Troppa opinione di sé medesimi

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15338468_1682368892093992_1195552417979039744_nSi parla tanto del nuovo direttore dell’Accademia Carrara, la Daffra, in procinto di essere sostituito dal vecchio, la Rodeschini, quasi a chiarire il più evidente anagramma di Bergamo (gambero!).

Mi sarà sfuggito, ma non ho letto da nessuna parte quella nobile avvertenza, che io ho trovato nella “Guida inutile di Bergamo” di Vittorio Polli e Sandro Angelini (ediz. Bolis, 1939) e che mi pare degna d’essere ripetuta in questa circostanza, venendo direttamente dal testamento del conte Giacomo Carrara, il quale lasciò la sua raccolta alla città ponendo questa condizione:

“Che si guardino bene dal nominare ed eleggere di quelli che hanno troppa opinione di sé medesimi, li quali male soffrono d’essere contraddetti e che non venga accettata la loro opinione buona o cattiva che sia; a riparo di quel disordine ordino e perciò voglio che ogni qual volta avranno ad eleggere un nuovo Commissario, il sig. Cancelliere legga loro il presente paragrafo perché non inciampino in elezione di tali soggetti quali sarebbero perpetuamente molesti”.

(dal testamento del conte Giacomo Carrara, 1796)

 

Il cane a 6 zampe e le 7 sorelle

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Tutti i creativi che hanno studiato design sanno che il cane a sei zampe dell’Agip rappresenta un nuovo animale mitologico, l’automobilista, dotato di 6 arti (2 gambe + 4 ruote).

Quasi nessuno invece (parlo sempre delle nuove generazioni) ha mai visto o sentito parlare del gatto a tre zampe, marchio in disuso dell’AgipGas (oggi ENIgasGPL), che per Mattei rappresentava, più del petrolio, il futuro italiano.

A questo punto chiedo: sai chi era Mattei, no? Chi? E allora cerco di spiegare in poche parole a questi “giovani” chi era Enrico Mattei, e cosa significano in realtà il cagnaccio/benzina e il gattino/gpl.

Enrico Mattei è stato l’unico uomo al mondo che osò sfidare le “sette sorelle”: e fu lui a definire così il cartello delle sette grandi compagnie petrolifere americane.  Ex partigiano, creatore dell’Eni, del petrolio e del metano italiano e dell’alleanza con i paesi del terzo mondo per liberare l’Italia, e non solo, dal monopolio delle 7 sorelle, capì in anticipo sui tempi l’importanza della comunicazione e dell’immagine aziendale.

Per prima cosa, nel dopoguerra, creò l’ufficio pubblicitario dell’ENI, e fece pubblicare sulla rivista Domus un bando di concorso per la creazione del marchio, con una dotazione di 10 milioni di lire (oggi sarebbero c.ca 150.000 Euro) e una giuria composta da nomi come Giò Ponti, Mario Sironi e Mino Maccari.

Così nacque e fu scelto il famoso cane a sei zampe (poi ristilizzato e accorciato nel 1972 da Bob Noorda, creatore dell’immagine coordinata Agip-Eni). Parallelamente al petrolio italiano, Mattei scoprì, industrializzò il gas naturale, convinto che quello fosse il futuro energetico (in anticipo di qualche decennio).

Nei primi anni Sessanta, ospite a Tribuna Politica, Mattei raccontò quella che ai tempi divenne nota come la “parabola del gattino di Mattei”:

