Il malato è un veggente, nessuno possiede un’immagine del mondo più chiara della sua. L’artista, e soprattutto lo scrittore, ha addirittura l’obbligo di farsi ricoverare di tanto in tanto in un ospedale, e poco importa se questo ospedale è un ospedale vero o una prigione o un convento.
L’artista, e soprattutto lo scrittore, che non si faccia di tanto in tanto ricoverare in ospedale, che non si faccia perciò ricoverare in un quartiere del pensare come questo, di vitale e decisiva importanza per la sua esistenza, finisce col tempo per smarrirsi nella futilità perché rimane impigliato ala superficie delle cose.
L’artista o lo scrittore che per un motivo o per l’altro si sottragga a questo compito è condannato in partenza a diventare una nullità. In questo quartiere del pensare ci è possibile raggiungere un grado di coscienza che è impossibile raggiungere al di fuori del quartiere del pensare.
In questo quartiere del pensare otteniamo ciò che al di fuori di esso non è mai possibile ottenere, la coscienza di noi stessi e la coscienza di tutto ciò che è.
(Thomas Bernarhd, Il respiro, 1978. Prima lettura, 1989. Rilettura: ieri)