incontro Enrico Baleri per caso davanti bar Duse, io sono sono con Matteo e Nicola di CTRL magazine, lui è appena stato al salone del mobile ed è un fiume in piena: questo testo è la trascrizione più o meno fedele delle sue parole:
come sempre vado al salone del mobile con lo spirito di uno studente, con le migliori aspettative, in cerca di segni, emozioni, immagini,
ma alla mia età, con i miei trascorsi, sono vaccinato, non cerco le facili illusioni, le scenografie spettacolari, ma guardo in profondità, con attenzione,
sono poche le aziende che hanno qualcosa da dire, in grado di indirizzare il mercato e il gusto con prodotti veri, autentici.
La prima tendenza si rivela subito, e parlo delle aziende che possono vantare una grande storia, come Knoll International, che mettono in mostra il passato, i grandi must, i prodotti evergreen, la grande qualità, la grande correttezza e pulizia formale – e funzionale – di architetti/designer come Eames, Van de Rohe, Saarinen;
quasi un passo indietro, un conservatorismo a ritroso, come a dire che il grande design, che ha ancora un futuro, non è il made in Italy nato negli anni Sessanta, ma ciò che è venuto prima, e l’ha reso possibile, e ciè il furniture design americano anni Quaranta e Cinquanta.
Dietro a questi giganti, o sulle loro spalle, ecco la pletora, la massa di marchi e prodotti ripetitivi, banali, che replicano stilemi abusati, senza più significato, oggetti commerciali, vuoti, senz’anima nè valore, e nemmeno brutti, ma tristemente banali.
Infine, la grandeur per conto terzi di quei marchi, come Kartell, che si sono messi a fare mobili per i nuovi ricchi, arabi, russi o asiatici, e di fatto sono caduti nel trabocchetto storico,
e assecondano pedissequamente il cattivo gusto di questo nuovo pubblico internazionale, lusso, lusso, e ancora lusso, esibito, esibito, e ancora più esibito, di fatto svalutando quei valori che hanno reso desiderabile il made in Italy: autenticità, semplicità, eleganza, poesia.
Scelte dettate da facili appetiti finanziari, con esiti forse positivi sui bilanci di fine anno, ma certamente nefasti sul lungo periodo.
Peggio dei prodotti, la cornice, gli spazi, gli allestimenti: pesanti, arroganti, volgari, psicologicamente deprimenti, segni di un ambiente bulimico, sovraccarico, dove i prodotti annegano nelle scenografie, e le forme, i colori, i materiali fanno rumore.
Queste grandi scenografie, vuote e pompose, mi danno da pensare, mi fanno pensare al vizio di fondo del made in Italy, originario, coevo al furniture design americano degli anni quaranta: e dico le scenografie di cartone dell’italia mussoliniana, i grandi eventi montati da grandi architetture effimere, fatti per stupire, colpire, secondo logiche teatrali.
La verità è che in tutte queste realtà mancano le figure chiave, gli imprenditori, soggetti capaci di assumersi responsabilità, rischi, mossi da ambizioni, convinzioni.
Al loro posto ecco i top manager, gli uomini del break even, da sempre vanamente in cerca di un metodo per calcolare la redditività della creatività…
Torno a casa spossato, piuttosto nauseato, inquinato da impressioni negative.
L’indicazione dei master brand, presentare il passato, non è altro che un ripiego intelletuale.
La tendenza main, la copia servile, è un refrain commerciale già visto.
La voga ultra kitch, condita da sarcasmo servile, è il vero requiem del design.
Photo: il team dei designer Knoll anni 40-50