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Dapprima presso gli Etruschi, e poi nell’antica Roma la “bulla” (che emerge come una bolla d’acqua, vera e propria “griffe” ante litteram, alle origini del copyright, e del “bullismo”) era lo stemma gentilizio che i giovani patrizi esibivano come gioiello, come anello-sigillo, per sfoggiare il proprio status superiore alla plebe. Una dimostrazione pubblica di forza attraverso un marchio. Che cos’altro è la pubblicità?

A dispetto della parola, fin dalle origini, la pubblicità è in realtà una “privatizzazione” dell’immaginario collettivo per opera di possidenti che “bollano” come propri anche i beni immateriali, a cominciare dalla mitologia (nell’immagine, bulla etrusca con Icaro e Dedalo).

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2013 anni dopo Cristo, a Bergamo, per la serie slogan perfetti,

a promuovere nuovi immobili costruiti in un’area ex degradata,

troviamo l’affissione “eccellenza chiavi in mano”:

come non pensare immediatamente a una proposta oscena, rivolta al vescovo?

La parola Eccellenza, oggi abusata come superlativo di qualità, è in realtà il titolo del vescovo

(già questo dovrebbe far meditare sul senso ultimo, servile-clericale, del made in Italy).

D’altra parte, l’ancor più abusato “chiavi in mano”, esibito in una via dove per decenni trans e tossiche hanno fatto marchette, rivela il paradosso di queste iniziative immobiliari-pubblicitarie, senza storia, coscienza, autodenigratorie e autolesioniste.

Da ridere. Non c’è nemmeno bisogno di prenderli in giro. Fanno tutto da soli.

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