“Invece di dare subito delle cifre o dei dati, preferisco cominciare raccontando un episodio personale. Una ventina d’anni fa ero un buon cacciatore. E andavo a caccia nelle montagne vicino a Varzi. Avevo due cani, un bracco tedesco e un setter. E, incominciando all’alba e finendo a sera, gli uomini e i cani erano stanchissimi, morti. Ritornando in questa casa dei contadini dove ci riunivamo la sera, la prima cosa che veniva fatta, davamo da mangiare ai cani. E veniva preparato un grande catino di zuppa per questi cani. E io mi stavo togliendo uno stivale e vedevo questi due cani che erano dentro con la testa nel catino e seguitavano a mangiare con voracità. Era una zuppa che forse bastava per cinque cani, non per due. E, in quel momento, in un angolo sentii un miagolio. E vidi arrivare un gattino grande così. Uno di quei gattini dei contadini, magro, affamato, debole. Aveva una gran paura, si vedeva perché vedeva i cani, però aveva anche una gran fame. E si avvicinò piano piano, miagolando, guardando i cani. E siccome i cani erano immersi con la testa nel catino, il gattino seguitava ad avanzare. Arrivò sotto il catino, guardò ancora i cani, fece un miagolio e appoggiò uno zampino all’orlo del catino. Il bracco tedesco gli diede un colpo, lanciando questo gattino a tre o quattro metri di distanza, con la spina dorsale rotta. Il gattino visse qualche minuto e morì. Questo episodio mi fece molta impressione e l’ho sempre ricordato, specialmente in questi anni.
Ecco: noi siamo stati il gattino per i primi anni, avendo contro una massa di interessi paurosa. Contro di noi si è sollevata una polemica terribile. E abbiamo seguitato a lavorare, a rafforzarci, cercando di non farci colpire, il tentativo era o di soffocarci o di lasciarci deboli. Pian piano ci siamo rafforzati, lavorando con tenacia. E oggi il Gruppo Eni è una grossa forza. È una grande impresa. Una grande impresa che può guardare al futuro con tranquillità e che può fronteggiare vittoriosamente la grande coalizione dei colossi petroliferi.”

Sino ad allora le 7 sorelle depredavano d’amore e d’accordo tra di loro il petrolio in ogni parte del mondo. Paesi tecnologicamente incapaci di estrarre il petrolio non potevano che cedere alle condizioni americane. Ma Mattei, contando sulla tecnologia italiana (siamo sempre stati forti nel settore ingegneria, tubi e giunti, da Leonardo in poi) pensò bene, invece di limitarsi a dare la nostra tecnologia agli americani, di proporsi come società petrolifera italiana, offrendo ai paesi poveri il 75% del profitto derivante dal petrolio estratto (le 7 sorelle arrivavano la massimo al 50%).

«Voi mi avete chiesto di farvi una raffineria ed io vi offro una industria petrolchimica. Ma vi offro anche un mercato per l’eccedente della vostra produzione e vi offro soprattutto la parità, la cogestione, la formazione di una élite tecnologica perché non siate il ricevitore passivo di una iniziativa straniera, ma siate soggetto, non oggetto, di economia».

Con questo discorso Mattei “conquista” la Libia, il Marocco, la Tunisia, l’Egitto e l’Iran. Nello stesso anno nasce l’Opec, il cartello dei paesi esportatori di petrolio. Le 7 corelle cominciano a innervosirsi, il Foreign Office prepara un dossier dove viene indicato come un sovversivo e un destabilizzatore, molto pericoloso per gli interessi americani. Ma in quello stesso periodo Mattei era riuscito ad avere l’appoggio del nuovo presidente “illuminato” americano, J.F. Kennedy, che lo invitò negli USA. Pensava, a differenza del suo gattino, di aver convinto i cagnacci a lasciargli prendere un pochino di zuppa.

A fine 1962 Enrico Mattei, alla vigilia dell’incontro alla Casa Bianca con Kennedy, fu ucciso da una bomba piazzata sul suo aereo. Il caso venne archiviato come “incidente”, ma molti storici sanno che l’attentato fu organizzato materialmente dalla mafia, e commissionato dalla Cia. Pochi mesi dopo, toccò a Kennedy. I poteri forti, i petrodollari e gli interessi di consorterie parassitarie stroncarono così due figure portatrici di innovazione, meritocrazia, e di una visione globale, di un pensiero di libertà, autonomia e progresso.

Questa triste storia si ripete ancora oggi in Italia in ogni ambito: nelle aziende, nelle istituzioni, nei concorsi pubblici, e perfino nelle manifestazioni sportive. Il gattino continua ad essere fatto fuori senza tanti riguardi. Lo sviluppo equilibrato, l’innovazione… i discorsi di oggi su sostenibilità e risorse naturali avrebbero potuto essere anticipati di 50 anni, evitando il disastro ambientale e sociale nel quale stiamo affondando. Per questo, quando mi capita sotto tiro il giovane creativo infervorato dal cane a sei zampe, gli faccio una testa così parlandogli di Mattei, di Kennedy, del Vietnam, del 68, delle compagnie petrolifere, delle multinazionali, della democrazia apparente…

Ricordatevi di Mattei e della parabola del gattino, quando vedete il cane a sei zampe. La creatività non è solo fare un bel logo, ma idee per cambiare il mondo. Il coraggio non è solo nel gesto grafico, ma nella coscienza politica, storica, culturale. Il coraggio è quello del gattino.

