Apro il frigorifero il mio frigorifero bello metallizzato alla moda e in fondo in basso a destra vedo un affarino bianco che mi risulta alieno è uno jogurt lo prendo in mano sull’etichetta a caratteri enormi la data di scadenza, sono passati quasi cinque mesi, e trovo questo jogurt che tu avevi preso per te, quando stavi con me, da me, e ti vedo, le tue labbra, la tua lingua, e sto fermo immobile con la portiera del frigorifero aperta, e questo jogurt in mano.
Spaesato devastato distrutto demolito esco di casa mi ritrovo sperduto in un paesaggio deserto con centinaia migliaia di bipedi che deambulano parlano esistono.
In poche settimane ho avuto più donne che pranzi, sono dimagrito, ero morbido, ora sono tutto nervi, tutto teso, verso chissà cosa, e non dormo, e mi chiedo perché non dormo, perché in generale la gente non dorme, la gente che vive in questo sistema che ha questi valori queste suggestioni estetico erotiche che pure io pratico a piene mani ai massimi gradi vivendo attimi ore giornate come in un spot meglio che in uno spot, ma perché non riesco a dormire, mi chiedo.
Arriva l’estate, la prima estate senza di te, e sento arrivare la marea dei ricordi delle estati sempre in giro in moto la notte ovunque nel nostro piccolo mondo o anche nel vasto mondo quasi sempre ubriachi di voglia di vivere.
Ricordi quando in Corsica la moto non andava più eravamo io te la moto e una famigliola di capre in mezzo alla strada che ovviamente era una strada sperduta nell’interno boscoso montagnoso sentivamo il mare da qualche parte chissà dove e avevamo sonno eravamo stanchi faceva caldo così ci siamo sdraiati all’ombra ce ne siamo stati a riposare come sempre abbracciati la tua testa sul mio petto finché passato un po’ di tempo la moto è ripartita e da allora non ci sono più stati problemi.
Ricordi quell’altra volta in Grecia a nord a est al confine con la Turchia ci siamo accampati una sera vicino a un laghetto c’erano dei cavalli che ci guardavano montare la tenda poi la notte scese gelida la luna piena il cielo nitido e freddo non si dormiva avevamo bevuto troppo caffè turco tu hai cominciato a star male ad avere una congestione te ne stavi in riva al lago a tremare, ed io a stringerti forte, finché è arrivata l’alba ma il gelo della notte ci è rimasto addosso poi siamo arrivati in un villaggio baciato dal sole verso mezzogiorno finalmente il caldo ci ha fatto star meglio.
Ricordi quella baia sull’Oceano in Portogallo lasciavamo la moto sotto un albero scendevamo a piedi in mezzo ai rovi tu mi insegnavi le tecniche di discesa dalle pareti rocciose avevamo il nostro piccolo paradiso ci sdraiavamo poi al sole a leggere a guardare il mare io mi dilettavo a fare tuffi da rocce sempre più alte per il brivido per la vertigine di lanciarmi da cinque dieci anche quindici metri rischiando la vita e tu mi guardavi, io naturalmente dall’alto dei miei trampolini mortali vedevo il mare lontano sotto di me come un’ipotesi di morte felice vedevo in quell’acqua trasparente i tuoi occhi verdi la bellezza la luce della natura i colori le emozioni la pelle gli odori la vita tutto questo era un tuffo un lanciarsi a testa in giù.
Ricordi quando all’ombra di fiori di glicine al bar tucul sul piccolo promontorio tu leggevi “La disarmonia prestabilita” io su foglietti volanti elaboravo versi celebri poi a passi tardi e lenti multas per gentes camminavamo al tramonto lungo la spiaggia andavamo a giocare a palettoni anche in acqua tiravamo sempre più forte tu hai sempre avuto un gran braccio in tutti gli sport da racchetta impiegavi un po’ a prendere confidenza con il terreno a recuperare il senso atletico del tuo corpo e poi eri una macchina spara lob.
Ricordi quella notte a Lisbona il ponte sul Tago le raffiche di vento l’asfalto viscido la paura di cadere solo per un attimo perché non c’era protezione perché avevamo violato le barriere dei lavori in corso ubriachi a centosettanta all’ora in moto su un ponte in una corsia chiusa ma libera senza ringhiere davvero pareva di correre su un arcobaleno su un ponte di luce nel buio della notte volando sul baratro d’acqua sotto di noi perché siamo sempre stati così ci siamo sempre buttati a capofitto nei pericoli, e poi così felici la notte di essere vivi insieme abbracciati.
Ricordi quando nei Paesi Baschi la Guardia Civil ci ha sequestrato la moto dopo mezz’ora di inseguimento sulla litoranea da San Sebastian a Laredo, i due sgherri con le loro Yamaha proprio non ci avrebbero mai presi, hanno chiamato l’elicottero hanno allestito un posto di blocco ci hanno fregati siamo rimasti sulla spiaggia di Laredo senza moto senza soldi senza documenti con una serie di imputazioni, attorno a noi l’industria turistica in piena attività noi completamente nei guai, ma che guai erano mai, eravamo insieme, non c’era alcuna paura, ricordi? Abbiamo mai avuto paura di qualcosa, tu ed io? No, mai, di niente e di nessuno.
