la gonna della nonna

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Lei non era mia nonna, era molto di più. Ma arriva un bel giorno in cui qualcuno svuotando un armadio ti dice: “forse questa la volevi tu…?”. Certo. Un pezzo di storia. Un capo d’abbigliamento speciale, una gonna in jersey degli  anni ‘40 color blu notte.

Nella mia follia di gonne così ne volevo almeno 3. Tutte uguali.  Ma non è stato possibile. Vediamo come e perché. Lei, che non era mia nonna è nata negli anni ’20, con la corporatura esile e con le ossa a punta.  Educata in Italia, vissuta in Inghilterra, cresciuta tra i bombardamenti e il thè delle cinque. Una “signorina” minuta di 80 anni, ma sempre una signorina, così la si poteva percepire. Così la percepivo io. E sentivo.

Deve esserci voluto del tempo e un gran dinamismo di storie per dare al suo sguardo quell’impronta unica di azzurro. Pensavo.  Come posso indossare una gonna forgiata su misura da un corpo che non sono io? Osservavo. Ma, cosa aveva di così speciale quella Gonna in jersey di cotone? Perché non è duplicabile? Iniziano le ricerche.

Per cominciare quel jersey di cotone è introvabile da decenni, le macchine per fabbricarlo sono state tutte svendute in Romania o chissà dove. Anche trovata la stoffa da fondi di magazzino, quello che non si trova è il colore. Un punto di blu scuro al limite del nero, davvero  introvabile. Senza quel blu niente divinità. Si, perché il blu scuro tinta unita richiama sempre qualcosa di divino, in particolare se  si esclude dal blu tutto ciò che potrebbe dar luogo a un’impressione di viola o di verde. Dicevamo, senza quel blu niente divinità.

Poi c’è il problema della linea, semi modellata ma morbida, scivolata ma anche secca, difficile da replicare anche da mani esperte.  E la struttura?  Due pieghe abbassate al punto giusto delle anche, e una cinturina a marcare la vita alta e stretta. Si potrà copiare su di me? Pensavo. Nell’insieme l’aspetto a trapezio così  vicino a certi abiti destrutturati  da stilista orientale è inarrivabile oggi.

Ci vogliono altre mani a creare un gonna così. Ma non cedo e tento la clonazione con i mezzi che ho. Un’altra sarta, un’altra stoffa e un altro monaco che tenta di farsi  l’abito.  Eh si!…non è l’abito a fare il monaco, è che ogni monaco si fa un abito diverso. Infatti: il risultato è la stessa gonna che è uguale ma diversa. Il risultato è un corpo 2.0 che tenta di muoversi in una gonna pensata per altri movimenti, altri atteggiamenti, altre storie. Questa è la storia.

(testo e photo by Alessandra Corti, a.danzarelunare@gmail.com )

 

 

dei tragici effetti dell’imitazione servile

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(in esclusiva per Calepio Press, un intervento di Pakati Tumulti) 

Ascoltavo Petrini parlare tempo fa in modo convincente del commerciante del futuro come di una figura chiave, strategica, del mondo sostenibile, autentico; un soggetto capace di garantire personalmente la bontà del prodotto, dalla terra alla tavola; e anche un comunicatore pro consapevolezza ed evoluzione dei consumatori.

Oggi faccio un giro in centro a Bergamo e vedo diverse attività commerciali che esibiscono piccole pseudo-Christate. Sul web leggo che ai commercianti sono state forniti “oltre 2 mila metri di pellicola plastica che per tonalità richiama il materiale utilizzato per rivestire le passerelle a pelo d’acqua: l’invito è quello di impacchettare le vetrine o creare piccoli allestimenti che evochino l’evento sul Sebino”.

Il problema è che non puoi evocare proprio un bel niente con “una tonalità che richiama” quella vera. Sei già destinato al disastro in partenza.  La pulizia formale è nulla senza la pulizia interiore. Senza l’onestà della sostanza, non potrai mai creare una forma attraente.