(immagine di cover tratta dalla graphic novel dedicata a Enrico Mattei, di F.Niccolini e S.Cortesi, edizioni il Becco Giallo; qui sotto il gattino a tre zampe)

Agipgas

Le ultime frasi degli ultimi maschi alfa

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caso 1/ Da bambino avevo questa zia nubile, formosa, buona, dolce, faceva la segretaria, l’amante, ha sempre avuto relazioni con uomini bellissimi, o di rango, ma sempre come clandestina dell’amore, e le domeniche le passava quasi sempre da sola, nel suo monolocale. Al suo funerale, il mese scorso, mi sono reso conto che io, “il palestrato dagli occhi dolci”, l’idolo di tutti i miei amici sposati, con la tipa che viene a prendermi con la Porsche, faccio la stessa vita e ho la stessa  solitudine di mia zia.

caso 2 / La terapia ha funzionato ma sinceramente preferivo tenermi la malattia, almeno avevo qualche cosa di umano, adesso mi sembra di avere la centralina elettronica.

caso 3 / La cosa che più mi disturba sono le fidanzate dei miei amici che ci provano con me. Più di una. E devi stare molto attento. Se le offendi, la paghi molto cara. Se ci stai, quando vedi il tuo amico ti senti una merda. L’unica è abbozzare, lasciarle credere che ti piacerebbe, ma per una cosa o per l’altra non si trova mai l’occasione. Poi esci con il tuo amico, e lui vuole che gli presenti le tue amiche allegre, vuole fare la serata matta, e poi vuole che tu  sostenga una marea di palle con la sua fidanzata, perché sei un amico.

caso 4 / Si, è vero, ho risolto tutte le mie menate, sto bene, ho amici veri, guadagno bene, le donne, donne belle, donne capaci di amare, non mi mancano. Ma c’è un ma. Mi sono reso conto di non essere più in grado di stare con qualcuno. Anche un week end mi sembra una prigione. Alla fine mi limito a portarle a cena, e cerco di evitare il dopo cena, appena possibile.

caso 5 / Tre settimane fa una domenica sera lei ha preso su la macchina, il bambino, due borse, ed è andata a vivere a casa di sua madre.  Ma sua madre non è mica morta il mese scorso?  Appunto.

caso 6 / Venerdì notte la biondina giovane, il sabato in pausa pranzo la mammina elettrica e nel pomeriggio la giunonica bisex. Tre donne e sei coiti in dodici ore, tutto molto bello. Ma la sera poi una disperazione pazzesca, mai sentito così solo in vita mia.

caso 7 / La mia compagna negli ultimi due anni è diventata un cadavere. Controvoglia, totalmente passiva. Non facciamo sesso da sei mesi. Non ricordo quando è stato l’ultimo bacio.  Provato andare qualche volta con delle prostitute, con risultati davvero poco gratificanti. Settimana scorsa in trasferta sono finito a letto con una collega, ubriachi, la prima vera scopata liberatoria da anni, mentre stavo per venire ho cominciato a dirle ti amo, ma io ti amo, ti amo, ti amo, lei diceva smettila, smettila, smettila! Io non ho capito subito, stavo per venire, pensavo che anche lei fosse lì lì, invece era in crisi isterica, mi ha allontanato, si è appallottolata, piangeva disperata mordendo la federa del cuscino, non mi toccare, vai via, per favore vai via, mi diceva.

caso 8 / Si, sono venti giorni oggi. No, non dormo. No, non mangio. No, non lavoro. Cosa faccio tutto il giorno? Sto sul divano a guardare la tele. E cosa guardo? Niente, non l’ho ancora accesa da quando se n’è andata.

caso 9 / Alla fine mi sono inventato questo giochino: sul più bello, mentre lei sta per venire, rallento, lei è infoiata, adesiva, dimmi che mi ami, le dico, no, non ti amo, voglio solo scopare con te, allora lo tiro quasi fuori, mi fermo, dimmi che mi ami, no, bastardo, e spinge col pube, ma io la tengo a distanza di forza, dimmi che mi ami, brutta troia, e a quel punto finalmente cede, e mi soffia in faccia rabbiosa, si, ti amo, e allora la penetro a fondo, la stringo, me la stringo, le vengo dentro mentre le lecco la gola, o l’ascella, e intanto le sussurro anche io ti amo, a bassa voce, tanto non mi sente, tutta presa dal suo urlare di piacere.

