In tv vedi lo spot di Coopi che ti invita a donare qualche euro con un sms.
Coopi sta per cooperazione internazionale, è una onlus che raccoglie fondi per il sostegno a distanza di bambini denutriti nel sud del mondo.
Tra le altre cose, la voce fuori campo dice: “la malnutrizione provoca handicap”.
Cosa vuol dire la parola handicap?
Hand significa mano, cap significa cappello: l’handicap è la situazione di chi si trova a chiedere l’elemosina, col cappello in mano,
dunque, in primo luogo, gli handicappati sono i bisognosi.
L’handicap non è un carattere, una malattia, una menomazione dell’individuo, ma una condizione di bisogno, uno svantaggio sociale che i soggetti “diversi” (per es. non deambulanti) si trovano di fronte in un mondo su misura dei “normali”.
Evidente che se fossimo al 99% paraplegici, in un ambiente a misura di sedia a rotelle, il diverso, l’handicappato, sarebbe quello privo di sedia a rotelle.
L’handicap è dunque un deficit, un difetto dell’organizzazione sociale, non dell’individuo “diverso”. Invece, nel senso comune l’handicap è un difetto del soggetto, e dunque l’handicappato un essere “difettato”. Per rimediare a questa “scorrettezza”, ecco la diffusione di espressioni “corrette”, per cui gli “handicappati” sono diventati dapprima “portatori di handicap”, poi disabili, poi diversamente abili.
Torniamo allo spot Coopi contro la malnutrizione.
Il senso con il quale viene usata la parola handicap è proprio quello del luogo comune, scorretto, fuorviante, che associa il disagio al deficit, e il deficit a tare genetiche/ambientali, secondo concezioni pseudo darwiniste-lombrosiane, classiste e razziste.
Da decenni si cerca di superare questa idea dell’handicap come marchio di un individuo “tarato”, inferiore, proveniente da un mondo inferiore, ed ecco che proprio un emittente del mondo “altruista”, in modo superficiale, o forse furbo, si permette di usare la parola handicap alla vecchia maniera, a indicare il diverso come inferiore.
Possiamo ben dire, in questo caso, che gli handicappati sono loro, i comunicatori della onlus che chiedono soldi al pubblico, col cappello in mano.