Essere una donna, nell’Ottocento, e cambiare la storia d’Italia con un azzardo, un capolavoro di controspionaggio in territorio nemico, e in seguito essere protagonista eroica nella battaglia decisiva, a Calatafimini, ed essere quasi completamente dimenticata, questo può capitare a un’ultradonna naturale in Italia.
I fatti storici sono semplici e accertati, anche se poco divulgati: 1861, i mille garibaldini sono radunati, e pronti a imbarcarsi, ma Garibaldi aspetta un cablogramma dalla Sicilia. Vuole rinviare la spedizione. Le ultime notizie riferiscono di 24 fregate schierate davanti al porto di Palermo, con i cannoni pronti ad accoglierli.
Pisacane, i fratelli Bandiera, già troppi tentativi sono falliti nel sangue, per eccesso di ottimismo sul sostegno popolare contro le truppe borboniche. In Sicilia Garibaldi aveva mandato i suoi infiltrati-informatori-sobillatori, guidati da Rosolino Pilo.
Con loro una donna, mora, alta, forte, energica, formosa, giovane: Rose Marie Montmasson, la donna, la moglie di Francesco Crispi, il futuro primo ministro dell’Italia colonialista, che vuole la spedizione ad ogni costo.
Rose e Crispi si erano conosciuti a Torino, lui giovane agitatore radicale, intelligente, passionale, che Cavour faceva entrare e uscire di galera come un travel cheque di politica interna, lei lavandaia delle carceri, figlia di padre ignoto, originaria della Savoia, sveglia, focosa. Amore a prima vista.
Nei dieci anni successivi, vissuti pericolosamente insieme, sfuggendo alle polizie di mezza Italia lei lo segue ovunque, mantenendolo, proteggendolo, procurandogli tutto, diventando il suo agente segreto. E in segreto si sposano a Malta, tirando giù dal letto un sacerdote, come Renzo e Lucia, col foglio di via in una mano, e l’atto di matrimonio nell’altra.
In quel 1861, Rose, inviata da Crispi, con un intervento lampo in Sicilia cambia la storia d’Italia: o riesce con le sue armi ad avere effettivamente l’appoggio dei capi popolo e degli ufficiali borbonici, o riesce, con le stesse armi, a convincere i suoi compagni a mandare un telegramma falso a Garibaldi. Si propende per la seconda ipotesi.
Il telegramma convince Garibaldi, che ordina di salpare. Lei intanto lascia la Sicilia, e raggiunge in navigazione notturna la Sardegna, dove la spedizione farà scalo.
A Quartu, durante le operazioni di rifornimento, travestita da maschietto, a insaputa dello stesso Crispi, si imbarca con un sotterfugio, per poi rivelarsi prima dello sbarco a Marsala, e indossare abiti femminili, l’unica donna tra i mille, una su mille.
A Calatafimini, nel caos della battaglia si prodiga nel portare in salvo i feriti, nel tenere la mano ai morenti, nell’incoraggiare i combattenti, e a un certo punto, rimasta quasi nuda per essersi stracciata le gonne per fare bende, raccoglie la bandiera tricolore a terra, e si copre con quella: è come un segnale per la carica che respinge le truppe borboniche, numericamente superiori, e ribalta l’esito della battaglia.
E’ il trionfo, i garibaldini e i siciliani la chiamano Rosalia, come la santa, la spedizione dei mille in pochi mesi realizza il sogno inseguito da anni, l’unità d’Italia.
Crispi entra in parlamento, diventa un uomo di successo, sia come avvocato, che come parlamentare, è potente, facoltoso.
A Firenze, capitale d’Italia negli anni precedenti Porta Pia, i due coniugi vanno a vivere in un palazzo nobile, ma mentre Crispi diventa sempre più uomo di governo, Rose si ritrova sperduta nelle troppe stanze del palazzo: abituata ad agire, a fuggire, a stare in un tugurio, non sopporta le formalità, il lusso, il parlare forbito.
Crispi la accusa di non essere in grado di dargli un figlio. Tra i due si scava un abisso: lei lo ha seguito ovunque, rischiando la vita, le fucilate, gli arresti, patendo la fame, il freddo, ma non è in grado di seguirlo nella scalata sociale.
Crispi vuole accanto a sé un altro genere di donna, adesso. Ha conosciuto una nobildonna meridionale, Lina Barbagallo, figlia di un grande latifondista già procuratore del re a Palermo, di una bellezza più raffinata, e con una dote degna di un capo di stato.
