> piccoli gruppi vegetali, un albero, tre arbusti, due cespugli,
che resistono per anni, tra un parcheggio e uno svincolo,
come stati cuscinetto, nella terra di nessuno, e tirano avanti insieme,
come una famiglia, anno dopo anno, inverno dopo inverno,
cercando di non farsi notare, e sono pazienti, tolleranti con uomini e animali,
che a volte li usano come privè, e anche come latrina pubblica;
> certe donne che vedi per strada le quali senza nemmeno guardarti
ti bucano carrozzeria e cristalli camminando come donne di strada,
che sono capitate sulla tua strada, per essere tue nella prossima mezz’ora,
che comincia subito, con un’inchiodata, e una sorta di panico,
perché non sei stato tu a schiacciare il pedale, non è stato il tuo piede:
è stata la bestia che hai dentro, emersa prepotente dal subconscio;
> a un certo punto, con gli anni Novanta, le auto più brutte, più povere, banali,
sono diventate desiderabili, sobrie, eleganti, quasi obbligatorie, silenziose, leggere,
discrete, come il mondo intorno, le nuove architetture, l’alluminio,
e l’amico alfista fedele ti sfotte facile, l’unica materia grigia che hai, ti dice,
è l’audi; oppure: hai l’audi, ma non sei audace;
> giornate impaginate dalla teoria infinita del guard rail autostradale,
cinquecento, ottocento chilometri in un giorno, andata e ritorno,
la Cisa, l’autostrada dei fiori, la Serravalle Scrivia, il Brennero,
i Pavesini, gli oleandri, i lavori in corso a Barberino del Mugello,
giornate intere al volante, ascoltando la radio, facendo telefonate,
fino al punto d’arrivo, il tuo unico contatto umano diretto,
il grugnito-assenso del casellante, quando non c’era il telepass;
> certe strade che hai vissuto a fondo, consumando l’asfalto,
andavi da lei a ogni ora, conoscevi ogni tombino,
era un itinerario viscerale e teologico, dell’amante verso l’amata,
e improvissamente un giorno ti è diventato estraneo, nemico,
un percorso che poi hai evitato per anni, fino a non riconoscerlo più;
> notti d’insonnia, girandoti nel letto, guardando la luna,
e poi tirar giù i piedi dal letto, infilare una tuta, le scarpe, un giaccone,
e infilarsi nella propria macchina come un ladro che la stia rubando,
e lasciar guidare il pilota automatico che hai incorporato,
e un’unica frase in testa, una risposta: “non riuscivo dormire”;
> tramonto grigio d’autunno con pioggerellina sporca e fondo viscido,
e i pensieri che slittano in direzioni impreviste, il k-way, l’inps, le Metzeler,
tua suocera in ospedale, le nuove Volvo con i lavatergifari elettrici,
e alla fine quando parcheggi un flashback del Liceo, la vecchia prof di lettere,
che aprendo il registro ripeteva: si sta come d’inverno sugli alberi, le foglie;
fine seconda puntata, tratto da “Andare in giro in macchina è sempre stata la mia unica attività intellettuale” by Leone Belotti per BaDante/CalepioPress 2013; immagine by Virgilio Fidanza, http://www.virgiliofidanza.it/