Caro amico, storie sul borgo te ne racconto quante ne vuoi, storie di amori improbabili, di liti condominiali, storie di baristi, di ciclisti, di studenti, di vedove di guerra, di miliardari e morti di fame, cocainomani e cubiste, di muratori e tabaccai,
storie di artisti falliti e botteghe che chiudono, di impiegate di banca e vecchi sporcaccioni, storie che nascono sul pavé, negli androni, per le scale, nei cortili, tra i gatti, sui tetti, in mezzo ai comignoli, storie di luna piena e di una certa aria di Parigi che dorme,
storie di quell’ora della notte nel borgo con il silenzio e la magia, dopo le tre, quando tacciono i frequentatori di locali, i fidanzati che litigano, gli ubriachi, e fino alle quattro e mezza, quando cominciano a passare i furgoni dei lattai, e dai portoni infreddoliti escono quelli che si alzano all’alba, e vanno a lavorare, e incrociano quelli che tornano a casa, dopo aver passato la notte fuori, e a volte si salutano,
è stato proprio sui tetti di notte che ho fatto amicizia con Brutus, un quadrupede felino e tigrato, che da un camino mi guardava dentro nella mia finestra nel mio letto, e mi chiedeva “Chi sei? Cosa ci fai qui?”, casualmente io avevo nel frigorifero due etti di fegato, li ho divisi con lui, nudi e crudi.
Siamo stati insieme tre anni. Lui di giorno dormiva nel mio letto, io di notte lo seguivo sui suoi tetti, i tetti del borgo.
Una bella sera, seguendo Brutus, arrivo in zona Celestini, dove c’è una casa completamente rifatta, la prima che hanno messo a posto, con la pietra, gli ottoni, i legni, gli impianti a norma, il finto pozzo.
Brutus si faceva una gattina di razza probabilmente troppo giovane per lui, io vedo questa biondina nel suo monolocale vetrodesign, le parlo della forza antica del borgo, le chiedo cosa ci fai nel borgo, il borgo è un concetto medioevale, una congregazione, un mestiere, una chiusura, le dico: il borgo non fa per me, il borgo vuol dire arroccarsi, stare appesi con le unghie, un’attività da crostacei, una vita di scogliera, da cozze, mitilli, molluschi, lo vedi, lo capisci, questi bottegai sono ex bancarelle appese fuori dalle mura, giù da Sant’Agostino, gente che vuol stare avvinghiata a città alta,
intanto si sentivano degli spari, uno, due colpi secchi, proprio detonazioni da arma da fuoco, ma vicini, prossimi, mi sporgo, mi allungo, guardo, chiamo, vedo lo “zio”, un marocchino più vecchio degli altri, già sui quaranta, uno degli extra storici del borgo, è lì fuori da una finestra con una pistola fumante in mano, mi dice “no, volevo vedere se funsiona”,
poi vedo il gatto Brutus che passa come niente fosse con il piccione steso dallo zio tra le grinfie, se lo trascinava in giro sporcando di sangue il parquet, la biondina diceva «E’ tutto così suggestivo», io le guardavo il tanga leopardato che faceva capolino dal jeans paillettato, dalla strada si sentivano le invocazioni alla luna di un pittore spagnolo che aveva la mania del Cristo de la mala muerte, cose così, poi all’alba camminavi per il borgo te e il tuo gatto, aspettavi che aprisse qualcuno per fare colazione,
c’erano questi bar veramente marci che nemmeno alla Bovisa, c’era il bar tabacchi prima della chiesa con una vecchia coppia di meridionali che si ostinava a mantenere il dialetto del paese; c’era la pasticceria di fronte alla chiesa, con due fratelli, uno calvo e l’altro no, da trent’anni in gara di freddure tra loro e con i loro clienti;
c’era il biliardo più avanti, la torrefazione, l’altra pasticceria, quella di marito e moglie, e così via, tra l’uno e l’altro botteghe sprangate, negozi di alimentari senza futuro, una merceria, il calzolaio, la drogheria con profumi + insetticidi + pistole e fucili per bambini, e anche stanzette fredde e umide con dentro un obiettore con tre peli di barba e fuori una targa “lega protezione dei cani randagi” o “per la salvezza degli uccelli da polenta e uccelli”, cose del genere,
certi giorni ti pareva di essere in Bulgaria, vedevi in giro solo facce tristi, attività in fallimento, marciapiedi sporchi, hanno cominciato i bar a rinnovarsi, i primi ad arrivare i Divina, dalla val Cavallina, idee chiare, in dieci anni di lavoro costante hanno fatto uscire il sommerso: questa città è una delle capitali del movimento gay, e il Borgo è uno dei punti caldi di ritrovo per tutta la conurbazione,
