(ceca di sera, all’alba diventa scozzese, e a mezzogiorno italiana)
appartengo al target “piccola borghesia – grande apatia”,
vittima delle mode culturali e delle tendenze/stili di vita,
passato decenni a far finta di farmi la cultura del vino,
adesso ci tocca la cultura della birra…
* * *
io di formazione birraia pub anni 80
la mia è la ceres generation, poi tennent’s
ma anche le rosse chimay, adelscott, john martin
e anche tante moretti prese al supermercato
e più in basso le extra-strong sottomarca,
superalcol facile da zuccheri aggiunti
e nausee al termine della notte…
* * *
poi sono arrivate le birre artigianali
la scoperta del luppolo, dell’amarezza,
della birra non trasparente, non freddissima,
e nemmeno molto gasata, e spesso
nemmeno troppo alcolica
ma in compenso
carissima!
* * *
poi ti spiegano, capisci, e approvi
il procedimento naturale, niente estratti,
niente conservanti chimici, niente coloranti,
e alla fine queste scelte si tramutano in costi:
il luppolo in quantità costa, il malto di qualità costa,
il procedimento naturale è lungo, manuale, dispendioso,
alla fine una birretta da 33 da asporto mi costa 5 euro,
20 volte una lattina del discount di pari gradazione…
* * *
curiosamente dunque il prodotto sostenibile
si rivela insostenibile economicamente
non diversamente dalla carne bio,
dovresti limitarti a una bistecca
alla settimana, e una birretta…
* * *
e dopo un po’ la vera domanda è psicologica
ci chiediamo cioè se questo nuovo gusto
ce l’abbiamo davvero, o siamo solo
suggestionati da riti e liturgie
* * *
a questo proposito riferisco di un test
che mi è capitato senza premeditazione:
un amico mi porta un cartone di birre senza etichetta…
oggi sei circondato da amici che conoscono e ti procurano birra
proprio come anni fa c’erano spacciatori di vino ovunque…
* * *
(parentesi vintage/alla ricerca del tempo perduto:
e pensare che mi ricordo la prima rivendita
di vino sfuso a Bergamo, vini pugliesi
in zona piazza Pontida, erano
vini di Trani, da cui il modo
di definire quei piccoli bar
per avvinazzati, i “trani”
“l’è propre un trani”)
* * *
veniamo al test, ferragosto in città
in seguito al mio appello “disabile cerca
cibi pronti a domicilio” ecco una cena luculliana
dopo divorato salumi e antipasti, contorni e arrosti
e dopo bevute due bocce di bollicine perfette Faccoli
e una di rosso Tenores da 16,5% incredibilmente selvaggio
a pancia satolla mi viene in mente il mitico epulone Nero Wolfe
che a fine pasto, a tavola sparecchiata, si faceva due birre, per digerire
e così ingollo due di quelle bionde leggere prese dal cartone senza etichetta,
e mi sembrano senza dubbio delle ferrose Pilsner boeme, Urquell o Budweiser.
* * *
ma il giorno dopo, a mezzogiorno, a stomaco vuoto,
ne bevo un’altra allegramente, e mi pare tutt’altro,
non che mi sembri più forte di una Pilsner,
ma più luppolata, è una IPA luppolata,
magari una Elav, forse la Stakanov…
* * *
infine la terza impressione, solitaria,
12 ore dopo, leggendo e bevendo, e fumando,
e ascoltando bela bartok, e i pensieri della notte,
improvvisamente, con certezza, so che sto bevendo
una delle mie birre preferite, la IPA Brewdog,
la famosa lattina da 33cc a 5 euro…
* * *
chiamo l’amico e glielo dico,
ma lui risponde: no, la birra che
hai bevuto era la nuova bionda leggera
di Elav, e come si chiama, si chiama “lanik”.
* * *
questo non è il resoconto di una degustazione da esperto,
questo è un test sul consumatore mediamente ignorante, che sono io,
e mi rendo conto che in situazione d’ignoranza media le condizioni contingenti
risultano decisive: a pancia piena, a stomaco vuoto diurno, da meditazione notturna,
e anche la modalità, ingollata dalla bottiglia è una Pilsner industriale,
invece nel bicchiere giusto, con la sua schiuma e la sua opacità,
era una birra artigianale italiana, e al buio era una scozzese…
* * *
non contento, e avendone ancora, decido di fare il test
su consumatori ancora più ignoranti di me, e qui apparirò scorretto,
la faccio provare a due amici, una ragazza e un marocchino, analfabeti
in fatto di birra: entrambi non sono ancora “entrati” nel gusto/vizio del luppolo
bevono solo bionde industriali, e ogni volta che ho provato a far bere loro birre
artigianali ho avuto reazioni negative, come fai a bere quella roba qui, non è buona:
sorpresa, entrambi dicono “buona”, finalmente una birra normale, che “sa di birra”
si, un “pochino amarina”, ma si può bere, anzi, “quasi quasi mi piace”…
* * *
a questo punto chiamo Antonio, il birraio che ha generato lanik,
e gli dico: bravo, hai realizzato il classico prodotto d’accesso,
“lanik” è esattamente la birra da far bere agli scettici
la bionda non impegnativa, facile, sorridente,
confidenziale, e sottilmente seducente
* * *
e vorrei anche dirgli:
essendo un prodotto d’accesso
dovrebbe avere un prezzo accessibile!
Ci sarà pure un modo perchè voi facciate birre
più economiche, o la grande industria più buone e sane!
Potresti passare la ricetta ai tuoi vicini della Heineken-Moretti!
O diventarne il centro stile! Oppure al contrario farti prestare l’impianto!
E lui con ogni probabilità risponderebbe: allora non hai capito un cazzo, Leone…
(ph. by A.Kaiser)