caso 10 / La strategia prevede di non mandare messaggi, non fare telefonate, ma io a un certo punto della sera avrei proprio voglia di mandarle un messaggio. Così, senza bisogno di avere risposta, un mio bisogno di comunicare, di darmi. Parlando in pausa pranzo con due mie colleghe, scopro che hanno lo stesso mio problema: anche loro, come me, si trattengono dal mandare messaggi “romantici” per non risultare asfissianti. Decidiamo di creare un trio what’s up IL MESSAGGIO CHE TI MANDEREI, e quando ci viene la voglia di scrivere il messaggino patetico e strategicamente sbagliato ce lo mandiamo tra di noi. Così ieri sera ho mandato alle mie colleghe: Ciao amore mio ti amo tanto ti abbraccio ti bacio il collo le orecchie i capelli le tempie i capelli gli zigomi il mento la gola lo sterno l’ombelico ti accarezzo la nuca le ginocchia ti lecco le dita ti sussurro dormi bene sei una persona speciale domani sarai ancora più bella! 

la porta stretta

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«Ma io so cosa significa!», avevo protestato. Tra le mani brandivo il romanzo di Gide.

«Davvero? E cosa sai?», aveva ribattuto Monsignor P, la voce velata d’ironia.

Con un lieve tocco mi aveva guidato in uno di quegli stretti vicoli che tagliano e cuciono il tessuto urbano della Roma barocca. Pareva divertito dalla mia ingenuità. Anche nel modo di sorridere, come in ogni suo gesto o parola, esprimeva una specie di eleganza virile, un’aggressività controllata, da gentiluomo che tiene al guinzaglio un animale feroce. Sorrideva, ma i suoi occhi grigi ti fissavano con la potenza nuda di chi ti entra nella psiche col piglio del dominatore. Appena girato l’angolo, ci eravamo fermati davanti a una piccola e polverosa libreria apostolica.

«Mio giovane amico, se tu conoscessi davvero l’origine, e il senso occulto di quel versetto… potresti ben perdere la retta via!», disse. Mi ero sentito avvampare la faccia.

«La porta stretta “è” la retta la via!», avevo quasi declamato, calcando la “è” come un filosofo esistenzialista. Dovevo essere piuttosto comico, nel tentativo di dare una zavorra intellettuale ai miei diciott’anni. E lui, condiscendente, mentre si stringeva per farmi entrare nella piccola libreria, a bassa voce, quasi salmodiando: «Facilior est dromadi fibulam accedere, quam diviti intrare in regnum caeli.»

Sapevo che la “vexata quaestio” del cammello nella cruna dell’ago (paradosso? metafora? errore di trascrizione? di traduzione?) era una delle “Controversie” che l’avevano reso celebre. Il seme dell’indagine filologica era stato lanciato.

* * *

Io ero allora un ragazzino diversamente abile (crescendo mi sarei normalizzato). Al Liceo la mia intelligenza era motivo d’imbarazzo sia per i compagni che per i professori. Avevo conosciuto Monsignor P vincendo in primavera i campionati studenteschi di latino della comunità europea, a Magonza. Poi ero stato selezionato per i test d’ingresso alla Normale di Pisa, e li avevo superati. Ma non avevo ancor deciso il mio futuro. Ero attirato sia dalle facoltà umanistiche che dalla ricerca scientifica. Così avevo accettato l’invito e l’ospitalità di Monsignor P, che dichiaratamente intendeva “traviarmi” verso una carriera di super-topo da Biblioteca Vaticana.

Sono passati più di trent’anni, ma ricordo ogni cosa di quelle giornate romane.  Ero spaventato dal potere della sua mente, attirato dal suo sguardo, dalla voce, dalle mani. Doveva avere più di cinquant’anni, nonostante l’aspetto da quarantenne.

«Ti condurrò alla porta stretta», mi disse nel retro di quella libreria da preti. Scelse per me una decina di volumi e alcuni opuscoli, e nel consegnarmeli mi congedò così: «Hodie demotica, cras ieratica». L’indomani, pensai, mi avrebbe portato nella Biblioteca Vaticana.

Invece mi portò fuori Roma, alle Catacombe. Era il tramonto, gli ultimi turisti stavano uscendo. Il custode gli consegnò le chiavi e se ne andò.  «Seguimi», disse, e ci inoltrammo nei cunicoli. Non ero molto lucido. Avevo dormito pochissimo, avendo letto tutta la selezione “demotica”, con “la verità sui più noti segreti della Chiesa”:  vangeli apocrifi, rotoli del Mar Morto, donazione di Costantino e riunioni mistico-orgiastiche dei primi cristiani. Ero pronto a tenere una dissertazione sulla capacità della Chiesa di falsificare fatti, parole, testi, documenti relativi alla sua stessa storia.