subito dopo sono arrivati i Reef, dalla Brianza, oggi affollato ritrovo di studenti, ma che fatica i primi anni, questi bravi ragazzi forse gli sembrava un po’ troppo andare direttamente dall’oratorio al pub, gli unici che si fermavano a bere erano una specie di Rodolfo Valentino che vendeva scarpe dall’altra parte della strada, e un immigrato toscano, di mestiere antiquario, e un pappa russo, che girava tutti i bar del borgo con due o tre cavallone per volta, anche lui altissimo, sempre vestito di pelle nera, occhio da killer, sparito da anni, o forse sparato,
poi c’erano le cagnette, le chiamavamo così con i miei amici maschilisti islamici, le due cagnette nere e le due cagnette bionde, le cagnette nere gestivano il Tamara, con i divani di pelle nera, e le cagnette bionde gestivano la torrefazione, più avanti, con le tappezzerie a fiori, tu a seconda dell’umore andavi da queste o da quelle a far colazione, il cappuccino lo facevano bene tutte e quattro, ma di umore anche loro erano imprevedibili, o erano inverse e ti sbattevano la tazzina sul banco, o erano solari e ti davano anche il cioccolatino, col caffè, sparite anche loro, le cagnette,
quindici anni fa io ero l’unico bianco del borgo, oggi sono l’unico povero, proprio così, quando sono arrivato nel borgo le case te le tiravano dietro, le vecchie case come le vecchie motociclette e anche come i vecchi esseri umani se gli vuoi bene e gli parli hanno un sacco di cose da dirti, e soddisfazioni anche, e senso di stare al mondo, e segreti, e piaceri, o dispiaceri,
per dire: la prima persona che ho conosciuto era il mio vicino, un ultraottantenne che subito dopo aver parlato tre minuti del tempo è andato indietro nel tempo e ha tirato fuori dei giornali degli anni Quaranta, roba della X Mas, «tu che sei giovane..» mi diceva. «Sempre stato fascista!», e ho recitato il “Memento audere semper”. Gli sono scesi i lucciconi. Mi ha fatto un discorso che tutti questi negher non sono cattiva gente, basta trattarli nel modo giusto. La notte ho sentito un po’ di casino. Il giorno dopo era morto, commento della vecchia della porta accanto: «era un bel po’ che doveva morire».
e così, morto lui, al momento del crollo del muro di Berlino, nel coacervo di case del borgo costruite una sull’altra negli ultimi quattro secoli, io ero l’unico bianco, oggi sono l’unico povero, gli extracomunitari sono spariti tutti, senegalesi, marocchini, tunisini, algerini, peruviani, ecuadoregni, brasiliani, c’era un bel mix di gioventù nordafrica e sudamerica che si era stanziato a vivere qui, nel borgo, dov’erano rimaste solo vecchiette abbonate a Famiglia Cristiana che ricevevano visite frequenti solo dagli agenti immobiliari, come sempre un po’ troppo sorridenti, e nervosi,
alla fine si sono trovati una sera nel salone dell’oratorio, i boss del mattone, ognuno aveva i suoi rapporti dei suoi galoppini, erano unanimi, le vecchiette del borgo , a differenza dei vecchietti maschi, godevano di buona salute, anche le ottuagenarie avevano davanti prospettive decennali,
tanto valeva far venire gli extracomunitari che con la loro presenza producono questo miracolo di rendere il triplo degli affittuari bianchi e di far scendere i prezzi delle case da acquistare e ristrutturare appena morte le vecchiette proprietarie, questa è la vita immobiliare del borgo, il suo sangue, il borgo non è un’arteria, è una vena, fa sangue, ha un suo ricambio, un ciclo di speculazione,
oggi il borgo ha sangue nuovo, pelle fresca, ha rifatto il look, via i calcinacci, via le case fatiscenti, i cortili colorati, la biancheria appesa, la musica a tutto volume, gli accoltellamenti sul ballatoio, via i fili elettrici scoperti, oggi è tutto un bell’intonaco giallo polenta o rosso mattone o verde ulivo, tutto un videocitofono, un travi a vista, un bilocalizzare, e così sono arrivati i singles, i professionisti, i perbene, i rampanti, ma questo processo è durato dieci anni, e nel mentre c’è stato da divertirsi,
c’era questo muratore con una Giulia verde del 74, per anni qualsiasi lavoro nel borgo lui lo trasformava in un lavoretto, e poi ci bevevi sopra, ti pioveva in casa, e lui metteva una bella lastra di eternit, ti si era otturato lo scarico, e lui tirava due colpi di piccozza e lo allargava, ti camminavano i topi in cortile, e lui metteva le trappole,
