A Natale certe cose non ditele

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In risposta all’invito di Leone XIV (A Natale, ditele le cose!) una mia gentile amica d’oltremanica, Mrs. Drinkwater, mi ha fatto recapitare un librino dal titolo “Segreti e no”, a firma Claudio Magris, il grande critico letterario, custode della tradizione mitteleuropea.

In poche pagine Magris fa luce sulla doppia natura del segreto, pubblica e privata, e sulla doppia pulsione che scatena: a mantenerlo, e a rivelarlo. Sul versante pubblico due dinamiche: nella custodia del segreto c’è la struttura del potere, nella sua rivelazione la base della narrativa. Ma è sul lato privato che troviamo le motivazioni al “riserbo”, anche Natalizio.

In quest’epoca “di nudismo psicologico”, riscopriamo il diritto all’opacità, a una verità interiore, privata, non condivisa. Argomentazioni a favore del segreto personale, e dunque del non dire certe cose, tantomeno a Natal):

–       perché proprio in questi spazi di libertà da tutti, anche dall’amato, anche da sé stessi, vive una parte importante di noi, una capacità di custodire, e di essere autoconsapevoli;

–       perché ci sono segreti destinati all’oblio, specie per fatti che si vorrebbe non fossero successi, che portati alla luce farebbero danni irreversibili, e senza  alcuna utilità;

–       perché custodire un segreto è anche un altruismo, si mente o dissimula per proteggere altri, che da questa rivelazione sarebbero annichiliti;

–       perché rivelare un segreto è già deformarlo, similmente a quanto dimostrato dal principio di Heinsenberg (osservare un fenomeno è già modificarlo);

–       perché non si apre un cassetto che potrebbe esplodere, quando si può lasciare che il suo potenziale distruttivo  si disinneschi poco a poco (questa sarebbe la “La dissimulazione onesta”, il trattato seicentesco di Torquato Accetto).

Mia cara Mrs. Drinkwater, La ringrazio cordialmente di questa lettura, e della Sua nota sul significato letterale della parola “ri-velare”.

Mi si conceda dunque di aggiungere una postilla al mio messaggio in preparazione al Natale: in questi giorni, amici, viaggiate senza paura nelle vostre stanze segrete, e scegliete con cura e amore, per le persone a voi care, quali cose dire a Natale, e quali invece non dire.

E riflettendo sul diritto all’opacità, “in quest’epoca di nudismo psicologico”, penso a quella forma comoda e geniale di protezione del segreto che è il sacramento della confessione.

E penso alla figura e alla storia di S. Giovanni Nepomuceno il “confessore”, il protettore dei ponti, quella specie di vescovo grigio che vedi sul ponte della Morla, di Gorle, di Nembro e in milioni di altri ponti nella vecchia Europa.

S. Giovanni Nepomuceno era vescovo di Praga, e confessore dell’imperatrice. L’imperatore lo trascina sul ponte Carlo, vuole sapere se la consorte ha un amante. Lo minaccia di morte. Ma il Nepomuceno non cede. E allora viene gettato giù dal ponte, ad annegare nella Moldava.

Rappresenta il martirio di chi custodisce un segreto, e in questo c’è la sacralità della confessione, e la forza, la sicurezza che ti offre nei momenti di passaggio, quando devi attraversare un ponte, affidare i tuoi segreti al Signore (o alla tua coscienza) e andare avanti, passare oltre.

Spesso mi sono chiesto: e se l’amante dell’imperatrice fosse stato proprio lui, il santo confessore? A quel punto, morire per morire, gli è convenuto morire da eroe…

Non è raro ritrovarsi santi per sbaglio, o eroi per caso, per ironia della storia. A volte questo genere di santi risulta anche più amabile. Facciamo tesoro di quello che il Nepomuceno, o qualsiasi altro nostro parente, rappresenta di buono, senza bisogno di sapere e chiedergli se…

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