Quello che tutti pensano, vedendo queste vetrine, è: pecoroni, siamo dei pecoroni, nessuno di noi avrebbe dato credito a questo povero Christo se fosse entrato in un negozio, con quel suo aspetto da pensionato sociale. Adesso invece che sappiamo chi è siamo pronti al totale servilismo psicologico ed estetico, cioè il peggior servizio che si possa fare a un artista.

Così si svaluta il senso dell’intervento Floating Piers, così fai diventare questo gesto una banale confezione regalo, un pacchettino luccicante.

Bisogna capire che l’arte, specie l’arte contemporanea, non ha la funzione di dilettare con la rappresentazione del bello, ma di scandalizzare, colpire, denunciare, significare, provocare, scatenare crisi di coscienza, e anche di rigetto. Il senso di Christo sul paesaggio è una dimostrazione di impatto 100, l’opposto dell’impatto zero, lo stravolgimento totale dato da un solo grande intervento scombussolante e senza alcuna prospettiva futura. Come certe notti d’amore.

Tu questo non lo puoi capire, tu capisci solo che puoi usare questa cosa come una decorazione.  Hai una concezione decorativa dell’arte,  e forse anche della vita in generale.

Ma Christo si è vendicato, e ti ha riversato contro i suoi stessi nastrini.

La colonna dei portici, inguainata nel simil passerella, è patetica. Angoscianti sono le donne-manichino impacchettate e legate al piedistallo.

I coni di gelato. Io prendo un cono di gelato in gelateria perché mi fa schifo il gelato plastificato industriale. E tu mi metti i coni nella plastica.

Nulla sveglia un ricordo quanto un profumo, hai scritto sulla vetrina della profumeria. E davanti ci piazzi il portarifiuti impacchettato. Indimenticabile.

E cosa mi dice il micro-pacchettino nella vetrina della gioielleria? Mi dice: ma quale diamante, solo la plastica è per sempre!

Capisci adesso il tuo peccato, la tua arroganza? Tu hai pensato: cosa ci vuole, so bù a me, possiamo anche noi, impacchettare qualcosa, siamo anche noi artisti. Ecco i risultati. L’intervento non solo non è attraente, ma risulta per lo più repellente.

Ti squalifica culturalmente, perché ti presenta come uno che vuole palesemente cavalcare l’onda del momento, però senza mai aver messo piede su una tavola da surf.

Tu dovresti fare la guerra alla contraffazione, alle imitazioni servili, ma con questo gesto ti dichiari come imitatore, come impacchettatore, e non mi dice belle cose sulla tua autenticità,  sulla qualità dei tuoi prodotti: se il packaging è un’imitazione pretenziosa, come sarà il contenuto?

L’unico merito di questa vestizione, paradossalmente, è nel mettere a nudo la condizione di miseria spirituale del commerciante contemporaneo.  Dovrebbe essere il soggetto, l’esempio dell’essere attraenti. E invece indossa cose copiate, e di fatto non si sa vestire.

Per arrivare al commerciante evocato dal discorso di Petrini,  c’è davvero tanto da lavorare.

L’unico impacchettamento “artistico” capace di evocare Christo che un commerciante potrebbe fare – un gesto allo stesso tempo semplice ma sconvolgente, e non soltanto decorativo –  sarebbe quello di impacchettare il registratore di cassa, con tutto ciò che ne consegue…

(Pakati Tumulti è originario di un’antica famiglia di mercanti pakistani. Ha studiato ad Harvard ed alla Bocconi. Dopo aver lavorato per grandi società multinazionali, è oggi uno dei più autorevoli consulenti marketing del terzo settore. Lavora per enti non governativi e organizzazioni no profit tra Milano, Londra e New York)

fotografie (courtesy from CTRL) di Nicola Carrara,  http://www.nicolacarrara.photography

sullo stesso tema, vedi anche:  http://www.ctrlmagazine.it/christo-ci-ha-impacchettati-tutti-senso-di-the-floating-piers/