affamati e diffamati

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pornoriviste

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il destino dello scrittore sovversivo

Scrivere è allo stesso tempo il gesto base dell’ordine costituito, ma anche della sovversione sociale.

Uno scrive le leggi,  poi un altro (ma anche egli stesso) scrive un manifesto illegale contro quelle leggi. Arriva un terzo (che può sempre essere il nostro) e riscrive quelle leggi, accogliendo in parte le richieste del manifesto illegale.

La dinamica è questa, in un paese democratico sarà palese e pacifica, in un regime autoritario  segreta e cruenta.

Un sovversivo, preso nel verso giusto, è un ricostituente sociale.

Si tratta solo di vedere se a breve o lungo termine,  con conversione o martirio del sovversivo.

La conversione del sovversivo può avvenire solo  in due modi, a volte sinergici: per grazia di Dio, e con ricevuta del Dio denaro.

Il martirio del sovversivo, a differenza di quel che si è portati a pensare a tutta prima, non è opera degli aguzzini dell’ordine costituito, che tendenzialmente sono portati a ignorare il sovversivo,

ma dei fan e fedeli del sovversivo, che di fatto lo spingono a immolarsi per loro, secondo il testo base, sino a che la vera vittima, il carnefice, è costretto a fare la sua parte.

Come scrisse in “Massa e potere” il mitico Canetti, il vero boia è la folla degli spettatori che si riunisce attorno al patibolo.

Questo nella società dello spettacolo è tanto più e tremendamente attuale.

La conclusione logica è che la missione base del sovversivo, e cioè rivelare le ingiustizie nascoste e smascherare i cattivi,  oggi significherebbe dire alla massa dei telespettatori, dei consumatori di comunicazione: “i cattivi siete voi, siamo noi tutti!”

Cattivi nel senso di imprigionati, sotto incantesimo, in cattività, ma anche cattivi perché mandanti morali (con la nostra acquiescenza e dunque con il nostro consenso) di ogni violenza o ingiustizia che il telegiornale ci propina cinque volte al giorno:

se noi fossimo i buoni, dovremmo alzarci in massa cinque volte al giorno dal divano, sollevarci, andare in piazza e bruciare il palazzo del governo, e quel che ne consegue in termini di impegno, rischio, et coetera,

e invece se muoviamo un dito è solo per cambiare canale, per saperne ancora di più, per “vedere le immagini”, come se le immagini fossero la verità, mentre l’unica verità è che ci comportiamo esattamente come allodole attirate dagli specchietti,

Ce ne stiamo assorti e devoti davanti alla tv a guardare scorrere il sangue come antichi maya radunati alla base della piramide dove si fanno sacrifici umani.

Siamo disposti a pagare per essere informati su avvenimenti che a bene vedere avvengono perché c’è qualcuno disposto a pagare per sapere che avvengono.

Questa è la situazione, di fatto:  in poltrona col telecomando in mano, o al massimo, non bastando le news di massa a placare “la sete di verità”, si sposta il culo sulla seggiola girevole, e si va sul web in cerca delle verità nascoste,

come Indiana Jones armati di mouse, sulle tracce dei grandi complotti giudaico-massonici, catto-fascisti e nazi-shintoisti, seguendo martiri-profeti occultati dalle polizie di regime.

L’oro nazista? In vaticano!

Lo sbarco sulla luna? Una fiction di Kubrick.

La Mucca Pazza? Una bufala!

L’AIDS? Un’idea della CIA.

La vera causa dei tumori? Il GPS.

Finché si occupa di queste cose, e spara in alto, lo scrittore sovversivo non ha problemi.

I problemi nascono quando spara ad altezza d’uomo, cioè quando  scopre e scrive che il geometra del comune ha preso la mazzetta dall’immobiliarista per il nuovo mega-supermercato,

o la squadra del cuore, in serie C, ha comprato le partite (esempi del tutto ipotetici, ogni riferimento puramente casuale).

