gamec campane a martello

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GamecDoppiaIgnoranza

da 40 anni giro per musei in tutta europa, ma anche nei piccoli musei di paese, e mai, mai in 40 anni mi ero sentito insultare come sono stato insultato alla gamec di bergamo pochi giorni fa,

appena entrato nella prima sala, come sempre faccio, mi tolgo gli occhiali, e mi avvicino a passo lento all’opera, con la mia miopia che mi permette di vederla come apparire,  e come sempre dopo questa prima impressione mi chino di lato a leggere la didascalia che l’accompagna, per sapere autore e titolo, e poi guardarla con occhi coscienti.

Stupore: invece del titolo dell’opera e del nome dell’autore, stampato bello grosso, sotto vetrofania, c’è un geroglifico umanamente illeggibile, da far leggere al proprio smartphone.

Mi guardo intorno: tutte le opere sono corredate da questo monstrum absurdum incredibile dictu. Il mio mondo va in frantumi e allo stupore subentra un senso di stupro.

Tu vai al museo per incontrare un’opera d’arte, e trovi un codice a barre!

Io frequento musei perchè sono un tipo da museo, non ho lo smartphone, ma anche l’avessi mi sentirei un idiota a doverlo usare per un insensato e deleterio capriccio altrui.

Che cosa mi stai dicendo quando da un’opera d’arte originale, che io sono venuto fisicamente a fruire con 5 sensi e 1 anima, cancelli il titolo e l’autore per impormi 1 codice a barre da fotografare con 1 smart per poi caricare 1 app e connettermi a 1 sito dove scaricare 1 file con la didascalia on line? Mi stai dicendo: asino chi legge.

Tu, gamec, mi stai dando dell’idiota, io ho pagato il biglietto e mi stai dicendo di stare a casa e guardare il museo on line,

mi stai dicendo che l’artista e l’opera e il museo stesso non hanno alcun senso né valore,  servono solo come codici per entrare nel magico mondo delle app, dei social network e dei siti porno, è chiaro.

Ma io non sono venuto qui per vedere opere d’arte usando aggeggi come un turista-fotografo.

Una rabbia battente ha cominciato a montarmi dentro verso il o i responsabili di tanto crimine.

Immaginavo questi geni dell’anti-comunicazone, lautamente pagati da noi cittadini, fare riunioni intelligenti per decidere questa arroganza tecno-anale, tecnicamente un’idiozia,

perché se al posto di suoni comprensibili emetti segni incomprensibili, linguisticamente parlando, sei un idiota, gamec, lo capisci anche tu,

capisci, potevi anche mettere il codice astruso, magari più piccolo, per ultra info: ma titolo e autore dell’opera non puoi nasconderli nella mano che li offre, come zuccherini per bambini scemi, altrimenti è un museo per bambini scemi, allestito da idioti, che usano idiotismi per incrementare il sito web, e intanto, mancandogli di rispetto, allontanano definitivamente dal museo il vero pubblico.

Una tecnologia creata per facilitare la condivisione, distorta verso la finalità esattamente opposta (complicare, occultare ed escludere) e proprio in un luogo deputato alla divulgazione, e alla “spiegazione”, all’apertura dell’opera d’arte.

Le persone non sono idiote. Violazione regole basilari, rispetto dell’utente, contesti di comunicazione, abuso di tecnologia. Ignoranza doppia, esclusiva, arrogante, nociva.

Se un qualche avvocato realmente civile mi legge, lo invito a escogitare i termini di legge per montare una causa collettiva di richiesta danni da parte dei visitatori.

Con questi pensieri, alzando lo sguardo, ho guardato quel che facevano e dicevano le altre persone, e gli assistenti di sala.

Anche loro avevano problemi, e più gravi dei miei: perchè quest’assurda app, oltretutto, non funzionava! (Dio esiste)

Con grande solidarietà, come durante una calamità, le persone si passavano orribili schede plastificate, pratiche e brutte come menu di un fast food da stazione (alla faccia dell’immagine coordinata gamec) dal quale ricevere pietosamente qualche tozzo d’informazione.

Dal grande foto-affresco a tutta parete, i notabili della città foto-montati come un’orgia di avidi spettri (quale in realtà essi sono) parevano osservare con freddo distacco.

Poi sono entrate in sala un paio di gambe femminili, cappottino nero, capelli vaporosi, fascino internazionale, padronanza upper class, un’apparizione,

l’ho vista avvicinarsi alla prima opera, osservare il geroglifico, guardarsi in giro,

la mia identica fenomenologia,

e poi la rabbia, il dietrofront, l’urgenza di uscire per non esplodere.

L’ho seguita come si segue un salvatore.

Sulle scale l’ho sentita imprecare in una lingua che non mi era mai parsa tanto nobile, e adeguata.

Per due volte, in crescendo, ha ripetuto: laùr de campane a martèll.

(photo by Postini-Reuters)