Camminammo alcuni minuti, facendo diverse svolte, chiudendoci alle spalle diversi cancelli. Infine ci ritrovammo in una camera cubica, scavata nel tufo, simile a una tomba etrusca, con giacigli di pietra, sui quali erano posati eleganti cuscini damascati.

«Guarda» disse, accendendo un faretto, e dirigendolo sulle pareti.

* * *

Sette porte strette erano incise nella roccia, istoriate da figurine scurrili in stile pompeiano e da iscrizioni in gran parte abrase. Facilmente decifrabili, i nomi delle sette “porte strette”: partum, basium, fellatio, cunnilingus, penetratio, inculatio, dissolutio. Ripetuta in ogni porta: effundete per strictam ianuam intrare. Ricordo dei frammenti: cum tumida labia tibi adferentes in spatio alitus (il bacio);  verga virescit liquente vagina (la penetrazione) deinde infimo ano anelans contra naturam pulseris usque conculcata membra per idem motum spasimantes (si capisce).

«Avanti, mio giovane amico, aspetto un’ipotesi!»

Il mio cervello girava a mille. Di getto, dissi: «Sappiamo che tra i primi cristiani c’erano patrizi viziati, in cerca di svaghi erotico-religiosi… questo aspetto orgiastico, scompare in seguito alle persecuzioni: l’eros è bandito, e quando poi i padri della chiesa “creano” i vangeli, ogni riferimento sessuale viene bollato come apocrifo, oppure purificato: è il caso della porta stretta, in origine orifizio corporale, in seguito astratta porta della virtù.»

«Ottima sintesi! Ma la porta stretta è più di un orifizio: è l’orgasmo. Tutte le sette porte, compresa la nascita e la morte, sono esperienze d’orgasmo.»

Monsignor P continuò così: « Avevo la tua età, mio giovane amico, quando conobbi Andrè Gide. Prima de “La porta stretta” aveva scritto “L’immoralista”. Poi avrebbe scritto “I sotterranei del Vaticano”. E infine “I falsari”. Fu Monsignor T a condurlo qui, dove ora siamo noi. Era il 1947. L’anno in cui ebbe il premio Nobel. »

Spiegò che Monsignor T e Gide decenni prima lo avevano abbracciato e baciato al modo dei Templari, a suggellare l’affidamento del segreto della porta stretta.

«E adesso anche tu sai», concluse, e aprì le braccia verso di me. Mi cinse delicatamente le spalle, mi sfiorò con le labbra il volto, quindi mi strinse a sé…

La cosa più spaventosa, nel rendermi conto dell’approccio sessuale, fu la delusione spirituale. Ricordo anche un istante di paura, animalesca, nel chiedermi se la mia forza fisica potesse reggere la sua. Ma non ci fu alcuna violenza.

«Un segreto tra me e te. Pensi di poterlo tenere?», disse.

«Si», risposi. Quella sera stessa raccolsi le mie cose, andai alla Stazione Termini, tornai in Lombardia e  diventai architetto. Non vidi mai più Monsignor P.

* * *

Nella primavera dello scorso anno, leggo la notizia della sua morte. D’impulso decido, parto, vado al funerale. In treno inizio a mettere su carta appunti, ricordi. Nel corso della cerimonia funebre, un volto che conosco, ma non riconosco, mi colpisce, due file avanti, di lato. Comincio a osservarlo. Anziano, il volto un intrico di rughe, il corpo massiccio, un vero etrusco. E capisco, ricordo. Molti anni prima avevo diretto i lavori di restauro di una pieve in Toscana, lui era uno degli artigiani. Grande scalpellino, bottega da generazioni, i nonni famosi tombaroli. Lo stavo guardando quando l’officiante recitò “la porta stretta della virtù, del coraggio, della verità, anche a costo dello scandalo, del sacrificio e del martirio”: e vidi la sua smorfia sardonica. Dopo la funzione lo avvicinai.

«Abbiamo fatto diversi lavori per Monsignore. I lavori di “riproduzione” li faceva mio padre, lasciandomi i trattamenti di rifinitura per invecchiare il risultato»

«Iscrizioni di carattere erotico, in stile pompeiano?»

