bobos invisible hall

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L’altra sera sono stato in un locale che non c’è, dove non c’erano un centinaio di persone, e una ventina di musicisti (con qualche nome di fama) non si sono alternati sul palco, in total free&friendly jam session.

Un seminterrato senza insegna (invisible), garage condominiale open-space in disuso, con tre grandi aree comunicanti: la zona social drink&food, la concert hall e la sala fumatori-giochi d’epoca (freccette, calcio balilla).

Probabilmente assemblato e smontato in poche ore (rave party docet), tutto spartano, naked, sedute e tavolini hand-made ex pallet, pavimento cemento, alle pareti vecchie locandine di vecchi film di culto, tipo jack volò sul nido, in original version.

Però: i caloriferi nuovi e funzionanti, le uscite di sicurezza veramente tali, il servizio bar impeccabile, l’area fumatori dotata di aspiratore.

Tutto abusivo, cioè: festa privata. Wittgenstein-deduction: il privato è abusivo. Fare festa è abusivo. Un luogo dove gira gente ma non soldi è abusivo. Però trovo assessori, dirigenti pubblici, politici, opinion leader. Tutti rigorosamente bobos.

Bobos sta per bohemienne-bourgeois, indica la grande tribù 40enni dual band, di giorno regimental, di notte underground,

un asset tipico della X generation, la progenie senza ideali e senza palle, fatalmente fottuta dalla boom generation che l’ha preceduta (e generata), i decantati sessantottini, ormai sessantottenni e dunque pensionabili, eppure incollati alle poltrone come vecchi democristiani, se non di più;

quando diciamo bobos, parliamo di quarantenni più o meno integrati/e sul lato sociale, professionale; e più o meno disintegrati/e sul versante privato, personale;

integrati ma spesso non realizzati, relegati, e “delfinati” dai senior democrisantottini di cui sopra;

disintegrati ma non distrutti, anzi, pluri-consapevoli, con l’io-diviso ma l’inconscio moltiplicato e il super-ego in modalità visibile;

con lavori, titoli, impieghi e incarichi statement; e vite dissolute, sport estremi, relazioni tormentate, passioni insanabili, aspirazioni purissime e vizi inconfessabili.

Di fatto adottano o adattano un metodo sovversivo, da centro sociale autogestito (e senza nemmeno chiedere il conributo-elemosina…) a un target “la meglio gioventù 2.0”, con vocazione next upper class e orizzonti di sostenibilità easy, bla bla car e smart city.

Lo spirito, l’humus, il pathos a ben guardare i corpi, le prossimità, le conversazioni è anarco-libertario ma con garbo, un dionisiaco in slow motion, un mood relax & enjoy che sembra la versione “less is more” del vecchio peace &love, ma senza fronzoli, senza moine, senza politica,

e senza tutte quelle formalità da locale pubblico, come se in effetti tutti i problemi d’immagine e comunicazione derivassero dall’absurdum di “spendere per divertirsi”.

Anche da nudi (intendo: spogliati del ruolo sociale, professionale) e in ebbrezza questi good fellas sono educati, gentili, puliti.

Il bar è free, ma nessuno esagera, nessuno molesta le bargirls.

C’è qualcosa di piacevole nell’aria, una leggerezza, ma anche un alone di malinconia erotica.

Un consulente aziendale (ma è un politologo prestato al marketing) mi cita Ibsen: quando noi morti ci destiamo, ci rendiamo conto di non aver mai vissuto. Buono.

Ex ragazzine liceali, ormai anta, ma tirate a lucido e perfettamente funzionanti, pezzi unici fuori produzione, belle e desiderabili, come motocross d’epoca. Ammirevoli, e pronte a ruggire.

Ti avvicini, ci parli, e ti dicono: ero incinta, sono stati i mesi più belli della mia vita, sentivo un’energia, un amore, ma poi ho perso il bambino. E le guardi le scarpe da 600 euro, eccitanti. E pensi: ecco la differenza rispetto al liceo, allora bastavano le Superga.