Umiliata, non più amata, Rose si ritira a vivere da sola, a Roma, in una stanza di un quartiere popolare, come una concubina scaricata, un’amante invecchiata, lei, che era sua moglie, e non aveva perso lo spirito giovane, anarchico, libertario, a differenza di lui, sempre più uomo di stato.
Crispi ormai vive con la Barbagallo, diventa padre, la sposa. La regina Margherita rifiuta loro l’invito a un pranzo ufficiale, e lo accusa di bigamia. Crispi fa sapere al re testualmente: se l’invito non arriva entro un’ora, domani mattina in Italia ci sarà la Repubblica. L’invito arrivò, ma non gli evitò lo scandalo, e il processo per bigamia.
In tribunale, avvocato di sé stesso, sostiene che il matrimonio maltese non ha alcun valore, in quanto celebrato da un gesuita che era stato scomunicato a divinis perché repubblicano e socialista. Vince, il matrimonio con Rose è dichiarato nullo.
E’ l’inizio della sua ascesa, che lo porta a diventare uno dei massimi esempi di trasformismo politico (da radicale repubblicano a monarchico colonialista): Crispi è l’uomo forte che preparò la strada a Mussolini.
Rose intanto vive in miseria assoluta, alcolizzata, ripudiata, dimenticata da tutti, ma non dai reduci garibaldini, che organizzano una colletta nazionale per aiutarla.
Ancora nei primi anni del Novecento, è riferito un suo incontro con un reduce che lei ha salvato da morte certa, il quale, riconoscendola, l’abbraccia in lacrime e crolla in ginocchio dinanzi a lei, chiamandola come la chiamavano allora, Santa Rosalia.
Accorre gente, qualcuno inizia a inveire contro Crispi, ma lei, ormai anziana, li fa tacere, e lasciandoli increduli, dice: dovesse avere bisogno, saprei ancora amarlo e consolarlo, e si allontana sorridendo.
Morì sola e povera, fu sepolta nel cimitero del Verano, nei loculi destinati dal comune ai poveri, e ignorata dalla storiografia ufficiale, evidentemente succube del diktat di Crispi, che voleva cancellare ogni traccia della sua esistenza, riuscendovi in modo ammirevole.
Sono passati 150 anni, e oggi abbiamo un Ministero delle pari opportunità che in occasione delle celebrazioni commemorative dell’Unità d’Italia, ha promosso la pubblicazione di “Italiane”, un pachiderma in 3 volumi, un’opera ufficiale, di grande prestigio e rigore, quasi 200 biografie delle grandi donne che hanno unito l’Italia.
Non mancano le solite contesse e poetesse di regime: chi manca completamente è Rose Marie Montmasson, la donna capace di convincere Garibaldi a partire con un falso telegramma, capace di travestirsi da uomo per imbarcarsi con i Mille e capace poi di spogliarsi nuda sotto le fucilate per fare bende con le sue gonne, e capace infine, ridotta in miseria e solitudine, di dire saprei ancora consolarlo del grande statista temuto e odiato da tutti.
Chissà quale di questi episodi, di queste capacità, è risultata imperdonabile alla sensibilità delle nostre intellettuali che hanno selezionato le 200 “Italiane” che hanno contribuito all’identità nazionale. Forse una lavandaia, senza cultura né famiglia, in una pubblicazione prestigiosa, come a una riunione di gala, potrebbe creare qualche imbarazzo.
Donne come Rose Montmasson, ultradonne naturali una su mille, capaci di imprese eroiche ogni giorno, che escono dalla trincea per combattere, che sfidano i giganti, che rischiano e a volte perdono tutto, ma non la dignità, io ne conosco. Donne che hanno cuore, cervello e fegato, con una spruzzata di follia, e quindi un coraggio totale.
In televisione, sui giornali e nelle pubblicità non te le fanno mai vedere, e nemmeno nei libri di storia. Ti fanno vedere solo degli esseri repellenti che credono di essere delle super donne, e forse questa è una fortuna, almeno restano ancora spazi di verità da esplorare in proprio.
Importante non dimenticarsi mai che la superdonna costruita di regime, per quanto si possa lodevolmente impegnare, è sempre e solo una povera creatura di fronte a una vera ultradonna naturale.
(la storia di Rose Montmasson è stata scritta da anonimo presumibilmente nei primi del 900, ritrovata e integrata nel 2011 da Leone Belotti per blog bamboostudio – fotografia di Michele Stroppa > https://it-it.facebook.com/michele.stroppa )