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Per sei mesi era stata la mia amante, sempre con quell’aria di domandarmi… non so, forse tutto. Era bella, silenziosa e irrequieta, con un viso d’amore vagamente sofferente e arrendevole. Il mio passato era così pesante che avevo deciso di fare la felicità di una creatura, almeno.
Miseria, discredito, debiti. Si fa di tutto, novelle per rotocalchi, traduzioni, il soggetto per un film idiota, articoli; aver la testa vuota, il cuore morto, e disonorarsi, scrivere, che cosa non ha importanza, ma scrivere, e pagare, pagare ancora, elemosinare l’anticipo e ingoiare la vergogna: “Il vostro ingegno, che apprezziamo sempre…”. E mi toccava ringraziare. Disgraziato!
Gettavo nervosamente la sigaretta appena accesa, oppure fingevo crisi nervose e di sfiducia verso l’umanità, tanto per chiudermi in camera, e lei raddoppiava la dedizione, infantilmente ostinato, allora me la prendevo vicino, e mi dedicavo a lavori forzati di erotismo in cui il mio disinteresse era tale da lasciarmi sempre la lucidità necessaria al raggiungimento di successi sbalorditivi.
L’esaurimento nervoso mi aveva ingrassato di un leggero grasso malsano, i muscoli mi s’inflaccidivano, la carnagione tendeva al grigiastro. “Un invertebrato, ecco che cosa sei, un verme pallido”, pensavo, scivolando all’indietro; lei gridava, pareva pazza: risalivo… Un gran grido, un lungo silenzio, poi i suoi grandi occhi che mi fissavano, io già temevo di dover subire qui complimenti tecnici, invece, respirando appena, sforzandosi di osare, aveva detto: “Sai cos’è che mi piace di te?” “Dimmi” “La tua nostalgia”.
Ho preso la sua mano e siamo restati là, zitti, tristi. Mi aveva rivelato quel che accadeva. Io sono debole, e temo; temo sempre di restare solo, di aver paura, di parer miserando: me ne rendo conto quando una donna mi guarda; vorrei un po’ do comprensione ponderata, e lei indovina: non è che i mie occhi si accendano, si illuminano; ascolto musiche angeliche, cori di voci bianche, la interesso, si china su di me, mi toccherà…
E quando si dona so che è proprio vero, e sono contento di sentirmi sicuro; le mie labbra e i miei gesti la ringraziano con tremori tardivi, l’amo, crede che l’ami.
(Tratto da: Maurice Claudel, Una ragazza per l’estate, 1959. Imago: Pascale Petit, interprete dell’omonimo film. Prima lettura: estate 1999. Rilettura: stasera. Rileggere è un po’ come ritornare in un posto, o con una donna, rischi la delusione, l’estraneità, le cose cambiano, gli anni passano, ma rischi anche di ritrovare, riprendere possesso, e finalmente, anni dopo, capire te stesso.)