adesso il new look del borgo è quasi completo, hanno cominciato dalle fogne, un bell’esempio di lavori spostamento terra, ti alzavi la mattina la strada non c’era più, fuori dal portone avevi il tuo ponticello, eri a Venezia, tornavi a mezzogiorno lo scavo era progredito di duecento metri, la sera era chiuso, tutto rifatto, le fogne, le condutture, i rubinetti del gas, dell’acqua, la luce, tutto nuovo, e intanto le case, le botteghe, rinnovare, via il marciume, avanti il new marketing, l’equo solidale, il biologico, l’etnico, ma intanto l’etnico vero, la presenza umana, non c’è più,
adesso nel borgo ci sono le botteghe di arredamento indiano e afgano e afrotirolese ma non ci sono più extracomunitari, gli interni delle case sono lindi e lustri, le vecchiette sono morte quasi tutte, quasi ogni giorno la chiesa è listata per una delle mie nonne che va a farsi il viaggio in Mercedes, arriverà il nuovo arredo urbano, l’isola pedonale, il granito, la segnaletica design, e insieme alle vecchiette e agli extracomunitari sono spariti anche i gatti, è sparito anche Brutus e tutti i suoi amici, adesso di notte la luna del borgo fa proprio silenzio,
quel che resta del borgo, che gli dà continuità, sono queste famiglie di bottegai storici, il formaggiaio col figlio simpatico, il coltellinaio col figlio ciclista, il fruttivendolo e il salumiere con le mogli colonnello, mamma Vittoria che da una vita con marito figli e nipoti è una certezza per tutti i caffeinomani, tabagisti e totoscommetitori che passano in piazzale Oberdan, la bionda francese che vende occhiali, il ferramenta accanto alla chiesa, le panetterie, l’intimo del borgo, e i pazzi del borgo,
la camminatrice occhialuta, il pittore barbuto, i due innamorati che hanno l’aspetto di rifiuti umani eppure vanno avanti e indietro tutto il giorno abbracciati a sbaciuccharsi e a dirsi ti amo, e tanti altri del genere, perché ce n’è tanti di pazzi nel borgo, non è che sia il borgo in sé che manda fuori di testa le persone, è chiaro, è la mancanza d’amore, solo che nel borgo, il fatto di essere un po’ tutti fuori di testa, lo vedi meglio,
le anime morte vogliono finiture di pregio e sicurezza nelle strade, è chiaro, devono custodire i loro ghiaccioli, guai se si sgelano, vogliono case d’epoca e botteghe di qualità, qual è la differenza tra un centro commerciale e un borgo, mi chiedo, non basterebbe costruire tanti bei bilocali con vista sopra l’oriocenter?
I delinquenti, gli ubriaconi, i malati di mente, i commercianti tirchi, le prostitute, gli spacciatori, le donne pazze, alcolizzate, i pittori falliti, gli scrittori in crisi, i fotografi senza studio, le ballerine, le studentesse d’arte, le vecchie innamorate del Duce, i barboni, gli skin che si radono, i punk che non si lavano, è chiaro che tutta questa gente è incompatibile con il nuovo arredo urbano,
l’anima, il sangue del borgo non può più permettersi il caro prezzi del borgo, e dire che questo caro prezzi viene proprio da lì, dal fatto di essere un borgo, di avere un’anima, che bella roba, ma il meccanismo è chiaro, non è nuovo, è così in tutto, dall’abbigliamento alla musica agli immobili, è la creazione del valore nella società dello spettacolo, fame di emozioni, di show, di real-tv, andare dove c’è vita, e mettere tutto in naftalina, imbottigliare, conservare, marmellate, distillati, capricci,
i bravi ragazzi del centro per anni sono venuti a fare vita notturna nel borgo, gli sembrava di essere a New York, Casablanca, Londra, a seconda degli interessi, droga, sesso, chiacchiere, nel borgo trovavi tutto questo, nei sottotetti, in mansarde, io li vedevo questi bravi ragazzi felici come bambini con un po’ di proibito, e anche le brave ragazze, la brave figlie modello con la loro pochette e il tailleurino giusto, intere notti a cantare ubriache fradicie nella casbah del borgo o a raccontarti tutte la loro dorata solitudine dopo una canna o una riga, e a mangiare con appetito il cous cous cucinato dal padrone di casa con dentro carne di scarto, loro che a casa non toccano neanche il controfiletto,
ho visto queste scene, ho visto che anche i bravi ragazzi vogliono la vita, ma già il giorno dopo, quando li incontri sul Sentierone, gli manca il coraggio di salutarti. Eppure hanno passato la notte con te a dirti che non erano mai stati così bene e tutte quelle cose sentimentali che in famiglia o tra di loro non riescono a dire.
testo by Leone Belotti 1999 per Bergamo Blog; titolo orig. “Borgo S.Caterina 1989-1999”,
imago: Borgo Santa Caterina fine anni 50, achivio fotografico Sestini.