A quel punto lo scrittore sovversivo ha migliaia di lettori, centinaia di likes e commenti ed è tentato di credersi utile, e pensa:

se questi diecimila lettori per i quali mi sono fatto gratis il culo un mese, passando le notti a far ricerche e le giornate a inseguire e intervistare testimoni, mi cacciassero dieci cent a testa, oltre a dirmi bravo, e cliccare like, potrei dedicarmi a tempo pieno a questa antica missione, il reporter senza macchia e senza paura, stile Robert Redforf in “Tutti gli uomini del presidente”.

Invece quello che succede è questo:

i personaggi pubblici, gli enti pubblici o le imprese i cui “imbrogli” tu hai così abilmente e coraggiosamente smascherato, raramente si difendono usando le stesse armi che hai usato tu, cioè dati, ipotesi, fatti, argomenti, testimonianze, dichiarazioni, dimostrazioni,  e invece più facilmente ti “fanno scrivere” dagli avvocati (plurale).

Gli avvocati ti mandano un prestampato di tre righe con scritto: “l’articolo in oggetto presenta gli estremi del reato di diffamazione aggravata, con conseguenti danni morali al nostro cliente quantificabili in milioni di euro 4 (quattro)”.

Come minimo con quelle 3 righe su carta bollata hanno già guadagnato quei 1000 o 2000 euro che tu sognavi di guadagnare con le tue 100 sudate pagine di dossier sovversivo elaborato in mesi di lavoro eroico.

Crisi.

Ti verrebbe voglia di rispondere: scusate, dal momento che il risultato è lo stesso (rimozione del post) perchè invece di pagare gli avvocati per “farmi scrivere”, dal momento che lo scrittore sono io, non pagate direttamente me, chiedendomi di cedervi l’esclusiva dell’articolo in questione?

Certamente spendereste meno che “andando per avvocati”, e saremmo tutti più contenti.

Mossa caldamente sconsigliata.

Ricevereste una seconda carta bollata, nella quale l’accusa di diffamazione sarà accompagnata, e rafforzata, da quella, più pesante, di “tentata estorsione”.

Crisi.

In una situazione del genere, può anche capitarvi, come mi è successo, di sfogarvi con un grande guru delle comunicazioni di massa, il quale, bevendo un Gin Rosa con aria assorta, vi illumina infine così:

“quando Pilato si lava le mani, esprime l’impotenza del dittatore: per quanto le lavi,  le sue mani continueranno a sporcarsi di sangue…

…nessuno pensa mai alla violenza psicologica che un’intera massa oppressa esercita su un uomo solo, il dittatore”.

Crisi.

Il vero passo avanti, in fatto di sovversione, sarebbe ribaltare i termini della questione in maniera logica:

se il reato è la “diffamazione”, chi scrive può essere considerato il mandante,

ma chi compie effettivamente il reato è chi legge,

sono i lettori il problema del potere, per non affrontare i lettori zittiscono lo scrittore, ma se i lettori alzassero la voce invocando la libertà di lettura,

dicendo “si, io leggo questa roba, e voglio avere il diritto di farlo”,

avrebbero partita vinta,

perchè di fatto il concetto di “opera aperta” che informa ogni prodotto culturale dal XX secolo in poi, prevede la partecipazione del fruitore all’opera,

e questo a livello di blog vorrebbe dire condividere la responsabilità tra chi scrive e chi legge, come soggetto unico di cogitazione,

a questo dovrebbero lavorare nuovi avvocati sovversivi, a creare clausole a tutela della “publicity” come estensione della “privacy”…

se vuoi denunciare qualcuno, arrivi tardi, perché 5000 persone si sono già auto-denunciate come lettori del tema in oggetto, reclamando il diritto alla lettura.

