47 tentativi fallimentari d’impresa culturale – 6

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6 paraletteratura misticai misteri del ghost writing 

Per caso, rispondendo a un annuncio, entro in contatto con una maga-veggente alta, bionda, mezzo croata e mezzo tedesca, e di mezza età, di stanza alla libreria esoterica di Milano, dove si ritrovano tutti i mistici e i new age.

Questa signora mi trascina in giro per Milano continuando a parlare, e mi chiede di scrivere il suo libro mistico con promesse di fama e denaro.

Mi metto all’opera, poi non vedendo soldi comincio a pressarla, allora lei mi dirotta sulla figlia che è la sua amministratrice.

La figlia mi riceve in un superattico del centro, più bionda più alta e naturalmente più giovane della madre, davvero una bomba, accessori lusso ovunque.

Io nella mia ingenuità non mi rendo conto che sto parlando con una squillo d’alto bordo che parla col linguaggio del corpo, tengo duro e alla fine la  puledra s’imbizzarrisce e scalpitando per l’attico tira fuori dal bovindo un portagioie, e dal portagioie una mazzetta arrotolata di banconote. Dollari.

Mi chiede se so quanto è il cambio, in un battito di ciglia sputo la cifra, lei mi dà di più e mi sbatte fuori.

Convinto siano finti vado subito al botteghino del cambio che una volta era in corso Vittorio Emanuele a Milano. Erano veri.

Quando qualche settimana dopo vado a cercare la maga per consegnarle il libro finito, non la trovo, è sparita.

Così torno dalla figlia, sparita anche lei, sparito anche l’attico (era un residences in affitto settimanale).

Affido il manoscritto alla libreria esoterica.

Con mia grande sorpresa qualche mese dopo ripassando vedo il libro in vetrina, vedo anche la maga, la seguo, la fermo, ma incredibilmente lei finge di non conoscermi, e io apprendo la dura lezione del ghost writer:

finito il lavoro, non sei mai esistito.

Crisi.

47 tentativi fallimentari d’impresa culturale – 1

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29m1

1  illuminazione infantile il potere della parola

Concepito per un errore di calcolo (metodo ogino-knaus) quando ancora non c’erano la pillola né l’aborto legale,

nato col forcipe  (una tenaglia con la quale il medico ti estrae dalla matrice afferrandoti per le tempie e tirando con forza, con i danni e l’imprinting che possiamo immaginare,

tanto più nel mio caso: ricordo perfettamente la puzza di vino dell’alito del doc)

e svezzato con il latte in polvere industriale

(che a quei tempi pareva il massimo dell’innovazione e in seguito divenne la strategia base per risolvere il problema della mortalità infantile in Africa, in un verso o nell’altro)

dopo pochi mesi di vita passati senza mai dormire e in stato di dissenteria continuata

(confondendo le cause con i rimedi, mi davano sempre più latte in polvere)

ero ormai considerato spacciato.

Appena nato, dunque, ero già in crisi.

Morto per morto, fui destinato (immagino in cambio di soldi) alla sperimentazione scientifica, cioè al veterinario del paese vicino (radiato dall’ordine dei medici)

il quale provò una cura inedita già testata con successo sul suo gatto: basta latte in polvere, per tre mesi diamogli solo una purea di carote.

La dissenteria cessò, ma iniziai a vomitare giorno e notte.

Ad ogni modo l’esperimento funzionò, o per meglio dire il bambino sopravvisse anche a questo, pur con qualche controindicazione (divenne color carota).

Crisi epidermica.

Da queste prime dure prove, maturai un’istintiva sfiducia, oltre che verso la figura genitoriale, verso la classe medica

(soltanto due decenni dopo, studente di filosofia, quest’avversione viscerale divenne consapevolezza critica con la lettura del capolavoro di Husserl,  “La crisi delle scienze europee”).

Giunto miracolosamente all’età di due anni, mi presentavo piccolo, gracile, poco dinamico, e soprattutto muto,

con l’incarnato cangiante (tra il madreperla e l’arancione) come unica forma d’espressione vitale.

Perché non parla? Visite specialistiche appurarono la normalità dell’apparato vocale. Il problema non può che essere neurologico.

Familiari, vicini e coetanei cominciarono a guardarmi come si guarda il brutto anatroccolo.

Crisi dell’età evolutiva.

I fatti successivi confermarono i timori di problemi a livello della psiche: quando cominciai a parlare (nel 1969, davanti a tutta la famiglia allargata riunita davanti alla tv in occasione dello sbarco sulla luna), la prima parola che dissi, e che continuai a ripetere per un anno, non fu “mamma”, bensì, con grande costernazione dei parenti tutti, “puttana”.

Con ciò rispondevo anche alla domanda che mio padre si ripeteva ogni volta che mi guardava (di chi sarà figlio questo?).

Crisi d’identità, precoce.

All’età di quattro anni pensarono di mandarmi all’asilo.

Chiaramente mi rivolgevo alla suora usando l’unica parola del mio vocabolario.

Inutilmente la buona donna cercava di farmi ripetere “ave maria piena di grazia”.

Io rispondevo “puttana, puttana, puttana”.

Dopo pochi giorni la maggior parte dei bambini dell’asilo non faceva che ripetere: puttana, puttana, puttana.

Chiamarono mia madre, le dissero di riportarmi a casa.

Inconsapevolmente, sperimentavo il potere della pubblicità, e l’isolamento del creativo.

Crisi.

(47 tentativi fallimentari d’impresa culturale – autobiografia di Leone Belotti – copyright/left 2013 Calepio Press – imago tratta da Rebus by Monica Marioni www.monicamarioni.com)