Come Tessuto Non Tessuto

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Ero una ragazzina, erano gli anni dei Beatles e dei Rolling Stones, e dei jeans a zampa d’elefante. Sempre con il grembiule azzurro-bluette, cucivo a macchina gli angoli delle coperte. Avevo a fianco due signore che nastravano, io in mezzo a cucire gli angoli. Si lavorava dieci ore e mezza al giorno, lavorare otto ore in quegli anni era considerato da lazzaroni.

La sera, dopo il lavoro, andavo a scuola, a Fiorano, ai corsi serali dell’Istituto Tecnico per Segretarie d’Azienda. Così ogni giorno della settimana. Otto ore le facevo poi il sabato, dalle sei di mattina alle due pomeridiane.

Era la mentalità che allora tutti avevamo, una specie di religione del lavoro, ogni operaio considerava il suo lavoro come la sua attività, e l’azienda come la sua azienda.  Se dovevi mandare via il camion stavi lì fino alle otto, alle nove di sera a caricare, e a fare le fatture e i documenti di viaggio.

Cosa dire di 40 anni di lavoro, una vita per l’azienda, decenni di impegno quotidiano? Io sin da ragazzina avevo preso una decisione, dedicarmi al lavoro: è un patto che fai con te stessa: il lavoro non ti tradisce, e tu non tradisci il lavoro. L’amore per il proprio lavoro è questo.

ndr: tratto da “Come Tessuto Non Tessuto”, testi di Leone Belotti, immagini a cura di Andrea Zanoletti, pubblicazione in occasione dei 75 anni delle Tessiture Pietro Radici, progetto editoriale di Filippo Servalli, edizione fuori commercio RadiciGroup.

Si tratta del quarto volume di foto-racconto d’impresa realizzato per RadiciGroup (dopo “Cosa Vuol dire Nylon” e “Chi Fa Chimica”, dedicati a RadiciFil/Yarn e RadiciNovara, e “99 Radici +1 Anima”, dedicato a Gianni Radici); un lavoro con una struttura “tessile”, per trama e ordito, con testimonianze di lavoratori “intrecciate” a documenti/ricerche storiche.

Si cercano sempre storie e personaggi eccezionali da mettere in copertina, si elaborano strategie d’immagine coordinata, ma il vero progetto di comunicazione, i veri personaggi eccezionali, sono i lavoratori: persone che hanno lavorato una vita, e hanno una vita da raccontare. 

La “morale” che ricavo da queste esperienze, e che giro alle persone cui tengo, e con cui collaboro, dai CTRL boys alle Multi girls, è questa: le aziende sono miniere di memoria, il lavoro “normale” è la storia eccezionale da pubblicare, vedi anche quest’altro frammento:

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Era la fine dell’estate del 1959. Avevo appena compiuto i 14 anni. Era la prima volta che entravo nel capannone delle Tessiture Pietro Radici. Non avevo mai visto così tanti telai. Li guardavo a bocca aperta. “Ti piacerebbe aggiustarli?”

Pensavo fosse il direttore dello stabilimento, invece, come ho scoperto in seguito, chi mi parlava era il signor Gianni Radici in persona. Allora devo aver risposto qualcosa come: “Mi piacerebbe, ma non saprei da dove cominciare”. E lui: “To impareret!”. Con quella frase, in un colpo solo, mi stava dando una rassicurazione, e un ordine.

Quando nel 2000 sono andato in pensione il funzionario dell’INPS continuava a scartabellare nel mio faldone. “Non è possibile!” diceva. Cercava i giorni di malattia fatti nel corso di 40 anni di lavoro alle Tessiture. Non ce n’erano.

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