I maschietti american college, camicia bianca, blazer navy o giacca fashion tra il barocco e il finto-clochard, e anche qualche golfino sulle spalle, evergreen del maschio mammone no sexy.

Anche loro, ci parli, gli chiedi, ti dicono: mi sento una merda, e con gli occhi umidi ti raccontano dell’amico di una vita, che non aveva nessun problema, e invece si è suicidato.

Poi sale sul palco un duetto fantastico, lui zazzera, lei caschetto, e sparano una bomba di zucchero eseguita a regola d’arte, Lionel Ritchie e Diana Ross, il nostro amore senza fine, endless love, e scatta la regressio ad juventutem, ai primi anni Ottanta, al primo amore di tutta la generazione. Troppo.

Uscendo, un’efelide grissinesca tacco 14 e ventre rientrante, con qualche problema a salire le irte scale, mi si avvinghia al fortebraccio.

Le chiedo: che cosa resterà di questi anni Ottanta? Sulle note che provengono da sotto, mi risponde: i Pink Floyd.

 

 

la rivoluzione dei fighetti

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fighettiRev

all’indomani della vittoria elettorale (primo turno) le  cronache interne dal partito democratico segnalano forti attacchi di mal di pancia ai massimi vertici del politique bureau della berghem federation,

temevano la sberla a 5 dita gialline, e invece il ceffone è arrivato arancione, dall’interno, dai fighetti gory,

ancora una volta la rossa primavera si ritrova sbiadita, venata di bianco,

e gli equilibri di potere nella coalizione si spostano dalla grande proletaria alle avanguardie rivoluzionarie (o controrivoluzionarie) dei goryboy e delle goretti girls, dette anche le gorettine, o anche: le medju-gory.

Il partito locomotiva si scopre trascinato (in direzione opposta) dall’ultimo vagone aggiunto, che ha poco a vedere con la base, la struttura, la storia, gli interessi, la burocrazia e l’inerzia centralista, statalista,

e più rivolto alle libere o nuove professioni, a un rinnovamento trasversale, che segna la fine della mitologia penitenziale del lavoro hard in favore dei nuovi lifestyle a base di cazzeggio light, sostenibile,

alla festa in piazza dante la sera prima della chiusura della campagna elettorale, vedevi queste due situazioni che parevano metafore contrapposte, da una parte il modus operandi macchinoso del pd (la preparazione interminabile del mohito, un’ora di attesa in coda) dall’altra il brio blu lista gori, panini e birre al volo (e coca libera!),

la rivoluzione dei fighetti è una rivoluzione bobos (bohemienne-bourgeois) di quarantenni non (o non ancora) disperati ma nemmeno troppo “sistemati”, o del tutto a sistema, per usare un dialettismo,

una compagnia con un suo squilibrio, fatta di giovani orribilmente vecchi, come il carretta, e vecchi orribilmente giovani, come l’amaddeo, e lo stesso gori in jeans e zainetto,

con finti nordafricani, come il superfighetto bergamo-bene omar d’egitto, e finti sudamericani, come il gori-guru sanchez d’italia uno,

tutti assolutamente sottomessi alla finta cougar titina (madre e sposa esemplare)

tutti assolutamente consapevoli di essere il vero nuovo centro destra, in grado di governare la sinistra dall’interno:

per questo mi sbilancio a dire che sarebbero piaciuti molto al padre della politica italiana, il grande giulio.

Morale poli-cromatica: la febbre gialla del cambiamento ha perso le elezioni con i 5stelle, ma ha vinto all’interno dello schieramento vincente, con la rivoluzione dei fighetti.

Ora ci si augura che i bravi fighetti siano anche in grado di fare qualche ottima figata per la città, a cominciare dal pensionamento del buon Tentorio, che non chiede altro.

(testo by Sean Blazer, photo: i mohito-gori occupano piazza Dante)