il parere dell’avvocato

play this post

agnelliJuve

da dieci anni le autorità usano il pretesto della violenza negli stadi per trasformare (senza riuscirci) il calcio in uno spettacolo business-televisivo a beneficio di sponsor e scommettitori,

così, nel tentativo di avere solo spettatori ammaestrati, come quelli delle trasmissioni televisive, ogni coro o striscione  “offensivo” o politicamente scorretto o non approvato dal prefetto comporta provvedimenti disciplinari su singoli (divieto di entrare negli stadi) e su chiunque (chiusura dello stadio al pubblico).

Paradossale quanto accaduto in settimana: avendo i tifosi del Milan cantato il coro “Napoli colera” le autorità, con la motivazione della “discriminazione territoriale”, hanno chiuso  la curva di San Siro: ed ecco che per solidarietà i tifosi del Napoli hanno esposto a loro volta lo striscione “Napoli colera”.

Imbarazzo e disagio delle autorità e dei media. Si può punire qualcuno che insulta sé stesso? Auto-discriminazione? Reato di sarcasmo?

Di fatto la vera “discriminazione territoriale”, come hanno scritto sui loro volantini gli ultras, la fanno le autorità:

infatti oggi un cittadino italiano non può recarsi alla biglietteria ed entrare in un qualsiasi stadio italiano, ma soltanto nello stadio della provincia di residenza

(oppure, dopo una serie complicata di domande,  richieste, documenti, tessere può seguire le partite della propria squadra in trasferta,  ma deve viaggiare su treni o bus scortati dalle forze dell’ordine).

Come cittadino italiano, evidentemente, e paradossalmente, non posso che sostenere gli ultras: e con loro reclamo il diritto a viaggiare liberamente in Italia e ad entrare liberamente in ogni stadio italiano. Un diritto costituzionale!

Come uomo di diritto e di potere, squalificherei le autorità del calcio non solo per “discriminazione territoriale”, ma anche per “ignoranza storica”.

Lo stadio, e lo spettacolo, soprattutto sportivo, è stato inventato 3000 anni fa nella democratica Atene proprio per contenere-comprimere e scaricare-esprimere la violenza in una “rappresentazione” (catarsi).

Nella Roma imperiale, 2000 anni fa, i giochi circensi (e anche il pane) vengono offerti gratuitamente alla plebe, e con ciò alla funzione catartica si assomma una funzione di controllo, consenso e ordine pubblico.

Questo dovrebbe insegnare che per avere stadi pieni di spettatori condiscendenti e festanti c’è un solo modo:  dare come nell’antica Roma lo spettacolo gratuitamente, e anche qualche cosa da mangiare (“panem et circenses”).

Duemila anni dopo, ignorando che lo stadio nasce proprio allo scopo di contenerla ed esprimerla, le autorità pretendono di debellare la violenza dagli stadi,

non solo la violenza fisica, ma perfino la violenza verbale, psicologica, senza la quale non si ha catarsi.

Quando i  tifosi reclamano il diritto a insultarsi tra di  loro la domenica allo stadio, hanno tutte le ragioni, sia giuridiche (possiamo considerarlo come un diritto di una minoranza) che storico-sociali: lo stadio è precisamente il luogo pubblico deputato a “scaricare” la tensione sociale in una “rappresentazione”, cioè la violenza fisica in violenza di comunicazione.

O si preferisce che la violenza si scarichi fuori dallo stadio, per le strade, giorno e notte, come accade nel paese modello degli stadi pon-pon, gli Stati Uniti d’America?

(imago: l’avvocato scende in campo)