47 tentativi fallimentari d’impresa culturale – 2

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2 paraletteratura puberale – la scoperta del fantastico

Dopo il maggio 68, d’inverno, col riflusso, passavo tutti i pomeriggi studiando l’Atlante, e già in terza elementare la maestra segnalava con preoccupazione il fatto che io sapessi a memoria tutti gli stati del mondo, superficie, capitale, n. di abitanti.

In quarta mi regalarono un Atlante storico. Dopo pochi mesi sapevo a memoria tutti i papi da S.Pietro a Paolo VI e gli imperatori romani da Augusto a Romolo Augustolo, con tanto di date.

D’estate, dopo la scuola, partivo con la saltafoss (la mountain bike degli anni settanta, sella lunga, ammortizzatori, ruote artigliate, cambio a leva sul telaio) dicevo che andavo all’oratorio e invece mi inoltravo in stradine misteriose tra campi, vigneti, boschi, canali e ferrovie.

La Val Calepio è un distretto pedecollinare tra la Val Cavallina, il lago d’Iseo e la Franciacorta, sulla via che da Bergamo porta a Brescia, città che per me, allora come oggi, rappresenta l’oriente (essendo Venezia l’estremo oriente).

Un giorno con grande eccitazione scopro un passaggio molto avventuroso: entrato clandestinamente, nella scia di un camion, nell’area del cotonificio Niggler&Kupfer in località Capriolo, avevo seguito il sentiero lungo il canale fino alla diga pedalando a rotta di collo per sfuggire al guardiano che mi inseguiva.

Mi ero così ritrovato, con l’adrenalina a mille, a imboccare e percorrere in bici la sommità del muro diga, larga meno di mezzo metro, senza possibilità di posare i piedi, con le acque gonfie e rapidissime del canale da un lato, e lo strapiombo di una decina di metri sulle basse acque ferme dell’Oglio con spuntoni rocciosi  affioranti sull’altro lato.

Arrivato sull’altra sponda dell’Oglio, le gambe mi tremavano.

Poco dopo mi ero fermato presso un rudere medioevale che un cartello indicava come l’antico Porto Calepio.

Nascosto dalla vegetazione, notai un passaggio scavato nella roccia. Lo imboccai. Con grande meraviglia sopra di me apparve un castello in piena regola, mura, merli, torrioni, ponte levatoio.

Nascosta la bici, mi intrufolo nel castello, mi ritrovo in un salone con grandi vetrate dove un comitiva di persone è tutta presa dal panorama mentre una guida racconta che “qui, il giovane Ambrogio da Calepio, immerso nei libri, fantasticava sul suo futuro..”.

Quell’estate tornai quasi ogni giorno al castello dei conti Calepio a picco sull’Oglio, inespugnabile, e immaginavo il giovane Ambrogio, e mi immedesimavo,

mi calavo nel fossato del castello con una corda per campane che avevo rubato in sagrestia a mio zio prete, quindi prendevo il ripido viottolo che scendeva al porto, e m’imbarcavo raggiungendo Venezia per via d’acqua…

Ripresa la scuola (quinta elementare) passo i pomeriggi scrivendo in bella calligrafia il mio primo romanzo d’avventura e d’amore, “L’impero del sole”,

un intero quadernetto a righe con tanto di illustrazioni dell’autore, copertina, indice, trama nel risvolto (praticamente l’Eneide in versione Val Calepio), colophon della “casa editrice Belotti”, prezzo di copertina (L.600) e biografia dell’autore che suonava così:

“Leone Belotti nacque in Valle del Fico nel 1966 d.C. ed è tuttora vivente. Questo è il suo primo romanzo e lo scrisse a undici anni”.

Ti parlo di questa prima esperienza di baby-romanziere perché si è rivelata fondamentale per farmi capire fin dall’infanzia le potenzialità dei linguaggi creativi:

ero sempre stato un bambino timido e introverso, segretamente innamorato della mia compagna di banco, Lilli, bella ed estroversa.

Prima potenzialità dei linguaggi creativi: vedere la Lilli che legge il mio romanzo con gli occhi illuminati.

Seconda potenzialità: imitare il protagonista del mio libro, e baciare la Lilli.

Terza potenzialità: mettere al lavoro la Lilli, che “copia” il romanzo in cinque copie e le vende alle sue amiche.

Stimolato dal successo, scrivo subito un secondo romanzo, ispirato al film di Hawks “Eroi dell’aria”, visto in televisione.

Un flop totale. Lilli, la mia musa, disse: “Il primo era più bello”. La mia prima stroncatura.

Crisi.

