Evento berghem vip ieri sera in via masone 15, ex caserma Ghisleni,
dove la neo-iniziativa immobiliare Percassi è stata presentata con una mostra art/arch (De Lucchi)+ una jazz performance (Tino Tracanna).
Partiamo dal buono: catering livello altissimo (voto: 10 cum laude): bollicine fresche a fiumi, stuzzichini, toast, tramezzini, cruditè, fritti, pasta, piccola pasticceria tutto incredibilmente buonissimo, più che perfetto, veramente ammirevole,
+ servizio d’altri tempi, camerieri onnipresenti ma invisibili, magri, agili, non giovani, non sorridenti, muti, rapidissimi,
e ovunque: veri tovagliolini bianchi di cotone! e senza loghi!
> un grande architetto mi rivela che il catering è fatto dalla medesima azienda che svolgerà i lavori: chapeau!
se i tramezzi saranno curati come i tramezzini, la qualità è indiscutibile.
Una volta nei cantieri, e Percassi lo sa bene, si faceva la “merenda del tetto”: edificato l’ultimo piano, si festeggiava tra maestranze, a michetta, pancetta e cabernet.
Stasera siamo ancora al piano terra, e già si offre champagne agli investitori e agli opinion leader: nei fatti, il vero senso della serata è stata la presentazione di questo nuova emittenza di cultura d’impresa, The Antonio Percassi Family Foundation,
una denominazione che purtroppo fa subito “little Italy” e suona irrimediabilmente provincial-fantozziana (per essere davvero internazionali occorreva il coraggio di essere autentici, e magari chiamarla Fundasiü Percassi).
Ad ogni modo il padrone di casa, the Antonio, bronze skinned + silver hair, è fighissimo, e il pubblico, a inviti, è the best of glocal upper class; (tra gli altri: il notaio dei vip, l’avvocato delle banche, il commercialista della curia, l’assessore technology, gli editori cattolici, i designer di albino, gli ex presidenti della provincia, l’ex sindaco, il next sindaco);
> unici buzzurri evidenti, i calciatori dell’atalanta (jeans strappati, scarpe grosse) e chiaramente il sottoscritto (camicia lisa, giacca lisa, scarpe bucate, calzini bucati, e io stesso imbucato);
> la location, di fatto un edificio sventrato con pachera a vista, è molto underground, perfetta per la mostra di arte/architettura firmata Gamec (“case, casine, casone, casette”, progetto datato 2004 del grande archi-designer De Lucchi, presente in carne e ossa) e per l’exhibition del master jazzman Tino Tracanna in duetto live con una mega installazione sonora/luminosa (the house wall, con le finestre dell’edificio che suonavano luci, come i led dell’equalizzatore).
> la comunicazione, affidata a Studio Pernice, oltre al brochurone immobiliare heavy luxus, prevede un grazioso librino-cataloghino della mostra, con i testi di De Lucchi, che si legge tutto d’un fiato…
fino all’ultima pagina, dove l’editore riesce a rovinare tutto, inserendo in un testo istituzionale (del resto non necessario) uno strafalgar error terrificante: “un’importante ruolo”, con l’apostrofo!
Inguardabile, come un pelo nero nel bianco dell’uovo (e imperdonabile, a questi livelli di budget).
Oltre a questo, e alla the family foundation (che motivano il 4 in italiano) risulta davvero dissennata (e siamo al 2 in storia) la scelta di cancellare ogni riferimento, proprio mentre si decanta il pregio del contesto storico, all’unico “segno” di valore realmente storico che avevano i muri in oggetto,
ossia il nome, l’insegna “Mario Ghisleni”, l’eroico carabiniere bergamasco – medaglia d’oro al valore militare – cui era dedicato l’edificio/caserma.
Da qualche parte, sul muro di cinta, o in giardino, e anche nella brochure, e nel sito, avrei voluto leggere un accenno alla funzione di “memoria” che l’edificio di via Masone 15, anche quando era abbandonato e in rovina, ha sempre tenuto viva per quasi 80 anni, grazie a quella grande insegna, e alla storia cui rimandava:
“24 aprile 1936, Africa Orientale: le forze dell’Arma, 1000 effettivi a fronte di 30.000 etiopi, si disponevano in quadrato, e solo nel pomeriggio avanzato, dopo nove ore di combattimenti, riuscivano a rompere l’accerchiamento e a lanciare il contrattacco.
Il milite bergamasco Mario Ghisleni, padre di 4 figli, precedeva i compagni all’attacco dando prova di sereno coraggio, sprezzo del pericolo e slancio non comune. Ferito gravemente, continuava a sparare contro l’avversario.
Nonostante le cure mediche apprestategli, sentendosi prossimo alla fine, in pieno possesso delle sue facoltà mentali, rivolgeva il suo pensiero alla famiglia, esprimendo la speranza che i suoi figli conservassero un ricordo degno di lui”.
La scelta di strappare l’insegna, e cancellare ogni riferimento a Mario Ghisleni, può significare solo due cose, e non saprei quale sia peggio:
se fatta “in buona fede”, significa ignoranza storica dei responsabili marketing/comunicazione (e/o dei loro superiori);
se fatta consapevolmente, significa volere scientemente l’ignoranza storica dei lettori (e/o dei futuri residenti).
L’ho già scritto tempo fa, e speravo si fosse rimediato, e invece no.
Se nella brochure mi parli di “abitare nella storia” vuol dire che tu per primo devi conoscerla, e rispettarla, la storia, altrimenti sono solo parole vuote.
Fare una fondazione ha esattamente questa mission: preservare la memoria, la storia, lo spirito di una comunità.
Ieri sera, con la foundation, Mario Ghisleni è morto definitively.
Come la mettiamo?
(photo by reuters-postini)