, economica, etica, politica, mediatica.

L’unico vero decreto “salva-calcio sarebbe sospendere il campionato, sciogliere le federazioni, commissariare le società sovra-indebitate (cioè quasi tutte, escluse alcune provinciali “virtuose”) come si fa con qualsiasi altra azienda, e mettere sotto indagine il management.

Il calcio non è più uno sport, ma una gigantesca truffa, un’azienda totalmente corrotta, che crea solo debiti pubblici. Sarebbe da chiudere subito. Per decreto.

 

1 thought on “non parlatemi di calcio

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