Qualcosa balenò nel suo sguardò impassibile, da etrusco.

Disse: «In certi casi ci pagava molto bene, ma con l’impegno alla riservatezza.»

Seguii il corteo al camposanto. Fu sepolto nelle nuda terra. E mentre ritiravano le funi, un flashback, James Joyce, l’Ulisse: le corde dei becchini come il cordone ombelicale, ecco la porta stretta, il mistero da cui proveniamo, e a cui torneremo. E come un sms, mi arrivano nella memoria frammenti dell’ultima porta (dissolutio – regressio ad terrae matris uterum) e della prima: partum –  quasi ex utero eiectum in vitam penetris per abruptam vocem.

Ecco la “morale stretta” di questa storia: anche in un falso, scritto da un uomo falso, con cuore falso, in una lingua morta, puoi trovare autentica poesia.

(Leone Belotti, La porta stretta, ArtApp n.17 , rivista di “arte, cultura, nuovi appetiti”,  http://www.artapp.it   https://www.facebook.com/artapp/ )

cosa vuol dire Saint Laurent

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Da Vogue, campagna Saint Lauren. L’immagine è verticale ma impaginata in orizzontale (lifestyle ruota immagine 90°) con un piccolo riquadro “diverso”, forse a significare l’emersione del proprio lato andro-lesbo.

Come pubblicitario, non la capisco. La donna Saint Laurent non ha mai avuto bisogno di spalancare le gambe per essere seduttiva (e penso alle “donne YSL”, da Catherine Deneuve a Julianne Moore).

Come uomo, è un’immagine che mi intristisce. Mi dice che le donne di questa generazione, arrivate ad una certa fase della loro vita, sono irritabili, erotomani, ambigue. Magre, toniche, nevrotiche, aggressive, gelide, anaffettive. Effettivamente…

Noi uomini (quei pochi sopravissuti) non siamo attratti da queste donne. Al più, ne siamo vittime: sia come mariti, che come amanti.

Pare comunque che questa nuova art direction “post Yves”, stia dando risultati commerciali positivi.

Sotto sotto, la funzione Saint Lauren non cambia: aiuta le donne ad affrontare le paure legate all’avvicinamento della menopausa. Ma una volta le aiutava vestendole.

Cosa vuol dire “alla sera leoni”

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Corro il rischio, so cosa stai pensando, ma corro il rischio, perché voglio dirti cosa significa realmente essere alla sera leoni, quando calano le tenebre, nel momento dell’incertezza, del pericolo, quando i conigli scappano, e solo chi ha forza e coraggio esce dalla tana, per difendere chi sta nella tana.

Questo è il mio lavoro, il mio carattere, e vado d’accordo con le aziende all’apparenza mansuete, ma che nascondono un cuor di leone, e sono pronte a ruggire, ad assalire quando la preda è in vista, e a difendere il nido dalle insidie della notte.

Non chiamarmi per fare un lavoro qualsiasi, chiamami quando vuoi compiere un’impresa, una missione impossibile, quando vuoi sfidare Golia, abbattere i giganti, o conquistare il mercato.

Io sono uno scrittore, e quello che possiedo è la tecnologia della parola. Ho lavorato in grandi agenzie, per grandi marchi moda e design, ho scritto romanzi e racconti per grandi editori, biografie, storie e filosofie aziendali per grandi gruppi, e grandi capitani d’impresa.

Ma prima ho fatto tutti i lavori del mondo, e ho studiato di tutto, in tutte le facoltà.

Sono al servizio di chi mi vuole, di chi cerca lo specialista nella traduzione di un desiderio, una pulsione, una scelta o un progetto in un messaggio, una strategia, un sistema di comunicazione efficace.

Ti sembrerà arrogante questa presentazione, ma in realtà ti sto promettendo dedizione e umiltà, perché la creatività, come ogni professione, senza passione è sterile. Che si tratti di trovare una parola, un nome, uno slogan, o costruire una storia, un concept, una reputazione, il tuo problema diventa il mio, il tuo bisogno la mia sfida.

Mi trovi negli uffici Multi, ma di fatto, come avrai capito, lavoro di notte: e tornando al titolo concorderai con me che è senz’altro preferibile evitare un appuntamento mattutino, specialmente se  anche tu sei un leone.

(auto-presentazione by Leone Belotti,  http://www.multi-consult.com/author/lbelotti/ immagine: F. Depero, necessità di auto-rèclame, 1927)