Un’altra soluzione, più ardita, estrema, e provocatoria sarebbe invece:

noi non ci appelliamo alla libertà di espressione dell’individuo, ma piuttosto alla libertà d’acquisto della merce-idea, è qui che li freghiamo,

noi non pretendiamo che i nostri post abbiano lo status di grandi verità, al contrario, sono banali merci di consumo con una loro nicchia di mercato, che non si possono “esibire” pubblicamente ma si possono “acquistare e visionare in privato”,

stiamo parlando della ponografia, chiaramente, ecco l’idea,

trattare i post sotto censura come materiale pornografico, per maggiorenni,

produrre un e-book “scottante”, red-hot, con firma di un’impegnativa a non divulgare, per uso privato, a pagamento (anche simbolico, 10 centesimi, ma tale da rendere quei contenuti da denuncia una semplice merce in vendita per adulti),

trasformiamo cioè, paradossalmente, la libera espressione in merce squallidamente protetta, riservata,  è questo che possiamo fare, per rivoltargli contro le loro stesse armi, e compiere la missione (fuck the power) con il culo parato,

esibendo così il vero scandalo, la nuda verità ridotta a piacere per pochi, nei postriboli, anziché trionfante nelle piazze a guida del popolo,

Finché esiste la pornografia, c’è ancora una speranza per la libertà d’espressione, è questo lo scenario della società catto-spettacolare,

l’aveva già capito Michelangelo, mentre realizzava la Cappella Sistina.

Crisi.

pubblicità ingannevole

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VIAGGIARE GRANDE

ecco una tipica pubblicità apparentemente innocua, che certo non pone alcun problema al garante che vigila sulle pubblicità ingannevoli:

è ritenuta ingannevole una pancera dimagrante che promette di togliere 5 centimetri alla mia pancia, qualora si possa dimostrare che me ne toglie solo 3 o 4,

non è ingannevole un aeroporto che con disinvoltura promette “la libertà” al popolo, nella certezza, tipica di tutti i regimi, che “la libertà” sia un bene astratto, e dunque non misurabile,

in realtà, lo slogan aeroporto-libertà, è cento volte più ingannevole delle pancere dimagranti, perché dice il falso su qualcosa che è cento, mille volte più importante della mia pancia,

che l’aeroporto-libertà sia una falsa promessa lo capiscono tutti, ma non importa a nessuno, tranne agli uomini liberi, che si rivoltano nella tomba,

e sono una folla pronta a testimoniare: la libertà non è un volo a basso costo, dicono, la libertà è un’altra cosa, la libertà è volare alto, e a carissimo prezzo,

mi limito a citarne due indiscutibilmente autorevoli:

la libertà non è il volo di un moscone, libertà è partecipazione (Gaber)

libertà va cercando, ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta (Dante)

a questo punto il garante, e il lettore, sorriderà: è vero, la libertà è qualcosa di più di un aeroporto, ma non per questo possiamo vietare all’aeroporto di vantare la propria libertà, dal momento che c’è… la libertà d’espressione!

e qui casca l’asino, e anche il jumbo, perchè la libertà d’espressione oggi è questo:

se un’azienda, come ad esempio la Sacbo-aeroporto,  pagando sia chi scrive che chi pubblica, utilizza in maniera “falsa e ingannevole” per motivi volgarmente commerciali parole sacre, di proprietà pubblica, come “libertà”, non compie alcun tipo di reato, non danneggia nessuno, non deve risarcire nessuno;

invece io, che a titolo gratuito e personale, senza altra finalità che quella di esprimere liberamente un’opinione su una questione d’interesse pubblico, scrivo che “Sacbo dice il falso, e fa pubblicità ingannevole”

vengo facilmente denunciato per diffamazione (specie se sono un giornalista!) e facilmente condannato a risarcire il “danno d’immagine” (specie se il loro avvocato vale – e costa! –  100 volte il mio);

è così che funziona, e intanto il vero danno d’immagine, il buco nero prodotto nell’immaginario, nella coscienza collettiva da queste “pubblicità facili”, non viene mai riconosciuto, né risarcito.