Ricordi quel pomeriggio quell’estate noi due tra Siena e Firenze quando ci siamo arrampicati a nostro rischio e pericolo sulle mura di Monteriggioni naturalmente a che pro se non per omaggiare il padre della lingua italiana Dante Alighieri, ricordi quando io mi sono addormentato su un prato dietro una siepe nei giardini di Boboli tu non mi trovavi più, sei andata in una casa di Dio lì dietro a omaggiare il Pontormo io ti ho trovata in questa chiesa sola seduta nel primo banco tutta compresa come una beghina te ne stavi assorta a guardare i colori del Pontormo mi sono seduto al tuo fianco mi hai deliziato di uno dei tuoi sguardi di luce. Dormivamo allora di fronte a Palazzo Bartolommei a due passi da Santa Croce per due giorni ci siamo dedicati a Luca della Robbia la sera poi a piedi ubriachi di Tennent’s guardavamo l’Arno da Ponte Vecchio eravamo d’accordo con un anonimo che su un muro della Loggia aveva scritto: W Bach padre il Kantor, creatore dell’universo.
Ricordi le migliaia di volte ma davvero migliaia che tu ed io siamo entrati in una sala cinematografica, abbiamo preso posto nelle due poltrone centrali della prima fila e poi ci siamo goduti il film come due infanti a occhi sbarrati a testa in su senza nessuna capoccia di bipede umano davanti a noi, ricordi quel film tedesco lungo ventisei ore che abbiamo goduto dal primo all’ultimo minuto, ricordi i cartoni animati, i filmoni, i filmetti, i filmini, i film d’avventura, d’azione, d’amore, i film italiani, i film in costume, i film musicali, i film francesi, inglesi, i film dei registi cattolici polacchi, i film iraniani turchi greci serbi spagnoli, i film assurdi giapponesi ungheresi i film insulsi i film campioni d’incassi noi abbiamo visto praticamente più di duecento film all’anno per dieci anni abbiamo visto di tutto, adesso sono tre mesi che non vado al cinema che ho il terrore di andare al cinema ci sono andato con V. con C. con S. e anche con G. e ogni volta sono stato malissimo mi sono sentito veramente disperato solo seduto in un cinema senza te accanto è chiaro che non andrò più al cinema in vita mia.
Ricordi i giri in macchina la notte a fumare una canna a parlare di tutto, ricordi i viaggi in macchina d’inverno a vedere qualche mostra in qualche città, ricordi il dibattito lungo ore che poi facevamo la notte tornando in autostrada fumando a proposito delle opere viste, ricordi quella volta a Cremona o forse a Crema quando il responsabile della mostra un parassita di lusso simpaticone ha avuto la cattiva idea di mettersi a parlare con noi e noi gli abbiamo detto quello che pensavamo chiari e diretti spiegandogli che se ormai il ragazzo morso dal ramarro di Caravaggio è come il prezzemolo sui maccheroni la colpa è anche sua, e che questa non è una bella cosa, come non è una bella cosa organizzare mostre idiote dal titolo che suona bene come Il metodo e l’arte, Il pennello e la ragione, I paesaggi dell’anima e degl’intestini, cose del genere, divulgative, ma perché divulgare ciò che è nobile, ci siamo sempre chiesti, non è meglio aspettare che uno si nobiliti da sé, se proprio?
Ricordi tornando in macchina da Ferrara per stradine secondarie tra i campi lungo gli argini dei fiumi mentre il sole scendeva ricordi quel che mi dicevi a proposito di Dosso Dossi, ricordi i colori di Dosso e ricordi i colori di quel tramonto? Ricordi la sbronza presa a Pavia dopo l’ubriacatura di Madonne del Bergognone, ricordi il mio entusiasmo puerile davanti al Battesimo nell’Incoronata, ricordi il mio entusiasmo quando mi dicesti: questo luogo, questa chiesa dipinta su questa tela, esiste, è a Lodi, ti porterò a vederla, e ricordi poi la notte in giro per la vasta pianura padana a bere in locali simil west in mezzo al popolo bue che noi per anni abbiamo servito quando la nostra ideologia era quella di servire il popolo, ricordi poi l’alba sonnecchiando in macchina in mezzo a un campo in riva al Ticino, e la mattina cappuccio e brioche nel bar delle sciure a Lodi, e finalmente siamo entrati insieme nella chiesa dell’Incoronata?
Ma che tristezza ascoltare gli spot radiofonici veramente brutti e deprimenti anche questi sono momenti che con te erano belli spiritosi allegri sensati, ma che tristezza stamattina aprendo il giornale leggendo delle mostre che s’inaugurano a Lugano sul Borromini, a Venezia sui Bellini, che commozione vedere riprodotta l’immagine di quella Madonna del Bellini, la mia preferita, lo sai, che tristezza vedere stampata sul giornale come nella mia mente la piantina di San’Ivo, ricordi quando tu ed io a naso in su sotto la cupola di San’Ivo a Roma commentavamo i commenti del Bellori, gli aggettivi, gotico, barbaro, e insieme decidevamo che il Borromini era il vero genio inquieto, non il Bernini, così come l’avevamo deciso a proposito del Lotto, che tristezza chiedermi: con chi andrò a vedere queste mostre? Con chi vorrò andare?
Adesso devo introiettare questo meccanismo della vita randagia lo vedo in tutti quelli che stanno soli: si dice che si farà una cosa, e subito dopo non si ha più voglia di farla, e quindi si fa qualcos’altro o, meglio, non si fa niente.
Ho provato a sostituirti, ti ho sostituita con nove donne, due per parlare, tre per fare l’amore, una per andare in giro a zonzo, una per mangiare insieme, una per drogarmi e ubriacarmi, una per dormire, eppure non mi bastano, mi stancano e non mi bastano.
Torno a casa distrutto dalle mie peregrinazioni, mi sdraio a letto, l’angoscia mi viene giù dal soffitto e mi travolge come l’onda di una diga squarciata.
E finalmente mi sento me stesso.
Finalmente posso stare un po’ con te.
Solo la tua assenza mi dà pace.
(tratto da “Riduzione Uomo”, inedito, immagine by Lorenzo Mattotti)