(imago: copia fotostatica tratta da “l’impero del sole” by Leone Belotti, edizioni Belotti 1977, trascritta a mano in 5 copie su quaderni Pigna a righe)

47 tentativi fallimentari d’impresa culturale – 1

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1  illuminazione infantile il potere della parola

Concepito per un errore di calcolo (metodo ogino-knaus) quando ancora non c’erano la pillola né l’aborto legale,

nato col forcipe  (una tenaglia con la quale il medico ti estrae dalla matrice afferrandoti per le tempie e tirando con forza, con i danni e l’imprinting che possiamo immaginare,

tanto più nel mio caso: ricordo perfettamente la puzza di vino dell’alito del doc)

e svezzato con il latte in polvere industriale

(che a quei tempi pareva il massimo dell’innovazione e in seguito divenne la strategia base per risolvere il problema della mortalità infantile in Africa, in un verso o nell’altro)

dopo pochi mesi di vita passati senza mai dormire e in stato di dissenteria continuata

(confondendo le cause con i rimedi, mi davano sempre più latte in polvere)

ero ormai considerato spacciato.

Appena nato, dunque, ero già in crisi.

Morto per morto, fui destinato (immagino in cambio di soldi) alla sperimentazione scientifica, cioè al veterinario del paese vicino (radiato dall’ordine dei medici)

il quale provò una cura inedita già testata con successo sul suo gatto: basta latte in polvere, per tre mesi diamogli solo una purea di carote.

La dissenteria cessò, ma iniziai a vomitare giorno e notte.

Ad ogni modo l’esperimento funzionò, o per meglio dire il bambino sopravvisse anche a questo, pur con qualche controindicazione (divenne color carota).

Crisi epidermica.

Da queste prime dure prove, maturai un’istintiva sfiducia, oltre che verso la figura genitoriale, verso la classe medica

(soltanto due decenni dopo, studente di filosofia, quest’avversione viscerale divenne consapevolezza critica con la lettura del capolavoro di Husserl,  “La crisi delle scienze europee”).

Giunto miracolosamente all’età di due anni, mi presentavo piccolo, gracile, poco dinamico, e soprattutto muto,

con l’incarnato cangiante (tra il madreperla e l’arancione) come unica forma d’espressione vitale.

Perché non parla? Visite specialistiche appurarono la normalità dell’apparato vocale. Il problema non può che essere neurologico.

Familiari, vicini e coetanei cominciarono a guardarmi come si guarda il brutto anatroccolo.

Crisi dell’età evolutiva.

I fatti successivi confermarono i timori di problemi a livello della psiche: quando cominciai a parlare (nel 1969, davanti a tutta la famiglia allargata riunita davanti alla tv in occasione dello sbarco sulla luna), la prima parola che dissi, e che continuai a ripetere per un anno, non fu “mamma”, bensì, con grande costernazione dei parenti tutti, “puttana”.

Con ciò rispondevo anche alla domanda che mio padre si ripeteva ogni volta che mi guardava (di chi sarà figlio questo?).

Crisi d’identità, precoce.

All’età di quattro anni pensarono di mandarmi all’asilo.

Chiaramente mi rivolgevo alla suora usando l’unica parola del mio vocabolario.

Inutilmente la buona donna cercava di farmi ripetere “ave maria piena di grazia”.

Io rispondevo “puttana, puttana, puttana”.

Dopo pochi giorni la maggior parte dei bambini dell’asilo non faceva che ripetere: puttana, puttana, puttana.

Chiamarono mia madre, le dissero di riportarmi a casa.

Inconsapevolmente, sperimentavo il potere della pubblicità, e l’isolamento del creativo.

Crisi.

(47 tentativi fallimentari d’impresa culturale – autobiografia di Leone Belotti – copyright/left 2013 Calepio Press – imago tratta da Rebus by Monica Marioni www.monicamarioni.com)

codice di buona pirateria

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JollyRoger

tanto per rinfrescare la memoria sia alle forze dell’ordine

che agli onesti cittadini rispettosi della legge

ma anche ai bravi equo-solidali che rifiutano l’etichetta di pirati,

il qui presente vivo e vegeto Bartholomew Roberts, alias Black Bart, alias Barti Dudu,

456 vascelli predati nel mar dei Caraibi prima di essere scagliato in mare nel corso dell’abbordaggio alla Swallow da una palla di cannone ricevuta in pieno volto,

già co-autore con sir Henry Morgan del codice di buona pirateria,

si permette di rammentarvi gli articoli del suddetto codice:

1) il comandante è eletto da tutta la ciurma riunita

2) Il bottino è diviso in quote uguali

3) chi diserta in battaglia viene punito con l’abbandono in mare aperto

4) nessuno a bordo o in porto può giocare a carte o a dadi per denaro

5) ognuno deve tenere sempre le proprie armi pronte e pulite

6) ognuno deve lavare la propria biancheria

questo codice, cari cittadini, era la nostra legge: ogni membro della ciurma, dal mozzo al comandante, aveva pari potere, col proprio voto, e pari ricompensa, con uguale parte di bottino,

e questo mentre nella civile Europa, nei regni di Francia, Spagna e Inghilterra, ogni bene o terreno era considerato come affidato direttamente da Dio al re, e da questi ai nobili, con la benedizione del clero,

allo scopo di far lavorare come schiavi il 90% dei cristiani,

e poter così mantenere nel lusso, nel vizio, e nell’impunità il 10% di eletti, ovvero la nobiltà e il clero (e i ricchi mercanti);

da sempre i servi che si ribellano ai privilegi di nascita dei nobili sono etichettati come criminali, ladri, pirati,

i primi pirati furono gli etruschi e i fenici, che assaltavano le navi dei ricchi mercanti greci;

la prima guerra del copyright fu l’assedio di Troia, che controllava con la pratica del marchio sia il  mercato dei cavalli che quello dell’oro di tutto il Mediterraneo,

i romani, popolo di mercanti, dichiararono guerra ai pirati con una gigantesca flotta al comando di Pompeo, e il Mediterraneo fu quasi completamente disinfestato fino al Medioevo, quando i pirati ricomparvero da sud e da nord, saraceni e vichinghi.

Il secolo di massimo splendore della pirateria fu il 600, in contemporanea alla rivoluzione scientifica e alla caccia alle streghe,

nel 700 l’Europa dei lumi e dei furbi mercanti dopo aver usato l’antico regime dei re e dei papi per schiacciare la ribellione femminile e debellare la pirateria, ha infine detronizzato i re e il clero:

in nome del popolo sovrano, e non di Dio, la borghesia, e non i pirati, ha sancito il diritto al tirannicidio, ha ucciso prima il re di Inghilterra e poi quello di Francia,

e ha creato questa nuova tirannide, di nome democrazia rappresentativa, che oggi, 200 anni dopo, è di fatto tornata a essere un ancient regime, un’aristocrazia-plutocrazia camuffata di legalità,

dove la funzione del tiranno è svolta da un’intera classe sociale, l’elite di potere,

costituita dalla classe politica e dalle lobby dei grandi azionisti e dei grandi manager pubblici e privati che si comportano esattamente come i baroni dell’antico regime:

arricchiscono, dilapidano e affamano il popolo, avendo dalla propria parte la legge.

Oggi la pirateria per mare si è trasferita nei mari caldi dell’Oceano Indiano,

ma sono etichettati come pirati anche i produttori di merci pirata e i contrabbandieri virtuali di merci elettroniche sull’Oceano Web,

e la guerra alla pirateria informatica sembra la nuova missione dell’impero turbo-capitalista occidentale, esattamente come nel 700:

mentre a rigor di logica borghese, e in nome del popolo sovrano, oggi sarebbe necessario il tirannicidio massivo dell’intera elite di potere,

(in Italia: circa 100.000 persone, che governano per conto dell’elite sociale, circa 5 milioni di persone)

cui è senz’altro da preferire per ragioni umanitarie ma anche pratiche il genocidio mirato del livello più alto, la testa del serpente (circa 1000 persone);

cosa del resto già praticata 200 anni fa in Francia e 100 anni fa in Russia.

Nello scenario odierno, si vuole sperare che l’elite di oggi sia più illuminata di quella soppressa a Parigi nel 1789 o a San Pietroburgo nel 1917, e si renda conto di dover concedere ai 3/4 della razza umana quantomeno la possibilità di sopravvivere utilizzando “il bene comune”, che nell’antichità erano le terre comuni, e oggi sono i free software;

ma le notizie non sono buone: oggi in  Russia è entrata in vigore la nuova legge antipirateria informatica, mentre in Italia è stato chiuso un sito che permetteva di scaricare gratis.

Ciurma, prepariamo il Jolly Roger!

(imago: Jolly Roger del pirata Henry Every. Il Jolly Roger era la bandiera dei pirati, ognuno aveva la sua, solitamente composta da un teschio, e tibie, o sciabole, o clessidra, cuore, fiore. Le navi pirata si avvicinavano battendo bandiera amica, quindi issavano il JR nero a significare salva la vita in caso di resa, e infine, se la preda tentava la fuga, issavano il JR rosso, a indicare l’abbordaggio alla morte.

Nella ciurma erano ammesse donne, ma soltanto con abilità e abiti maschili.

Molte donne condannate a morte per stregoneria trovarono una possibilità di vita nella pirateria.)